Minime. 402



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 402 del 22 marzo 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Mao Valpiana: Tibet. Gli imperi crollano, ma il Budda rinasce
2. Peppe Sini: Ogni giorno
3. Votare
4. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
5. Maria G. Di Rienzo presenta il suo romanzo "Il giudizio di Morna"
6. Letture: Umberto Eco, A passo di gambero
7. Letture: Masters. Vita, poetica, opere scelte
8. Riletture: Fritjof Capra, Ecoalfabeto. L'orto dei bambini
9. Riletture: Silvia Vegetti Finzi e Anna Maria Battistin, I bambini sono
cambiati
10. Riedizioni: Jean Berenger, Storia dell'impero asburgico
11. Riedizioni: Stephen Jay Gould, Quando i cavalli avevano le dita
12. Riedizioni: Luciano, Opere scelte
13. Riedizioni: Antonio Martelli, La lunga rotta per Trafalgar
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MAO VALPIANA: TIBET. GLI IMPERI CROLLANO, MA IL BUDDA RINASCE
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at nonviolenti.org) per questo
intervento.
Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della
nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come
assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel
Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come
metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di
coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa
della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione
Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al
servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla
campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione
della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario
nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione
diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per
"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio
direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio
della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione
di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato
di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per
la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il
digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana
rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo
ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e
uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita
l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di
donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Un suo
profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su
nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in
cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Minime" n. 255 del 27 ottobre
2007]

Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama, e' la guida politica e spirituale del popolo
tibetano. E' uno dei pochi statisti al mondo che si ispira alla nonviolenza.
E' un capo di stato che vive in esilio a Dharamsala, in India. Non ha
esercito. La sua forza e' nella preghiera. I suoi "soldati" sono i monaci
buddisti. A lui e' affidato il passato e il futuro del Tibet, la religione,
la cultura, le tradizioni, l'integrita' fisica. Per questo si muove da
sempre con molta saggezza e prudenza. La Cina e' una potenza militare ed
economica, e certamente il piccolo Tibet non puo' competere su questi piani.
Diversa, dunque, deve essere la strategia per evitare lo scontro diretto e
la sconfitta sicura. Il Dalai Lama ha dovuto trovare uno spiraglio per
mantenere aperta la possibilita' di mediazione ("la bellezza del
compromesso", come diceva Gandhi). Ha rinunciato all'impossibile idea di
indipendenza. Ha elaborato proposte di autonomia per salvare la lingua, la
liberta' religiosa, le tradizioni buddiste. Ha cercato solidarieta' per la
causa del Tibet girando in tutto il mondo per far conoscere il messaggio
buddista, ha lavorato per la comprensione e il dialogo fra le religioni, ha
ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1989, ed e' riuscito in pochi anni
ad ottenere rispetto e simpatia a livello internazionale; nel contempo il
Dalai Lama doveva trovare il modo di non costringere i paesi disponibili
alla sua causa a mettersi contro la  Cina, il cui potere di minaccia e di
ricatto economico e' enorme. Non doveva nemmeno mettere in difficolta'
l'India, paese che lo ospita e che e' in competizione di crescita con
Pechino. Una posizione di equilibrio difficile da trovare e da mantenere.
Forse in questa luce vanno lette anche le discutibili parole del Dalai di
comprensione per la bomba atomica indiana, e i giudizi moderati sulla
politica estera americana dopo l'11 settembre. Nelle stesso modo vanno
interpretati gli altalenanti rapporti fra il Vaticano e il governo in esilio
del Tibet.
Nonostante questa politica accorta e prudente, la Cina non ha mai smesso di
individuare nel Dalai Lama un pericolo per la propria immagine rampante, e
nel Tibet una ferita aperta da normalizzare. La Cina mostra una chiusura
totale e considera il Tibet come una qualsiasi provincia, negandone la
storia e la specificita'. Qualsiasi tentativo di affermare la diversita' del
Tibet viene considerato un attacco all'integrita' della Cina, e represso
duramente. E' quello che sta avvenendo in questi giorni. Non sapremo
probabilmente mai la vera entita' del massacro in atto, che avviene senza
testimoni, in una dittatura militare che non conosce la liberta' di stampa.
In Tibet sta emergendo anche un'opposizione radicale, non piu' disposta ad
accettare la via nonviolenta di pazienza e mediazione indicata dal Dalai
Lama. Probabilmente si tratta di spinte estreme, esasperate, fuori dalla
tradizione religiosa tibetana, gruppi che facilitano il compito ai
provocatori e infiltrati cinesi. In questa difficile situazione il Dalai
Lama ha fatto sapere della sua volonta' di lasciare: "Se la situazione
finira' fuori controllo, allora la mia unica opzione sara' rassegnare
completamente le dimissioni". E' una posizione limpida, di chi fa sapere che
si puo' e si deve mediare su tutto, ma non sull'opzione nonviolenta. Il
Tibet ha legato la sua esistenza alla nonviolenza; non come "nonviolenza del
debole" (chi subisce senza reagire perche' non ha la forza e gli strumento
per farlo), ma come "nonviolenza del forte" (la scelta della nonviolenza
attiva come mezzo e come fine). I monasteri buddisti sono luoghi di
formazione e addestramento ad una nonviolenza disposta al sacrificio estremo
per rimanere nella strada della verita'. La nonviolenza del Tibet e' anche
un progetto per il proprio futuro, basato sul rispetto dei cicli naturali, e
quindi a basso consumo, piu' attento al progresso spirituale che a quello
tecnologico.
Il vero scontro in atto e' quello fra due visioni diverse del mondo. Da una
parte il modello cinese (centralismo politico, potenza militare, sviluppo
economico, crescita dei consumi, ricchezza energetica), dall'altra quello
tibetano (autonomia regionale, sobrieta', spiritualita', cultura e
tradizioni, primato religioso). La forza cinese e' quella dell'economia; la
forza tibetana e' quella della preghiera. La potenza cinese e' quella
militare; la potenza tibetana e' quella nonviolenta.
Sappiamo che gli imperi crollano, ma il Budda rinasce.

