Minime. 105



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 105 del 30 maggio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Un nesso
2. Giovanna Boursier ricorda Vania de Gila Kochanowski
3. Programma del convegno su "La pedagogia di Aldo Capitini tra profezia e
liberazione", Pienza, 5-7 ottobre 2007
4. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
5. Guido Franzinetti presenta la "Storia del Gulag" di Oleg Chlevnjuk
6. Letture: Adys Cupull, Froilan Gonzalez, Marti' nel Che
7. Letture: Guido Viale, Vita e morte dell'automobile
8. Riletture: Ashley Montagu, Il buon selvaggio
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. UN NESSO

La politica belligerante, riarmista e militarista del governo e del
parlamento italiano.
E la crescente egemonia anche nel nostro paese di pulsioni razziste e
assassine, di una nuova cupa feroce demente anomica fascistizzazione del
discorso pubblico e dei privati costumi, dell'ideologia e delle condotte,
delle strutture e dei poteri.
Non sono due cose separate.
Pace e democrazia sono unite in un nesso inscindibile. La guerra porta il
fascismo.
*
Cessi l'illegale e criminale partecipazione italiana alla guerra terrorista
e fascista in Afghanistan, cessi ogni complicita' dello stato italiano con
la guerra e il terrorismo.
Cessi l'attuale scellerata politica governativa italiana riarmista e
militarista, imperialista e razzista, complice e alimentatrice di
terrorismi.
La democrazia si difende con la democrazia, la pace si costruisce con la
pace.
Pace, disarmo, smilitarizzazione dei conflitti, dei territori, delle
strutture, dlele logiche, della vita quotidiana. Riaffermazione della
legalita' intesa a salvare le vite e promuovere la convivenza.
La scelta della nonviolenza e' il criterio e la via.

2. LUTTI. GIOVANNA BOURSIER RICORDA VANIA DE GILA KOCHANOWSKI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 maggio 2007.
Giovanna Boursier e' una studiosa che ha dedicato particolare attenzione ed
importanti ricerche alla storia e alla cultura dei rom, ed allo sterminio
nazista.
Vania de Gila Kochanowski, nato in Polonia nel 1920, ex deportato, sociologo
e linguista, impegnato per i diritti dei rom, e' deceduto a Parigi pochi
giorni fa]

La sua storia la raccontava con rabbia e dolore nel giardino di una casa di
pietra nella campagna parigina, un luogo delizioso in un paese che si chiama
Congerville, dove c'era la sede della Romano Yekhipe, l'associazione per la
difesa del suo popolo, i rom, che aveva fondato trenta anni fa insieme a
Huguette Tanguy, l'amica di una vita dalla quale spesso si ritirava a
studiare e discutere. Seduto la' fuori, sulla sua poltrona di vimini, Vania
de Gila Kochanowski ci stava per ore, a leggere, ascoltare musica e parlare
con chi voleva ascoltarlo. Era un uomo vivace e un intellettuale raffinato.
E' stato anche un amico del "Manifesto". Ci ha lasciati qualche giorno fa.
E' morto a Parigi, la sua terra adottiva dove si era stabilito dopo la
seconda guerra mondiale, dopo gli orrori che aveva dovuto subire e che hanno
segnato tutta la sua vita.
Da anni, in Francia, si divideva tra la lotta per i diritti dei rom, gli
studi e la scrittura. Infaticabile, e' stato uno dei primi rom ad ottenere
due lauree, una all'inizio degli anni '60, in studi linguistici, e la
seconda in etnosociologia. Diventato professore, ha contribuito in maniera
unica e significativa a diffondere la storia e la cultura dei rom per
affermarne il valore. Insisteva sulla necessita' del riconoscimento in tutto
il mondo della loro lingua, il romanes, dalle antichissime origini indiane
che Vania sapeva documentare e spiegare con precisione, conoscendo anche
gran parte dei dialetti del romanes, di cui studiava le contaminazioni.
Cercava, quindi, di tramandare una cultura per difenderla da quello che
definiva un vero "sterminio culturale".
