Nonviolenza. Femminile plurale. 95



==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 95 del 29 marzo 2007

In questo numero:
1. Cristina Papa: Ciudad Juarez, la citta' della morte
2. Rossana Rossanda: Attraversare
3. Lucetta Scaraffia: I femminismi sono tanti
4. Eva Cantarella: Contro il pensiero unico
5. Libreria delle donne di Milano: Un commento

1. MONDO. CRISTINA PAPA: CIUDAD JUAREZ, LA CITTA' DELLA MORTE
[Dal sito de "Il paese delle donne on line" (www.womenews.net/spip3)
riprendiamo il seguente articolo.
Cristina Papa, intellettuale femminista da sempre impegnata per la pace e i
diritti umani, fa parte della redazione de "Il paese delle donne" ed e'
curatrice del sito e della versione elettronica della rivista
(www.womenews.net/spip3)]

Esce oggi nei cinema distribuito da Medusa e patrocinato da Amnesty
International, Bordertown, il film-denuncia diretto da Gregory Nava e
interpretato da Jennifer Lopez e Antonio Banderas che racconta 14 anni di
omicidi seriali di donne in Messico.
Bordertown racconta in tutta la sua atrocita' una storia vera: quella di 430
donne (di eta' compresa tra i 6 e i 25 anni) trovate massacrate nei campi
intorno a Ciudad Juarez, e di altre 600 scomparse dal 1993. Le vittime,
quasi tutte giovani, carine, magre e con i capelli lunghi, provenivano da
famiglie povere ed erano originarie di altre citta'.
Nella maggior parte dei casi i corpi, ritrovati a settimane di distanza
dalla scomparsa, portano le tracce delle violenze estreme e delle torture
subite in aggiunta alla violenza sessuale di cui tutte sono state vittime.
Spesso il viso appare massacrato e irriconoscibile e in alcuni casi il corpo
bruciato e mutilato secondo modalita' che ricordano fin troppo da vicino
l'operato di un serial killer. Molte tra le ragazze scomparse erano arrivate
a Ciudad Juarez con la speranza di essere assunte come operaie da una delle
numerose fabbriche che assemblano, per societa' multinazionali, prodotti per
l'esportazione (maquiladoras) che costituiscono la fonte principale di
sostentamento per gli e le abitanti della citta'. Altre erano impiegate,
domestiche, studentesse, commesse, segretarie, etc. che, come il 35% della
popolazione economicamente attiva di Ciudad Juarez, si erano trasferite in
quella citta' perche' il salario delle maquiladoras, in media di 4 dollari
al giorno per dieci ore di lavoro, sembrava comunque meglio della poverta' e
dell'isolamento in cui vivevano nei loro villaggi.
Le maquiladoras attingono da questo stesso bacino di popolazione impoverita
la mano d'opera di cui hanno bisogno ma, malgrado tutti i vantaggi (fiscali,
infrastrutture moderne e gratuite, salari bassi) di cui beneficiano, non
partecipano in nessun modo allo sviluppo della citta', tanto che il 14%
della popolazione non ha ancora un accesso diretto all'acqua potabile,
mentre il 44% delle strade sono ancora senza asfalto e prive di
illuminazione notturna.
Ciudad Juarez e' una citta' violenta attraverso cui transita l'80% della
cocaina proveniente dalla Colombia e destinata al mercato nordamericano e in
cui piu' di 500 bande di strada si dedicano ad attivita' criminali di ogni
genere, spesso imponendo lo stupro di una giovane ragazza come rito di
iniziazione ai nuovi membri del gruppo.
In questa citta', in cui il predominio maschile caratterizza ogni livello
dell'organizzazione sociale, la violenza verso le donne si esprime tanto
nell'ambiente domestico quanto in quello lavorativo, creando un facile
contesto per gli assassini che possono contare sull'indifferenza assoluta,
che sfiora la complicita', della polizia locale. Cosi', omicidio dopo
omicidio Ciudad Juarez e' diventato per le donne il luogo piu' pericoloso
del mondo, soprattutto da quando, a partire dal 2001, con il moltiplicarsi
delle inchieste di organismi internazionali i corpi delle vittime violentate
e strangolate hanno cominciato a scomparire nel nulla.
Polizia, magistratura, governo locale e federale minimizzano il numero di
omicidi e anzi indicano nelle vittime le vere responsabili che passeggiavano
in luoghi bui e indossavano minigonne o altre mises provocanti...
Alla fine del 1999, alcuni cadaveri di donne e bambine furono ritrovati
vicino ai ranch di proprieta' di trafficanti di cocaina. Tale coincidenza
sembrava stabilire un legame tra gli omicidi e la mafia del narcotraffico, a
sua volta legata alla polizia e ai militari, ma le autorita' rifiutarono di
seguire questa pista preferendo piuttosto incolpare consapevolmente degli
innocenti, tanto per placare un po' l'opinione pubblica.