2. EDITORIALE. PEPPE SINI: OGNI GIORNO

Ogni giorno giungono notizie di stragi in Afghanistan. A volerle sapere,
queste notizie. Ad andarsele a cercare tra le "brevi" delle agenzie
internazionali (in Italia le riporta quasi solo "Peacereporter"
(www.peacereporter.net) e a seconda dell'ora - nell'accumulo di altre
tragiche notizie di catastrofi da ogni dove provenienti - non appaiono
neppure nell'home page del sito, ma devi andare a ritrovarle tra tutte le
"brevi" del giorno).
Di queste stragi anche l'Italia e' responsabile, anche noi cittadini
italiani.
*
Sono le stragi della guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista,
cui anche le forze armate del nostro paese stanno partecipando; sono le
stragi di una guerra e di un'occupazione militare straniera e di un "grande
gioco" onnicida e di una conseguente barbarie (una barbarie accuratamente
promossa e scrupolosamente organizzata ed utilissima ai signori della
guerra, utilissima ai signori della droga, a livello locale e globale;
utilissima al terrorismo di stato o di setta di tutte le mafie assassine),
una mattanza che li' perdura da decenni e cui anche l'Italia da anni ormai
prende scelleratamente parte.
Sono le stragi di cui sono colpevoli anche tutti i governi italiani delle
ultime due legislature e tutti i parlamentari che a favore della guerra e
dei massacri hanno votato negli ultimi sette anni, in violazione del diritto
internazionale e della legalita' costituzionale del nostro paese.
Sono le stragi in considerazione delle quali i governanti che ne sono
corresponsabili, i parlamentari che ne sono corresponsabili, i partiti
politici che ne sono corresponsabili, e tutti i candidati che nelle liste di
quei partiti si presentano, non devono essere votati, poiche' votare per gli
stragisti, massime mentre le stragi continuano, significa farnese complici.
E mi chiedo con quale faccia di bronzo politicanti stragisti e partiti
stragisti - dall'estrema destra fino alla ex-sinistra che ha governato
nell'ultimo biennio - ancora si presentino alle elezioni e chiedano un voto,
il nostro voto, per uccidere le noste sorelle ed i nostri fratelli, per
uccidere noi stessi.
E mi chiedo quale profonda perversione deve essersi data nel comune sentire
del nostro paese perche' a vedere e quindi a dire questo cosi' flagrante
orrore sia quasi solo questo foglio.

