Nonviolenza. Femminile plurale. 103



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 103 del 24 maggio 2007

In questo numero:
1. Giovanna Providenti: Un contributo alla storia dell'antimilitarismo in
Italia
2. Maria G. Di Rienzo: Il seme della terra. All'ascolto di Octavia Butler
3. Enza Panebianco: La famiglia non mi piace
4. Maria Teresa Carbone intervista Monique Truong

1. MEMORIA. GIOVANNA PROVIDENTI: UN CONTRIBUTO ALLA STORIA
DELL'ANTIMILITARISMO IN ITALIA
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente
articolo.
Giovanna Providenti e' ricercatrice nel campo dei peace studies e women's
and gender studies presso l'Universita' Roma Tre, saggista, si occupa di
nonviolenza, studi sulla pace e di genere, con particolare attenzione alla
prospettiva pedagogica. Ha due figli. Partecipa  al Circolo Bateson di Roma.
Scrive per la rivista "Noi donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a
mani nude. Per pensare le differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e il
volume La nonviolenza delle donne, "Quaderni satyagraha" - Libreria Editrice
Fiorentina, Pisa-Firenze 2006; ha pubblicato numerosi saggi su rivista e in
volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e nonviolenza in Jane
Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004; Imparare ad amare
la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella formazione, in M.
Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione. Generazioni e
genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005; L'educazione come
progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in Attualita' di Maria
Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche racconti; sta
preparando un libro dal titolo Donne per, sulle figure di Jane Addams, Mirra
Alfassa e Maria Montessori, e un libro su Goliarda Sapienza.
Ezio Bartalini, nato a Monte Savino, vicino ad Arezzo, nel 1884, scomparso a
Roma nel 1962 (fu colto da un malore durante un dibattito sul disarmo e
mori' mentre veniva accompagnato in ospedale). Antimilitarista, socialista,
fondo' nel 1903 il giornale "La pace", di cui pubblico' centocinquantacinque
numeri fino al 1914, e che fu rilevante punto di riferimento pacifista e
libertario. Nel 1922 i fascisti assassinarono suo padre; minacciato lui
stesso di morte l'anno successivo dovette lasciare l'Italia continuando
dall'esilio la lotta antifascista. Tornato in Italia nel 1944, nel 1946 fu
deputato socialista alla Costituente. Dal 1950 riprese le pubblicazioni de
"La pace" come bollettino ciclostilato. Fu anche autore di libri ed
opuscoli; per oltre un decennio docente all'universita' di Istanbul durante
l'esilio; sempre intensamente impegnato contro le armi, gli eserciti, la
guerra. Opere su Ezio Bartalini: cfr. l'articolo di Luciano Masolini in AA.
VV., Periferie della memoria, Anppia-Movimento Nonviolento, Torino-Verona
1999 e il libro di Isa Bartalini, I fatti veri. Vicende di una famiglia
toscana, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1996.
Isa Bartalini, deceduta nel 1996, e' stata cineasta (tra l'altro
collaboratrice, sceneggiatrice ed aiutoregista di Alessandro Blasetti) e
memorialista, infaticabile attivista per la pace; figlia del grande
pacifista ed antifascista Ezio Bartalini, moglie di Andrea Gaggero (altra
nobile figura di antifascista e pacifista, resistente, deportato a
Mauthausen); tra le opere di Isa Bartalini: I fatti veri. Vicende di una
famiglia toscana, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1996]

Isa Bartalini, cineasta di professione (ha fatto il casting director per
quasi quaranta anni) e collezionista di storie famigliari per passione, nel
1996, poco prima di morire, ha fatto in tempo a riordinare parte del
preziosissimo archivio della sua famiglia, poi curato e pubblicato dalla di
lei figlia Lilia Hartmann, raccontandoci tutta una serie di "fatti veri" -
come quelli narrati a lei bambina dalla nonna Ida, al posto delle fiabe - e
regalandoci un importante spaccato di storia dell'antimilitarismo e
dell'antifascismo italiano.
Il protagonista principale del racconto che si snocciola lungo le pagine del
libro di Isa Bartalini, intitolato I fatti veri e' il padre Ezio
(1884-1962), e anche una serie di figure femminili, famigliari e no,
presentate in tutta lo loro luce di forza ed eccezionalita' in tempi
abbastanza oscuri per le donne.
Tra queste nonna Ida, meno operosa politicamente ma la piu' attiva nel
tutelare e tramandare il patrimonio culturale e i valori di una famiglia di
grandi ideali, considerati sovversivi, per la durata della sua intera vita.
E poi la straordinaria Fanny dal Ry - "donna intelligente, indipendente e
colta aveva messo in pratica in prima persona le idee del femminismo,
battendosi alla pari nei campi della politica, generalmente considerati
riserva maschile" - protagonista, accanto ad Ezio, del periodico genovese
"La Pace", "strumento di base di un'epica lotta che durera' dodici anni",
dal 1903 al 1915, e che avra' diffusione abbastanza ampia (4.000 copie
iniziali) non solo in Italia ma anche all'estero: "Svizzera, Francia,
Germania, Stati Uniti, Canada, Argentina, dovunque si trovano i nostri
emigrati".