Nato in Polonia nel 1920, al momento dell'occupazione nazista era iscritto
al primo anno di universita'. Suo padre era ufficiale dell'Armata Rossa e
mori' combattendo nel 1942. Vania ricordava quando i nazisti arrivarono nel
suo villaggio e rinchiusero tutti i rom in una sinagoga. Lui, che parlava
piu' di una lingua, era una specie di portavoce e trattava con il comando
tedesco. Un giorno, tornando al villaggio, trovo' la sinagoga incendiata e
gran parte del suo clan e della sua famiglia sterminati. Venne arrestato e
deportato vicino a Leningrado dove fu condannato ai lavori forzati. Riusci'
a scappare ma venne di nuovo catturato e deportato in vari campi, prima in
Lettonia, poi in Lituania, fino ad arrivare, nel 1944, nel campo francese di
Beauregard, dal quale riusci' di nuovo a fuggire per unirsi ai partigiani
nel nord della Francia. Combatte' con i francesi e con gli alleati e, alla
liberazione, fu insignito di un'onorificenza dall'esercito inglese, di cui
andava molto fiero. Poi decise di restare in quella che gli sembrava la
patria dei diritti dell'uomo, la Francia. Per continuare a lottare e
resistere per tutta la sua vita.
Spesso, dopo quei suoi racconti in giardino, era cosi' stanco che si
addormentava, la' fuori. Dopo un po' potevi svegliarlo e a volte, se glielo
chiedevi, avere il privilegio di vederlo ballare, come aveva fatto per tanti
anni in gioventu', quando era stato uno dei piu' celebri danzatori rom nei
cabaret parigini del dopoguerra. Allora, nonostante i suoi ottant'anni,
frugava serio in un baule dove conservava i suoi costumi, ne indossava uno,
metteva la musica di Beethoven o di Schubert, restava qualche minuto in
silenzio con gli occhi chiusi e poi danzava come se gli anni non fossero
trascorsi. Batteva i passi rom sul pavimento, li ripeteva e te li illustrava
spiegando che erano stati i rom a portare gran parte della danza e della
musica classica in occidente. Vederlo e ascoltarlo era una grande emozione.
Anche perche' faceva ogni cosa con rispetto e attenzione per chi gli stava
intorno. Introducendolo nel suo mondo romantico che smussava la durezza dei
fatti. Perche' Vania era, prima di tutto, un uomo umile e coraggioso, in
lotta con il mondo per affermare umanita' e diritti che continuava a veder
calpestati e violentati. Lo ha fatto con tenacia, denunciando e rompendo
relazioni con chi strumentalizzava il problema dei rom per ottenere fondi o
prestigio, le varie associazioni che prendono la parola al posto dei diretti
protagonisti - i rom appunto - in un'ottica caritatevole che Vania
detestava. Del suo prestigio lui, davvero, non ha mai approfittato, nemmeno
quando avrebbe potuto. Si e' sempre battuto contro la corruzione materiale e
intellettuale, con grande coerenza che gli e' costata sacrifici, solitudine
e difficolta' economiche. Abitava una piccola casa di Parigi circondato solo
dai suoi libri e dalle persone con cui condivideva lealta' e rispetto, per
le quali metteva a disposizione tutto cio' che aveva. Compresa la sua storia
e i suoi ricordi, i libri che scriveva, le sue passeggiate in luoghi
nascosti e sconosciuti della citta'.
Vania De Gila Kochanowski ha lottato duramente anche per il riconoscimento
dello sterminio dei rom durante il periodo nazifascista e si devono a lui
gran parte degli studi emersi in Francia e la creazione dell'International
Indo-Romani Cultural Centre (Cicr). Della sua storia personale durante la
guerra parlava raramente e certe volte lo faceva in modo indiretto,
improvvisamente, come quando, prima di sedersi a tavola mentre Huguette
preparava la cena, raccontava la fame durante la prigionia dicendo quante
volte, nel campo, aveva immaginato una frittata. Il desiderio piu' grande,
diceva.
Dal 1955 e' stato membro della Societa' dei linguisti di Parigi e dal 1988
plenipotenziario della Romani Union all'Unesco. Era sempre presente a tutti
gli incontri e convegni sui rom e apprezzato dal suo popolo in tutto il
mondo. Ci ha lasciato un enorme lavoro. Firmava i suoi scritti con nomi
diversi: Jan Kochanowski, quando sceglieva il nome con il quale era
registrato all'anagrafe, Vania De Gila, quando optava per quello di sua
madre, o Vania de Gila Kochanowski. Tra i suoi libri piu' recenti Parlons
Tsigane, Precis de la langue romani litteraire, Le roi de serpente e La
priore des loups, racconti, romanzi e saggi mai pubblicati in italiano.
Se gli chiedevi cosa pensasse delle politiche italiane verso i rom
rispondeva sorridendo: "sono assurde, ma non mi stupiscono. Fanno parte di
una tradizione assimiliazionista, di quello che io chiamo sterminio
culturale e che non puo' che produrre effetti devastanti non solo sul nostro
popolo ma anche sul vostro".

