Minime. 45



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 45 del 31 marzo 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Emergency: "Liberi anche loro". Sabato 31 marzo a Roma
2. Rossana Rossanda ricorda Giuseppe Barbaglio
3. Eugenio Melandri ricorda Joseph Ki-Zerbo
4. Dario Antiseri: Ancora un ricordo di Hans-Georg Gadamer
5. Gianni Vattimo: Ancora un ricordo di Hans-Georg Gadamer
6. Marina La Farina e Paola Guazzo: Alice Ceresa
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. APPELLI. EMERGENCY: "LIBERI ANCHE LORO". SABATO 31 MARZO A ROMA
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente
appello di Emergency (per contatti: www.emergency.it) del 29 marzo 2007.
Adjmal Nashkbandi, il giornalista ed interprete afgano che era stato rapito
con Daniele Mastrogiacomo, e' ancora sotto sequestro e in pericolo di vita.
Rahmatullah Hanefi (Rahmat per le persone amiche), manager dell'ospedale di
Emergency a Lashkargah, artefice fondamentale della salvezza della vita di
Daniele Mastrogiacomo, e' stato sequestrato dai servizi segreti afgani]

Sabato 31 marzo 2007, ore 14,30, Roma, piazza Navona.
Sulla spinta dell'appello lanciato da Emergency e che in soli tre giorni ha
avuto oltre 90.000 adesioni, amici del mondo della cultura, dello spettacolo
e dell'informazione insieme a tanti cittadini si riuniscono sabato a Roma,
in Piazza Navona, per chiedere tutti insieme la liberazione di Rahmatullah
Hanefi e Adjmal Nashkbandi scomparsi in Afghanistan successivamente alla
liberazione del giornalista italiano Daniele Mastrogiacomo.
Sono molte le amministrazioni locali, le associazioni ed i cittadini comuni
che in queste ore drammatiche si stanno mobilitando. A loro Emergency chiede
di partecipare anche in questa occasione, la prima a carattere nazionale.
Di Adjmal Nashkbandi interprete di Daniele Mastrogiacomo con il quale aveva
condiviso i lunghi giorni del sequestro e con lui liberato, si sono perse le
tracce il giorno stesso.
Rahmatullah Hanefi, responsabile afgano dell'ospedale di Emergency a
Lashkar-gah ed il cui ruolo e' stato determinante nella liberazione del
giornalista italiano, e' stato invece prelevato dai servizi segreti afgani
all'alba del 20 marzo senza alcuna giustificazione. Emergency ha
ripetutamente chiesto al governo italiano di impegnarsi al pari di quanto
fatto per Daniele Mastrogiacomo perche' siano rispettati i diritti umani di
queste persone, compreso quello a tornare subito in liberta'.
Siamo convinti che tanti di coloro a cui sta a cuore la pace e che credono
che la via della solidarieta' sia l'unica percorribile, vorranno partecipare
portando cosi' il proprio importante contributo alla definitiva conclusione
di questa drammatica vicenda.
Per Rahmatullah e Adjmal, per poter chiedere per la prima volta insieme:
"liberi anche loro".

2. LUTTI. ROSSANA ROSSANDA RICORDA GIUSEPPE BARBAGLIO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 marzo 2007.
Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio
Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per
aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in
rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del
"Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata
da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu'
drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti.
Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari
1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica
come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La
ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del
lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della
riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora
dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste.
Giuseppe Barbaglio (1934-2007), illustre biblista, docente, saggista, e'
stato una delle figure piu' vive della riflessione teologica contemporanea;
nato nel 1934 a Crema, ha studiato a Roma, Gerusalemme e Urbino, conseguendo
la laurea in teologia, la licentia docendi in scienze bibliche e la laurea
in filosofia; partecipe di molte rilevanti esperienze di pensiero, di molte
e molti educatore. Tra le molte opere di Giuseppe Barbaglio: Fede acquisita
e fede infusa secondo Duns Scoto, Occam e Biel, Brescia 1968; (con Rinaldo
Fabris e Bruno Maggioni), I Vangeli, Cittadella, Assisi 1975; Le lettere di
Paolo, voll. I-II, Roma 1980, 1990; Paolo di Tarso e le origini cristiane,
Cittadella, Assisi 1987; Nuovo Testamento greco e italiano, Bologna 1990,
1991; Dio violento? Lettura delle scritture ebraiche e cristiane,
Cittadella, Assisi 1991; La teologia di Paolo, Dehoniane, Bologna 2001;
Gesu' ebreo di Galilea. Indagine storica, Dehoniane, Bologna 2002; Il
pensare dell'apostolo Paolo, Dehoniane, Bologna 2004]

Si e' spento ieri Giuseppe Barbaglio, grande biblista, amico carissimo
incontrato a Montegiove. Chi ci leggera' il Vecchio e Nuovo Testamento con
quel rigore filologico e quella letizia interna che ne afferrava il
messaggio sapienziale? E in piu' un senso della grazia che manca a me e ad
altri, che pur si ritrovavano in quell'eremo, e lo faceva insistere sul Dio
amoroso che correrebbe come un filo rosso in tutta la Bibbia e che gli atei
impenitenti gli contestavano, eccezion fatta per il luminoso Genesi? Non so
come la chiesa la mettesse con lui, cristiano e cattolico, sul cui libro
maggiore Gesu', un ebreo di Galilea (Edizioni Dehoniane, 2002) il Vaticano
aveva calato il silenzio. Ricerca storica senza reticenza, aveva avuto una
grande diffusione ed era stato seguito da piu' d'un volume su Paolo, che in
verita' Barbaglio prediligeva, trovando probabilmente troppo semplice la
sensibilita' dei non credenti al fascino del Nazareno piu' che
all'elaborazione che ne aveva fatto l'ebreo folgorato sulla via di Damasco.
