Minime. 102



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 102 del 27 maggio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Come in uno specchio
2. Maria G. Di Rienzo: Per Haleh Esfandiari
3. Shaul Bakhash: Haleh Esfandiari, mia moglie
4. Ancora agli arresti domiciliari Aung San Suu Kyi
5. Gianfranco Benincasa intervista Fabio Levi su Alexander Langer
6. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
7. Miguel Mellino presenta "Wars of position" di Timothy Brennan
8. Riedizioni: Guy Debord, La societa' dello spettacolo
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. COME IN UNO SPECCHIO

Una e la stessa barbara logica presiede ai rinnovati persecutori progetti di
deportazione dei rom dalle citta' italiane e alla prosecuzione della
partecipazione militare italiana alla guerra terrorista e stragista in
Afghanistan.
La logica razzista e assassina della radicale denegazione della dignita'
umana di altri esseri umani.
Opporsi alla guerra, opporsi al razzismo, opporsi alla violenza sono una
sola scelta, la scelta di difendere la dignita' umana della nostra medesima
persona e di tutte le persone.
Vi e' una sola umanita'.

2. IRAN. MARIA G. DI RIENZO: PER HALEH ESFANDIARI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un
piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in
"Notizie minime della nonviolenza" n. 81.
Haleh Esfandiari, docente universitaria e intellettuale con la doppia
cittadinanza iraniana e statunitense, impegnata per i diritti umani, e'
ingiustamente detenuta in Iran]

Dall'8 maggio scorso, Haleh Esfandiari, intellettuale e docente con la
doppia cittadinanza iraniana e statunitense, si trova nella prigione di
Evin, in Iran, con l'accusa di aver "tentato di sovvertire l'ordinamento
islamico". La signora Esfandiari avrebbe fatto questo durante una conferenza
in cui ha parlato di rispetto per i diritti umani ed in particolar modo dei
diritti umani delle donne, di risoluzione nonviolenta dei conflitti e del
grave pericolo che comportano le fantasie di invasione dell'Iran da parte
dell'amministrazione statunitense.
La protesta dei suoi colleghi iraniani e' stata immediata e coraggiosa: nel
loro ultimo comunicato pubblico (21 maggio 2007) si legge tra l'altro:
"Usare Haleh Esfandiari come capro espiatorio e' l'ennesimo disturbante
episodio della continua persecuzione che la Repubblica islamica opera contro
chi direttamente o indirettamente lavora per far crescere la societa' civile
e promuove in Iran i diritti umani. Nell'ultimo anno e mezzo questo vero e
proprio massacro ha avuto come bersagli le attiviste per i diritti delle
donne, i membri delle ong, le associazioni di studenti e insegnanti, e i
sindacati". I firmatari e le firmatarie aggiungono di essere preoccupati
perche' la prigione di Evin e' gia' stata teatro di abusi e torture.
Quella che segue e' la traduzione della lettera del marito di Haleh
Esfandiari, Shaul Bakhash, pubblicata il 25 maggio 2007 sul "Los Angeles
Times". Il signor Bakhash insegna Storia del Medio Oriente all'Universita'
"G. Mason" in Virginia.

3. APPELLI. SHAUL BAKHASH: HALEH ESFANDIARI, MIA MOGLIE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente lettera di
Shaul Bakhash pubblicata il 25 maggio 2007 sul "Los Angeles Times".
Shaul Bakhash, storico, e' docente all'Universita' "G. Mason" in Virginia;
e' marito di Haleh Esfandiari]