3. LE ULTIME COSE. VOTARE

Votare certo occorre alle prossime elezioni di aprile, ma solo per quelle
liste di sinistra (a sinistra della ex-sinistra che ha governato negli
ultimi due anni in pro del razzismo e della guerra) promosse da persone che
alla guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista, costantemente
si siano opposte - e che candidino in testa di lista persone oneste
(ripetiamolo: persone oneste, che e' merce assai rara, e quindi vieppiu'
preziosa, nel desolato panorama del ceto politico consolidato e in
formazione, e di quella autoproclamata societa' civile le cui nequizie sono
legione) e che negli scorsi anni non siano state complici dei razzisti e dei
bellicisti, del regime della corruzione, della devastazione della biosfera,
del femminicidio.
*
Votare certo occorre alle prossime elezioni di aprile, ma contro
sfruttamento, inquinamento e guerra; contro il crimine; contro la
disumanita'.
*
Votare certo occorre alle prossime elezioni di aprile, per affermare che ad
ogni essere umano tutti devono essere riconosciuti i diritti umani; per
affermare che questa terra e' l'unica casa comune che abbiamo e chi la
devasta e' un criminale e un insensato cui non puo' essere affidato il
governo della cosa pubblica; per affermare - se e come possible - la
proposta politica della nonviolenza, il suo arduo necessario cammino.
*
Votare certo occorre alle prossime elezioni di aprile, contro la guerra
frusta e mannaia e fornace divoratrice dei popoli e delle parsone, contro il
razzismo che in mille modi si traveste, contro il populismo che e' il
contrario della democrazia, contro il totalitarismo che continuamente
risorge a distruggere anime e vite e societa', contro il fondamentalismo che
nega l'altrui verita'.
*
Votare certo occorre alle prossime elezioni di aprile, per la democrazia,
per la legalita' costituzionale, per le antiche virtu' repubblicane, per
l'internazionale futura umanita' - gia' presente, gia' compresente.
*
Votare certo occorre alle prossime elezioni di aprile, valutando e
scegliendo con oculatezza, con piena coscienza, con responsabilita'. Ogni
persona con la propria testa, ogni persona con la propria storia, ogni
persona con la propria cultura.
*
Votare certo occorre alle prossime elezioni di aprile, ad esempio in Veneto
per Michele Boato, uno dei tre promotori dell'appello "Una rete di donne e
uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza".

4. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per
molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per
la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza.
Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del
commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di'
chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

5. LIBRI. MARIA G. DI RIENZO PRESENTA IL SUO ROMANZO "IL GIUDIZIO DI MORNA"
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione il testo di questo suo intervento a un incontro
di presentazione svoltosi nel settembre 2007 del suo romanzo Il giudizio di
Morna, Stelle Cadenti, 2007.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Con Michele Boato e Mao
Valpiana ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come
donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?". Tra le opere di Maria
G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni
Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo.
Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005.
Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in
"Notizie minime della nonviolenza" n. 81]