E senza la quale il cristianesimo non sarebbe quel che e', ne' avrebbe
sfondato cosi' rapidamente i confini dell'ebraismo e dell'ellenismo del suo
tempo. Il pensiero di Paolo (La teologia di Paolo, Edizioni Dehoniane 2001)
e' quello che non ha cessato di interrogare e verificato nella sterminata
letteratura che e' seguita. Al cui centro resta, credo, il problema posto da
Bultmann se il cristanesimo sarebbe quel che e', anche senza la divinita' di
Cristo o se sia essa a determinarlo. Credente, non si poneva questa domanda,
come prendeva con rassegnazione le sortite di colui che alcuni uomini in
saio chiamano il professor Ratzinger. Altro gli interessava e certo lo
confortava da uomo di fede. Come da storico andava a fondo nel confronto fra
leggenda e prove testimonate, fra canone e testi apocrifi. Quel primo secolo
di tumulti interiori, attese e rimandi di una salvezza che non veniva,
sprofondamento in una interiorita' dell'umano che la laicita' avrebbe
definito molti secoli dopo, mi pareva prendere nelle sue parole tutti gli
spessori che lo avvicinano alle moderne eta' dell'ansia. E che a chiesa
trionfante del dopo e di adesso mi sembra avere perduto. Non abbiamo avuto
tempo di parlarne. Il cancro lo ha divorato senza aver ragione del suo
sorriso finche', per la prima volta, due mesi fa lo ha privato per qualche
minuto della parola. Non della lucidita', con la quale ha vissuto le ultime
ore facendo segno sino alla fine a coloro che amava.

3. MEMORIA. EUGENIO MELANDRI RICORDA JOSEPH KI-ZERBO
[Dalla rivista "Nigrizia" di marzo 2007 (disponibile anche nel sito
www.nigrizia.it) riprendiamo questo ricordo, aperto dalla seguente nota
redazionale: "L'intellettuale burkinabe', morto lo scorso dicembre, e'
ritenuto il maggiore storico dell'Africa. Nel denunciare le colpe del
colonialismo, non e' mai stato tenero con le classi dirigenti africane.
Convinto che il riscatto del continente puo' venire solo dal recupero
dell'identita' e dalla coesione dei suoi popoli. La famiglia e gli amici
vogliono costituire una Fondazione che conservi e continui la sua opera".
Eugenio Melandri, religioso saveriano, giornalista, impegnato nei movimenti
di pace, di solidarieta', contro il razzismo, per la nonviolenza. Tra gli
animatori di "Chiama l'Africa". Opere di Eugenio Melandri: segnaliamo almeno
I protagonisti, Emi, Bologna 1984.
Joseph Ki-Zerbo (Toma, Alto Volta, 1922 - Ouagadougou, Burkina Faso, 2006)
e' stato uno dei piu' grandi intellettuali africani del Novecento; impegnato
nella lotta anticoloniale, storico, docente, militante politico,
organizzatore di esperienze di cultura e democrazia; strenuo lottatore per
la pace e i diritti umani di tutti gli esseri umani. Opere di Joseph
Ki-Zerbo: Storia dell'Africa nera, Einaudi, Torino 1977; A quando l'Africa?
Conversazioni con Rene' Holenstein, Emi, Bologna 2005]

L'ultimo ricordo che ho di lui mi riporta nella sua casa a Ouagadougou
(Burkina Faso), nel novembre 2005. Tre giorni passati ad ascoltarlo. A
cercare di cogliere dalla sua voce, ormai tanto flebile da dover essere
amplificata, quel distillato di saggezza che sempre rappresentavano le sue
parole e le sue lezioni. Joseph Ki-Zerbo, morto lo scorso 4 dicembre a 84
anni, non e' stato soltanto il piu' grande storico africano. Lo studioso
burkinabe' potrebbe essere ricordato per sempre come colui che ha ridato la
storia all'Africa. Era soprattutto un uomo saggio, che dagli studi e dai
libri, ma anche dalle esperienze, aveva colto l'essenziale, cio' che
veramente conta.
Si incontrava, quando si stava con lui, innanzitutto l'uomo. Figlio della
sua terra. Ricordava spesso suo padre. Primo cristiano e primo catechista
del Burkina Faso. Morto a oltre cent'anni, il giorno stesso in cui per la
prima volta un papa, Giovanni Paolo II, poneva i piedi nel suo paese. Quasi
a significare la conclusione naturale di una vita, che si identificava con
la presenza stessa del cristianesimo in questo paese dell'Africa
occidentale.
"Siete partiti da casa vostra e siete arrivati a casa vostra". Ci accolse
cosi' a casa sua in quel caldo pomeriggio di Ouagadougou. Quell'anno non
aveva potuto, per via della salute, venire al convegno dell'associazione
Chiama l'Africa ad Ancona. "Se pero' venite da me, saro' lieto di passare
qualche giornata con voi".
Era cominciato cosi' quel viaggio, e furono tre giorni intensi di lezione e
di ascolto, parola per parola. Sulla sua Africa. Per la quale si era speso,
anche politicamente, prima e dopo la decolonizzazione. Gli anni '60 lo
avevano visto impegnato, con altri intellettuali africani e con alcuni
politici piu' lungimiranti, a lavorare per costruire l'unita' del continente
africano. Un suo pallino che mai gli si togliera' dalla testa.