Coperti dalla piu' assoluta impunita' gli assassini hanno minacciato di
morte, e a volte ucciso, avvocati e talvolta i loro familiari, giudici,
procuratori, giornalisti per costringerli ad abbandonare le inchieste sugli
omicidi delle donne.
Secondo alcune fonti federali, sei importanti imprenditori di El Paso, del
Texas, di Ciudad Juarez e di Tijuana assolderebbero sicari incaricati di
rapire le donne e di consegnarle nelle loro mani, per poterle violentare,
mutilare e infine uccidere. Questi ricchi imprenditori sarebbero vicini a
certi amici del presidente Vicente Fox e avrebbero contribuito ai
finanziamenti occulti della campagna elettorale che ha portato Fox alla
presidenza del paese, mentre Francisco Barrio Terrazas, ex governatore di
Chihuahua diventava suo ministro. Questo spiegherebbe perche' nessun vero
colpevole ha mai avuto fastidi con la polizia dopo la morte di oltre 400
donne.
Bordertown e' un film bello, duro, coraggioso e importante perche' tenta di
far arrivare al grande pubblico le storie delle ragazze uccise,
restituendogli un nome e la dignita' di persone sottratta dallo scempio dei
loro cadaveri, e che invita tutte e tutti a fare qualcosa per farmare la
catena di omicidi. In molte delle sale in cui sara' proiettato il film, gli
spettatori potranno ritirare una cartolina, firmarla e spedirla ad Amnesty
International. In questo modo, prenderanno parte alla campagna di Amnesty
International per porre fine al femminicidio in Messico, assicurare
giustizia ai familiari delle vittime e proteggere le sopravvissute alla
violenza. L'organizzazione per i diritti umani consegnera' all'ambasciata
del Messico in Italia tutte le cartoline ricevute.

2. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: ATTRAVERSARE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 marzo 2007.
Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio
Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per
aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in
rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del
"Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata
da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu'
drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti.
Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari
1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica
come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La
ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del
lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della
riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora
dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste]

Si da' grande rilievo all'emergere di figure femminili nei ruoli politici di
comando: Angela Merkel e' cancelliera in Germania, Michele Bachelet premier
in Cile e Segolene Royal candidata alla presidenza della repubblica in
Francia, Hillary Clinton corre per la presidenza del 2008 negli Stati Uniti.
Ida Dominijanni ("Il manifesto" del 13 marzo 2007) segnala una riflessione
di Luisa Muraro e Lia Cigarini: sarebbe un effetto del femminismo.
Si' e no. Certo il ritardo con il quale approdano ai governi e' la piu'
manifesta confessione che il sistema dichiarato di diritti universali non e'
tale affatto, o che qualcosa di non detto e' riuscito a eluderlo se neppure
i giuristi all'esclusione delle donne hanno dato grande attenzione. Non e'
straordinario che, a oltre due secoli dalla dichiarazione dei diritti del
1789, secondo la quale ogni uomo nasceva "uguale in diritti" (per "uomo" si
intendeva membro della specie umana), ci si feliciti caldamente se qualche
donna avanza nel governo della cosa pubblica? Gia' fra il 1789 e
l'ammissione delle donne al suffragio universale, diritto primo ed
elementare, era passato mediamente piu d'un secolo e mezzo. Le donne erano
uscite dalla casa e dai campi, dilagavano nel lavoro e nelle reti sociali,
ma filosofia e costume facevano come se non fosse. E all'inizio del Duemila
ci si stupisce che questo avvenga anche nella sfera politica. Dove peraltro
le donne restano assai minoritarie, come dimostra la discussione fra quote e
non quote, quasi che i sessi non fossero manifestamente due e uguale dovesse
esserne la rappresentazione. Di fronte a questa macroscopica distanza fra
principi e realta' degli umani rapporti, alcune femministe hanno detto che
il ritardo del diritto e' stato tale che le piu avvedute lo rifiutavano,
stabilendo i veri e decisivi rapporti solo fra di loro, in una comunita'
altra.