Il libro in questione, un romanzo breve, e' una fiaba con tracce di
tecnologia, science-fantasy direi, perche' le atmosfere ricordano piu' la
fantasy che la fantascienza, ma quando ci sono alieni, altri pianeti,
eccetera la classificazione usuale e' fantascienza. Qualcuno pensa sempre
che scrivere all'interno di un genere sia piu' facile rispetto a quella che
viene definita "vera" (virgolette) letteratura, ma onestamente io non ho mai
trovato nulla di quel che ho letto che non potesse essere classificato in un
genere o un altro. Dal romanzo storico a quello d'azione, dal giallo al
rosa, dal saggio al libello, si tratta solo di che scatola di attrezzi
decidi di usare: se poi li userai bene o male quello e' un altro discorso.
Nessuno si sognerebbe di dire che Mary Shelley, la creatrice di
Frankenstein, o George Orwell, o Verne, o Butler, o Vonnegut o Tolkien siano
autori da poco perche' hanno prodotto le loro opere migliori all'interno dei
generi fantasy e fantascienza.
Allora, questa classificazione, le convenzioni relative a questo genere,
sono, per me che scrivo, semplicemente l'attrezzatura che sto usando per
dare forma a quel particolare tipo di storia. Ho qualcosa da costruire e
decido che quella scatola di attrezzi e' per me il modo migliore di farlo.
Inoltre, personalmente, per me sarebbe molto piu' facile scrivere nel tempo
presente della situazione presente: dello scenario non sarei costretta a
spiegare quasi nulla al lettore, mentre, se decido di inventare un paio di
altri mondi, devo inserire nella narrazione tutte le informazioni utili
affinche' il lettore vi si trovi a proprio agio, e devo farlo senza
intaccare il ritmo della storia, presentandole in modo che non
appesantiscano la narrazione, eccetera.
Quello che intendevo costruire, sei anni fa (perche' il libro ha sei anni)
con "Il giudizio di Morna" era una doppia riflessione: sull'incontro con le
differenze e sul linguaggio, che sono due temi che mi interessano molto. La
questione della differenza e' un punto cruciale in molte delle situazioni di
crisi che ci troviamo a vivere, nel mondo reale, ma dal punto di vista della
scrittura cio' a cui io sono interessata e' quella che definirei "crisi
cognitiva", e che si presenta spesso nell'incontro con l'alterita'.
I due personaggi principali hanno questo problema: appartengono
letteralmente a due mondi diversi, quindi le loro lingue sono diverse (e
difatti entrambi spesso non hanno le parole per dire quel che intendono) e
sono diverse le metafore attraverso cui interpretano e leggono il mondo.
E qui devo fare una piccola digressione dal racconto per spiegarmi meglio.
*
Come sapete, il cervello umano funziona in due modi: per pensiero logico,
categorizzazione, valutazione, e per pensiero analogico, connessione,
analogia, metafora. Un buon numero di ricerche hanno confermato che siamo
molto veloci e bravi ad usare il secondo tipo di pensiero, spesso piu' di
quanto lo siamo nel pensiero logico.
Questo nostro pensiero duale, diciamo cosi', e' inserito in cornici
culturali: storiche, linguistiche, e cosi' via, e lavora all'interno di
schemi. Uno schema e' un codice mentale utile a fornire la rappresentazione
delle esperienze, e include regole e categorie che danno "significato" al
flusso dei dati sensori. Lo schema non e' la memoria di una specifica
esperienza, ma il riassunto e il distillato di molteplici esperienze. Anche
non nostre. Alle nostre si sommano quelle che ci sono state raccontate, o
che abbiamo visto in tv o letto in un racconto. Gli schemi ci aiutano ad
interpretare il mondo in cui viviamo, a dare una nostra teoria sulla natura
della realta'. Ogni schema ovviamente enfatizza dei tratti e ne sminuisce
altri, costruendo metafore che interpretano la realta' in cui viviamo. In
questo processo, la nostra mente, di fronte alla situazione nuova, cerca
dapprima un'esperienza identica: se non la trova, ne cerchera' qualcuna che
contenga alcuni tratti similari. Se non trova neppure un'esperienza di
questo tipo, inventa, ma quest'ultima situazione e' piu' rara. C'e' sempre
qualcosa con cui possiamo fare delle analogie. Quando trova l'idea che
cerca, la mente la connette alla nuova situazione, e se lo schema suggerisce
dei responsi alla situazione, li applichera' quasi istantaneamente, e in
modo che diremo "istintivo", anche se e' largamente appreso.
Il primo responso nei confronti di ogni cosa nuova che ci troviamo davanti
e' in effetti un pre-giudizio, un'opinione priva di conoscenza reale dei
fatti. In lingua italiana la parola "pregiudizio" ha una connotazione
ampiamente negativa, e viene usata quasi esclusivamente per delineare
un'opinione non favorevole. In realta', positivo e negativo sono solo due
degli attributi che un pregiudizio puo' presentare, e noi pre-giudichiamo
(giudichiamo prima di conoscere) in tutta una serie di situazioni senza che
questo comporti necessariamente l'evoluzione del pregiudizio in
discriminazione o ricerca del capro espiatorio e cosi' via. Perche' avvenga
questo passaggio e' necessaria la presenza di altri fattori, come la
pressione sociale, l'adesione stretta ad un sistema ideologico, il timore di
essere respinti da un gruppo o catalogati in un altro, eccetera. Il rischio
di restare "chiusi" nei pregiudizi aumenta in situazioni di instabilita'
(economiche, politiche, sociali), quando perdiamo la fiducia nella nostra
capacita' di creare senso, significato, e tendiamo a non lasciare spazio a
dati che potrebbero modificare la nostra percezione della realta'.
Il giudizio prematuro, se vogliamo chiamarlo cosi', molto piu' spesso e'
solo una sorta di "tappa fluttuante" verso la conoscenza, un punto non fisso
durante il viaggio che ci conduce all'incontro con l'Altro: qualcosa che
crediamo di sapere ma di cui non siamo certi, qualcosa che sappiamo
cambiera' quando vi aggiungeremo altri dati.
*
Nel mio racconto tutto questo e' evidente a piu' livelli: nell'interazione
fra i due personaggi principali, un umano e un'aliena che devono entrambi
venire in qualche modo a patti con cio' che credono di sapere l'uno
dell'altra e viceversa; nella crisi dell'assetto politico del mondo
fantastico in cui essi si muovono, in cui svariati altri personaggi si
aggrappano ciecamente a cio' che credono di sapere della situazione e
precipitano nei propri pregiudizi, oppure accettano la possibilita' di
un'interazione con l'alterita', e quindi accettano la possibilita' del
cambiamento; ed e' evidente nella stessa percezione del lettore, credo,
perche' le persone che io descrivo tendo a renderle il piu' possibile
"vere": percio' hanno dubbi, si dibattono in contraddizioni, non seguono
percorsi lineari, fanno errori e cosi' via.
L'incontro con l'Altro porta inevitabilmente con se' un cambiamento, e
accettare questo e' lo scoglio principale oltre cui i miei personaggi devono
andare. E credo sia un'esperienza che in molti abbiamo fatto. Solo che in
realta', se ci riflettete, il cambiamento e' la chiave della nostra
esistenza come esseri umani, e non dovrebbe comportare le overdose di paura
che spesso comporta. Nessuno di noi resta uguale a se stesso, giorno dopo
giorno, e tutti noi lavoriamo ogni giorno per conseguire dei cambiamenti
nella nostra vita.
E' anche vero che il cambiamento, anche il piu' desiderato, comporta sempre
un certo grado di ansia, di insicurezza, che e' in relazione diretta a
quante informazioni abbiamo e a quanto le giudichiamo attendibili. Chiunque
abbia avuto un figlio, per fare un esempio, sa di cosa parlo. Un bimbo puo'
essere atteso con enorme affetto e desiderio, e in tale attesa pero' vi sono
numerose preoccupazioni, dalla piu' banale (sara' sano, andra' tutto bene)
alla piu' aleatoria, se volete, che e' "che persona sara'" questa persona
nuova, che rapporti avra' con me, e cosi' via.  Su questi aspetti noi non
abbiamo certezze, e questo ci rende insicuri. La percezione della sicurezza
e' in realta', per il nostro cervello, la percezione di un certo grado di
"prevedibilita'": ti puo' piacere l'avventura, e incontrare persone nuove,
ma vuoi anche sapere che domani il sole si alzera' come tutti i giorni e
l'autobus sara' al suo posto alle 8 meno un quarto.
*
Questa prevedibilita' si sgretola progressivamente, per il protagonista del
racconto, mano a mano che il suo viaggio con l'aliena prosegue. L'espediente
che muove il racconto, il viaggio appunto, e' uno dei piu' usati, e a me
serviva non tanto, o non solo, per descrivere l'ambiente in cui i personaggi
vivono, ma soprattutto come pretesto e contrappunto per il viaggio interiore