Sulla vicenda di questo "periodico quindicinale antimilitarista" proibito e
sequestrato piu' volte per via dell'esplicito antimilitarismo, vale la pena
soffermarsi. Nonostante il linguaggio propagandistico e retorico tipico del
tempo, "La Pace" si distingue dalle altre riviste dell'epoca per il
contenuto della epica lotta che conduce. Ezio Bartalini e Fanny dal Ry non
condividendo la posizione della maggioranza del Partito socialista secondo
cui l'eliminazione del capitalismo doveva precedere qualsiasi altro
cambiamento, si impegnano fin da subito "a spiegare la maggior possibile
attivita' nella propaganda antimilitarista" persuasi che "il militarismo, le
alleanze militari, gli armamenti e la guerra, perpetuino una situazione di
sfruttamento, di servaggio, di divisione e di tragico sacrificio del
proletariato e che l'esercito sia lo strumento essenziale di questo
strapotere capitalistico" (p. 51).
In un contesto in cui era gia' sovversivo esortare i militari a rifiutarsi
di venire usati come strumenti di repressione contro le manifestazioni
operaie o denunciare i maltrattamenti subiti dai soldati di leva, "La Pace"
si distingue dalla maggioranza progressista del tempo per il suo opporsi a
"quella concezione di patriottismo, che fa della patria un mito astratto, al
quale il popolo si deve sacrificare per la salvaguardia o l'affermazione
degli interessi di una minoranza privilegiata. La guerra contrappone i
popoli e li accomuna nel sacrificio, mentre l'internazionalismo unisce le
patrie per la costruzione della giustizia, della liberta', del benessere
nella pace" (p. 85).
L'impegno politico pacifista di Ezio e Fanny, uniti da "libero amore"
(considerato una forma elevata di convivere civile), non si limita
all'enunciazione di buoni propositi nelle pagine del giornale da loro
redatto, ma si compie nel mischiarsi tra la gente a parlare con ogni
persona, entrando anche nelle caserme e nelle industrie: convinti come sono
che "l'obiettivo essenziale" sia "conquistare le coscienze... penetrare
prima di tutto nel cuore, nella, mente, nell'anima del popolo" e non solo
provocare delle discussioni parlamentari, pur importanti, sulle questioni
concernenti la riduzione delle spese militari o il miglioramento delle
condizioni di vita dei soldati nelle caserme. E ancora non erano tempi in
cui l'abolizione dell'obbligo di leva o la conversione delle industrie
belliche potessero essere temi all'ordine del giorno in parlamento.
Il loro anelito pedagogico e' riscontrabile anche dal fatto che, accanto al
totalizzante impegno politico che li vede subire molte incriminazioni e una
costante vigilanza poliziesca, i due pionieri dell'antimilitarismo italiano
sentivano di essere soprattutto degli educatori. Fanny dal Ry oltre ad
esercitare il mestiere di maestra comunale si interessava con passione ai
problemi della pedagogia moderna. Ed Ezio, dopo avere esercitato per alcuni
anni la professione di avvocato, occupandosi quasi esclusivamente di cause
politiche (tra cui il memorabile processo, alla Corte d'Assise di Genova,
nel febbraio del 1922, a Ezio Taddei e trentadue altri anarchici) si
dedichera' al mestiere di insegnante, avendo preso anche le lauree in
filosofia e in lettere. Quest'ultima gli sarebbe stata molto utile negli
anni del lungo esilio.
Ma non vorrei arrivare agli anni della dittatura fascista e all'epilogo dei
ventidue anni di esilio (dalle cui intense lettere viene fuori una grande
anima attenta alle questioni politiche come alle vicende della propria
famiglia e dei propri affetti) tra Parigi, Londra, Bruxelles e diciotto anni
in Turchia, senza soffermarmi su un punto che mi e' sembrato essenziale
della storia di vita raccontata da Isa Bartalini: il coraggio di restare
minoranza. La capacita' di non perdere i propri riferimenti ideali di
partenza di fronte ad eventi nuovi e "urgenti", che facciano apparire giuste
e indiscutibili le ragioni dell'intervento militare. Il fatto di permettersi
di continuare a pensare mantenendo autonomia e chiarezza d'idee, nonostante
la "verita'" e la "ragione" sembrano essere definitivamente in mano alla
maggioranza. La forza di affrontare la complessita' dell'evento che sta
accadendo senza rifugiarsi in semplicistiche spiegazioni o rigide prese di
posizione.
"La Pace" nei dieci mesi dallo scoppio del conflitto in Europa
all'intervento italiano del maggio 1915, intensifica la propria attivita',
moltiplicando articoli, appelli, denunce, vignette dei massimi caricaturisti
dell'epoca, pubblicando e diffondendo decine di migliaia di copie della
rivista e di numeri speciali in opposizione all'intervento in guerra
dell'Italia.