L'otto maggio le mura della prigione Evin di Teheran si sono chiuse attorno
a mia moglie, Haleh Esfandiari, una docente sessantasetteenne, nonna, e
cittadina sia dell'Iran che degli Usa. Haleh e' direttrice del Programma per
il Medio Oriente del Centro internazionale per insegnanti "Woodrow Wilson"
di Washington. Nello scorso dicembre si reco' in Iran per far visita alla
madre novantatreenne, un viaggio che Haleh compie due volte l'anno da piu'
di un decennio. Il 30 dicembre, sulla strada dell'aeroporto in cui doveva
recarsi per tornare a Washington, e' stata fermata da tre individui
mascherati e armati di coltelli che le hanno tolto ogni suo avere, inclusi i
due passaporti. In retrospettiva, appare chiaro che si e' trattato di un
lavoro "interno": il Ministero del controspionaggio iraniano usa questi
uomini sulle strade contro i suoi stessi cittadini.
Senza passaporto, Haleh e' stata costretta a tornare a casa di sua madre.
Quando ha fatto richiesta di un duplicato, e' stata presa in disparte da un
membro del Ministero e per le successive sei settimane sottoposta a ben 50
ore di interrogatorio. All'inizio, via e-mail e via telefono, mi racconto'
che i suoi inquisitori le chiedevano del suo lavoro, di chi aveva parlato
alla tal conferenza, e dove e quando, cose che avrebbero potuto sapere molto
facilmente facendo click su un mouse e accedendo al sito web del centro
"Woodrow Wilson". Haleh disse loro comunque quel che ricordava delle
lezioni, degli scambi, dei seminari che aveva organizzato. Per aiutarla con
i dettagli, inviavo di notte via e-mail pile di documenti scaricati dal web.
Se le domande potevano apparire ridicole, gli interrogatori non lo erano
affatto. Erano accompagnati da minacce, accuse ed intimidazioni, ed
implicavano sempre che Haleh era coinvolta in qualcosa di nefando. Le fu
anche fatta pressione affinche' fornisse informazioni che non aveva, le fu
richiesto di identificare "reti" di cui ignorava l'esistenza, e di ammettere
che era reticente. Haleh si e' sempre rifiutata.
Poi, il 14 febbraio, gli interrogatori terminarono. Fatta eccezione per due
spiacevoli telefonate in cui gli inquisitori la invitavano a "cooperare" e
la ammonivano che le cose sarebbero peggiorate se non lo avesse fatto, vi fu
silenzio per dieci settimane. Infine, il 7 maggio, Haleh fu chiamata al
Ministero per il controspionaggio. Quando il giorno successivo si presento'
all'appuntamento fu arrestata. L'accusa non ufficializzata, che scoprimmo in
seguito, era di star lavorando per un'organizzazione che cospirava per
fomentare una "rivoluzione morbida" in Iran.
Da quando e' in carcere, 17 giorni, ad Haleh e' stato permesso di fare
un'unica telefonata di due minuti a sua madre. Parlava come se qualcun altro
fosse presente al colloquio. Non sono permesse visite, ne' assistenza
legale. Non avendo contatti con lei sono costretto a presumere il peggio:
che sia bendata, confinata in isolamento, e che subisca interrogatori
brutali finalizzati ad ottenere da lei una confessione falsa.
Qualcuno ha suggerito che l'arresto di Haleh potrebbe servire ai fautori
della "linea dura" per bloccare i colloqui Usa-Iran previsti per la prossima
settimana. Altri dicono che il governo potrebbe volerla scambiare con gli
iraniani detenuti in Iraq. Sono solo speculazioni. L'unica spiegazione che
mi e' stata data proviene dal comunicato rilasciato dal Ministero per il
controspionaggio lunedi', un fantasioso atto d'accusa che rivela la rete di
bugie in cui Teheran vuole intrappolare mia moglie ed altri. Dice piu' o
meno cosi': i "pensatoi" statunitensi come il centro Wilson stanno portando
avanti un piano del governo americano per un "rivolgimento indolore" in
Iran, creando ponti fra gli intellettuali iraniani e le istituzioni
statunitensi, e creando "network informali di comunicazione" che possono
essere usati "contro la sovranita' del paese". Agli occhi del governo
iraniano, gli scambi fra intellettuali equivalgono alla cospirazione ed al
tradimento.
Se voi che leggete doveste svegliarvi un mattino e scoprire che vostra
moglie, o vostro figlio, o un vostro genitore, e' nelle mani della polizia
segreta, in un paese che viola le regole e le leggi come routine,
probabilmente scegliereste di lavorare in quiete e calma piuttosto che dar
pubblicita' al fatto: non avete modo di ricorrere alla legge o ai tribunali,
e temete che la pubblicita' peggiorerebbe le cose. Credereste, pur
sbagliando, che se fate le cose in silenzio, e usate i contatti che avete, e
date ragionevolmente tempo al tempo, l'incubo finira'. Quando ad Haleh fu
impedita all'inizio la partenza dall'Iran fu principalmente dietro mia
insistenza che non pubblicizzammo il fatto. Coloro che si supponeva
sapessero come vanno le cose in Iran mi ripetevano di continuo: "Non
preoccuparti, sono solo interrogatori. Quando avranno finito con le domande,
la lasceranno andare".
Dal momento in cui Haleh e' stata arrestata, il silenzio non era piu' una
scelta possibile. E' assurdo che venga accusata di cospirare per sovvertire
il governo iraniano con le conferenze ed incoraggiando il dialogo fra
statunitensi ed iraniani. Il centro Wison ha rilasciato un comunicato, il
suo presidente Lee Hamilton ha tenuto una conferenza stampa, ed io ho
cominciato a parlare apertamente della spaventosa e difficile situazione in
cui Haleh si trova.
L'attenzione dei media e' stata sino ad ora straordinaria, cosi' come il
sostegno che Haleh ha ricevuto da leader politici, intellettuali, docenti e
associazioni; si va dagli studenti della Princeton University, a cui Haleh
ha insegnato ad amare la lingua persiana, ai gruppi femministi e che lottano
per i diritti umani, sino alle semplici persone comuni che hanno voluto
sbalordire e gratificare la sua famiglia ed i suoi amici.
E' facile sentirsi privi di potere messi di fronte al grande potere di uno
stato, in special modo di uno stato che arresta, mette in prigione e accusa
i suoi cittadini a volonta'. Ma gli eventi delle ultime settimane, la
condanna universale che l'Iran ha avuto per la detenzione di Haleh e di
altri, mi hanno insegnato che anche le persone hanno potere, quando si
ergono a contrastare l'ingiustizia ed in difesa di individui vessati.
Spero che il governo iraniano sia in ascolto.