del protagonista. Per narrare la storia, infatti, ho adottato il suo punto
di vista. E' il punto di vista di un giovane uomo nato e cresciuto in una
societa' pesantemente basata sulla guerra e sull'appartenenza tribale, una
societa' che dall'esercizio delle armi deriva gerarchie sociali, rituali,
abitudini, modi di rappresentare il mondo. In questo contesto, la cosa piu'
importante per lui e' l'onore del guerriero, qualcosa che definisce il suo
rango, e il suo posto nel mondo, e che gli e' stato tolto a causa di un
errore durante una battaglia. Nel momento in cui lo incontriamo, questo
giovane non ha messo in discussione nessuno dei crismi su cui la sua
societa' si regge: non ha dubbi, ha accettato persino la sentenza che lo ha
ridotto ad uno schiavo, anche se temporaneamente, e spera di aver
l'occasione di riguadagnare la propria posizione (giacche' questa e' una
possibilita' insita nella sentenza che ha subito).
Il problema della comunicazione e' il primo che gli si presenta nel suo
incontro con questa persona diversa, totalmente, da lui. Una persona che
viene da un altro mondo, la cui forma fisica e' inquietante, ed il
protagonista la registra visivamente come una mistura fra umano e animale, e
per di piu' questa persona diversa, questa straniera, e' gravata da
leggende, miti, e persino da dati storici, che la descrivono come
incommensurabilmente malvagia, una distruttrice crudele, un demonio.
Questo e' cio' che il giovane uomo sa di lei. Le sue paure, durante
l'incontro, sono del tutto giustificate. L'aliena, pero', gli chiede di
ascoltare altro. Gli dice piu' o meno: Tu credi di sapere delle cose su di
me, ma io voglio darti altre informazioni, se intendi ascoltarle. Il primo
passo di una comunicazione efficace, sostanzialmente, e' l'ascolto. E
l'aliena mette subito in chiaro anche qual e' il limite della conversazione
che si sta dando fra loro, ovvero il fatto che lei si esprime in una lingua
diversa dalla propria, quella del luogo in cui si trova, e quindi molti
termini, dice, le mancano.
*
Ora, chiunque fra voi abbia mai appreso un'altra lingua, oltre quella
materna, e abbia tentato di tradurre dall'una all'altra, sa che la cosa e'
piu' complessa di quel che appare, anche quando le due lingue condividono
molti elementi di base, o hanno una comune origine. Non si tratta
semplicemente di sostituire delle parole con altre parole ad esse
equivalenti, e magari di maneggiare un po' l'ordine degli elementi
grammaticali che compongono una frase. Perche' le lingue umane sono il
prodotto del desiderio di comunicare all'interno di condizioni specifiche:
riflettono sempre, oltre al tentativo di descrivere il mondo, una visione
del mondo stesso. I linguisti dicono che il linguaggio umano e' un attrezzo
paradossale, ed hanno ragione, se ci pensate: e' una cosa che forma i
pensieri e le attitudini nel mentre viene usato per dar loro espressione. Ed
e' un attrezzo potente, perche' e' rivestito di enorme e plurima carica
simbolica. Non a caso potete esaminare storicamente ogni vicenda che
comporti l'occupazione di un territorio da parte di un popolo venuto da
fuori, e vedrete che spessissimo una delle prime mosse degli occupanti e'
quella di sostituire la lingua locale con la propria. Per farvi un esempio
europeo recente, fino agli anni '50 dello scorso secolo era ancora possibile
vedere in Francia cartelli con su scritto "E' vietato sputare per terra e
parlare bretone". O per andare piu' indietro i bardi gallesi, per quattro
secoli a partire dal XV, furono soggetti a pene detentive e pecuniarie, da
parte del governo inglese, solo perche' componevano poesie nella propria
lingua (e chiunque parlasse gallese era comunque escluso dalle cariche
pubbliche). Quando non vogliamo che un soggetto, o un concetto, vengano
rappresentati sulla scena pubblica, e quindi abbiano potere, una delle prime
cose che facciamo e' cancellarli linguisticamente. Nel dialetto parlato dai
talebani non esiste la parola "donna": potete dire di che uomo e' figlia o
madre o sorella, e quindi definire questa persona a seconda delle relazioni
che ha con un uomo, ma non potete definirla come persona a se' stante, come
qualcuno che ha un posto al mondo per il semplice fatto di esistere.
*
All'inizio vi ho citato Orwell, se ricordate.
La prima cosa che lessi di lui fu 1984, credo di aver avuto 15 anni, quindi
era un secolo fa... Probabilmente conoscete la storia, che tratta di un
futuro in cui sistemi oligarchici e tirannici usano la guerra come sistema
per mantenere lo status quo: razionamenti e limitazioni, di risorse e di
liberta' individuali, ed una condizione perenne di timore e oppressione,
vengono giustificati con il nemico esterno e le dure necessita' del
conflitto. 1984 e' un'anti-utopia, un romanzo cupo che ha parecchie scene
scioccanti, o "dure", se volete, pero' la scena che all'epoca della mia
prima lettura mi sconvolse non presentava aspetti di violenza clamorosa,
tipo le scene di tortura del protagonista, che pure ci sono. No, quello che
fece paura a me fu la descrizione di una conversazione fra Winston Smith, il
protagonista, ed un suo conoscente, il cui lavoro consisteva nel rimodernare
il vocabolario nazionale. Questo tizio dice al protagonista, in sostanza,
che la sua occupazione e' cancellare parole. Il vocabolario e' piu'
ristretto ogni anno che passa. Ma non si tratta solo di questo, aggiunge:
anche i differenti concetti che una parola puo' suggerire sono sempre meno.
Presto, conclude, la parola "libero" potra' essere usata solo in frasi del
tipo "questo cane e' libero da pulci", ma non servira' piu' a definire
"libero" un individuo.
Orwell era assai conscio, come scrittore, del potere della parola. E molto
di quel che aveva individuato nel 1948, quando termino' il romanzo, sulle
tendenze presenti nell'uso del linguaggio, lo abbiamo sotto gli occhi oggi.
Senza fare paragoni irriverenti, perche' il mio breve romanzo non ha com'e'
ovvio assolutamente la portata di questo, il problema dell'avere e del non
avere le parole me lo sono posta anch'io. Diventa una questione centrale,
per il mio personaggio principale, mano a mano che le sue convinzioni si
modificano, che la sua lettura del mondo cambia. Puo' il suo onore essere
definito dalla lealta' a dei principi di equanimita' e giustizia, piuttosto
che dall'attenersi alle convenzioni del guerriero, che gli dicono solo di
chiamare "nemico" chi i capi tribali hanno definito tale? L'affetto che
finisce per provare per l'aliena, una creatura cosi' diversa da lui ha un
nome, e quale? E qual e' il suo stesso nome, chi e' lui, ora che le
esperienze e l'ascolto lo hanno cambiato?
Ecco, dato che per dirvi tutto questo sarei costretta a parlare per un'altra
mezz'ora, e io vi voglio bene, non lo faro'. Se siete interessate e
interessati a saperlo sarete costretti a leggervi il libro, che puo' essere
letto senza minimamente far caso, se preferite, a quello che c'e' fra le
righe, e che io vi ho raccontato oggi. Potete leggerlo semplicemente come un
racconto di viaggio, con i suoi colpi di scena e le sua corsa, perche' ho
inteso deliberatamente non porre freno all'azione, per tenere il lettore con
me il piu' a lungo e nel modo piu' interessante possibile.
*
Mi resta da dirvi, credo, perche' faccio questo, perche' racconto storie. In
sintesi, e' perche' le storie che sappiamo raccontare contribuiscono a
determinare che tipo di vite viviamo. Quando raccontiamo una storia
costruiamo un'esperienza, a seconda delle convenzioni interpretative a noi
disponibili, e degli incentivi interiori ed esteriori che ci spingono a
farlo. Le forme che le storie prendono non sono casuali. I ruoli che
assumiamo nelle nostre vite sono grandemente modellati su come gli altri ci
hanno raccontato delle storie, e su come noi raccontiamo storie: a noi
stessi e agli altri. Le storie contengono un sacco di suggerimenti: su cosa
siamo, su cosa dovremmo fare in determinate situazioni, su cosa ci si
aspetta da noi.
Questo piccolo libro e' il mio umile suggerimento su cosa si puo' fare,
invece di buttarsi da una finestra o di imbracciare un mitra, quando ci
presentano al diavolo. Forse non e' brutto come lo si dipinge. E forse
neppure noi esseri umani siamo brutti come spesso crediamo di essere, cosi'
incapaci di maneggiare situazioni diverse o difficili. Forse dovremmo
riflettere su chi ci ha detto questo di noi, e spesso scopriremo che si
tratta di qualcuno che tramite le parole non vuole comunicare con noi, ma
mantenere del potere su di noi.