Gia' dall'ottobre 1914 trapela chiaramente la consapevolezza di essere
rimasti soli a non condividere la soluzione interventista (che attira i
molti socialisti legati ad un'idea obsoleta di patriottismo) e a volere
continuare a "fare il lavoro silenzioso e paziente della formica". I
redattori della prima voce antimilitarista in Italia, che "ebbe
persecuzioni, processi, sequestri, che resteranno memorabili nella storia
delle persecuzioni contro la liberta' di pensiero" non si rassegnano fino
all'ultimo, quantomeno "per non portare nei nostri cuori il rimorso di non
avere tutto tentato", di fronte allo sviluppo della ragione della guerra
sostenuta da "una propaganda scatenata, finanziata dai centri economici
italiani e stranieri, affiancata dal cedimento progressivo dei giornalisti,
dei politici, degli intellettuali. Bartalini perde molti compagni per
strada, convertiti all'irredentismo nazionalista" (p. 108). Ma con estrema
lucidita' persevera.
Sarebbe potuto morire in carcere come il suo amico Antonio Gramsci
(conosciuto nei primi anni d'esilio), ma invece gli affetti famigliari lo
hanno legato all'esilio. Peccato sia rimasto cosi' isolato e non ascoltato
politicamente, perche' lui aveva previsto in Mussolini un dittatore.
Con spietata ironia cosi' scrive nelle pagine de "La pace" in data 20
novembre 1914: "La massa che non pensa - ha detto Mussolini in
un'intervista - e' per la neutralita' assoluta, anzi assolutissima. La massa
che non pensa? Che roba e' questa? Perche' mai Mussolini si e' accorto
soltanto ora che la massa non pensa? Non fu essa ieri, per lui, quella che
agisce, nelle ore storiche? Come si fa ad agire senza pensiero? Col pensiero
degli altri... Guai se la massa pensasse! Come potrebbero vivere tanti
chiacchieroni in mezzo al popolo? Il popolo deve abbattere i Governi, ma non
puo' fare a meno dei dittatori e Mussolini vuole essere uno di quelli, anzi
vuole essere l'unico... Ora ha detto che la massa non pensa, pensando che
non pensa come pensa lui".
*
Bibliografia
- Isa Bartalini, I fatti veri. Vicende di una famiglia toscana, Esi, Napoli
1996.
- Ruggero Giacobini, Antimilitarismo e pacifismo nel primo Novecento, Franco
Angeli, Milano 1990.

2. LE MERAVIGLIE DEL (MONDO) POSSIBILE. MARIA G. DI RIENZO: IL SEME DELLA
TERRA. ALL'ASCOLTO DI OCTAVIA BUTLER
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo articolo.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un
piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in
"Notizie minime della nonviolenza" n. 81.
Octavia Butler (1947-2006) e' stata una grande scrittrice americana di
fantascienza. Dal sito www.technedonne.it riprendiamo il seguente frammento
di un piu' ampio articolo: "Octavia Butler e' stata la prima donna
afroamericana a raggiungere una considerevole notorieta' nell'ambito della
science fiction ed e' appartenuta a quel gruppo di scrittrici che negli anni
'60 e '70, irrompendo in un genere tradizionalmente ritenuto maschile, ne
hanno sovvertito dall'interno temi e stili. La notizia della sua morte
recente per ictus, avvenuta il 9 marzo 2006, ha ricevuto una certa
visibilita' anche sui quotidiani italiani che hanno celebrato la scrittrice
per i romanzi La parabola dei talenti, La parabola del seminatore (entrambi
pubblicati da Fanucci), e Sopravvissuta (Mondadori)". Dalla Wikipedia
riprendiamo per estratti la seguente scheda: "Octavia Estelle Butler
(Pasadena, California, 22 giugno 1947 - 24 febbraio 2006) e' stata una
scrittrice statunitense di fantascienza e una delle poche scrittrici
afroamericane ad aver avuto successo in questo campo. Orfana di padre, ebbe
un'infanzia difficile e povera. Frequento' la scuola con difficolta' a causa
della dislessia di cui soffriva e del carattere timido e sognatore. Tali
esperienze negative si rifletteranno nelle atmosfere malinconiche delle sue
storie e nei suoi personaggi. Lei stessa si defini' confortevolmente
asociale, un'eremita nel centro di Los Angeles, pessimista, femminista, uno
strano miscuglio di pigrizia e ambizione, di perplessita' e sicurezza.
Octavia Butler fece il suo esordio in campo letterario nel 1971 con
Crossover, un racconto pubblicato nell'antologia Clarion senza troppo
successo. Il vero successo giunse con la serie dei Patternisti
(Patternmasters), cinque romanzi pubblicati fra il 1976 e il 1984. Degna di
nota e', inoltre, la sua produzione di narrativa breve, concentrata
soprattutto fra il 1984 e il 1987. La Butler ha scritto pochi racconti, ma
tutti hanno riscosso grande successo tanto da fruttarle i maggiori premi
letterari. Opere di Octavia Butler: a) Ciclo dei Patternisti (i libri sono
qui elencati secondo l'ordine cronologico degli eventi narrati, che non
coincide con l'ordine di pubblicazione): Wild seed (1980); La nuova stirpe
(Mind of my mind, 1977); Sopravvissuta (Survivor, 1978); Incidente nel
deserto (Clay's Ark, 1984); Patternmaster (1976). b) Ciclo della Xenogenesi:
Ultima genesi (Dawn, 1987); Ritorno alla Terra (Adulthood Rites, 1988);
Imago (1989). c) Ciclo delle parabole: La parabola del seminatore (Parable
of the Sower, 1993). La parabola dei talenti (Parable of the Talents, 1998).