4. MONDO. ANCORA AGLi ARRESTI DOMICILIARI AUNG SAN SUU KYI
[Da "Burma news. Attualita` sulla Birmania" del 25 maggio 2007 (per
contatti: burma_news at verizon.net) riprendiamo la seguente notizia.
Aung San Suu Kyi , figlia di Aung San (il leader indipendentista birmano
assassinato a 32 anni), e' la leader nonviolenta del movimento democratico
in Myanmar (Birmania) ed ha subito - e subisce tuttora - durissime
persecuzioni da parte della dittatura militare; nel 1991 le e' stato
conferito il premio Nobel per la pace. Opere di Aung San Suu Kyi: Libera
dalla paura, Sperling & Kupfer, Milano 1996, 1998]

La leader birmana del movimento nonviolento Aung San Suu Kyi, premio Nobel
per la pace nel 1991, dovra' restare ancora un anno agli arresti
domiciliari.
Nonostante le pressioni internazionali per la sua liberazione e le
manifestazioni dei suoi sostenitori - come quella di oggi a Manila, nelle
Filippine, in occasione del Forum asiatico - il regime militare di Myanmar
(ex Birmania), al potere dal 1962, contro il quale lei si e' sempre battuta,
ha deciso di prolungare la sua detenzione.
Degli ultimi 17 anni, San Suu Kyi ne ha trascorsi circa 11 in isolamento.
*
Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha condannato oggi la
decisione del governo del Myanmar di prorogare di un anno gli arresti
domiciliari del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi.
Lo ha riferito la portavoce di Ban, Michelle Montas, che ha detto che il
segretario generale "crede fermamente che prima le misure restrittive contro
Suu Kyi e altre figure politiche saranno tolte, prima il Myanmar potra'
procedere verso la riconciliazione nazionale, il ritorno della democrazia e
il pieno rispetto dei diritti umani"...

5. MEMORIA. GIANFRANCO BENINCASA INTERVISTA FABIO LEVI SU ALEXANDER LANGER
[Dal sito www.feltrinelli.it riprendiamo la seguente intervista di
Gianfranco Benincasa a Fabio Levi apparsa sul quotidiano "Alto Adige" 27
marzo 2007.
Gianfranco Benincasa e' giornalista della carta stampata e televisivo ed
operatore culturale.
Fabio Levi, storico, insegna storia contemporanea all'Universita' di Torino;
ha lavorato a lungo sulla storia degli ebrei dall'emancipazione fino allo
sterminio e piu' in generale sulle vicende della societa' italiana nel
Novecento. Il suo interesse per i risvolti sociopsicologici delle differenze
fra gli individui lo ha anche portato a occuparsi della storia della
condizione dei ciechi e lo ha reso particolarmente sensibile ai temi della
convivenza e delle relazioni fra gruppi e culture diverse. Tra le opere di
Fabio Levi: (con Paride Rugafiori e Salvatore Vento), Il triangolo
industriale tra ricostruzione e lotta di classe (1945-'48), Feltrinel1i,
Milano 1974; (con Bruno Bongiovanni), L'Universita' di Torino sotto il
fascismo, Giappichelli, Torino 1976; L'idea del buon padre. Il lento declino
di un'industria familiare, Rosemberg & Sellier, Torino 1984; Un mondo a
parte. Cecita' e conoscenza in un istituto di educazione, Il Mulino, Bologna
1990; L'ebreo in oggetto. L'applicazione della normativa antiebraica a
Torino (1938-1943), Zamorani, Torino 1991; L'identita' imposta. Un padre
ebreo di fronte alle leggi razziali di Mussolini, Zamorani, Torino 1996;
"Gli ebrei nella vita economica italiana dell'Ottocento", in C. Vivanti (a
cura di), Gli ebrei in Italia, Annali XI, tomo II, Storia d'Italia, Einaudi,
Torino 1997; Le case e le cose. La persecuzione degli ebrei torinesi nelle
carte dell'Egeli (1938-1945), Archivio storico della Compagnia di San Paolo,
Torino 1998; 'Torino: da capitale restaurata a capitale spodestata
(1814-1864). L'economia', in U. Levra (a cura di), La citta' nel
Risorgimento, VoI VI della Storia di Torino, Einaudi, Torino 2000; "Da un
vecchio a un nuovo modello di sviluppo economico", in U. Levra (a cura di),
Da capitale politica a capitale industriale (1864-1914), Vol. VII della
Storia di Torino, Einaudi, Torino; (a cura di, con Bruno Maida), La citta' e
lo sviluppo. Crescita e disordine a Torino (1945-1970), Franco Angeli,
Milano 2002; (a cura di, con Sonia Brunetti), C'era una volta la guerra,
Zamorani, Torino 2002; (con Maria Bacchi), Auschwitz, il presente e il
possibile, Giuntina, Firenze 2004; In viaggio con Alex, Feltrinelli, Milano
2007.
Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e'
tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite
iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una
sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi generose
di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata
pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986
(poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie
di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992 esaurito). Dopo la
sua scomparsa sono state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La
scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore
leggero.Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo,
Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin
1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma
1998; The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and
Frontier Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta',
Bolzano-Forli' 2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta"
1984-1995, Cierre - Movimento Nonviolento, Verona, 2005; Lettere
dall'Italia, Editoriale Diario, Milano 2005; Alexander Langer, Was gut war
Ein Alexander-Langer-ABC; inoltre la Fondazione Langer ha terminato la
catalogazione di una prima raccolta degli scritti e degli interventi (Langer
non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di iniziative e quindi
la grandissima parte dei suoi interventi e' assai variamente dispersa), i
materiali raccolti e ordinati sono consultabili su appuntamento presso la
Fondazione. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite.
La resistenza mite di Alex Langer, La Meridiana, Molfetta 2000; AA. VV. Una
vita piu' semplice, Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo -
Altreconomia, Milano 2005; Fabio Levi, In viaggio con Alex, la vita e gli
incontri di Alexander Langer (1946-1996), Feltrinelli, Milano 2007. Si
vedano inoltre almeno i fascicoli monografici di "Azione nonviolenta" di
luglio-agosto 1996, e di giugno 2005; l'opuscolo di presentazione della
Fondazione Alexander Langer Stiftung, 2000, 2004; il volume monografico di
"Testimonianze" n. 442 dedicato al decennale della morte di Alex. Inoltre la
Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer
(esaurito). Videografia su Alexander Langer: Alexander Langer: 1947-1995:
"Macht weiter was gut war", Rai Sender Bozen, 1997; Alexander Langer.
Impronte di un viaggiatore, Rai Regionale Bolzano, 2000; Dietmar Hoess, Uno
di noi, Blue Star Film, 2007. Un indirizzo utile: Fondazione Alexander
Langer Stiftung, via Latemar 3, 9100 Bolzano-Bozen, tel. e fax: 0471977691;
e-mail: info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org]