Soltanto unita l'Africa avrebbe potuto parlare al mondo, diventare
interlocutrice degli altri continenti, ci disse in un seminario nel 1999:
"In Africa il progetto di regionalizzazione e' in corso, anche se molto
lento, anche perche' ogni leader africano vorrebbe rimanere il padrone
indiscusso. I leader africani sono molto legati alla formula della
sovranita' nazionale. Sanno che di fatto non esiste alcuna sovranita'
nazionale, ma amano illudersi. Come e' possibile parlare di sovranita'
nazionale laddove la gente muore di fame, non dispone di acqua potabile,
laddove i responsabili politici sono alla merce' delle multinazionali,
sempre pronti a cambiare idea a seconda delle bustarelle?".
Aveva anche fondato un partito politico e per molti anni era stato deputato.
Ma l'Africa - quante volte glielo abbiamo sentito dire - aveva bisogno di
una ventata di democrazia. Dopo ogni elezione in Burkina era solito dire:
"Normalmente, nelle democrazie, chi governa ha sempre delle difficolta' alle
elezioni. Perche' la gente si aspetta sempre qualcosa di piu'. Solo in
Africa chi governa, una volta che e' al potere, ad ogni elezione ha sempre
percentuali piu' grandi. Significa proprio che qualcosa non funziona".
Disincantato, quindi, ma nello stesso tempo impegnato. E' rimasto sulla
breccia politica fino a pochi mesi prima della sua morte.
*
Centralita' della parola
Ma Joseph Ki-Zerbo e' stato soprattutto un grande storico. Il piu' grande
storico che l'Africa abbia mai avuto. Di piu', colui che ha dato una storia
all'Africa. Perche' per la prima volta ha messo in dubbio quell'assunto
razzista, tipico degli storici occidentali, secondo cui la storia comincia
con la scrittura. Condannando in questo modo i popoli che non hanno
tradizione scritta a non avere una storia. "Ritengo che la tradizione orale
africana sia una fonte storica valida, credibile e che, come tale, vada
difesa. Soprattutto considerando che nella maggior parte dei paesi africani
una buona parte della popolazione non sa leggere ne' scrivere. Ma di piu':
l'oralita' e' legata anche a una certa concezione della parola, soprattutto
del nome. L'africano riconosce alla parola in genere un impatto ontologico".
E, facendone la storia, ha cercato di capire in profondita' il perche' degli
accadimenti. Soprattutto per richiamare ciascuno, gli europei innanzitutto,
alle proprie responsabilita'. "Fino al XVI secolo, l'Africa poteva
validamente paragonarsi agli altri continenti. Poi e' intervenuta una
frattura che si e' andata progressivamente allargando. La progressiva
immissione di strutture politiche ed economiche provenienti dall'esterno ha
finito per paralizzare le forze vive e le energie vitali del continente
africano". Una frattura che per il continente africano ha significato prima
la tratta degli schiavi, poi l'epopea coloniale.
E pensare che l'Africa aveva iniziato prima di tutti gli altri continenti il
movimento storico vitale. E' in Africa che nasce l'homo erectus ed e'
dall'Africa che l'Europa ha ricevuto tante cose: "L'Europa e' arrivata alla
fine e ha potuto beneficiare di tutto quanto l'Africa e l'homo erectus hanno
offerto in materia di strumenti e invenzioni. Il fuoco, la parola, la
scrittura e molte altre cose sono state offerte all'Europa dagli altri
continenti, o perlomeno dall'Africa, su un piatto d'argento".
Ma la storia del continente africano che, prima dell'arrivo degli europei,
aveva avuto momenti di grande splendore (sono molto belle le pagine in cui
nel suo testo Storia dell'Africa nera, descrive i regni del Mali, del Ghana
e di Gao), si scontra con lo schiavismo e la tratta dei neri. Una tratta che
trova la sua ragione in un altro genocidio, quello degli indigeni del Nuovo
Mondo. L'Africa non ha probabilmente ancora finito di pagare il prezzo della
tratta, che ha spopolato e dissanguato il continente. Ma soprattutto la
tratta "ha riguardato la parte piu' vitale, dinamica e inventiva della
popolazione. E' stata una sorta di megaemorragia della popolazione africana
che ha dissanguato il continente, lo ha menomato definitivamente fino ai
nostri giorni".
Poi e' arrivata la colonizzazione, che "e' servita a porre fine alla tratta,
ma non ha cambiato la situazione. Gli africani hanno continuato a essere
dominati e si e' arrivati fino a efferati genocidi".
Ki-Zerbo ha fatto parte di una commissione dell'Unione africana che si e'
occupata della riparazione dei torti fatti all'Africa negli ultimi quattro
secoli. Al riguardo diceva: "Non si tratta di far luce sui danni materiali,
ma piuttosto sul grave torto fatto all'Africa con la sistematica violazione
dei diritti umani della persona del nero africano. Egli e' stato trattato in
modo tale che in lui e' stata calpestata, umiliata, sradicata la specie
umana. Come si e' riconosciuto il genocidio e l'Olocausto degli ebrei, cosi'
si deve riconoscere il genocidio e l'Olocausto del popolo africano. La
tratta e la colonizzazione hanno lasciato tracce fin nel subconscio
dell'uomo africano. Mancanza di fiducia in se stesso, mancanza di rispetto
per se stesso. L'immagine che un uomo ha di se' e' un elemento essenziale
per il suo sviluppo".