d) Altri romanzi: Legami di sangue (Kindred, 1979). e) Tra i racconti: Il
suono delle parole (Speech sounds, 1983); Bloodchild (1984)". Un ricordo
scritto da Miriam Tola e' nel n. 1225 de "La nonviolenza e' in cammino"]

"Siamo il seme della terra. La vita che percepisce se stessa cambiando"
(Octavia Estelle Butler, 1947-2006)

Suo padre era un lustrascarpe che mori' quando lei era bambina, sua madre
una collaboratrice domestica che la portava con se' nelle case in cui
lavorava. Dislessica, ebbe difficolta' a scuola. Come Lauren Oya Olamina, la
protagonista dei suoi romanzi La parabola del seminatore e La parabola dei
talenti, era iper-empatica; questa sensibilita' finissima si riverso' per
intero nelle sue opere, con un'intensita' bruciante che non manca di toccare
chi vi venga in contatto: il profondo dolore che sentiva per le ingiustizie
che la circondavano, guerra, poverta', discriminazione, la faceva soffrire
terribilmente, ma il dono che aveva avuto erano le parole, le parole che
poteva usare per rendere il mondo migliore.
Stiamo parlando di Octavia Estelle Butler, scrittrice di fantascienza, donna
afroamericana in uno scenario quasi tutto bianco e maschile. Si tratta di
una delle voci piu' belle della science fiction, una grande narratrice che
parla di sessismo, razzismo, poverta' e ignoranza e conduce il lettore alla
scoperta di quanto c'e' di terribile e di quanto c'e' di meraviglioso nella
razza umana.
Cosa minacci e intralci la capacita' degli esseri umani di costruire
relazioni pacifiche e soddisfacenti le era molto chiaro sin dagli inizi: nel
racconto "Speech sounds" (I suoni delle parole) del 1983 descrive come la
violenza che ha devastato la civilta' umana abbia condotto alla perdita
della capacita' di parlare in modo coerente. L'essere derubata delle parole
deve essere stato il peggior incubo di Octavia Butler, stante il valore
immenso che avevano per lei. Al proposito c'e' un piccolo aneddoto
raccontato da un suo vicino di casa: "Octavia non guidava e non aveva
intenzione di prendere la patente. Per spostarsi usava gli autobus, oppure i
vicini le davano dei passaggi quando la vedevano arrancare con le sporte
della spesa. La prima volta che io le diedi un passaggio mi invito' ad
entrare in casa e mi regalo' la copia autografata di uno dei suoi libri. Era
il suo modo di dire grazie, ma a me fu subito ovvio che scrivere era la sua
vita e che con quel gesto me ne aveva regalata un po'".
Octavia e' mancata nel febbraio 2006, ancora non si capisce se abbia avuto
un ictus e per questo abbia battuto la testa cadendo o se il decesso sia la
conseguenza diretta della caduta. Aveva cominciato a scrivere il suo primo
racconto a dieci anni. A dodici vide un film di fantascienza, di quelli "di
serie b", e penso': le donne non si comportano in quella maniera, posso fare
di meglio.
Steven Barnes, altro scrittore afroamericano, dice di lei: "Octavia fu una
delle scrittrici piu' pure che io abbia mai conosciuto. Metteva tutto cio'
che aveva nel suo lavoro. E nonostante la sua estrema timidezza era aperta,
generosa e molto umana. In compagnia usava un acuto senso dell'umorismo, e
faceva osservazioni profonde sulla natura umana. Mi manca tantissimo".
Octavia Butler resta l'unica scrittrice di science fiction ad aver ricevuto
la "donazione al genio" della Fondazione Mac Arthur, un dono di 295.000
dollari nell'inverno del 1995, quando viveva in poverta' e lottava contro il
dubbio di non valere nulla. Tutto quello che possedeva all'epoca erano 300
scatole di libri. "Al genio, hanno detto", dichiaro' in seguito, "Pero'
nessuno mi ha fatto un test di intelligenza prima. Via, lo so di non essere
un genio".
*
Il suo lavoro piu' famoso negli Usa e' Kindred (Legami di sangue), un
romanzo sul viaggio nel tempo che trasporta una donna nera dalla California
del 1976 ai giorni della schiavitu', prima della guerra civile: la
protagonista e' stata riportata al passato per salvare la vita di un bianco,
il figlio di un possessore di schiavi. Il romanzo e' usato di frequente nei
corsi universitari e nei licei, ed ha venduto piu' di 250.000 copie, ma i
suoi esordi furono difficili. Kindred fu ripetutamente rifiutato dagli
editori. Octavia Butler sintetizzo' cosi' il significato del romanzo: "Penso
che la gente dovrebbe riflettere su che cosa possa significare avere
l'intera societa' accanita contro di te". Finalmente il primo editore, nel
1979, le pago' 5.000 dollari per il testo. "Vivevo di cio' che scrivevo, e
non si puo' vivere a lungo con 5.000 dollari. Mi adattavo a consumare cibo
che non mi piaceva, ma costava poco ed era nutriente: fagioli, patate. Un
sacco da dieci chili di patate mi durava un bel pezzo". Il fondo spese
ottenuto dalla Mac Arthur le permise di assistere la madre malata e di
acquistare una casa.