Si torna a parlare di Alexander Langer. Arriva sugli scaffali delle librerie
italiane un volume di Fabio Levi intitolato In viaggio con Alex. La vita e
gli incontri di Alexander Langer 1946-1995. Il libro di Levi, che insegna
storia contemporanea all'universita' di Torino, ripercorre l'esperienza di
Alexander Langer e consente di seguire un itinerario di vita, pieno di
avventure, attraverso i luoghi cruciali della storia d'Italia e d'Europa
dagli anni Trenta del Novecento fino alla fine del secolo. Con questo lavoro
Levi esamina e ricostruisce la vita di Langer, i suoi slanci verso i piu'
deboli, le sue battaglie, la sua capacita' di far giocare nell'azione
politica, come nei rapporti quotidiani, la ricchezza derivante dalla
posizione di confine fra la cultura italiana e quella tedesca. Seguendo "il
viaggiatore leggero", come e' stato definito in modo appropriato Alex
Langer, si ha la possibilita' di compiere un viaggio vorticoso in compagnia
di un personaggio straordinario, spinto ogni volta dalla propria
sensibilita' e intelligenza a trovarsi la' dove le crisi scoppiavano piu'
acute. Un personaggio mosso da una inesauribile curiosita' per gli altri,
tale da porlo al centro di una fittissima rete di relazioni, cercate e
coltivate con cura prima nell'ambito del mondo cattolico e poi nella
sinistra rivoluzionaria, fra i verdi, al Parlamento europeo o nell'inferno
di violenza e vendette etniche del conflitto in ex-Jugoslavia. Un poliglotta
dalla personalita' versatile e dalla grande intelligenza politica. Questo
viaggio Levi lo ha intrapreso con l'affetto di chi ha condiviso almeno in
parte alcune delle esperienze piu' significative della sua stessa
generazione, ma anche cercando di mantenere il distacco indispensabile a chi
si propone di raccontare una vita ad altri, con lo scopo di suscitare, oltre
all'interesse, anche e soprattutto una libera riflessione critica. L'abbiamo
intervistato.
*
- Gianfranco Benincasa: Perche' un libro proprio su Langer? Che cosa l'ha
spinta?
- Fabio Levi: Mi ha colpito un giorno l'osservazione di uno dei miei
studenti all'universita', cui avevo raccontato a lezione della vita di Alex
Langer. Com'e' possibile che di un personaggio cosi' straordinario si sappia
tanto poco? In realta' sono in moltissimi ad averlo conosciuto e apprezzato
nei trent'anni e piu' della sua ininterrotta attivita' politica. Sono anche
uscite molte raccolte dei suoi scritti. Mancava pero' un lavoro d'insieme
che aiutasse a valutare appieno il senso e l'importanza del suo itinerario
di vita e soprattutto che avvicinasse ai piu' giovani una figura originale e
affascinante come la sua. Ed e' quello che ho cercato di fare.
*
- Gianfranco Benincasa: Pensando al titolo quali sono gli incontri e le
azioni di Alexander Langer che piu' l'hanno affascinata?
- Fabio Levi: Forse la cosa che mi ha colpito di piu' e' stata la capacita'
di Langer di misurarsi con situazioni diversissime ma rimanendo sempre se
stesso e adeguando ogni volta le sue idee e la sua azione politica ai
fortissimi cambiamenti che hanno interessato il mondo intorno a lui; senza
aver paura di criticare le proprie posizioni precedenti. I suoi incontri e
le sue avventure sono stati innumerevoli: quello che li rende affascinanti
ai nostri occhi e' appunto lo slancio, l'intelligenza e la concretezza con
cui li ha saputi affrontare.
*
- Gianfranco Benincasa: Nella breve presentazione Feltrinelli al libro si e'
puntato ad evidenziare la sensibilita' e l'intelligenza di Langer ma
soprattutto la sua capacita' di trovarsi la' dove le crisi scoppiavano piu'
acute. Sensibilita' dovuta a che cosa secondo il suo parere? Per la sua
esperienza maturata sul confine e in una zona d'incontro e scontro di
culture e popoli come l'Alto Adige? Per il suo acume politico? Per caso o
fortuna? Per che cosa? Come si puo' essere esperti in aree di crisi?
