Nonviolenza. Femminile plurale. 185



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 185 del 29 maggio 2008

In questo numero:
1. Silvia Vegetti Finzi: Sa
2. Dario Cresto-Dina intervista Rita Levi Montalcini
3. Eva Cantarella: Dopo Clitennestra
4. Nadia Fusini: Donne in rivolta

1. MAESTRE. SILVIA VEGETTI FINZI: SA
[Da Silvia Lagorio, Lella Ravasi, Silvia Vegetti Finzi, Se noi siamo la
terra, Il Saggiatore, Milano 1996, p. 70.
Silvia Vegetti Finzi (Brescia 1938), psicologa, pedagogista, psicoterapeuta,
docente universitaria, saggista, e' una prestigiosa intellettuale
femminista. Su Silvia Vegetti Finzi dal sito dell'Enciclopedia multimediale
delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente notizia
biografica: "Silvia Vegetti Finzi e' nata a Brescia il 5 ottobre 1938.
Laureatasi in pedagogia, si e' specializzata in psicologia clinica presso
l'Istituto di psicologia dell'Universita' cattolica di Milano. All'inizio
degli anni '70 ha partecipato a una vasta ricerca internazionale, progettata
dalle Associazioni Iard e Van Leer, sulle cause del disadattamento
scolastico. Inoltre ha lavorato come psicoterapeuta dell'infanzia e della
famiglia nelle istituzioni pubbliche. Dal 1975 e' entrata a far parte del
Dipartimento di Filosofia dell'Universita' di Pavia ove attualmente insegna
psicologia dinamica. Dagli anni '80 partecipa al movimento femminista,
collaborando con l'Universita' delle donne 'Virginia Woolf' di Roma e con il
Centro documentazione donne di Firenze. Nel 1990 e' tra i fondatori della
Consulta (laica) di bioetica. Dal 1986 e' pubblicista del 'Corriere della
Sera' e successivamente anche di 'Io donna' e di 'Insieme"' Fa parte del
comitato scientifico delle riviste: 'Bio-logica', 'Adultita'', 'Imago
ricercae', nonche' dell'Istituto Gramsci di Roma, della 'Casa della cultura'
di Milano, della 'Libera universita' dell'autobiografia' di Anghiari.
Collabora inoltre con le riviste filosofiche 'Aut Aut' e 'Iride'. Molti suoi
scritti sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco e spagnolo. E'
membro dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, della
Societa' italiana di psicologia; della Societe' internationale d'histoire de
la psychoanalyse. Nel 1998 ha ricevuto, per i suoi scritti di psicoanalisi,
il premio nazionale 'Cesare Musatti', e per quelli di bioetica il premio
nazionale 'Giuseppina Teodori'. Sposata con lo storico della filosofia
antica Mario Vegetti, ha due figli adulti, Valentina e Matteo. Gli interessi
di Silvia Vegetti Finzi seguono quattro filoni: il primo e' volto a
ricostruire una genealogia della psicoanalisi da Freud ai giorni nostri,
intesa non solo come storia del movimento psicoanalitico ma anche come
storia della cultura; il secondo, una archelogia dell'immaginario femminile,
intende recuperare nell'inconscio individuale e nella storia delle
espressioni culturali, elementi di identita' femminile e materna cancellati
dal prevalere delle forme simboliche maschili: a questo scopo ha analizzato
i sogni e i sintomi delle bambine, i miti delle origini, i riti di
iniziazione femminile nella Grecia classica, le metafore della scienza,
l'iconografia delle Grandi Madri; il terzo delinea uno sviluppo psicologico,
dall'infanzia all'adolescenza, che tenga conto anche degli apporti
psicoanalitici. Si propone inoltre di mettere a disposizione, tramite una
corretta divulgazione, la sensibilita' e il sapere delle discipline
psicologiche ai genitori e agli insegnanti; il quarto, infine, si interroga
sulla maternita' e sugli effetti delle biotecnologie, cercando di dar voce
all'esperienza e alla sapienza delle donne in ordine al generare". Tra le
opere di Silvia Vegetti Finzi: (a cura di), Il bambino nella psicoanalisi,
Zanichelli, Bologna 1976; (con L. Bellomo), Bambini a tempo pieno, Il
Mulino, Bologna 1978; (con altri), Verso il luogo delle origini, La
Tartaruga, Milano 1982; Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986;
La ricerca delle donne (1987); Bioetica, 1989; Il bambino della notte.
Divenire donna, divenire madre, Mondadori, Milano 1990; (a cura di),
Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari 1992; Il romanzo della
famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme, Mondadori, Milano 1992;
(con altri), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993; (con Anna Maria
Battistin), A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall'attesa ai cinque
anni, Mondadori, Milano 1994; Freud e la nascita della psicoanalisi, 1994;
(con Marina Catenazzi), Psicoanalisi ed educazione sessuale, Laterza,
Roma-Bari 1995; (con altri), Psicoanalisi ed identita' di genere, Laterza,
Roma-Bari 1995; (con Anna Maria Battistin), I bambini sono cambiati. La
psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondadori, Milano 1996;
(con Silvia Lagorio, Lella Ravasi), Se noi siamo la terra. Identita'
femminile e negazione della maternita', Il Saggiatore, Milano 1996; (con
altri), Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1996; Volere un
figlio. La nuova maternita' fra natura e scienza, Mondadori, Milano 1997;
(con altri), Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 1997; Il fantasma del
patriarcato, Alma Edizioni, 1997; (con altri), Fedi e violenze, Rosenberg &
Sellier, 1997; (con Anna Maria Battistin), L'eta' incerta. I nuovi
adolescenti, Mondadori, Milano, 2000; Parlar d'amore, Rizzoli, Milano 2003;
Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme, Fabbri, Milano 2004; Quando i
genitori si dividono, Mondadori, Milano 2005]