*
La parabola del seminatore vinse il premio Nebula, e di Octavia si comincio'
a parlare come della "gran dama" della fantascienza (con un briciolo di
ironia, perche' era molto alta).
La parabola dei talenti concluse nel 1998 la storia di Lauren Olamina in una
terra del futuro devastata da disastri ambientali, e cosi' ne parlava la sua
autrice: "Il surriscaldamento globale e' uno dei grandi problemi che
dovremmo affrontare correttamente. Ne ero conscia gia' negli anni '80.
Parecchie persone continuavano a guardare ad esso come ad una questione
improbabile, nel senso che sceglievano di ignorarlo perche' credevano che
tanto non lo avrebbero sperimentato durante le loro vite. Dopo l'uragano
Katrina molti hanno collegato quanto era accaduto con le mie due Parabole.
Mentre le scrivevo non era solo la questione ambientale a preoccuparmi. Ci
stavamo muovendo, come paese, verso il punto in cui si pensava di piu' a
come costruire prigioni migliori, invece di migliori scuole e biblioteche.
Troppe cose stavano andando nella direzione sbagliata, cosi' ho voluto
scrivere un romanzo in cui qualcuno avesse una soluzione, una direzione
diversa da suggerire. La soluzione che la mia protagonista trova cresce
dalla religione. La religione e' ovunque. Non ci sono societa' umane che ne
siano prive, che la chiamino in questo modo oppure no. Percio' ho pensato di
fare della religione una soluzione, anche se spesso e' invece un problema.
C'e' gente negli Usa che sta spingendo il paese verso una sorta di fascismo,
perche' la loro religione e' l'unica che riescono a tollerare. Cosi' ho
scritto di gente che invece dice: questi versetti possono aiutarci a pensare
in modo diverso, e abbiamo una destinazione reale, non qualcosa per cui
dobbiamo aspettare di morire, e questa e' la nostra religione. Nelle
Parabole, che furono scritte all'inizio degli anni '90, ho un personaggio
che spinge il paese verso il fascismo, che viene eletto Presidente degli Usa
e che, guarda un po', viene dal Texas. E questo e' cio' che la mia
protagonista dice della situazione: Scegliete i vostri leader con saggezza e
guardando al futuro. Essere guidati da un codardo significa essere
controllati da tutto cio' che il codardo teme. Essere guidati da uno sciocco
significa essere guidati dagli opportunisti che lo controllano. Essere
guidati da un ladro significa porre i nostri tesori piu' preziosi nella
condizione di essere rubati. Essere guidati da un bugiardo significa che ci
si mentira'. Ed essere guidati da un tiranno significa vendere se stessi e
chi si ama in schiavitu'".
*
La riflessione sul potere, su cos'e' e chi lo detiene e come lo si usa, era
stato il tema intrinseco del ciclo dei Patternmasters ("maestri
modellatori", letteralmente, ma in italiano lo traducono spesso come
"patternisti"), svolto in cinque romanzi pubblicati fra il 1976 e il 1984 e
di cui in italiano io ho trovato solo Sopravvissuta, edito da Mondadori.
"Attenzione", disse sulla gestione del potere Octavia Butler, "troppo spesso
noi diciamo cio' che sentiamo dire da altri. Pensiamo cio' che ci viene
detto di pensare. Vediamo cio' che ci e' permesso vedere. O peggio ancora,
cio' che ci viene detto di vedere. Il rischio, nel sentire un'ovvia bugia di
continuo, e magari nel ripeterla di riflesso, e' che poi la si difendera'
solo perche' la si e' detta, e infine la si abbraccera' perche' la si e'
difesa".
*
Nel ciclo della Xenogenesi, invece, composto di tre romanzi pubblicati tra
il 1987 e il 1989, l'attenzione della scrittrice e' puntata sul concetto
della diversita' e sulla sua collocazione ai margini operata dalla cultura
dominante. Che succederebbe invece, se la mescolanza, il meticciato, il
"traffico di geni" sostituissero quest'ultima?  Gli alieni Oankali salvano i
pochi umani sopravvissuti alla devastazione nucleare del pianeta Terra, ma
il loro scopo e' quello di creare una nuova specie senziente tramite
l'incrocio, lo scambio genetico, tra loro e l'umanita'. Gli Oankali hanno
tre sessi, e un'organizzazione sociale basata sulla simbiosi e la
reciprocita'. Il mancato dimorfismo sessuale della loro specie favorisce un
erotismo diffuso, basato su rapporti orizzontali, in cui donarsi sensazioni
piacevoli. Fondandosi la loro civilta' ed il loro modo di percezione sul
mutuo scambio, e' impossibile per gli Oankali devastare l'ambiente, tentare
di risolvere le questioni con l'uso della violenza, stabilire gerarchie. I
nuovi gruppi familiari che nascono dall'interazione aliena/umana si
compongono da un trio Oankali e una coppia umana e sono una vera e propria
celebrazione del senso del cooperare.