*
Sarebbe l'accumulo simbolico di questa comunita' critica di donne ad avere
sfondato il muro dei poteri pubblici cui stiamo assistendo? Non so. Lo
sfondamento e' denso di valori e di interrogativi. Fa riflettere che esso si
sia verificato nel secolo scorso, e prima che in occidente, in sistemi che
dire di democrazia imperfetta e' poco. E' con la fine del dominio coloniale
inglese che si ha la prima donna capo di stato - se non sbaglio - a Ceylon,
Sirimavo Bandanaraike. E poi Indira Gandhi in India e Benazir Bhutto in
Pakistan. Sono contesti tumultuosi ed e' determinante il carisma familiare;
Indira Gandhi e' figlia del Pandit Nehru, seguace del Mahatma e primo capo
dello stato indipendente. Benazir Bhutto, pakistana, e' figlia di Ali
Bhutto, impiccato dal colpo di stato del generale Zia. La Bandanaraike
vedova del leader dell'opposizione appena ucciso. Anche Violeta Chamorro in
Nicaragua e Cory Aquino nelle Filippine sono ereditiere d'un capo. Tuttavia
se in tutte il nome che portano e' stato decisivo nell'accedere alla carica,
nessuna di esse governa come schermo di un altro uomo. Indira Gandhi diventa
anzi una figura di rilievo nel secolo (finira' assassinata come uno dei suoi
figli), ma anche altre hanno governato i loro paesi da se' e per se'. Regine
a parte (e anche queste poche, e madri o vedove) questo non era accaduto
sino a meta' del Novecento, a indipendenze e borghesie nazionali installate.
Nell'ambito occidentale, tolta Golda Meir che diventa premier in Israele
dopo la guerra dei sei giorni, nel 1969, ci vorranno altri dieci anni per
avere la prima donna premier in Europa: e' il 1979 quando entra, a Downing
Street, Margaret Thatcher. Nel suo caso non contano affatto ne' padre ne'
marito e figli, come piu' tardi per la norvegese Gro Brundtland, oggi per
Michele Bachelet e Angela Merkel e forse domani Segolene Royal, cui l'essere
in coppia con Francois Hollande, segretario del partito socialista nuoce
piu' che non giovi. Conta invece negli Stati Uniti, che non hanno mai avuto
una donna presidente, se Hillary Clinton si candida con il nome del marito
piuttosto che con il suo, Rodham. E soltanto da quest'anno una donna, Nancy
Pelosi, presiede il Congresso a Washington. In Italia sono molte e da un
pezzo le donne sindaco, ma non si delinea una figura di premier.
*
Se ne possono trarre delle conclusioni? Per esempio che una figura femminile
emergerebbe piu' facilmente in situazioni sociali arcaiche e nel corso di
acuti conflitti identitari? Che, salvo nel caso di Golda Meir, proveniente
dalla sinistra politica e sindacale del Mapai e dell'Histadruth, sono i
partiti conservatori a portare alle massime cariche una donna? Qualche
nostra femminista s'era innamorata dell'Irene Pivetti quando la Lega l'ha
imposta come presidente della Camera: giovane e bella, era sembrata
"diversa" da Nilde Jotti, che aveva coperto la stessa carica, o di Rosy
Bindi, che ha molto piu' protagonismo oltre che sale in zucca. E' sicuro che
Margaret Thatcher ha avuto piu' fegato del suo partito nel demolire quel che
poteva delle conquiste sociali del Labour, non per niente l'hanno chiamata
la lady di ferro. Ma questo vorrebbe dir solo che le donne di destra hanno
piu' chances di quelle di sinistra. In un registro piu soft e' lo stesso per
Angela Merkel, la cui ascesa e' stata contrastata con tutti i mezzi, e non i
piu' puliti, da Gerhard Schroeder e Joschka Fischer. E in chiave
antiprogressista sono passate Violeta Chamorro in Nicaragua e Cory Aquino
nelle Filippine. Farebbe eccezione il Partito socialista in Francia - breve
e infelice era stato il passaggio di Edith Cresson su chiamata di
Mitterrand - se Segolene Royal non si fosse scelta da sola come candidata
alla Presidenza della repubblica, creandosi una sua base attraverso il suo
blog "Desir d'avenir" e battendo i maschi di famiglia. Infine, di queste
donne femminista non e' nessuna, eccezion fatta per Gro Brundtland e per un
iniziale impegno, smentito poi da quel che ha fatto al governo, Benazir
Bhutto. Ad avere la meglio e' l'empowerment proposto da Hillary Clinton, con
tutte le sue ambiguita'.
*
Non direi dunque che il femminismo - a stare alla formulazione degli anni
'70-'80 come movimento di liberazione della donna che ha denunciato
l'emancipazionismo come spinta a ottenere gli stessi ruoli dei maschi - sia
stato l'elemento decisivo. Esso ha avuto e mantiene un ruolo assai piu
determinante nella crisi della politica novecentesca che nella ascensione
delle donne in politica. Questa si deve ancora in grandissima parte a
quell'emancipazione femminile che e' innestata nella crescita della
borghesia occidentale.