*
Essere prima che avere
Di fronte a questa situazione di stallo, Ki-Zerbo faceva appello agli
africani perche' riscoprissero la loro identita' e ai popoli ricchi perche'
li agevolassero. "A salvare veramente l'Africa non saranno i fondi e gli
aiuti. Salveranno vite umane, permettendo loro di sopravvivere, ma non
salveranno la vita dell'Africa. Cio' che importa non sono i mezzi, ma le
condizioni. Bisogna permettere all'Africa di ricostruirsi. Bisogna aiutarla
a ricostruirsi. L'Africa deve essere prima che avere".
Impossibile ripercorrere in poche righe il suo pensiero: storico, politico,
soprattutto saggio e legato alla propria terra. Ha amato l'Africa e ha
insegnato ad amarla a tutti quelli che lo hanno incontrato. Una persona che
si e' spesa in tutti i modi, dallo studio, fino all'impegno politico, per
dare corpo al sogno di un'Africa capace di stare nel mondo e di parlare al
mondo. Che ha saputo cogliere dalla tradizione della sua gente quegli
elementi di saggezza e di novita' da cui partire per fare un cammino di
rinnovamento. Quante volte l'abbiamo sentito citare i proverbi popolari per
coglierne un insegnamento.
Un uomo che ha creduto fino in fondo all'unita' africana. "Un proverbio
burkinabe' dice: 'i legni bruciano solo quando stanno vicini'. Noi ora siamo
divisi e nessun paese da solo puo' farcela ad uscire dalla crisi. Dobbiamo
unirci per accendere il fuoco. Solo allora potremo dare un colore nuovo
all'arcobaleno".
E tutto questo senza complessi di inferiorita'. Interrogato sul Nepad (Nuova
partnership per lo sviluppo dell'Africa, un progetto elaborato nel 2001 da
alcuni leader africani), una volta ha risposto: "Non l'ho studiato bene. Ma
mi consta che piaccia molto ai paesi ricchi. Un nostro proverbio dice che
quando il leone ti sorride non lo fa certo perche' gli sei simpatico".
Adesso che, come hanno scritto i giornali africani, "la grande quercia e'
caduta", occorre fare in modo che il suo lavoro non vada perduto.
Aveva istituito un centro di ricerca culturale, che lungo gli anni ha
prodotto moltissimo materiale, la maggior parte del quale non ancora
pubblicato. Ci diceva che fra i suoi documenti ci sono ancora migliaia di
manoscritti che andrebbero ordinati e catalogati, anche in vista di
eventuali pubblicazioni. Per questo, insieme con la sua famiglia e i tanti
amici che in ogni parte del mondo lo hanno conosciuto e stimato, stiamo
studiando di costituire una fondazione che continui, anche in nome suo,
l'impegno per restituire all'Africa quella storia e quella dignita' che
lungo i secoli abbiamo saccheggiato e derubato.

4. MEMORIA. DARIO ANTISERI: ANCORA UN RICORDO DI HANS-GEORG GADAMER
[Dal quotidiano "Il giornale" del 15 marzo 2002 riprendiamo il seguente
articolo li' apparso col titolo "Una civilta' che ha perso la dimensione del
dialogo".
Dario Antiseri, docente e saggista, e' da decenni uno degli studiosi di
filosofia e di metodologia delle scienze sociali piu' acuti e influenti. Dal
sito della Luiss (www.luiss.it) riprendiamo la seguente scheda: "Dario
Antiseri, nato a Foligno il 9 gennaio 1940. Laurea in filosofia presso
l'Universita' di Perugia, nel 1963. Professore ordinario di Metodologia
delle scienze sociali presso la Facolta' di Scienze Politiche della Luiss
'Guido Carli'. E' stato preside della Facolta' di Scienze Politiche della
Luiss dal 1994 al 1998. E' membro dell'Istituto accademico di Roma e membro
dell'Accademia italo-tedesca di Merano. Nel 1986 e' stato chiamato dalla
Facolta' di Scienze politiche della Luiss 'Guido Carli' a ricoprire la
cattedra di Metodologia delle Scienze Sociali. E' direttore del Centro di
Metodologia delle Scienze Sociali presso la medesima Universita'. Ordinario
di Filosofia del linguaggio presso l'Universita' di Padova (1975-'86), ha
qui insegnato anche Filosofia della scienza presso la Scuola di
specializzazione in Filosofia della scienza, di cui e' stato direttore nel
biennio 1980-'82. Libero docente nel 1968 in Filosofia teoretica, ha
insegnato materie filosofiche presso le Universita' di Roma 'La Sapienza' e
Siena. Dopo la laurea in Italia, ha studiato (1963-'67) Filosofia della
scienza, Logica matematica e Filosofia del linguaggio rispettivamente presso
le Universita' di Vienna, Muenster i. W. e Oxford. Alcune pubblicazioni
recenti: Razionalita': nella scienza, in metafisica e in etica, in AA.VV.,
Acta 2003-2004 dell'Istituto Accademico di Roma, Roma 2004; Idee fuori dal
coro, Di Renzo, Roma, 2004; Cristiano perche' relativista, relativista
perche' cristiano, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004; Principi liberali,
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004; trad. russa, 2005; trad. bielorussa
2005; trad. serbo, 2005; trad. spagnola 2005; Ragioni della razionalita',
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005".