Chi e' fuggito da una prigione sa che tutto puo' trasformarsi in trappola.

2. RIFLESSIONE. DARIO CRESTO-DINA INTERVISTA RITA LEVI MONTALCINI
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 20 aprile 2008 col titolo "Rita Levi
Montalcini: A 99 anni si pensa meglio. Non sono stanca, continuo a cercare"
e il sommario "Tra due giorni Rita Levi Montalcini compira' novantanove
anni. E' un numero che inquieterebbe chiunque. Non lei. 'Mi sento per la
seconda volta un po' Robinson Crusoe. La prima fu negli anni del fascismo.
Allora ero piu' sola, piu' giovane e meno forte di adesso, eppure il male
produsse un bene'. Ogni sera va a letto alle undici. Ogni mattina si alza
alle cinque. 'Il mio cervello funziona meglio di quando avevo vent'anni'".
Dario Cresto-Dina, giornalista, dopo esser stato redattore capo centrale e
vicedirettore de "La Stampa", dal 2000 lavora a "La Repubblica" di cui e'
vicedirettore e responsabile della redazione di Milano.
Rita Levi Montalcini, illustre scienziata italiana, premio Nobel per la
medicina nel 1986, senatrice a vita. Opere di Rita Levi Montalcini: Il
messaggio nervoso, Rizzoli, Milano 1975; Elogio dell'imperfezione, Garzanti,
Milano 1987; Sclerosi multipla in Italia: aspetti e problemi, Aism, 1989;
Ngf: apertura di una nuova frontiera nella neurobiologia, Roma-Napoli, 1989;
Il tuo futuro, Garzanti, Milano 1993; Per i settanta anni della Enciclopedia
italiana, 1925-1995, Istituto della Enciclopedia italiana, 1995; Senz'olio
contro vento, Baldini & Castoldi, Milano 1996; L'asso nella manica a
brandelli, Baldini & Castoldi, Milano 1998; La galassia mente, Baldini &
Castoldi, Milano 1999; Cantico di una vita, Raffaello Cortina Editore,
Milano 2000; Un universo inquieto. Vita e opere di Paola Levi-Montlcini,
Baldini Castoldi Dalai, Milano 2001; Tempo di mutamenti, Baldini Castoldi
Dalai, Milano 2002; Abbi il coraggio di conoscere, Rizzoli, Milano 2004;
Tempo di azione, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2004; Eva era africana,
Gallucci, 2005; I nuovi Magellani nell'era digitale, Rizzoli, Milano 2006;
Tempo di revisione, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2006; Rita
Levi-Montalcini racconta la scuola ai ragazzi, Fabbri, Milano 2007. Cfr.
anche il sito www.ritalevimontalcini.org]