3. INCONTRI. PROGRAMMA DEL CONVEGNO SU "LA PEDAGOGIA DI ALDO CAPITINI TRA
PROFEZIA E LIBERAZIONE", PIENZA, 5-7 OTTOBRE 2007
[Da Luciano Capitini (per contatti: capitps at libero.it) riceviamo e
diffondiamo il programma aggiornato del convegno su Aldo Capitini che si
terra' a Pienza dal 5 al 7 ottobre 2007.
Luciano Capitini e' impegnato nel Movimento Nonviolento, nell'associazione
nazionale "Amici di Aldo Capitini", nella Rete di Lilliput e in numerose
altre esperienze e iniziative nonviolente; persona di straordinaria mitezza
e disponibilita' all'ascolto e all'aiuto, ha condotto a Pesaro una
esperienza di mediazione sociale nonviolenta; e' tra i coordinatori della
campagna "Scelgo la nonviolenza".
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato
il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996;
segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri,
Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti (a
cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della
nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)
sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di
Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di
un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90
e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui
apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un
volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione
ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo
Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il
messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno:
Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di),
Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988;
Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini.
Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi
Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova
Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume
monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante,
La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un
profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze
2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze
2005; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi,
Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una
bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito
citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito
dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it,
altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un
altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a
Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni:
l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803,
fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it o anche
redazione@nonviolenti:org, sito: www.nonviolenti.org]

L'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini, il Comune di Pienza, il
Movimento Nonviolento, con il patrocinio della Provincia di Siena e della
Regione Toscana, indicono  un convegno che si terra' il 5-7 ottobre 2007 a
Pienza su "La pedagogia di Aldo Capitini tra profezia e liberazione".
*
Anche in Italia in questi ultimi anni si sono registrati interessi diffusi
ed adesioni pubbliche alla nonviolenza. Hanno sicuramente contribuito a tale
attenzione gli studi e le pubblicazioni su Aldo Capitini, fondatore e padre
della nonviolenza in Italia.
L'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini ed il Movimento Nonviolento
intendono portare un ulteriore contributo a tale conoscenza ed a tale
approfondimento, promuovendo un convegno su un aspetto della riflessione e
dell'impegno di Aldo Capitini fino ad oggi non adeguatamente affrontato ed
indagato: la riflessione e l'impegno per l'educazione aperta.
La scelta e' di mettere a fuoco, in tale ambito, la specificita',
l'originalita' e la profondita' dei contributi di Aldo Capitini.
Il convegno si avvarra' dell'apporto di studiosi, di ricercatori, e di
esperti portatori tutti di competenze specifiche sia negli intrecci tra la
pedagogia e gli altri momenti del pensiero di Capitini, sia nei rapporti con
i temi ed i protagonisti piu' significativi della pedagogia italiana del
Novecento.
Il convegno si svolgera' a Pienza, bellissima ed ospitale cittadina, dove ci
riuniremo la sera del 5 ottobre (venerdi') per un saluto e la presentazione
dei lavori, che avranno poi luogo - in un suggestivo edificio (l'ex
Conservatorio S. Carlo) - il giorno successivo, sabato 6. La mattina del 7
(domenica) sara' a disposizione di coloro che vorranno trattenersi per
continuare il dibattito e presentare interventi scritti (da allegare agli
atti che verranno pubblicati) - molti vorranno invece trasferirsi a Perugia,
da dove partira' quella domenica la marcia della pace.
Il Movimento Nonviolento e l'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini
ringraziano fin d'ora tutte le amministrazioni - ed in primo luogo il Comune
di Pienza - e quanti stanno a vario titolo sostenendo questo loro impegno.
*
5 ottobre
La sera del 5 ottobre si terra' un incontro con i cittadini e con i
rappresentanti delle istituzioni ed amministrazioni locali, in tale
occasione il prof. Mario Martini, dell'Universita' di Perugia, facolta' di
filosofia, terra' una relazione sul "La persona ed il pensiero di Aldo
Capitini"; seguira' un intrattenimento musicale, di cui daremo notizia piu'
avanti.