Hans-Georg Gadamer (Marburgo 1900 - Heidelberg 2002) e' il principale
esponente della cosiddetta ermeneutica filosofica ed uno dei pensatori piu'
influenti del secondo Novecento. Opere di Hans Georg Gadamer: nella sua
vasta produzione segnaliamo particolarmente l'opera fondamentale, Verita' e
metodo, del 1960 (nuova edizione italiana con testo a fronte, Bompiani,
Milano 2000); un recente libro-intervista utile per un'introduzione e'
L'ultimo Dio. La lezione filosofica del XX secolo, Reset, Roma 2000; la casa
editrice Marietti sta curando la pubblicazione in traduzione italiana delle
Opere di Hans-Georg Gadamer (Gesammelte Werke, Tuebingen 1976 e sgg.). Opere
su Hans Georg Gadamer: per la biografia, Jean Grondin, Hans-Georg Gadamer.
Eine Biographie, Tuebingen 1999; un volume di saggi brevi di autori vari in
omaggio al filosofo per il suo centenario e' AA. VV., Incontri con
Hans-Georg Gadamer, Bompiani, Milano 2000; Donatella Di Cesare, Gadamer, Il
Mulino, Bologna 2007. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze
filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente scheda: "Hans Georg
Gadamer nasce a Marburg l'11 febbraio del 1900. Studia a Breslavia (1918)
con Richard Hoenigswald e a Marburg (1919) con Nicolai Hartmann e Paul
Natorp, con cui si laurea, nel 1922, discutendo una tesi dal titolo:
L'essenza del piacere nei dialoghi di Platone. Nel 1923, a Freiburg, conosce
Husserl e Heidegger, del quale frequenta i corsi universitari a Marburg tra
il 1923 e il 1928. Diventa professore ordinario di filosofia nel 1937 e, nel
1939, ottiene una cattedra presso l'Universita' di Leipzig, di cui diventa
rettore nel 1946. Nel 1947 insegna a Frankfurt e nel 1949 ad Heidelberg,
dove succede a Jaspers. Divenuto professore emerito nel 1978, Gadamer ha
insegnato presso alcune universita' straniere e negli Stati Uniti. Nel 1979
entra a far parte del comitato scientifico dell'Istituto italiano per gli
studi filosofici di Napoli - citta' di cui diventa cittadino onorario nel
1990 - dove, da allora,  ogni anno, ha tenuto lezioni e seminari, vivendo
quella che egli stesso ha definito 'una seconda giovinezza'. Autorita'
indiscussa della filosofia contemporanea, l'illustre filosofo e' stato
recentemente onorato con la pubblicazione della sua Opera omnia della quale
sono usciti finora sette volumi (1986-1991) ed e' tutt'ora in corso di
stampa. E' morto all'eta' di 102 anni ad Heidelberg il 14 marzo 2002. Opere
di Hans Georg Gadamer: Platos dialektische Ethik (L'etica dialettica di
Platone), Leipzig, 1931; Plato und die Dichter (Platone e i poeti),
Frankfurt am Main, 1934; Volk und Geschichte im Denken Herders, (Popolo e
storia nel pensiero di Herder), ibid., 1942; Bach und Weimar (Bach e
Weimar), Weimar, 1946; Goethe und die Philosophie, (Goethe e la filosofia),
Leipzig, 1947; Ueber die Ursprunglichkeit der Philosophie (La nascita della
filosofia), Leipzig, 1948; Vom geistigen Lauf des Menschen, Godesberg, l949;
Wahrheit und Methode. Grundzuege der philosophischen Hermeneutik (Verita' e
metodo .Lineamenti di un'ermeneutica filosofica), Tuebingen, 1960;
Hermeneutik und Historismus (Ermeneutica e storicismo), 1962; Die
phaenomenologische Bewegung (Il movimento fenomenologico), 1963; Le probleme
de la conscience historique (Il problema della coscienza storica), Louvain,
l963; Ermeneutica e metodica universale, 1964; Dialektik und Sophistik im
siebenten platonischen Brief (Dialettica e sofistica nella Settima Lettera
di Platone), Heidelberg, l964; Kleine Scriften (Scritti minori), Tuebingen,
1967 sgg.; Idee und Zahlen (Idea e Numero. Studi sulla filosofia platonica),
1968; Sul mondo concettuale dei presocratici, 1968; Idea e realta' nel Timeo
di Platone, 1974; L'idea del bene tra Platone ed Aristotele, 1978; Studi
platonici, 1983; La dialettica di Hegel. Cinque studi ermeneutici, 1971;
Sentieri heideggeriani. Studi sull'opera tarda di Heidegger, 1983; Chi sono
io, chi sei tu?, 1973; Poetica. Saggi scelti, 1977; L'attualita' del bello,
1977; Poesia e dialogo, 1990".
Karl Popper, nato a Vienna nel 1902 e deceduto a Londra nel 1994, filosofo
della scienza e pensatore politico liberale. Fino a due o tre decenni fa era
di moda essere pro o contro il Popper "politico" sulla base di uno
schieramento a priori: la destra liberale con Popper, la sinistra socialista
contro. Poi la catastrofe intellettuale di tanta parte della sinistra ha
portato ad una generale esaltazione acritica del filosofo. Noi pensiamo
invece che taluni suoi limiti restino; che le sue posizioni non debbano
essere contraffatte e quando siano incondivisibili allora vadano criticate
con chiarezza; ma che alcune sue opere e tesi costituiscano un contributo di
indubbia utilita' per tutte le persone impegnate per la pace, la democrazia,
la dignita' umana. Opere di Karl R. Popper: con riferimento alla riflessione
politica popperiana segnaliamo particolarmente La societa' aperta e i suoi
nemici, Armando, Roma; Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna (ed in
questa raccolta di saggi soprattutto i seguenti: L'opinione pubblica e i
principi liberali; Utopia e violenza; La storia del nostro tempo: visione di
un ottimista); Miseria dello storicismo, Feltrinelli, Milano. Cfr. anche La
lezione di questo secolo, Marsilio, Venezia 1992, 1994 (libro-intervista con
due saggi in appendice); tra i suoi ultimi interventi cfr. Una patente per
fare tv, in Popper, Condry, Cattiva maestra televisione, Reset, Milano 1994.