Innestata e rispondente alla logica del sistema economico, ma incapace di
obliterare il conflitto sessuale. Esso domina esplicitamente nelle culture
estreme: i neocon strepitano contro il burka ma hanno tenuto fermo il
patriarcato in forme fin derisorie, come il giuramento di castita' fatto
dalle figlie ai padri in cerimonie molto d'elite, fra fiori e nastri,
precluso l'ingresso alle madri, a mo' di garanzia che la consegna della
fanciulla passi da uomo a uomo. La chiesa di Ratzinger si impegna
ossessivamente contro il sacerdozio femminile. Tutti i fondamentalismi si
basano sulla inferiorita' della donna, e se mai c'e' da chiedersi perche'
oggi si manifestino piu' di ieri. Ma fuori di essi non cessa una opaca
misoginia, mista alla confusione degli uomini su di se' e il timore d'un
crescere di qualche potere femminile. Queste inconfessate paure sono non
meno cogenti del bisogno di forza di lavoro, fisica e intellettuale, delle
donne. In Francia, la candidata Segolene Royal e' seguita dai media con un
voyeurismo compulsivo, dagli abiti che porta alla minima parola che dice o
non dice, e le donne, che non votano mai con giubilo per le donne, non si
privano dei se e dei ma - ma veste troppo elegante, no troppo noiosa, ma fa
troppo professoressa, no troppo madre, ma e' troppo femminista, no non lo e'
affatto, ma (ed e' il dubbio piu seminato) sara' poi in grado di dirigere un
grande paese? Domanda che nessuno si porrebbe per un maschio con un
curriculum come il suo, due volte ministra, con Mitterrand e con Jospin, e
presidente d'una grande regione. Il patriarcato e' incrinato, ma lungi
dall'essere finito.
Soprattutto la macchina del governo trita tutto cio' che non sta gia' nelle
sue articolate maglie. E non perche' vecchia e non funzionante, ma perche'
complessa e coinvolgente. Molte sono state le donne portate avanti da
Mitterrand, incluse femministe storiche come Antoinette Fouque e Veronique
Neiertz, molte sono state ottime ministre in dicasteri essenziali come
economia e lavoro (Aubry) o giustizia (Guigou), ma nel sistema politico
nulla hanno cambiato, non dico le forme o il metodo, ma neppure nelle
proporzioni fra contenuti. Esso e' impermeabile: anche il presentarsi di
Cicciolina a Montecitorio nuda sotto la bandiera nazionale ha turbato un
momento, e' scivolata via come la pioggia sulle piume di un'anitra. Se la
societa' civile, quale che sia il senso che si voglia dare alla parola, se
ne ritira, esso continua a macinare le decisioni, ed e' penoso sentir
ripetere che esso sarebbe in crisi. Non e' in crisi, l'astensione essendo un
suo meccanismo di funzionamento messo in conto. Cosi' e' anche quando se ne
ritirano le donne dichiarandolo inessenziale. O se ne cambiano i codici o si
subiscono.
*
Ma come si cambiano? Il discorso sarebbe lungo. Mi ha colpito la morte di
Angela Putino, cui Luisa Muraro ha dedicato una bella e affettuosa pagina
sul "Manifesto" del 17 gennaio scorso. Angela era esile come un uccello e il
suo ragionare era un volo di rondine che lasciava senza fiato. Ma la sua
riflessione sul farsi del soggetto, dell'idea di se' nelle culture e nel
tempo mi pare la piu fertile; avviene, essa scrive, come similmente
all'evoluzione delle forme biologiche, vista piu' da Cuvier che da Darwin,
per attriti e inclusioni, non sorretta da un disegno finale ma disegnando
piu' fini, via via formantisi e formatori. La "differenza" delle donne
sarebbe "l'estraneita'" alla storia, guidata finora da un solo sesso, e oggi
affiorata alla coscienza e non piu' subita. Cosi' ne parlava Virginia Woolf
e Putino reinterpreta: essa produce uno sguardo diverso, una lettura altra.
Nella "societa' delle estranee" avevo, a suo tempo, veduto un rifiuto di
ingerirsi. Putino lo vede un'ingerenza permanente, uno sguardo da un altro
punto di fuga, un approccio via via modificato da quel che vede e che a sua
volta modifica. E' un farsi, una storicita' senza alcun determinismo, che
liquida il dilemma fra omogeneizzarci al pensato politico o voltargli le
spalle. A condizione che non pensiamo a noi stesse come un progetto finale
ma inattuato, quale e' suggerito dall'ordine della madre, o da chi ci vede
come portatrici di sentimenti e passioni che romperebbero con l'astrazione
del maschile (e quindi del politico, peraltro traversato fin troppo da
passioni e sentimenti, alti e bassi). Le soggettivita' di Angela sono
differenti e connesse per frizione, chiuse e aperte, mai ripetentisi tali e
quali.