*
6 ottobre
Ad oggi possiamo annoverare tra i relatori  che esporranno i loro interventi
nella giornata di sabato 6 ottobre dalle ore 10 alle 13, e poi dalle 15 alle
18,30 (con pausa per un leggero pranzo conviviale):
- F. Cambi, professore ordinario dell'Universita' di Firenze: "Aldo Capitini
e la pedagogia della comunicazione";
- L. Santelli, professore ordinario dell'Universita' di Bari: "Non solo
parole. La pedagogia dell'impegno di Aldo Capitini";
- M. Pomi, pedagogo, dirigente scolastico, assessore alla cultura della
pace: "L'educazione aperta di Aldo Capitini. Un progetto pedagogico di
tramutazione nonviolenta";
- T. Pironi, professore associato dell'Universita' di Bologna: "La proposta
educativa di Aldo Capitini nella societa' italiana del secondo dopoguerra";
- M. Soccio, "L'educazione di se stessi in Aldo Capitini";
- R. Pompeo, Movimento Nonviolento - Centro studi e documentazione per la
nonviolenza: "L'impegno e l'opera di Aldo Capitini per una scuola pubblica,
laica, aperta, nonviolenta";
- Adriana Croci, allieva di Aldo Capitini, poi dirigente scolastica:
"L'integrazione scolastica dei diversamente abili attraverso il contributo
di aperturta religiosa di Aldo Capitini".
Conduce la sessione delle relazioni il dottor Lanfranco Mencaroni.
*
7 ottobre
Nella giornata conclusiva, domenica 7 ottobre, dalle ore 9,30 alle 12,30,
verranno presentate brevi relazioni, testi e contributi scritti:
- G. Moscati, dottore di ricerca in filosofia, Perugia: "Una realta' da
liberare. Radici coevolutive di etica e politica in Aldo Capitini";
- G. Falcicchio, ricercatrice in Pedagogia, Universita' di Bari: "Il
fanciullo e' il figlio della festa. La relazione educativa in Aldo
Capitini";
- C. Foppa Pedretti, docente di Pedagogia, Universita' cattolica del Sacro
Cuore, Milano: "Il contributo di Aldo Capitini al dialogo interreligioso
nella prospettiva dell'incontro tra Oriente e Occidente";
- M. Catarci, ricercatore, Universita' degli Studi Roma III: "Educazione
alla cittadinanza e scuola aperta in Aldo Capitini";
- F. Curzi, autrice del volume "Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo
Capitini": "Imparare l'amore. Il cuore filosofico della pedagogia
capitiniana";
- A. Tortoreto, dottore di ricerca in filosofia, Perugia: "L'arte come
liberazione e il suo valore educativo nella riflessione capitiniana".
*
Le relazioni ed i contributi verranno raccolti in un volume prodotto a cura
dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini, con il sostegno della
Provincia di Siena.
La segreteria scientifica del convegno e' affidata alla professoressa
Gabriella Falcicchio.
Sede di tutti gli incontri: sala convegni comunale, ex-conservatorio S.
Carlo.
Per notizie logistiche o prenotazioni: Ufficio per il turismodel  Comune di
Pienza, tel. 0578749905.

4. PROPOSTA. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Si puo' destinare la quota del 5 per mille dell'imposta sul reddito delle
persone fisiche, relativa al periodo di imposta 2006, apponendo la firma
nell'apposito spazio della dichiarazione dei redditi destinato a "sostegno
delle organizzazioni non lucrative di utilita' sociale" e indicando il
codice fiscale del Movimento Nonviolento: 93100500235; coloro che si fanno
compilare la dichiarazione dei redditi dal commercialista, o dal Caf, o da
qualsiasi altro ente preposto - sindacato, patronato, Cud, ecc. - devono
dire esplicitamente che intendono destinare il 5 per mille al Movimento
Nonviolento, e fornirne il codice fiscale, poi il modulo va consegnato in
banca o alla posta.
Per ulteriori informazioni e per contattare direttamente il Movimento
Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212,
e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

5. LIBRI. GUIDO FRANZINETTI PRESENTA LA "STORIA DEL GULAG" DI OLEG CHLEVNJUK
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 maggio 2007.
Guido Franzinetti e' ricercatore presso la Facolta' di scienze politiche
dell'Universita' del Piemonte Orientale. Opere di Guido Franzinetti: I
Balcani 1878-2001, Carocci, Roma 2001; "La crisi del 1980-'81, col senno di
prima", in E. Jagolla e G. Meardi (a cura di), Solidarnosc venti anni dopo.
Analisi, testimonianze e eredita', Rubbettino: Soveria Mannelli 2002;
"Diritti e conflitti: Irlanda del Nord, Cipro e Fyrom", in M. C. Ercolessi
(a cura di), Stati e micropolitica dei conflitti, L'Ancora del Mediterraneo:
Napoli 2002; "Economic Reform in Uzbekistan and Central Asia: Some
Hypotheses", in Giampiero Bellingeri e Giovanni Pedrini (a cura di), Central
Asia. A decade of Reforms, Centuries of Memories, Olschki, Firenze 2003;
"Greater Albania, Little Albanianism and Albanian identities", in A.