- Fabio Levi: Credo che possano valere tutte le risposte che lei ha dato. Il
compito di chi ricostruisce la storia e' semmai quello di capire che cosa ha
contato di piu' ogni volta, e perche' si e' scelta una strada piuttosto che
un'altra. Nel caso ad esempio della sua capacita' di essere protagonista
delle svolte piu' importanti della vicenda sudtirolese come, fra l'altro, il
censimento etnico del 1981 pesarono molto la storia dei suoi genitori, la
sua esperienza giovanile fra Vipiteno e Bolzano, la sua incrollabile
determinazione a perseguire la strada della convivenza e il coraggio di chi
sapeva rischiare anche situazioni di grave isolamento pur di indicare con
chiarezza una direzione di marcia giudicata come la piu' giusta.
*
- Gianfranco Benincasa: Langer come giustamente sottolineato e' stato uno
dei promotori del movimento verde in Italia. Oggi il sole che ride sembra
soffrire di una crisi d'identita'. Da una parte e' forza di governo,
dall'altra di opposizione, e questo, a ben vedere, non sempre fa bene agli
ecologisti. Mancano poi figure chiave nel movimento in grado di rilanciarne
l'azione che, oggettivamente, sembra essersi un pochino esaurita. Che ne
pensa? Servirebbe oggi Alexander Langer a questo paese? Se si', come?
- Fabio Levi: Langer saprebbe senz'altro offrire un contributo molto utile
all'Italia e - forse ancor piu' - all'Europa di oggi. Dico dell'Europa anche
perche', dopo essere stato uno dei primi a promuovere le idee verdi nel
nostro paese, Alex Langer ha progressivamente maturato un certo distacco
dalla pratica politica - direi meglio partitica - delle formazioni
ecologiste che non sentiva fino in fondo sua. Tutto questo si e'
accompagnato a un impegno sempre piu' coinvolgente nei grandi problemi che
hanno investito l'intero continente dopo la caduta del muro di Berlino.
*
- Gianfranco Benincasa: Langer e' stato sempre contro la guerra e le guerre
e si e' schierato duramente contro quella nella ex Jugoslavia. Da poco la
Corte Internazionale di giustizia dell'Aja ha deliberato che la strage di
Srebrenica (11.000 persone massacrate, anziani, donne, bambini, una delle
peggiori atrocita' dopo quelle del secondo conflitto mondiale) fu genocidio,
ma ha anche detto che Belgrado e quindi lo stato serbo in quanto tale non
puo' essere ritenuto responsabile di quanto successo. Secondo Lei Langer
come avrebbe accettato questa decisione?
- Fabio Levi: Non penso sia giusto attribuire a Langer giudizi che non puo'
piu' dare. Anche se siamo tutti tentati di fare una cosa del genere,
soprattutto se consideriamo l'originalita' delle sue posizioni nel corso del
conflitto in ex Jugoslavia: il suo sforzo, malgrado tutto, per tessere
legami fra esponenti dei diversi popoli in guerra, la sofferenza con cui
ritenne alla fine di dover chiedere un intervento limitato ma armato da
parte delle potenze europee per porre un argine alle aggressioni e alle
stragi. D'altra parte non e' casuale la stretta vicinanza temporale fra la
morte di Langer e la strage avvenuta a Srebrenica solo qualche giorno dopo.
E' come se quei due avvenimenti fossero accomunati dall'ombra paurosa che
dominava l'intera Europa nel punto piu' terribile della crisi balcanica. A
Langer la notizia della strage di Srebrenica e' stata risparmiata, anche se
egli era perfettamente consapevole delle dinamiche che ne sono state
all'origine, comprese le responsabilita' dello stato e delle milizie serbe e
la colpevole indifferenza degli altri paesi europei.
*
- Gianfranco Benincasa: Quanto manca l'uomo e il politico Langer a questo
paese dove la politica sembra davvero aver perso la bussola?
- Fabio Levi: E' sin troppo banale dire che manca molto. Lo e' forse un po'
meno aggiungere che non manca per niente a chi ha precise responsabilita'
per aver confiscato la politica a proprio vantaggio.