Ovviamente il Popper pensatore politico non e' separabile dal Popper
filosofo della scienza e metodologo, di cui cfr. in particolare la
fondamentale Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino. Una recente
raccolta di saggi e' Tutta la vita e' risolvere problemi, Rcs, Milano 2001,
Fabbri, Milano 2004. Opere su Karl R. Popper: segnaliamo una buona antologia
scolastica di testi popperiani, a cura di Dario Antiseri, Logica della
ricerca e societa' aperta, La Scuola, Brescia; tra le monografie sul Popper
pensatore politico cfr. Girolamo Cotroneo, Popper e la societa' aperta,
Sugarco, Milano 1981; due buone introduzioni al Popper filosofo della
scienza sono Arcangelo Rossi, Popper e la filosofia della scienza, Sansoni,
Firenze 1975, e Luciano Dottarelli, Popper e il "gioco della scienza", Erre
emme, Roma 1992]

Anche Hans Georg Gadamer, come Karl Popper, non mostrava troppa simpatia per
il piu' diffuso dei media. "La televisione - dichiaro' in un'intervista al
settimanale tedesco "Die Woch" (10 febbraio 1995) - e' la catena da schiavi
alla quale e' legata l'odierna umanita'". Gadamer era uno degli ultimi
grandi filosofi del Novecento. E di questo secolo si portava dietro paure,
contraddizioni, una certa stanchezza, il timore per il destino della
democrazia, sempre cosi' strutturalmente fragile, conquista da difendere
continuamente. La realta', annota tristemente Gadamer, "e' che la cultura
nel senso di un'educazione dello spirito scompare sempre di piu'. Ed e'
cosi', allora, che forse si dovrebbe (...) parlare di fine della cultura,
della fine dell'apprezzamento del passato. Forse anche della fine
dell'esperienza del dialogo". E la fine dell'esperienza del dialogo equivale
alla distruzione dei meccanismi di formazione della mente critica.
"Al nostro sistema di comunicazione - sostiene Gadamer - manca la
spontaneita'. Tutti sono passivi. La funzione politica della televisione
consiste nell'addomesticare le masse, nell'addormentare la capacita' di
giudizio, il gusto, le idee. E' una delle forme della burocratizzazione
della societa' prevista da Max Weber".
Certo, Gadamer e' pronto a riconoscere che forme di burocratizzazione della
vita sociale e della comunicazione "sono inevitabili", ma la tragedia, a suo
avviso, e' che "ora purtroppo gli automatismi e la burocrazia si sono spinti
troppo avanti". E la tv "e' l'opposto di quello che serve per sviluppare
esperienza, spontaneita', motivazioni. Se la gioventu' e' oggi tanto
pessimista, questo dipende dalla mancanza di spontaneita' nello stile della
sua educazione".
Il problema e' quello della formazione - creazione di menti creative e
critiche. Se non che - fa presente Gadamer - "Il sistema educativo del mondo
contemporaneo si e' inceppato, la formazione non funziona, su scala globale
produciamo masse di telespettatori, di burocrati, di ragazzi e ragazze che
con il massimo sforzo di fantasia riescono a dire 'okay'". Anche la vita
politica - commenta Gadamer - e' dominata dalla tv. E la tv e' il contrario
del dialogo, il contrario di una comunicazione reciproca.
Gadamer non cerca nella televisione il capro espiatorio di tutti i mali
della societa' contemporanea: "Io - confessa - non odio la tv, guardo le
partite di tennis, mi piacciono i polizieschi, adoro l'ispettore Derrick". E
tuttavia diffida della televisione.
Date siffatte considerazioni, ben si comprende la funzione che, nel pensiero
di Gadamer, dovrebbe assolvere la scuola: "Le nostre speranze stanno nella
educazione orale, in una scuola che riesca a diventare tanto attraente da
spingere alla partecipazione attiva piu' di una piccola parte di studenti.
Ma, purtroppo, le classi sono troppo numerose".

5. MEMORIA. GIANNI VATTIMO: ANCORA UN RICORDO DI HANS-GEORG GADAMER
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 15 marzo 2002 riprendiamo il seguente
articolo li' apparso col titolo "Un filosofo che parlava alla gente comune".