Basciani e A. Tarantino (a cura di), L'Europa d'oltremare, Bagatto Libri,
Roma 2004; "I conflitti balcanici e le "nuove guerre"", in W. Bonapace e M.
Perino (a cura di), Srebrenica, fine secolo. Nazionalismi, intervento
internazionale, societa' civile. Dieci anni dopo., Isra, Asti 2005.
Oleg Chlevnjuk (1956) e' ricercatore presso l'Archivio di Stato della
Federazione russa; le sue opere di storia sovietica sono state tradotte
negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Francia e Germania. Opere di Oleg
Chlevnjuk: Storia del Gulag. Dalla collettivizzazione al grande terrore,
Einaudi, Torino 2006]

Dietro l'acronimo Gulag si cela la Glavnoe Upravlenie Lagerej, e cioe' la
"Direzione centrale dei campi" gestiti dalla polizia politica sovietica,
l'Ogpu-Nkvd. Fu questo - come spiega Jacques Rossi nell'utilissimo Manuale
del Gulag. Dizionario storico, uscito nei mesi scorsi per L'ancora del
mediterraneo (pp. 352, euro 18) - il nuovo nome assunto dall'amministrazione
dei campi di concentramento dell'Ogpu dell'Urss nel 1930, quando la loro
denominazione muto' in "campi di lavoro correzionale". Ma nel lessico
europeo la parola comincio' a entrare solo a partire dal 1973, con la
pubblicazione - dapprima in russo a Parigi, poi rapidamente nelle altre
lingue - di Arcipelago Gulag di Aleksander Solzhenicyn. L'opera fu accolta
nell'Europa occidentale con reazioni contrastanti, in cui prevalevano
comunque la diffidenza, il sospetto e anche l'ironia.
*
Testimonianze di prima mano
A distanza di oltre trent'anni non manca di suscitare una certa sorpresa il
fatto che lo storico Robert Conquest sia stato scelto per firmare la
prefazione all'importante volume di Oleg Chlevnjuk, Storia del Gulag. Dalla
collettivizzazione al Grande terrore (pp. 398, euro 44), da poco uscito per
una casa editrice come Einaudi, che nel corso degli anni ha rappresentato un
punto di riferimento per la sinistra italiana. Sarebbe utile capire come
mai, nonostante Conquest sia autore di numerosi studi sul terrore
staliniano - primo fra tutti Il grande terrore. Le "purghe" di Stalin negli
anni Trenta (1968, trad. it. 1970) - abbia dovuto attendere cosi' a lungo
questo sdoganamento, prematuro nel '70, e poi ancora nel 1986, data di
uscita del suo fondamentale libro sulla collettivizzazione e sulla carestia
in Ucraina Raccolto di dolore. Collettivizzazione sovietica e carestia
terroristica (pubblicato anch'esso tardivamente in Italia, nel 2004, per le
edizioni della Fondazione Liberal).
I campi sovietici erano in realta' noti da tempo. Le stesse fonti ufficiali
sovietiche ne ammettevano l'esistenza, pur cercando di offuscarne la vera
natura. Sulla realta' dei Gulag erano infatti sempre esistite testimonianze:
nella sua prefazione Conquest afferma che "gia' alla fine degli anni
Quaranta si aveva notizia di numerosi resoconti di prima mano", e ricorda il
libro di Dallin e Nikolajevskij del 1947 (Forced Labor in Soviet Russia, che
descriveva centoventicinque campi e conteneva una corposa bibliografia di
testi dedicati, gia' a partire dagli anni Trenta, alla realta'
concentrazionaria sovietica. Una realta' pubblicamente riconosciuta in Urss
dopo il '56, e soprattutto dopo il '62, con la pubblicazione del racconto di
Solzhenicyn Una giornata di Ivan Denisovic.
*
La stima delle vittime
Cosa rimaneva da scoprire quindi, alla vigilia della progressiva apertura
degli archivi sovietici a meta' degli anni Ottanta (dopo l'avvento di
Gorbacev), e ancor piu' dopo la dissoluzione del sistema sovietico nel '91
(e l'inizio dell'era di Eltsin)? Rimaneva da effettuare il confronto tra le
fonti, la collazione definitiva tra le innumerevoli vittime del sistema
concentrazionario e la documentazione burocratica del sistema stesso, e
infine una piu' accurata stima del numero totale delle vittime. Non e' poco,
e Chlevnjuk fornisce una magistrale sintesi dei risultati raggiunti dagli
storici nel corso delle loro ricerche.