Nella prima delle tre opere la protagonista afroamericana si chiama Lilith,
ed e' l'umana che da' vita alla nuova specie. Mi soffermo sulla scelta del
nome perche' non e' casuale: Lilith, una figura divina molto potente
nell'antichita', che conservava il dominio sui "tre mondi" (terra, cielo e
inferi) della prima grande dea in cui si incarno' il concetto di sacro per
l'umanita', fu via via sconciata e avvilita, sino a divenire un demone, una
strega, la "moglie disobbediente" di Adamo. Non poteva esserci una "nuova
Eva" all'origine della progenie umana-aliena, non un'altra creatura derivata
da una costola e definita in ordine al suo essere "di compagnia" a qualcun
altro che invece racchiude in se' la somiglianza con il divino. Doveva
essere l'indipendente e fiera Lilith, a cui a livello letterario Octavia
Butler offre infine un riscatto.
*
L'ultimo lavoro di Octavia, a quanto so non ancora tradotto in italiano, fu
Fledgling: "Dopo le due Parabole, che erano romanzi che dicevano:
attenzione, se continuiamo ad agire come stiamo agendo, se continuiamo a
rovinare l'ambiente per esempio, ecco dove possiamo finire, ero sopraffatta
dalla fatica. C'era stato molto da intessere insieme per scriverli. Cosi'
per il lavoro successivo ho voluto fare qualcosa di piu' leggero, e per
questo e' uscito Fledgling. La protagonista e' una ragazza nera, ha
un'amnesia, e' stata ferita seriamente e ha perduto i genitori. Non ha idea
di chi e' e del perche' lo e'. Poi si scoprira' che gli Ina, il suo popolo,
l'hanno modificata geneticamente. Il racconto parte dalla sua solitudine: e'
sola perche' non e' completamente umana, e perche' gli anni che ha vissuto
le sono stati portati via, e non sa nulla. Penso che la fantascienza sia un
modulo aperto, in effetti mi da' la possibilita' di commentare ogni aspetto
dell'umanita'. Quando la gente sente nominare la fantascienza pensa 'Ah si',
quella roba tipo Star Wars, o Star Trek', ma la verita' e' che nel genere
non ci sono porte chiuse, neí formule rigide, e puoi andare dove vuoi".
*
E lasciandosi prendere per mano da Octavia, quella mano cosi' gentile e
ferma, cosi' pronta, cosi' conscia del male eppure cosi' piena di speranza,
si va per una strada del genere: "Tu cambi tutto cio' che tocchi. Tutti cio'
che cambi ti cambia. L'unica verita' duratura e' il cambiamento" (da La
parabola del seminatore). Io le sono molto grata di avermici condotta.

3. RIFLESSIONE. ENZA PANEBIANCO: LA FAMIGLIA NON MI PIACE
[Ringraziamo Enza Panebianco (per contatti: enzapanebianco at gmail.com) per
questo intervento.
Enza Panebianco, storica militante del movimento antimafia a Palermo,
intellettuale, scrittrice, operatrice culturale, animatrice dell'esperienza
della libreria "I fiori blu", e' una delle figure piu' vive della sinistra
critica e della riflessione e prassi liberatrice delle donne. Opere di Enza
Panebianco: Racconti palermitani, Malatempora, 2002]

La famiglia non mi piace. A me piacciono le relazioni tra persone che
liberamente scelgono di stringere vincoli di amore, amicizia, sesso e
solidarieta'. La libera scelta in questo caso mi pare essenziale perche' non
ci possono essere relazioni dove c'e' costrizione. Parlo di quella
costrizione che deriva dalla condizione di dipendenza reciproca che sta
nelle intenzioni del progetto di governo. Parlo del fatto che nelle proposte
fin qui sentite non si parla di autosufficienza, di investimento
sull'individuo perche' possa poi realizzare per scelta e con il massimo
della liberta' un vincolo di qualunque genere senza discriminazioni di
sesso, eta', religione.
Quello di cui si parla e' invece un vincolo monetizzabile. La famiglia come
ammortizzatore sociale. Come soluzione alla crescente precarieta', alla
disoccupazione di uno o piu' membri della famiglia, certamente i soggetti
piu' deboli, tra questi soprattutto le donne. Come soluzione alla carenza
strutturale di servizi per l'infanzia, per gli anziani, per i disabili. Come
soluzione ad una economia che spreme molti a vantaggio di pochi. Come
soluzione alla mancanza di fondi pensionistici.
Cosi' vivere tutti assieme, pagare un solo affitto o un solo mutuo, dividere
la spesa e le bollette e soprattutto riconsegnare totalmente i ruoli di cura
alle donne, diventa la geniale trovata per risolvere problemi che nessuno
evidentemente vuole affrontare.
Alle donne italiane peraltro e' attribuito un ulteriore ruolo: devono
partorire. La crescita demografica viene immaginata come l'unica scelta
possibile per evitare l'estinzione dell'umanita'. Eppure a me non sembra che
siamo arrivati a questo punto. Si nasconde invece una semplice verita': i
figli di persone provenienti da altri paesi non piacciono. Non sarebbero
affidabili. I figli "italiani" invece pare siano il modo per affollare il
mercato di ulteriore manodopera a basso costo. Cosi' la domanda aumenta di
piu', l'offerta diminuisce, gli stipendi calano, la precarieta' cresce
ancora e con i contributi raccattati qua e la' si vorrebbero pagare le
pensioni a chi ha avuto la fortuna di percepirle.