Dal sito www.giannivattimo.it riprendiamo la seguente scheda biografica di
Gianni Vattimo: "Gianni Vattimo e' nato nel 1936, a Torino, dove ha studiato
e si e' laureato in filosofia; ha poi seguito due anni i corsi di Hans Georg
Gadamer e Karl Loewith all'universita' di Heidelberg. Dal 1964 insegna
all'Universita' di Torino, dove e' stato anche preside della facolta' di
Lettere e filosofia. E' stato visiting professor in alcune universita'
americane (Yale, Los Angeles, New York University, State University of New
York) e ha tenuto seminari e conferenze in varie universita' di tutto il
mondo. Negli anni Cinquanta ha lavorato ai programmi culturali della Rai. E'
membro dei comitati scientifici di varie riviste italiane e straniere; e'
socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino. Laurea honoris
causa dell'Universita' di La Plata (Argentina, 1996). Laurea honoris causa
dell'Universita' di Palermo (Argentina, 1998). Laurea honoris causa
dell'Universita' di Madrid (2003). Grande ufficiale al merito della
Repubblica italiana (1997). Attualmente e' vicepresidente dell'Academia de
la Latinidade. Nelle sue opere, Vattimo ha proposto una interpretazione
dell'ontologia ermeneutica contemporanea che ne accentua il legame positivo
con il nichilismo, inteso come indebolimento delle categorie ontologiche
tramandate dalla metafisica e criticate da Nietzsche e da Heidegger. Un tale
indebolimento dell'essere e' la nozione guida per capire i tratti
dell'esistenza dell'uomo nel mondo tardo moderno, e (nelle forme della
secolarizzazione, del passaggio a regimi politici democratici, del
pluralismo e della tolleranza) rappresenta per lui anche il filo conduttore
di ogni possibile emancipazione. Rimanendo fedele alla sua originaria
ispirazione religioso-politica, ha sempre coltivato una filosofia attenta ai
problemi della societa'. Il "pensiero debole", che lo ha fatto conoscere in
molti paesi, e' una filosofia che pensa la storia dell'emancipazione umana
come una progressiva riduzione della violenza e dei dogmatismi e che
favorisce il superamento di quelle stratificazioni sociali che da questi
derivano. Con il piu' recente Credere di credere (Garzanti, Milano 1996) ha
rivendicato al proprio pensiero anche la qualifica di autentica filosofia
cristiana per la post-modernita'. Una riflessione che continua nelle ultime
pubblicazioni quali Dialogo con Nietzsche. Saggi 1961-2000 (Garzanti, Milano
2001), Vocazione e responsabilita' del filosofo (Il Melangolo, Genova 2000)
e Dopo la cristianita'. Per un cristianesimo non religioso (Garzanti, Milano
2002). Recentemente ha pubblicato Nichilismo ed emancipazione (Garzanti,
Milano 2003). Con la volonta' di battersi contro i dogmatismi che alimentano
violenze, paure e ingiustizie sociali si e' impegnato in politica... [anche
come eurodeputato]. Collabora come editorialista a La Stampa, Il Manifesto,
L'Unita', L'Espresso, El Pais e al Clarin di Buenos Aires"]

Gadamer e' stato uno dei pochi filosofi del Novecento che sia stato capace
di costruire una filosofia molto "tecnica" nel senso accademico, come poche
altre fondata su una discussione della grande tradizione filosofica
occidentale, e insieme tale da parlare alla gente comune. Il suo pensiero e'
davvero stato "il proprio tempo colto in concetti", secondo una espressione
hegeliana. La sua ermeneutica, che concepisce l'esperienza della verita'
come interpretazione, e' senz'altro la filosofia dell'esistenza
contemporanea, quella in cui piu' si puo' riconoscere e anche trovare una
guida, un filo conduttore, l'uomo del nostro tempo.
Secondo una proposizione famosa del suo libro piu' fondamentale, "l'essere,
che puo' venir compreso, e' il linguaggio" (Sein, das verstanden werden
kann, ist Sprache). Che non si deve leggere solo in senso limitato, come se
ci fosse anche un essere diverso da quello che si incontra nel linguaggio.
Ora, questa identificazione dell'essere con il linguaggio, che Gadamer
riprende da Heidegger, e' nello stesso tempo la descrizione della nostra
situazione nel mondo attuale e un criterio per le scelte che ci troviamo ad
operare.
Da un lato, infatti, il mondo in cui viviamo e' sempre piu' esplicitamente
un intrecciarsi di messaggi; mai l'esperienza e' stata "immediata", ma oggi
questo e' ormai chiaro ed esplicito; tutto e' interpretazione, e la verita'
e' solo cio' su cui le interpretazioni concordano.
D'altra parte la sola prospettiva di emancipazione e di umanizzazione del
mondo che abbiamo di fronte e' quella della sempre piu' totale "riduzione"
del reale a linguaggio: cioe' trasformare gli oggetti, la "natura", in
cultura, in temi di dialogo, di accordo, di consenso, di cooperazione
intersoggettiva. Ogni filosofia che si propone di farci sapere "come stanno
le cose", pensando che cosi' saremo piu' liberi, e' falsa. Ci interessa
sapere come stanno le cose solo se abbiamo un proposito di trasformazione.
E il senso generale della trasformazione che l'ermeneutica ci indica e'
appunto quello di far si' che la natura diventi cultura; che l'esteriorita'
bruta (compresa quella della malattia, della miseria, della morte, di ogni
forma di violenza) sia riportata alla ragione, diventi qualcosa che la
coscienza umana sottomette a se' e ai propri scopi.
Una simile filosofia e' anche estremamente attuale dal punto di vista
politico: non solo oppone il dialogo a pretese di verita' assoluta che tutti
gli automatismi hanno sempre avanzato; ma aiuta anche a non lasciarsi
ingannare dalle varie forme di naturalismo che oggi sono particolarmente
attive sulla scena politica. Non solo e' naturalismo il razzismo,
ovviamente; e' naturalismo anche la fiducia nella mano invisibile del
mercato; e, soprattutto, l'idea che le disuguaglianze "naturali" tra gli
uomini debbano essere utilizzate per promuovere lo "sviluppo" attraverso la
competizione. Le disuguaglianze sono proprio quella oggettivita' che deve
essere trasformata in linguaggio, cultura, societa' della solidarieta' e
delle regole.

6. PROFILI. MARINA LA FARINA E PAOLA GUAZZO: ALICE CERESA
[Dal sito www.fuorispazio.net riprendiamo il seguente breve profilo.