E' una chiave per ricontrattare e riscrivere le regole del pensare e fare
politico. Che dunque dovremmo riattraversare tutto sempre da chi guarda
venendo da un punto diverso, ma guarda, non si distrae, vuol vedere tutto. E
nel farlo persegue, per cosi' dire, umanamente, un conflitto che non approdi
a un suicidio o a una messa a morte, anche se molto deve cadere. In questa
chiave leggerei l'affermarsi di alcune donne dentro gli schemi di
un'emacipazione che ha modificato la scena anche per l'accumulo di
un'esperienza di se' femminista, andata oltre di essa. Anche e oltre.

3. DIBATTITO. LUCETTA SCARAFFIA: I FEMMINISMI SONO TANTI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul "Corriere della sera" del 20
marzo 2005 col titolo "I femminismi sono tanti, ma l'Italia non lo sa".
Lucetta Scaraffia, nata nel 1948, insegna storia contemporanea
all'universita' "La Sapienza" di Roma. Socia fondatrice della Societa'
italiana delle storiche, si e' occupata, oltre che di storia della
religiosita', di storia della famiglia e della comunita' contadina. Tra le
opere di Lucetta Scaraffia: La santa degli impossibili, Rosenberg & Sellier,
Torino 1990; con Gabriella Zarri, Donne e fede, Laterza, Roma-Bari 1994,
traduzione inglese Women and faith, Cambridge University Press, 1999; Il
Concilio in convento, Morcelliana, Brescia 1996; Rinnegati. Per una storia
dell'identita' occidentale, Laterza,1993; Il giubileo, Il Mulino, Bologna
1999 (tradotto in spagnolo per l'editore Acento); con Anna Bravo, Donne del
'900, Liberal libri, 1999; con Anna Bravo e Anna Foa, I fili della memoria,
Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000 (manuale di storia, in
tre volumi); con Anna Bravo, Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Storia
sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001]

In Italia sembra esistere un solo femminismo, sempre vigile nella difesa
della legge 194 e favorevole a ogni svolta del pensiero progressista: dai
Pacs all'ideologia del gender, dalla vendita degli ovociti all'inseminazione
eterologa. Negli altri paesi occidentali, invece, i femminismi sono tanti, e
talvolta profondamente diversi. Per la Francia, un esempio clamoroso e'
offerto dall'ultimo libro di Sylviane Agacinski (Engagements, Seuil), nel
quale la filosofa affronta due temi di fondo: l'uguaglianza dei due sessi,
intesa come uguale possibilita' di rappresentare l'umanita', e l'idea che
ciascuno e' il suo corpo, e che questo corpo non e' ne' uno strumento ne'
una merce. La studiosa francese si contrappone con nettezza all'ipotesi
della neutralita' sessuale tipica dell'ideologia del gender, correndo
consapevolmente il rischio di essere considerata colpevole, come scrive, di
"militantismo eterosessuale". Infatti l'autrice sostiene che la parita' non
si ottiene facendo entrare le donne in una categoria astratta di individuo,
ma, al contrario, tenendo conto che il cittadino e' sia uomo sia donna. In
questo modo la Agacinski respinge come falsa l'opposizione tra universalismo
e differenzialismo, e attribuisce alla differenza sessuale quel ruolo di
differenza universale tanto criticato, invece, dalle sostenitrici del
gender. Del resto, la filosofa sa bene che senza distinzione non e'
possibile elaborare alcun processo cognitivo. Ma, dal momento che essa opera
includendo ed escludendo, mentre rende possibile la cognizione attiva, al
tempo stesso, la simmetria e, di conseguenza, la normativita'.
Il problema che la Agacinski si pone, e che risolve con la concezione di un
genere umano che comprende una differenza interna, e' quello di accettare la
distinzione fra i sessi senza tradurla in un sistema di potere. Non si
tratta di una affermazione da poco, se si pensa che tutte le proposte di
riconoscimento di diritti alle coppie omosessuali - incluse l'adozione e la
procreazione assistita - si fondano sull'idea che la polarita' eterosessuale
non sia fondante della cultura e della societa', ma in sostanza un arbitrio
da cancellare. Non stupisce allora la requisitoria della filosofa contro la
legalizzazione dell'utero in affitto, "come se la gestazione fosse un lavoro
artigianale e il bambino stesso un prodotto fabbricato del quale si puo'
fissare un prezzo". Ne' meraviglia il fatto che la Agacinski affermi con
chiarezza - contro l'opinione di chi sostiene che per fare i genitori e'
sufficiente l'amore per il figlio - che "le regole della filiazione sono
state costruite sulla bilateralita' della coppia uomo-donna, e non sui
sentimenti che i genitori potevano provare l'uno per l' altro. Non e' mai
l'amore ne' il desiderio in quanto tale che spiega la binarieta' della
coppia di genitori". I ruoli di madre e padre, infatti, non hanno solo una
valenza psicologica ma svolgono un'importante funzione simbolica perche'
definiscono il posto del nuovo nato fra le generazioni e fra i sessi, in
sostanza definiscono il suo posto nell'umanita'.