Innanzitutto, come nasce il Gulag? Un sistema di campi di detenzione era
sempre esistito nell'Unione Sovietica, da Lenin in poi. Quel che lo
stalinismo maturo introdusse (nel giugno del 1929) fu "una rete di campi in
cui i detenuti dovessero lavorare e mantenersi con il loro guadagno". Ma
"questa decisione sarebbe forse rimasta solo uno dei tanti tentativi di
riorganizzare il sistema penitenziario, se non avesse coinciso con
avvenimenti che predeterminano non solo il destino dei lager, ma anche il
corso della storia sovietica nel suo complesso". La coincidenza (non
fortuita) fu, come e' noto, con la decisione di collettivizzare forzatamente
le campagne e avviare l'industrializzazione a tappe anch'esse forzate. Si
realizzo' cosi' un apparente intreccio tra istanze economiche (agricoltura e
industria) e il ricorso a un sistema concentrazionario sempre piu'
massiccio.
*
Nella logica della necessita'
Questo intreccio spiega molto del seguito della storia sovietica, del modo
in cui essa fu vissuta (dalle vittime e dai suoi artefici), e del modo in
cui fu vista e accettata. Se il Gulag era la conditio sine qua non della
collettivizzazione e dell'industrializzazione, e queste ultime erano state
la base della sconfitta della Germania nazista, esso rientrava nella logica
della "necessita' storica". Era questo nesso causale a spiegare
l'acquiescenza nei confronti dei costi umani e sociali dello stalinismo non
solo all'interno del sistema sovietico (ove, come conferma la documentazione
citata da Chlevnjuk, nessuno poteva "non sapere") ma anche all'esterno.
Il problema era un altro: ovvero, per usare l'interrogativo formulato dal
menscevico Alec Nove negli anni Sessanta: "Stalin era davvero necessario?".
Il dubbio si trasformava rapidamente in certezza per i comunisti e i
compagni di strada. La sconfitta di Hitler (e il successo del modello
sovietico con lo Sputnik, nel 1957) giustificava il Gulag. Anche leggendo la
biografia di Stalin di un trockista informato quale non poteva non essere
Isaac Deutscher, era difficile evitare questa conclusione. "Non si fanno
frittate senza spaccare uova", "non si puo' tagliare un albero senza
lasciare schegge": cosi' si diceva, sino a non molto tempo fa.
A questa iniziale coincidenza tra allargamento del sistema concentrazionario
e collettivizzazione, segui' una ulteriore coincidenza: le carestie del
1931-'33 (che derivavano in parte dalla stessa svolta nella politica
agricola, e che costarono forse sei o sette milioni di vittime). Dopo una
battuta di arresto nell'ampliamento del sistema segui' una fase di apparente
stabilizzazione. A questa segui' nel 1937-'38 il Grande Terrore, sempre
sotto la regia di Stalin, come dimostra la documentazione del libro. Sono
oramai abbastanza note le vicende della collettivizzazione e delle
deportazioni in Ucraina; meno note, ma adesso ben documentate, le vicende
delle deportazioni di popolazioni nelle repubbliche sovietiche dell'Asia
centrale. Nel 1937 settantaseimila coreani dell'Estremo Oriente dell'Urss
furono deportati in Uzbekistan "per scongiurare la penetrazione dello
spionaggio giapponese".
Come osserva Chlevnjuk, nel corso della prima meta' degli anni Trenta "una
parte significativa della popolazione adulta del paese aveva subito
repressioni e persecuzioni di vario genere. Tutti costoro erano considerati
da Stalin e dai suoi collaboratori come 'colpevoli', 'sospetti' o
'potenzialmente sospetti'". Lo stesso ricorso alle torture "era diffuso
ovunque e generalizzato". Nel gennaio del 1939 fu ritenuto necessario
spedire un telegramma cifrato (attribuito allo stesso Stalin) per confermare
"assolutamente" la necessita' di questo strumento.
Agli apparenti "eccessi" del Grande Terrore, segui' un periodo di
riorganizzazione del sistema sotto la direzione di Lavrentij Berija: come in
qualsiasi sistema burocratico, anche il Gulag era afflitto da lotte interne
all'apparato, tra fazioni e organismi con interessi burocratici divergenti.