6. PROPOSTA. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Si puo' destinare la quota del 5 per mille dell'imposta sul reddito delle
persone fisiche, relativa al periodo di imposta 2006, apponendo la firma
nell'apposito spazio della dichiarazione dei redditi destinato a "sostegno
delle organizzazioni non lucrative di utilita' sociale" e indicando il
codice fiscale del Movimento Nonviolento: 93100500235; coloro che si fanno
compilare la dichiarazione dei redditi dal commercialista, o dal Caf, o da
qualsiasi altro ente preposto - sindacato, patronato, Cud, ecc. - devono
dire esplicitamente che intendono destinare il 5 per mille al Movimento
Nonviolento, e fornirne il codice fiscale, poi il modulo va consegnato in
banca o alla posta.
Per ulteriori informazioni e per contattare direttamente il Movimento
Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212,
e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

7. LIBRI. MIGUEL MELLINO PRESENTA "WARS OF POSITION" DI TIMOTHY BRENNAN
Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 aprile 2007 riprendiamo il seguente
articolo li' apparso col titolo "Gramsci. Un'opera aperta sul divenire del
mondo".
Miguel Mellino, studioso argentino da tempo residente in Italia, dottore di
ricerca in scienze etnoantropologiche, svolge attivita' didattica e di
ricerca presso la cattedra di antropologia culturale dell'Universita'
Orientale di Napoli; si occupa di studi postcoloniali, cultural studies e di
ricerca antropologica sulle societa' complesse, in particolare sulle
migrazioni, sul razzismo e sul multiculturalismo; per la casa editrice
Meltemi ha tradotto e curato l'edizione italiana di The Black Atlantic.
Modernita' e doppia coscienza, di Paul Gilroy, e Il soggetto e la
differenza, di Stuart Hall. Opere di Miguel Mellino: La critica
postcoloniale. Decolonizzazione, capitalismo e cosmopolitismo nei
postcolonial studies, Meltemi, 2005.
Timothy Brennan e' docente di letterature comparate presso la University of
Minnesota, si occupa di tematiche postcoloniali con particolare riguardo ai
suoi legami con l'Europa ed e' considerato tra i piu' qualificati studiosi
americani di Gramsci. Tra le opere di Timothy Brennan: Salman Rushdie and
the Third World (1989); At Home in the World: Cosmopolitanism Now (1997).
Antonio Gramsci nacque ad Ales, in provincia di Cagliari, nel 1891. Muore a
Roma il 27 aprile 1937. La sua figura e la sua riflessione, dal buio del
carcere fascista, ancora illumina la via per chi lotta per la dignita'
umana, per un'umanita' di liberi ed eguali. Opere di Antonio Gramsci:
l'edizione critica completa delle Opere di Antonio Gramsci e' ancora in
corso di pubblicazione presso Einaudi. E' indispensabile la lettura delle
Lettere dal carcere e dei Quaderni del carcere. Opere su Antonio Gramsci:
nell'immensa bibliografia gramsciana per un avvio si vedano almeno le
monografie di Festa, Fiori, Lajolo, Lepre, Paladini Musitelli, Santucci,
Spriano. Un utile strumento di lavoro e' l'edizione ipertestuale dei
Quaderni del carcere in cd-rom a cura di Dario Ragazzini, Einaudi, Torino
2007, ed anche in supplemento a "L'unita', Nuova iniziativa editoriale, Roma
2007. Alcuni siti utili: www.fondazionegramsci.org e www.gramscitalia.it]