*
Attento alle suggestioni di un femminismo critico di matrice anglosassone e'
invece il libro di Alessandra Nucci (La donna a una dimensione, Marietti),
meno approfondito dal punto di vista teorico, ma ricco di informazioni
interessanti e poco note in Italia. Una parte importante del volume e'
infatti dedicata alla dettagliata ricostruzione dell'azione svolta dalle
Nazioni Unite per diffondere in tutte le culture del mondo il concetto
neutro di gender in sostituzione della polarita' maschio-femmina.
Interessante e' la critica della Nucci al modo in cui viene diffusa, su
impulso di una agenzia dell'Onu (la Cedaw), l'educazione sessuale in eta'
molto precoce: un modo che non si limita a lottare contro i tabu', ma punta
a "demolire la comune sensibilita'", per arrivare a "desensibilizzare i
giovani al legame affettivo e spirituale che e' insito nei rapporti
sessuali", producendo in loro una "maturazione forzata". A riprova di cio'
l'autrice cita quanto accadde nel 2002 durante l'assemblea generale
sull'infanzia, quando l'Unicef fu accusata di aver finanziato un libro in
cui non solo si promuove l'aborto ma si incoraggiano i bambini ad avere
relazioni sessuali con omosessuali, con altri minori e con animali.
*
La cultura femminista e' insomma piu' interessante e articolata di quanto
appaia se la si vede solo come risorsa politica della sinistra, e dunque
fatalmente spinta a un progressismo esasperato. E sono importanti tutte le
occasioni che permettono di arricchire il dibattito, sfuggendo al pensiero
unico che tende a stendere su questi temi uno spesso velo di conformismo.

4. DIBATTITO. EVA CANTARELLA: CONTRO IL PENSIERO UNICO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul "Corriere della sera" del 22
marzo 2005 col titolo "Platone contro il pensiero unico femminista".
Eva Cantarella, docente universitaria di diritto romano e di diritto greco;
ha pubblicato molte opere sulla cultura antica ed e' autrice di fondamentali
ricerche sulla condizione della donna nelle culture antiche.
Dall'enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche riprendiamo la
seguente scheda: "Nata nel 1936 a Roma, Eva Cantarella si e' laureata in
giurisprudenza nel 1960 presso l'universita' di Milano. Ha compiuto la
propria formazione postuniversitaria negli Stati Uniti all'Universita' di
Berkeley e in Germania all'universita' di Heidelberg. Ha svolto attivita'
didattica e di ricerca in Italia presso le universita' di Camerino, Parma e
Pavia e all'estero all'Universita' del Texas ad Austin ed alla Global Law
School della New York University. E' professore ordinario di Istituzioni di
diritto romano presso la facolta' di giurisprudenza dell'universita' di
Milano, dove insegna anche diritto greco. Partendo dalla ricostruzione delle
regole giuridiche, le ricerche di Eva Cantarella, sia in campo romanistico
che grecistico, tendono da un lato a individuare la connessione tra le
vicende politiche ed economiche e la produzione normativa, e dall'altro a
verificare la effettivita' delle norme stesse, analizzando lo scarto tra
diritto e societa', la direzione di questo scarto e le ragioni di esso". Tra
le opere di Eva Cantarella: La fideiussione reciproca, Milano 1965; Studi
sull'omicidio in diritto greco e romano, Milano 1976; Norma e sanzione in
Omero. Contributo alla protostoria del diritto greco, Giuffre', Milano 1979;
L'ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell'antichita' greca e
romana, Editori Riuniti, Roma 1981; Tacita Muta. La donna nella citta'
antica, Editori Riuniti, Roma 1985; Pandora's Daughters, Bpod, 1987; Secondo
natura. La bisessualita' nel mondo antico, Editori Riuniti, Roma 1988; I
supplizi capitali in Grecia e a Roma, Rizzoli, Milano 1991; Diritto greco,
Cuem 1994; Passato prossimo. Donne romane da Tacita a Sulpicia, Feltrinelli,
Milano 1996; (con Giulio Guidorizzi), Profilo di storia antica e medievale,
Einaudi Scuola, 1997; Pompei. I volti dell'amore, Mondadori, Milano 1998;
(con Luciana Jacobelli), Un giorno a Pompei. Vita quotidiana, cultura,
societa', Electa, Napoli 1999; Storia del diritto romano, Cuem, 1999;
Istituzioni di diritto romano, Cuem, 2001; (con Giulio Guidorizzi), Le
tracce della storia, Einaudi Scuola, 2001; Itaca. Eroi, donne, potere tra
vendetta e diritto, Feltrinelli, Milano 2002; (con Lorenzo Gagliardi,
Marxiano Melotti), Diritto e sessualita' in Grecia e a Roma, Cuem, 2003;
(con Giulio Guidorizzi), L'eredita' antica e medievale, Einaudi Scuola,
2005; L'amore e' un dio, Feltrinelli, Milano 2006; Il ritorno della
vendetta, Rizzoli, Milano 2007; altre opere a destinazione scolastica: (con