A fornire molta documentazione sul funzionamento del sistema, furono proprio
questi contrasti, come pure gli innumerevoli appelli di parenti dei detenuti
(che, in base al principio di responsabilita' collettiva, erano sempre a
rischio di essere arrestati anch'essi). La situazione risulto' ulteriormente
complicata dall'espansione occidentale dell'Unione Sovietica durante il
periodo del trattato Molotov-Ribbentrop, con l'annessione degli stati
baltici, della Polonia orientale e della Moldavia. Furono i polacchi (tra i
piu' attenti osservatori della realta' sovietica, come dimostra una raccolta
dei loro studi, Polska szkola sowietologiczna, 1930-1939, 2003) a fornire
nel dopoguerra le piu' documentate testimonianze sul sistema
concentrazionario sovietico. Bastava leggerle, dai libri di Herling o di
Swianewicz agli elenchi dei polacchi fucilati a Katyn. Testi pienamente
confermati dalla documentazione emersa con l'apertura (ancora incompleta)
degli archivi sovietici.
Questa documentazione permette anche di sbloccare le interminabili
discussioni sui numeri, che per decenni hanno coinvolto gli studiosi: quanti
gli arrestati, i deportati, i fucilati, i morti per carestia? Con
l'accrescersi dei dati a disposizione, diventa evidente quanto essi siano
incompleti. E possiamo ora accettarne la natura frammentaria, ma solo dopo
aver dimostrato, una volta per tutte, l'entita' della devastazione arrecata
dallo stalinismo, mettendo d'altro canto da parte le comode equazioni tra
stalinismo e nazismo: e' la documentazione stessa degli archivi a rivelarci
un meccanismo concentrazionario non necessariamente meno infame, ma
certamente diverso da quello tedesco.
L'opera di Chlevnjuk consente di chiarire altre questioni. Non e' vero che
"le repressioni di massa, e in particolare il Grande Terrore, si basassero
in larga misura sulle delazioni". Infatti "nel 1937'-38 le repressioni
partirono rapidamente dalle delazioni spontanee", ma "le vittime dei nuovi
arresti erano individuate dai cekisti prevalentemente attraverso la
falsificazione dei casi di 'organizzazioni controrivoluzionarie di massa',
sulla base delle 'confessioni' ottenute sotto tortura nel corso
dell'istruttoria".
*
Un onere aggiuntivo
Ma il Gulag almeno aiuto' l'economia? Non e' vero neppure questo: secondo
Chlevnjuk, "l'economia del Gulag era un gravoso onere aggiuntivo, piuttosto
che una fonte di reddito, ancorche' criminale". E infine, quale fu
l'eredita' del sistema? "L'isterismo delle campagne di massa contro i
'nemici' favoriva il radicarsi nella realta' sovietica di fenomeni come
l'aggressivita', l'estrema intolleranza, l'abitudine alle spiegazioni
semplicistiche dei problemi ('sabotaggio', 'intento criminale'). Una
conseguenza diretta del terrore fu un persistente timore dell'iniziativa, la
tendenza all'eccessiva cautela e all'inazione... Le azioni di massa, le cui
vittime erano spesso individuate in base alla nazionalita', alimentavano la
xenofobia, il nazionalismo, l'antisemitismo fra la maggioranza russa della
popolazione e, viceversa, un persistente odio verso la Russia e i russi
negli altri popoli che facevano parte dell'Urss".
Inoltre "gran parte dei cekisti e dei funzionari di altri organi punitivi
che si macchiarono di gravi delitti contro l'umanita' non solo non furono
puniti, ma fecero brillanti carriere. Cio' fu di esempio ai loro successori,
favori' la corruzione dell'apparato statale e il rafforzamento dello spirito
di corpo degli organi punitivi, che approfittavano di ogni occasione per
porsi al di sopra della legge e affermarsi come una forza privilegiata
all'interno della societa'". In conclusione, Chlevnjuk aggiunge: "Il modo in
cui il Gulag dilago' oltre i recinti di filo spinato e' un problema ancora
inesplorato, ma reale, come e' reale il prezzo, evidente o nascosto, pagato
da centinaia di milioni di persone per l'affermazione e l'espansione dello
stalinismo".
Le testimonianze (scritte e orali) dei sovietici hanno sempre reso possibile
farsi un'idea abbastanza precisa della realta' del sistema staliniano.
Chlevnjuk fornisce qualcosa di piu': un bilancio, materiale e umano, della
devastazione di una societa'. La Russia di Putin ne e' uno dei frutti.
*
Postilla: Sugli scaffali. Saggi e memorie
Ricercatore presso l'Archivio di Stato della Federazione russa, Oleg
Chlevnjuk ha potuto avvalersi della gigantesca massa di documenti, divenuti
accessibili con l'apertura degli archivi ex sovietici. Prima del recente
Storia del Gulag uscito per Einaudi, lo studioso russo aveva pubblicato in
Italia nel 1997, per le Edizioni Guerra, Stalin e la societa' sovietica
negli anni del terrore (pp. 240, euro 17,56).