La famiglia "italiana" diventa nella fantasia dei legislatori lo strumento
attraverso il quale esseri affidabili promettono di prendersi cura l'uno
dell'altro e le donne di tutte e tutti. Cosi' i ruoli saranno prescritti per
"legge". Diventano un obbligo e non solo dal punto di vista morale. Ma non
tutti sono affidabili. Vengono riconosciuti tali solo quelli che non hanno
fregole di autodeterminazione e liberta'. Quelli che sanno rispettare le
regole, che alla responsabilita' dello Stato sostituiscono volentieri il
proprio senso di colpa, l'abnegazione, quel portarsi addosso "la croce" che
tanta santita' ha portato nella vita di schiave mai liberate. Donne che
devono ritornare al loro posto a fare quello che la patria chiede. Alle
famiglie spetterebbero "premi", appoggi. Agli individui nulla. Alle donne
che figliano si promette supporto, a quelle che non ne hanno voglia o non
possono o vorrebbero farlo in contesti diversi dalla famiglia tradizionale,
invece niente. Zero. Tutta qui la politica sociale che propongono...
Percio' vengono esclusi dall'area dei diritti civili tutti quelli o quelle
che non sono riconosciute/i come potenziali genitori o genitrici. Vengono
puniti, persino. Anzi si decide quale deve essere la famiglia "tipo". Lo
dice la chiesa: etero, bianca, cattolica, sposata con rito civile e
possibilmente anche in chiesa.
Il programma del governo non e' affatto nuovo. E' stato gia' attuato in
epoca fascista. Vi propongo di leggere il capitolo su "Il patriarcato
fascista" nel quinto volume della Storia delle donne diretta da Duby e
Perrot pubblicata da Laterza. E' un ottimo strumento di comprensione del
presente e la casa esditrice Laterza mi ha autorizzato a pubblicarlo sul mio
blog http://femminismo-a-sud.noblogs.org/
L'analisi fatta e' interamente dedicata alle mobilitazioni di "Norme
Normali" organizzate da "gli e le straccioni e straccione della laicita'"
per questo fine settimana, in occasione della Conferenza nazionale sulla
famiglia a cura del Ministero di Rosi Bindi (nel sito
http://norme-normali.noblogs.org potete trovare documenti, date, orari,
indirizzo cui mandare una adesione).

4. LIBRI. MARIA TERESA CARBONE INTERVISTA MONIQUE TRUONG
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 maggio 2007.
Maria Teresa Carbone, traduttrice, saggista, organizzatrice culturale,
curatrice con Nanni Balestrini del sito di letture e visioni in rete
www.zoooom.it
Monique Truong e' una giovane scrittrice statunitense di origine vietnamita.
Opere di Monique Truong: Il libro del sale, Giunti, Firenze 2007]

E' stato per caso, scoprendo che Gertrude Stein e Alice Toklas avevano
impiegato nella loro casa di Parigi due cuochi "indocinesi", che Monique
Truong, giovane scrittrice statunitense di origine vietnamita, ha avuto
l'idea di quello che sarebbe stato il suo romanzo di esordio, Il libro del
sale, appena uscito nella nuova collana Giunti Blu nella traduzione di Sara
Fruner (pp. 323, euro 14,50). Un'opera singolare, che non assomiglia affatto
ai romanzi "etnici" cui le ultime mode editoriali ci hanno abituato e che,
scegliendo come voce narrante proprio quella del cuoco Binh, approdato nella
capitale francese dopo avere lasciato traumaticamente il Vietnam per un
amore omosessuale, offre uno scorcio inedito sulla cosmopolita Parigi degli
anni Trenta. Ne parliamo con l'autrice che, dopo avere partecipato alla
Fiera del libro, presenta oggi il suo romanzo alla rassegna senese "Lingua
Madre", filiazione neonata della kermesse torinese.
*
- Maria Teresa Carbone: Il libro del sale ha una struttura circolare: alla
fine del romanzo, infatti, ritroviamo il protagonista, Binh, nello stesso
luogo dove lo avevamo incontrato all'inizio, alla Gare du Nord con Gertrude
Stein e Alice Toklas. Una scelta narrativa connessa forse al carattere del
personaggio.
- Monique Truong: In effetti, riportare il lettore al punto di partenza,
dopo una serie di movimenti avanti e indietro nel tempo e nello spazio,
serve per sottolineare l'idea che quest'uomo non e' capace di lasciarsi
dietro il passato, che ne e' prigioniero per i suoi rapporti irrisolti con
la famiglia. Ma e' anche un modo per scombinare la struttura classica della
narrativa americana legata all'emigrazione, di quelle storie lineari giocate
su un movimento in avanti, dal luogo di partenza, il paese di origine, agli
Stati Uniti. Una maniera, secondo me, poco realistica di descrivere la vita
degli immigrati, la complessita' delle loro relazioni fra passato e
presente.
*
- Maria Teresa Carbone: Ponendo al centro del suo romanzo anche una
scrittrice celebre e personalissima come Gertrude Stein, ha avvertito la
necessita' di confrontarsi con il suo stile?