Giulio Guidorizzi), Corso di storia antica e medievale, Einaudi Scuola; (con
Giulio Guidorizzi), Il mondo antico e medievale, Einaudi Scuola; (con Giulio
Guidorizzi), La cultura della storia. Laboratorio, Einaudi Scuola; (con
Giulio Guidorizzi), Lo studio della storia. Laboratorio, Einaudi Scuola;
(con Giulio Guidorizzi), Storia antica e medievale, Einaudi Scuola; (con
Giulio Guidorizzi), Antologia latina, Einaudi Scuola; (con Giulio
Guidorizzi, Laura Pepe), Letteratura e storia di Roma antica. Antologia
degli autori latini, Einaudi Scuola; (con G. Martinotti), Cittadini si
diventa, Einaudi Scuola; (con E. Varni, Franco Della Peruta), La memoria
dell'uomo, Einaudi Scuola]

In un articolo pubblicato su questo giornale martedi' 20 marzo, Lucetta
Scaraffia ricordava che mentre in Italia sembra esistere un solo femminismo,
favorevole a ogni svolta del pensiero progressista, negli altri Paesi
occidentali i femminismi sono tanti, talvolta profondamente diversi. E su
questo (vale a dire sul fatto che i femminismi sono molti) non si puo' che
consentire: c'e' il femminismo afroamericano, essenzialista, evolutivo,
islamico, liberale, marxista, radicale, separatista, psicoanalitico,
socialista, esistenzialista, postmoderno (riprendo l'elenco dal recentissimo
libro di due filosofe, Pieranna Garavasco e Nicla Vassallo, Filosofia delle
donne, Laterza 2007). Piu' problematico invece, per quanto mi riguarda, il
discorso - che segue - sui femminismi che rifiutano soluzioni progressiste a
problemi quali l'aborto, i Pacs, i Dico, la vendita degli ovociti,
l'inseminazione eterologa e i diritti delle coppie omosessuali.
Con riferimento a questi ultimi diritti, e contro l'ipotesi di concederli,
viene citata la filosofa Sylviane Agacinski. Se ho colto esattamente il suo
pensiero, Agacinski ritiene che concedere diritti alle coppie omosessuali
mal si concilierebbe con il carattere fondante della cultura e della
societa' che ella attribuisce alla polarita' eterosessuale: peccato che
ipotesi come questa siano ignote nel nostro Paese, dice Lucetta Scaraffia;
conoscerle e discuterle permetterebbe di sfuggire "al pensiero unico che
stende su questi temi un velo di conformismo". Riesce molto difficile, in
verita', condividere questa valutazione: se un pensiero unico su questi temi
esiste, nel nostro Paese, e' proprio quello che da' per scontato il
carattere fondante di cultura e societa' della polarita' eterosessuale. Nel
dibattito in corso in Italia non mi e' mai capitato di leggere che la
divisione biologica in due soli sessi e' poco giustificata sotto il profilo
empirico, perche' non rende conto degli esseri umani intersexed, ovvero
sotto il profilo teorico, perche' non rende conto dei soggetti "eccentrici"
(vedi Teresa De Lauretis, Eccentrics Subjects, 1990). Eppure ci sono
femminismi che sostengono queste tesi: un' ottima ricognizione del problema
si puo' trovare, ancora una volta, ne La filosofia delle donne.
Ma quel che piu' mi sorprende e' che vi siano femminismi che sembrano aver
dimenticato la lezione della storia: piu' in particolare, della storia
ateniese. Il rapporto interpersonale piu' importante, in quella cultura
(anche ai fini riproduttivi: vedremo poi in che senso), non era quello tra
un uomo e una donna. Era quello tra due persone di sesso maschile. Quando
tra due uomini esisteva una differenza di eta' che consentiva all'adulto di
insegnare al piu' giovane le virtu' civiche, questo rapporto, ad Atene, era
considerato lo strumento piu' importante e piu' nobile di riproduzione del
corpo cittadino. A ricordarlo, nel Simposio di Platone, e' una donna, la
sacerdotessa Diotima: Amore, dice Diotima, garantisce l'immortalita'
attraverso la riproduzione. Ma la riproduzione non e' solo quella biologica:
infatti "quelli che sono fecondi nel corpo si rivolgono di preferenza alle
donne, e in questo modo realizzano il loro amore, credendo, a loro avviso,
di raggiungere, mediante la procreazione dei figli, l'immortalita', il
ricordo e la felicita' per tutto il tempo futuro. Quelli invece che sono
fecondi nell'anima... si rivolgono a quelle cose che e' proprio dell'anima
concepire e partorire... la saggezza e ogni altra virtu', cioe' quelle cose
di cui sono produttori i poeti e quanti tra gli artigiani vengono chiamati
inventori. E la grande e la piu' bella forma di saggezza e' quella che
riguarda gli ordinamenti delle citta' e delle case, il cui nome e'
temperanza e giustizia". Generare saggezza dunque, e' importante quanto se
non di piu' che generare corpi (la sola generazione affidata alle donne).