Fra gli altri testi usciti negli ultimi anni sull'argomento, puo' rivestire
notevole interesse il volume fotografico di Tomasz Kinzy, Gulag (Bruno
Mondadori 2004, pp. 495, euro 59), che raccoglie il frutto di oltre quindici
anni di ricerche.
Punti di riferimento essenziali sono poi naturalmente le opere letterarie:
oltre ad Arcipelago Gulag di Aleksandr Solzhenitsyn (Oscar Mondadori 2001)
anche gli straordinari Racconti della Kolyma di Varlam Shalamov (reperibili
per i tipi di Adelphi e di Einaudi).

6. LETTURE. ADYS CUPULL, FROILAN GONZALEZ: MARTI' NEL CHE
Adys Cupull, Froilan Gonzalez, Marti' nel Che, Massari Editore, Bolsena
(Viterbo) 2003, pp. 112, euro 5. Un breve, commosso saggio che rievoca le
figure, il pensiero e l'azione dei due intellettuali e rivoluzionari, e come
la memoria e il lascito di Jose' Marti' (1853-1895) fosse a Ernesto Guevara
(1928-1967) di esempio e sprone. Con un'introduzione di Roberto Massari,
testi di Marti' e di Guevara, due lettere agli autori dalle carceri
statunitensi, e 13 preziose riproduzioni a colori di ritratti di Jose'
Marti' presenti in collezioni e musei dell'Avana. Per richieste alla casa
editrice: Massari Editore, casella postale 144, 01023 Bolsena (Vt), e-mail:
erre.emme at enjoy.it, sito: www.enjoy.it/erre-emme

7. LETTURE. GUIDO VIALE: VITA E MORTE DELL'AUTOMOBILE
Guido Viale, Vita e morte dell'automobile. La mobilita' che viene, Bollati
Boringhieri, Torino 2007, pp. 186, euro 12. Un libro che vivamente
raccomandiamo. E se per una volta si puo' passare in questa minima rassegna
di segnalazioni librarie dalla prima persona plurale alla prima singolare,
aggiungerei che per due motivi appunto strettamente personali mi e' vieppiu'
caro questo libro (che nella parca e acuta produzione libraria di Viale fa
seguito e da' sviluppo a un altro libro anch'esso a questo tema dedicato:
Tutti in taxi. Demonologia dell'automobile, del 1996): il primo: perche'
seppi subito - tanti, tanti anni fa - che il modello di mobilita' fondato
sull'automobilismo privato era strutturalmente irrazionale e fondato sul
presupposto tanto dell'ineguaglianza tra le persone quanto della
devastazione della biosfera; cosicche' decisi allora e per sempre di non
prendere neppure la patente di guida, e conseguentemente di non possedere
mai un'automobile, e cosi' ho fatto. Il secondo: tra gli anni Ottanta e
Novanta mi capito' di essere il principale animatore dell'opposizione al
progetto di realizzazione di una nuova devastante superstrada: rispetto ad
iniziative fondate sul mero principio "non nel nostro cortile" avemmo subito
chiaro che occorreva porre la questione non solo nel concreto impatto locale
ma nel suo concreto valore e significato globale, in termini di modello di
sviluppo e di complessiva proposta alternativa, ed esplicitando quindi i
nessi ed i nessi di nessi, e cosi' facemmo: e bloccammo quell'opera
infausta. Vi sono altri utili libri sullo stesso tema: cosi' su due piedi -
ohibo', come cade a fagiuolo qui tal vieta locuzione - mi pare di ricordarne
di Ivan Illich, di Jean Robert, di Colin Ward. E prima di chiudere queste
poche righe due nomi ancora vorrei evocare: quello di Dario Paccino e quello
di Alexander Langer; i comuni amici sanno perche'.

8. RILETTURE. ASHLEY MONTAGU: IL BUON SELVAGGIO
Ashley Montagu (et alii), Il buon selvaggio, Eleuthera, Milano 1987, pp.
272, lire 18.000. Il titolo italiano e' forse troppo generico e non lascia
cogliere la densita' e la peculiarita' di questa raccolta di saggi: il
titolo originale e' Learning Non-Aggression, ed il tema degli studi
antropologici di cui si compone e' l'esplorazione di societa' caratterizzate
dall'educazione a, e dall'adozione di, condotte nonviolente. Con testi di
Ashley Montagu, E. Richard Sorenson, Patricia Draper, Jean L. Briggs, Robert
Knox Dentan, Catherine H. Berndt, Colin M. Turnbull, Robert I. Levy.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 105 del 30 maggio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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