- Monique Truong: Per la verita', nonostante conoscessi l'importanza del suo
ruolo nella letteratura americana, sono approdata a Gertrude Stein quasi per
caso, quando mi e' capitato fra le mani il ricettario di Alice B. Toklas. Il
mio avvicinamento alla sua opera e' stato quindi tutt'altro che
intellettuale e non mi sono sentita affatto intimidita nei suoi confronti.
Del resto, nel mio libro non volevo parlare di lei come una grande
scrittrice, ma mi incuriosiva osservarla da un'angolazione insolita, dallo
sguardo di un domestico. Leggendo i suoi libri, pero', mi ha colpito molto
la sua eccezionale abilita' di giocare con le parole e questo mi ha fornito
lo spunto per istituire un parallelo con Binh che, arrivato dal Vietnam, non
conosce la lingua del paese in cui e' approdato ed e' costretto ad attuare
una sorta di bricolage linguistico con le risorse limitate a sua
disposizione. Mi ha divertito l'idea di accostare due modi diversi di
manipolare il linguaggio, uno definito come arte, l'altro come mancanza di
conoscenza, come difetto.
*
- Maria Teresa Carbone: Per certi versi Il libro del sale, ambientato fra il
Vietnam e Parigi a cavallo fra gli anni Venti e Trenta, e' anche un romanzo
storico. Ha dovuto compiere molte ricerche per ricostruire quell'epoca?
- Monique Truong: Nei quattro anni che ho impiegato per scrivere Il libro
del sale, che era nato inizialmente nel 1997 come un semplice racconto,
Seeds, ho letto molti libri sulla Parigi degli anni Trenta e in particolare
su Gertrude Stein e Alice Toklas. Ma questo e' stato in realta' il compito
piu' semplice, perche' i materiali erano naturalmente molto abbondanti. Ben
piu' difficile e' stato ricostruire la vita dei domestici, del cuoco Binh e
degli altri lavoratori salariati. Nel corso delle mie ricerche sono venuta a
sapere che Ho Chi Minh aveva trascorso un certo tempo in Europa proprio in
quegli anni, e che fra l'altro aveva lavorato come cuoco, per la precisione
come pasticcere, a Londra: ho inserito anche la sua figura nel libro, senza
pero' chiamarlo con questo nome ma con lo pseudonimo che aveva adottato a
quell'epoca, Nguyen Ai Quoc. Ma i dati che avevo raccolto su di lui mi sono
stati utili anche per definire meglio la figura del mio protagonista.
*
- Maria Teresa Carbone: Nelle pagine ambientate in Vietnam, sembrano
intrecciarsi diversi fili narrativi, resoconti storici, cronache di
famiglia, miti tradizionali.
- Monique Truong: Ricostruendo le atmosfere del mio paese di origine, grande
importanza hanno avuto per me le storie che ho sentito raccontare in
famiglia: dalle fiabe popolari, che trovano eco nella narrazione del
"principe dotto", ai ricordi dei miei genitori. Mio padre, in particolare,
era stato mandato in Francia a studiare quando aveva solo nove anni, in una
situazione molto diversa da quella del mio protagonista, ma segnata, anche
nel suo caso, da un profondo senso di solitudine. Da questa sofferenza,
tanto piu' intensa perche' vissuta in silenzio, prende del resto le mosse il
racconto di Binh: le storie, tutte le storie, hanno un ruolo centrale nella
nostra vita, perche' rappresentano un modo, forse l'unico, per dare forma ai
nostri sentimenti, soprattutto a quelli negativi.
*
- Maria Teresa Carbone: Questo estraniamento si riflette anche nel fatto che
tutte le figure principali del libro, da Binh al suo amante soprannominato
"Mio Dolce Domenica" a Gertrude Stein, vivono lontani dal loro paese.
- Monique Truong: E' stata una scelta precisa, quella di spostare l'asse del
racconto in Francia: in particolare, la scelta di inserire Binh nella casa
parigina di Gertrude Stein e Alice Toklas mi ha consentito di parlare anche
dell'America senza fare degli Stati Uniti l'ambiente principale. Mi premeva
mettere in scena un incontro fra America e Vietnam al di fuori, e prima,
della guerra che negli Usa sembra riassumere il mio paese di origine e che
cancella agli occhi di molti americani la sua lunga storia.
*
- Maria Teresa Carbone: Un tema centrale del suo libro riguarda il cibo. Ce
ne vuole parlare?
- Monique Truong: Ad attrarmi nel cibo e' l'idea che fra chi cucina e chi
mangia si instaura un rapporto poco evidente ma profondo: parlando della
manipolazione degli alimenti, delle impronte di Alice impresse sui dolci che
prepara, ho voluto mettere in luce questo atto cosi' intimo e segreto. E non
mi dispiacerebbe se qualcuno, leggendo il mio libro, ricordasse che nelle
cucine di molti ristoranti lavorano tanti immigrati: sono loro a preparare
con le loro mani i cibi che i clienti mangeranno - magari quegli stessi
clienti che sono contrari alla "invasione degli stranieri" nel loro paese.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 103 del 24 maggio 2007

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