6. LETTURE. UMBERTO ECO: A PASSO DI GAMBERO
Umberto Eco, A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico,
Bompiani, Milano 2006, 2007, pp. 368, euro 9. In questo volume l'autore ha
raccolto molti dei suoi articoli e interventi tra 2000 e 2005 riferiti "agli
eventi politici e mediatici di questi ultimi sei anni", a comporre una
meditazione morale (quindi pratica) e un invito all'impegno civile (ergo
politico nel senso alto del termine), che merita di essere ascoltata, che
merita di essere accolto. Anche quando non si e' del tutto d'accordo, ed
anche quando dispiace il tono faceto, Eco e' sempre un buon maestro.

7. LETTURE. MASTERS. VITA, POETICA, OPERE SCELTE
Masters. Vita, poetica, opere scelte, Il sole 24 ore, Milano 2008, pp. 656,
euro 12,90 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore"). Riproponendo
testi gia' editi da Mondadori-Electa ed Einaudi, il volume contiene l'intera
Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, con un saggio introduttivo
(in cui ovviamente non mancano alcune pagine sulla ricezione italiana da
Pavese a De Andre') ed alcuni essenziali apparati di Catia Gusmini; testo
originale a fronte, ovviamente, e nella classica traduzione di Fernanda
Pivano di cui tutti, tutti ci siamo nutriti.