Marina La Farina e' attivista per i diritti umani, traduttrice, studiosa dei
movimenti e delle culture glbt.
Paola Guazzo e' scrittrice e giornalista, saggista e storica, specializzata
in Gay and Lesbian Studies, consulente editoriale e curatrice di eventi
culturali, collabora a varie riviste.
Alice Ceresa (1923-2001), scrittrice, giornalista, traduttrice e consulente
editoriale italiana di origini svizzere, ha vissuto prevalentemente a Roma.
Opere di Alice Ceresa: La figlia prodiga, Einaudi, Torino 1967; La morte del
padre, Einaudi, Torino 1979; Bambine, Einaudi, Torino 1990; La figlia
prodiga e altri scritti, La Tartaruga, Milano 2004; Piccolo dizionario
dell'ineguaglianza femminile, Nottetempo, 2007]

Alice Ceresa (1923-2001), scrittrice, giornalista e traduttrice italiana, di
origini svizzere, ha vissuto a Roma. Figlia di un impiegato delle ferrovie,
nata a Basilea il 25 gennaio 1923 (ma originaria di Cama, in Mesolcina),
dopo aver frequentato la scuola di commercio a Bellinzona ebbe un primo
impiego presso il quotidiano "Il dovere".
Si trasferi' quindi a Losanna e nel 1946 a Zurigo, dove tra l'altro
frequento' i circoli dei fuoriusciti italiani. Comincio' a lavorare per la
"Weltwoche" che la mando' in Italia come redattrice culturale durante gli
anni '46-'50. In seguito svolse corrispondenze culturali dalla Francia e
dall'Italia per riviste svizzere e francesi.
Nel 1950 si stabili' definitivamente a Roma. Entro' in contatto con gli
intellettuali e artisti del "Gruppo 63", lavoro' come redattrice per la
rivista "Tempo presente" diretta da Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte, per
l'Unione Nazionale contro l'Analfabetismo e come consulente e traduttrice
per Longanesi.
Autrice del romanzo La figlia prodiga (Einaudi, Torino 1967; recentemente
ripubblicato in una stesura precedente a quella del 1967 col titolo La
figlia prodiga e altri scritti, La Tartaruga, Milano 2004), portato a
termine gia' nel 1960 in anticipo sui tempi della storia letteraria tanto
sul piano espressivo che su quello tematico; testo che impiego' quasi sette
anni per trovare un editore e vinse poi l'ambito premio "Viareggio opera
prima".
Altri suoi lavori sono il racconto "La morte del padre" apparso su "Nuovi
Argomenti", n. 62, aprile-giugno 1979 (poi edito da Einaudi, Torino 1979) e
il romanzo breve Bambine (Einaudi, Torino 1990), che avrebbe dovuto segnare
la seconda tappa di una trilogia rimasta incompiuta.
Su La figlia prodiga Maria Corti ha scritto su "Strumenti Critici": "Alice
Ceresa (...) contempla degli ipotetici genitori e un'ipotetica figlia
prodiga per ricavare da un complesso astratto di possibili situazioni il suo
trattato sulla prodigalita' della figlia prodiga. La materia del libro,
quindi, si risolve in un astratto al quadrato".
Tema dell'opera sono la famiglia e i suoi ingranaggi che comprimono
l'esistenza dei soggetti diversi, in primis femminili, ma la cura
dell'autrice e' concentrata soprattutto sul linguaggio e sull'enigma della
"scrittura di se'". E' stata una delle scrittrici italiane che per prime
hanno indagato il ruolo del genere in letteratura e la complessa tematica
delle genealogie femminili.
Alice si definiva femminista; frequento' il "Circolo della Rosa". "Occorre
disegnare, per incominciare, una piccola citta'", estratto da Bambine, e'
stato inserito da Gianni Celati nell'antologia Narratori delle riserve,
Feltrinelli, Milano 1992.
Alice e' morta il 22 dicembre 2001. Dal 2003 l'Archivio Svizzero di
Letteratura di Berna conserva le sue carte edite e inedite. Ha scritto di
lei Rosanna Fiocchetto in un articolo su www.fuorispazio.net: "Meditazione
amara, fieramente ironica, sull'inutilita' delle cose in genere e sulla
perdita di senso vitale della realta', l'opera di Alice Ceresa si incastona
come un gioiello raro nel panorama della scrittura lesbica. In silenzio,
senza rumore, lasciando lo spazio della scoperta".
Bibliografia: "Gli altri", racconto pubblicato su "Svizzera Italiana", 1946;
"Sabina e il fantasma", racconto pubblicato su "Botteghe Oscure", 1952; La
figlia prodiga, Einaudi, Torino 1967; La morte del padre, Einaudi, Torino
1979; Bambine, Einaudi, Torino 1990; "Occorre disegnare, per incominciare,
una piccola citta'", estratto da Bambine, in AA. VV., Narratori delle
riserve, a cura di Gianni Celati, Feltrinelli, Milano 1992; La figlia
prodiga e altri scritti, La Tartaruga, Milano 2004 (La figlia prodiga in una
stesura precedente a quella del 1967). Traduzioni: La fille prodigue, trad.
di Michele Causse, Des femmes, Paris 1975; Scenes d'interieur avec
fillettes, trad. di Adrien Pasquali, Editions Zoe', Carouge-Geneve 1993;
Bambine: Geschichte einer Kindheit", trad. di Maja Pflug, eFeF-Verlag, Bern
1997. [Recentemente e' apparso il volume postumo Piccolo dizionario
dell'ineguaglianza femminile, Nottetempo, 2007].

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 45 del 31 marzo 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
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