Come dicevo, dire che ad Atene la polarita' eterosessuale era fondante della
natura e della societa' sarebbe quantomeno azzardato. A evitare il rischio
di un pensiero unico, ancora una volta possono esserci di aiuto i greci.

5. DIBATTITO. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO: UN COMMENTO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente commento della redazione del sito stesso ai due
interventi apparsi sul "Corriere della sera" sopra riportati]

Siamo abituate, purtroppo, al fatto che il "Corriere della sera", almeno per
quel che riguarda il femminismo, conosca poco e informi male. Ultimissimo
esempio, il titolo ("Platone contro il pensiero unico femminista") dato
all'articolo con cui Eva Cantarella replica alla Scaraffia, titolo che
tradisce il pensiero della Cantarella per ridare ragione alla tesi della
Scaraffia: bel modo di condurre i dibattiti!
Non siamo abituate pero' che al servizio della disinformazione si mettano
donne che sono informate e hanno il dovere di far conoscere i fatti, come
Lucetta Scaraffia, storica di professione. Pochi come la Scaraffia, infatti,
sono in posizione per sapere che il femminismo italiano e' un luogo di
discussione aperta e plurale sui temi che la interessano: aborto,
matrimonio, tecnologie della riproduzione. Una parte delle femministe, per
citare un solo esempio, non sono andate a votare, o hanno votato
parzialmente o interamente contro le modifiche proposte dai referendum sulla
legge 40. Come lo sappiamo? Perche' queste posizioni sono emerse in un
dibattito pubblico, prima dei referendum, alla Libreria delle donne. Non
erano maggioranza ma si sono espresse, del resto noi non usiamo fare la
conta, usiamo ascoltare e discutere. Non c'e' bisogno di ricorrere al
plurale dei tanti femminismi perche' la pluralita' fiorisca, anzi. Dagli
inizi del movimento la pratica femminista alla quale in Italia molte sono
rimaste fedeli, rende possibile e chiede che c'incontriamo con le nostre
differenze per uno scambio piu' difficile ma piu' ricco, cosi' come chiede
che cerchiamo risposte rispondenti alla pluralita' delle voci. Tutte le
posizioni che la Scaraffia attribuisce a Sylviane Agacinski, secondo lei in
contrasto con una nostra presunta uniformita', sono emerse nel dibattito
pubblico del femminismo italiano. Alcune di noi, per fare un altro esempio,
hanno manifestato serie obiezioni all'estensione dell'istituto matrimoniale
alle coppie omosessuali, senza ovviamente giustificare che a queste coppie
venga negato ogni riconoscimento sociale, come ora accade.
Quello che non intendiamo fare, e' di entrare negli schieramenti
contrapposti, il che ci obbliga spesso a tenerci in disparte da una scena
mass-mediatica che semplifica, contrappone, inventa finte provocazioni (come
questo articolo). Al colmo dei colmi della finta provocazione si arriva
quando Lucetta Scaraffia loda l'autrice francese per il suo pensiero della
differenza sessuale, senza dire che questo pensiero, ben piu' che in
Francia, ha avuto sviluppi in Italia, da Carla Lonzi in avanti, fino alla
comunita' filosofica Diotima, passando per la traduzione e diffusione dei
libri di Luce Irigaray, da cui documenti, libri, dibattiti, incontri,
scontri, con un seguito che si estende ad altri paesi.
Cara Lucetta, dove vuoi arrivare? Sappiamo che, sulle questioni citate
sopra, tu sei d'accordo con le prese di posizione della gerarchia cattolica,
posizioni che hanno suscitato polemiche e opposizioni anche fra donne e
uomini cattolici. A maggior ragione, no? Se il tuo scopo e' di ottenere
ascolto e, attraverso questo, un vero dibattito per un cambiamento
liberamente consentito, guarda che sei fuori strada, perche' hai raccontato
una storia falsa, guarda che la politica delle donne, riguardo all'uso delle
parole e ai rapporti con quello che le altre sono e fanno, e' molto
esigente.

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 95 del 29 marzo 2007

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html
e anche alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it