8. RILETTURE. FRITJOF CAPRA: ECOALFABETO. L'ORTO DEI BAMBINI
Fritjof Capra, Ecoalfabeto. L'orto dei bambini, Stampa alternativa - Nuovi
equilibri, Roma-Viterbo 2005, pp. 64, euro 1. Un'intervista (a cura di
Simonetta Franceschetti) e due conferenze (con testo inglese a fronte) del
fisico, saggista, ambientalista sull'educazione all'ecologia.

9. RILETTURE. SILVIA VEGETTI FINZI E ANNA MARIA BATTISTIN: I BAMBINI SONO
CAMBIATI
Silvia Vegetti Finzi e Anna Maria Battistin, I bambini sono cambiati. La
psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondadori, Milano 1996,
2003, pp. XVI + 368. Non solo per genitori, insegnanti, operatori sociali,
ma anche per militanti politici, pubblici amministratori e persone di
volonta' buona assai giovevole sarebbe la lettura di questo libro (come
anche degli altri due con cui si compone in trilogia: A piccoli passi, e
L'eta' incerta) - e piu' in generale dell'opera tutta di Silvia Vegetti
Finzi, che a noi pare essere un contributo tra i maggiori alla costruzione
di un'educazione civile, a quella riforma intellettuale e morale che e'
ancora il compito dell'ora nel nostro paese; un contributo che illumina,
scalda e nutre.