Nel mondo anglosassone, i rapporti tra marxismo e studi postcoloniali non
sono mai stati ne' semplici ne' distesi. Benche' negli ultimi anni sempre
piu' autori abbiano dedicato i loro sforzi alla traduzione, mediazione tra i
due campi, alla costruzione di una problematica antagonista comune, le prove
di un dialogo non facile e di un confronto talvolta carico di veleni
abbondano. Inutile aggiungere poi che i toni tendono a diventare piu' accesi
proprio quando si tratta di affrontare questioni politiche legate ad alcuni
degli autori - da Walter Benjamin a Frantz Fanon, da C.L.R James a Antonio
Gramsci - considerati ormai a torto o a ragione come costitutivi di entrambe
le prospettive. Ne e' un esempio l'ultimo lavoro di Timothy Brennan,
significativamente intitolato Wars of Position. The Cultural Politics of
Left and Right (New York, Columbia University Press). Professore di
Letterature Comparate e di Cultural Studies all'Universita' del Minnesota,
Brennan e' da tempo impegnato nella critica politica della produzione
intellettuale delle Humanities anglo-american.
La chiara allusione a Gramsci nel titolo costituisce un primo indizio sulla
collocazione politica (marxista) dell'autore, ma soprattutto del suo
obiettivo: un'analisi gramsciana del Kulturkampf attraverso cui prendono
forma nelle fabbriche del sapere anglo-americane gli studi letterari ed
umanistici. Brennan parte da domande molto semplici, tratte da un vissuto
quotidiano. Perche' all'interno del mondo universitario statunitense puo'
accadere che programmi d'esame o prestigiosi cataloghi editoriali ci
presentino tranquillamente il filosofo marxista Henri Lefebvre come uno dei
pionieri della metodologia post-strutturalista nell'analisi della citta'?
Perche' puo' capitare di assistere a seminari in cui Bachtin, noto
anti-formalista, viene analizzato come un altro degli esponenti del
formalismo russo? Infine, perche' puo' sembrare cosi' naturale a critici e
professori parlare di Gramsci come di uno dei massimi nemici storici della
filosofia hegeliana e della dialettica, come di un autore piu' in sintonia
con Foucault e con Deleuze che con il marxismo novecentesco?
*
Da teoria a precetto etico
Per Brennan non si tratta di errori individuali o di sciatteria
intellettuale. La questione e' ben piu' seria. Dalla fine degli anni
Settanta, dopo la sconfitta mondiale dei movimenti e in concomitanza con
l'ascesa violenta del neoliberismo, nelle Humanities anglo-americane
"teoria" e' divenuto per l'intellighentsia di sinistra sinonimo di
post-strutturalismo. Ma di un post-strutturalismo, sostiene l'autore, che ha
poco a che vedere con il radicalismo espresso, per esempio, dalla
schizoanalisi di Deleuze, dalla critica della metafisica di Derrida o
dall'attacco frontale di Baudrillard alla cultura di massa. Si tratta invece
di una semplice traduzione del radicalismo francese del dopo Sessantotto
entro lo schema ideologico della "religione americana del middle-way",
ovvero di un movimento che ha ridotto la "teoria" a un elenco banale e
ripetitivo non tanto di categorie conoscitive quanto di "precetti ormai
puramente etici" (nomadismo, subalternita', differenza, ecc) compatibili con
la logica neoliberista del capitalismo contemporaneo.
Brennan conclude polemicamente che siamo di fronte a una sorta di
"catechismo post-strutturalista" in cui i significati (davvero soft)
attribuiti ai principi della differenza, del pluralismo, dell'ibridazione e
dell'affirmative action hanno finito per confondersi con i valori
tradizionali del dogma liberale americano del middle-way (individualismo,
anti-statalismo, anti-comunismo, anti-collettivismo, diritto
all'auto-imprenditorialita' e alla proprieta' privata) e perfino con il
culturalismo o fondamentalismo identitario promosso dalla nuova destra
cristiana, in quanto non hanno fatto che legittimare la trasfigurazione di
"comunita' politiche secolari" in "comunita' ontologiche".
In sintesi, per Brennan, poiche' da tempo nella vita pubblica degli Stati
Uniti non c'e' piu' spazio per un dissenso davvero antagonista (che non
riguardi questioni meramente religiose, culturali o etniche), l'egemonia di
questo tipo di teoria nei settori chiave della produzione intellettuale ha
sancito non solo una vera e propria sconfitta della sinistra nella "guerra
di posizione", ma si e' anche configurata come un potente velo ideologico
capace di distorcere sistematicamente l'approccio agli autori e alle
questioni teoriche del passato. In particolare, a tutto quanto abbia a che
fare con la tradizione marxista precedente al Sessantotto.
La tesi di Brennan non e' certo nuova. Il pregio del suo lavoro sta nella
disamina di una serie davvero impressionante di temi (globalizzazione,
imperialismo, cosmopolitismo) e di autori (Heidegger, Nietzsche, Agamben,
Negri, Hall) centrali nel dibattito tra marxismo e postcolonialismo.
Purtroppo il piu' delle volte Brennan si ferma sull'uscio della porta: le
sue critiche non vengono legate all'analisi di oggetti concreti. Le uniche
eccezioni riguardano le pagine dedicate a Gramsci e a Said. Ironicamente
intitolato The Southern Intellectual (poiche' proietta tutta la critica
gramsciana dell'intellettuale meridionale su quello postcoloniale), il
capitolo sull'uso di Gramsci all'interno della critica postcoloniale
presenta diversi punti di interesse.
Innanzitutto offre una ricostruzione piuttosto aggiornata del percorso degli
studi gramsciani nel mondo anglosassone e anche in America Latina. In
secondo luogo, Brennan si sofferma a lungo su uno dei punti chiave (nel bene