10. RIEDIZIONI. JEAN BERENGER: STORIA DELL'IMPERO ASBURGICO
Jean Berenger, Storia dell'impero asburgico, Il Mulino, Bologna 2003, "Il
giornale", Milano s.d. (ma 2008), pp. XXII + 476, euro 6,90 (in supplemento
al quotidiano "Il giornale"). Dal 1700 al 1918 si dipana questa storia di
una vicenda politica ed amministrativa (e culturale, e militare...) che
tanta parte ha avuto nel conflittuale costituirsi dell'Europea come noi oggi
la percepiamo - ed il cui studio oggi sarebbe di grande giovamento a chi
vuol ragionare le questioni dell'integrazione politico-istituzionale europea
in una prospettiva di lunga durata ed affrontando i compiti politici e
civili avendo memoria non solo delle catastrofi del XX secolo. Un ampio
affresco originariamente apparso originariamente nel 1990; l'autore e'
docente alla Sorbona.

11. RIEDIZIONI. STEPHEN JAY GOULD: QUANDO I CAVALLI AVEVANO LE DITA
Stephen Jay Gould, Quando i cavalli avevano le dita, Feltrinelli, Milano
1984, 2006, pp. 416, euro 12,50. I libri di Stephen Jay Gould (geologo,
biologo, storico della scienza, pubblicista scientifico mai banale ed anzi
sempre di forte rigore intellettuale e morale, di scrittura come atto
educativo e civile) a me sono sempre parsi non solo un elegante esercizio di
intelligenza e per cosi' dire di stile - di stile illuministico, ma anche un
gesto ad un tempo di amicizia e di impegno, di impegno - intendo - a
contrastare la menzogna, e di riconoscimento dell'umana dignita', della
bellezza del mondo, della possibilita' di comprendere, e quindi comprendersi
e rispettare infine se stessi, gli altri, il mondo (quest'unico mondo che
abbiamo e di cui siamo parte, la casa comune di tutti noi fugaci
transeunti - ma senzienti e pensanti, infine).

12. RIEDIZIONI. LUCIANO: OPERE SCELTE
Luciano, Opere scelte, Mondadori, Milano 2008, pp. VI + 616, euro 12,90 (in
supplemento a vari periodici Mondadori). Per le cure di Massimo Vilardi,
Claudio Consonni, Franco Montanari e Andrea Barabino, con testo greco a
fronte, la Storia vera, i Dialoghi dei morti, il Sogno, il Gallo, l'Asino e
Come si deve scrivere la storia; ovvero alcune - anzi molte - delle cose
migliori di quel Luciano di Samosata che e' al'origine di cosi' tante cose
della letteratura come noi la intendiamo che talvolta ti chiedi se l'intero
Occidente cosi' come esiste in forma di parole in testo distese ed impresse
non sia nato molto piu' da questo beffardo indagatore di ogni mistero ed
inventore di ogni veritiera fantasia e critico di tutte le critiche, che
non - che so - dai tragici, dai dialoghi platonici o dalla Bibbia. E mi sono
chiesto molte volte che vita abbia condotto (e pensato, e forse scelto oltre
che subito - nella misura in cui la vita la si puo' scegliere o costruire,
ed e' ben picciola quota) questo cosi' antico e cosi' prossimo Luciano, che
e' peraltro tanto abile a mascherarsi soprattutto dove pare piu' esporsi, e
forse piu' si offre dolente e indifeso quando piu' catafratto e irridente
vuole apparire, ed in quale, in quale misura quel suo fustigare fosse anche
la sua lotta contro se stesso (cosi' come capita anche a me, che non ho mai
saputo dare una coltellata se non nelle mie carni) - diceva Annibale
Sarchiapone, ed ancora lo ricordo.

13. RIEDIZIONI. ANTONIO MARTELLI: LA LUNGA ROTTA PER TRAFALGAR
Antonio Martelli, La lunga rotta per Trafalgar. Il conflitto navale
anglo-francese, Il Mulino, Bologna 2005, "Il giornale", Milano s.d. ma 2008,
pp. 358, euro 6,90 (in supplemento al quotidiano "Il giornale"). E' un'opera
di quel genere di storiografia che, conoscendo le tue idiosincrasie,
sembrerebbe aver tutti i requisiti per annoiarti: poi decidi comunque di
leggere, e vedi che anche un libro siffatto ti appassiona ancora. Cosi'
imprevedibile e' l'animo umano.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 402 del 22 marzo 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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