e nel male) di tutta la vicenda: il modo in cui l'interpretazione
althusseriana di Gramsci ha surdeterminato il gramscismo oggi piu' popolare
all'interno degli Studi culturali e postcoloniali. Riassumendo, la sua tesi
e' che nel mondo anglosassone vi sono due diversi tipi di gramscismo. Il
primo, nato nei primi anni Settanta dal dibattito sull'eurocomunismo, appare
fortemente influenzato dalla "lettura sintomale" che di Gramsci fece
Althusser e ha in figure come Ernesto Laclau, Chantal Mouffe, Stuart Hall e
Parta Chatterjee alcuni tra i suoi principali promotori.
Brennan accusa questo filone post-marxista e postcoloniale di aver costruito
un'immagine riformista, liberale e postmoderna di Gramsci piuttosto
fuorviante. Attraverso l'estrapolazione decontestualizzata di quattro soli
concetti - egemonia, subalterno, rivoluzione passiva, senso comune - e
mediante un'identificazione del tutto istintiva non tanto con l'opera
gramsciana quanto con la biografia personale dell'intellettuale sardo
(ridisegnata a immagine e somiglianza dell'intellettuale postcoloniale,
diasporico, periferico e in lotta contro un marxismo troppo eurocentrico ed
economicista) questi autori sarebbero stati tra i principali fautori di un
gramscismo un po' a' la mode, ovvero a uso e consumo di quell'etica
post-strutturalista dominante e capace di sussumere qualsiasi cosa entro la
propria weltanschauung moderata.
Ad aprire la strada a questo gramscismo post-strutturalista - per Brennan -
e' stato senza dubbio Althusser, il quale, al di la' del suo antistoricismo,
non fece mai mistero di "voler proseguire il progetto incompiuto di
Gramsci": un progetto che egli lesse come rifiuto della dialettica
hegeliana, fortemente atipico rispetto al marxismo della Terza
Internazionale, promotore della filosofia come praxis e creatore di un
linguaggio specifico capace di suggerire la materialita' e la relativa
autonomia della sfera sovrastrutturale. Secondo Brennan, dunque, questa
lettura sintomale di Althusser ha creato una serie di distorsioni del
pensiero gramsciano destinate poi a perpetuarsi nel post-marxismo di Laclau
e Mouffe, nella critica postfordista di Hall, ma anche all'interno di una
parte dei Subaltern Studies indiani.
Il secondo insieme di studi gramsciani identificato da Brennan non e' un
filone vero e proprio, ma e' costituito da una serie di studi e di autori
molto diversi tra loro (dall'opera di Said fino ad arrivare alle ricerche di
Joseph Buttigieg, Frank Rosengarten, Richard Bellamy, David Forgacs e Anne
Showstack Sassoon) che hanno il merito di aver restituito un'interpretazione
del pensiero di Gramsci piu' rigorosa e storicamente fondata. E' da qui che,
secondo Brennan, dovrebbero ripartire gli studi postcoloniali: potrebbe
essere l'occasione giusta sia per superare l'idea di un'estraneita' radicale
del pensiero di Gramsci rispetto ai marxisti del suo tempo, sia per riaprire
il dialogo tra marxismo e postcolonialismo su basi nuove. Poiche' molte
delle questioni tipicamente postcoloniali - colonialismo, nazionalismo,
storicismo, eurocentrismo - sono davvero costitutive dell'archivio marxista
venuto alla luce tra le due guerre mondiali.
*
L'impossibile filologia
Contro Brennan, pero', va detto che occorre lavorare anche in senso
contrario: molte delle istanze aperte dal postcolonialismo non possono
essere declassate come qualcosa di deja' vu. Non basta parlare in modo
elitario di distorsioni che si tramandano di autore in autore; non basta
(piu') ribadire continuamente che il Gramsci degli Studi Postcoloniali e'
emerso da una conoscenza frammentaria e approssimativa dei Quaderni o degli
altri suoi scritti; e non bastano piu' analisi comparative in astratto dei
significati che gli uni e gli altri attribuiscono ad alcune delle nozioni
gramsciane piu' note. Soprattutto perche' nessuno all'interno dei Cultural
Studies o degli Studi Postcoloniali si e' mai proposto come gramsciano tout
court o come filologo della sua opera.
Negli esempi migliori (Hall, Chatterjee, Guha, ecc.) la cassetta degli
attrezzi gramsciana e' stata aperta per cercare di dire qualcosa di piu' su
alcuni dei fenomeni piu' pregnanti dei nostri tempi: sull'ascesa del
thatcherismo in Gran Bretagna o sul modo in cui capitalismo, razzismo e
imperialismo operano, si trasformano e si intersecano nei diversi contesti
storici e spaziali (Hall), sulle contraddizioni del nazionalismo e dello
stato indiano postcoloniale (Chatterjee) e sull'esperienza delle masse
subalterne in India (Guha). Per dirla con Hall: e' nel merito della loro
applicazione "congiunturale" (in riferimento al (s)oggetto particolare che
ne ha sollecitato l'uso) che occorre valutare l'appropriazione (comunque
indebita) di categorie e concetti. E' questo forse il modo migliore di
mettere a valore quel tradimento che ogni traduzione comporta.

8. RIEDIZIONI: GUY DEBORD: LA SOCIETA' DELLO SPETTACOLO
Guy Debord, La societa' dello spettacolo, Massari Editore, Bolsena (Viterbo)
2002, pp. 192, euro 8. A cura (introduzione, traduzione e apparati) di
Pasquale Stanziale, una recente edizione italiana del capolavoro
situazionista: un'opera che ogni volta che la rileggi nuovamente ti
appassiona ed interroga, scintillante e acuminata. Per richieste alla casa
editrice: Massari Editore, casella postale 144, 01023 Bolsena (Vt), e-mail:
erre.emme at enjoy.it, sito: www.enjoy.it/erre-emme

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 102 del 27 maggio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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