Bisogna dimenticarsi di vivere. E' questo, dice, il segreto per avvicinarsi
a qualcosa che puo' assomigliare all'illusione dell'immortalita'. Tra due
giorni la signora che mi guarda con occhi azzurri, limpidi e curiosi
compira' novantanove anni. E' un numero che inquieterebbe chiunque. Non lei.
E' un'eta' alla quale si giunge quasi sempre da solitari, e' come sbarcare
dopo un lungo viaggio su un'isola deserta e sapere che tutto cio' che
conoscevamo ce lo siamo lasciato alle spalle, ma nulla, proprio nulla,
possiamo immaginare del nuovo approdo, neppure la sua estensione geografica,
se sara' un posto di valli e montagne da attraversare prima del prossimo
mare o appena una lingua di sabbia. "Mi sento per la seconda volta un po'
Robinson Crusoe. La prima fu negli anni del fascismo. Allora ero piu' sola,
piu' giovane e meno forte di adesso, eppure il male produsse un bene".
Seduta in un angolo del divano della sua casa romana con la leggerezza di un
ramo antico, Rita Levi Montalcini sembra una vecchia appena nata. E'
elegante nel vestito blu che le scende fino alle caviglie, chiuso sul collo
lungo e sottile. Il blu elettrico dell'abito esalta la sua testa bianca, al
polso destro porta un bracciale che ha disegnato lei stessa e sul quale
spicca, incastonato come un minuscolo cammeo, il giglio di Firenze. E' un
gioiello che aveva regalato alla sorella Paola, la gemella tanto amata morta
otto anni fa. "Quella vagabonda della mia gemellina - la chiamava con
affetto nelle lettere alla madre - che e' riuscita ad addentrarsi in un
mondo chimerico libero da imposizioni di leggi".
Paola era un'artista, allieva e amica di Felice Casorati. "Il suo cuore
continua a battere dentro di me". Le pareti di questa bella e semplice casa
sono attraversate dai suoi quadri. C'e' un ritratto di Rita dipinto nel '45.
C'e', sul pavimento del terrazzo, un grande mosaico che riproduce le
traiettorie delle particelle atomiche nella camera a bolle. C'e' la
malinconia nello sguardo della professoressa ogni volta che parla di lei.
Nostalgia, non il dolore del lutto. Non piu'. "Abbiamo avuto una bella vita.
Non credo all'eternita'. Si spegne tutto". Ricorda a memoria una poesia
scritta per il nipote schizofrenico morto suicida a ventiquattro anni: "Che
rimane di noi quando il fiato non appanna piu' il vetro...".
A novantanove anni Rita Levi Montalcini ogni sera va a letto alle undici.
Ogni mattina si alza alle cinque. "Non mi interessano ne' il cibo ne' il
sonno". Mangia una volta al giorno, a pranzo. La sera si concede al massimo
un brodo e un'arancia. "Sto bene. Malgrado la diminuzione della vista e
dell'udito. Mai avuto una malattia". Ha un apparecchio acustico nelle
orecchie, legge grazie a un video ingranditore. "Mi aiutano i miei
collaboratori". Due in particolare, Pietro Calissano che e' con lei da
quarant'anni e Piero Ientile. "Il mio cervello funziona meglio di quando
avevo vent'anni. Ho deciso di utilizzarlo di piu' proprio nell'ultima tappa
del mio percorso. Penso di continuo, mi aiuta la passione per il mio
lavoro".
"Continuo la ricerca sull'Nfg, la sigla della proteina che stimola la
crescita delle cellule nervose, uno studio sulle malattie neurovegetative
che ho cominciato piu' di mezzo secolo fa. Mi occupo della fondazione creata
assieme a Paola in memoria di mio padre per il conferimento di borse di
studio a studentesse africane a livello universitario, con l'obiettivo di
creare una classe di giovani donne che svolgano un ruolo di leadership nella
vita scientifica e sociale dei loro paesi. Sto scrivendo due nuovi saggi
scientifici. Non mi sento mai stanca".
Ogni giorno va in laboratorio, nella sua equipe ci sono altre sette donne.
Si china sul microscopio, esamina gli embrioni di pollo come faceva
cinquant'anni fa in America. Dice: "La mia intelligenza e' mediocre, e il
mio impegno e' poco piu' che mediocre. Credo di avere due sole qualita':
l'intuito e la capacita' di vedere un problema nella sua globalita'.
Quand'ero giovane pensavo che la mia missione sarebbe stata quella di
aiutare gli altri, volevo andare a curare i lebbrosi in Africa. Volevo
disinteressarmi totalmente della mia persona, non volevo riconoscimenti".
Non e' andata cosi'. Anche il destino accarezza i propri desideri a nostra
insaputa. Nel 1986 ha vinto il Nobel per la medicina. "Abitavo gia' a Roma.
Ricordo che era quasi notte quando mi telefonarono per darmi la notizia.
Stavo leggendo un giallo di Agatha Christie. Lo rammento perche' e' raro che
io legga romanzi, prediligo i saggi di filosofia. Ho fatto eccezione per
Tolstoj, Michael Crichton e Agatha Christie, appunto. La cerimonia della
consegna del Nobel a Stoccolma non fu particolarmente eccitante, piuttosto
una specie di grande festival".
Il primo agosto del 2001 la chiamo' l'allora Presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi. "Mi disse: 'Sono Ciampi e l'abbraccio. La nomino
senatrice a vita per meriti scientifici e sociali'. Riuscii a rispondere
solamente grazie. Ero emozionatissima". Oggi il giudizio sulla politica e'
riassunto in un gesto di scoramento. La mano passata sugli occhi. "Sono
assolutamente ignorante in fatto di politica, la mia appartenenza ad essa e'
di puro dovere civile e morale. Certo, sono sempre stata una donna di
sinistra. In Parlamento ho trovato persone di grande intelligenza in
entrambi gli schieramenti e amici come Romano Prodi, Tommaso Padoa-Schioppa
e Anna Finocchiaro. La netta vittoria della destra nelle ultime elezioni mi
ha sorpreso, ma sarebbe troppo facile sostenere che dopo vent'anni di
fascismo e cinque di Berlusconi gli italiani hanno dimostrato ancora una
volta di non avere capacita' di scelta e di discrimine. Ci sono sentimenti e
bisogni che vanno analizzati a fondo e io non possiedo gli strumenti per
farlo. Mi ritiro, con modestia e rispetto".
Severa e' anche la pagella al paese. "L'Italia da' l'impressione di essere
vecchia, come se fosse prigioniera di una campana di vetro che le impedisce
di camminare. In diciotto mesi il governo di centrosinistra ha lavorato
bene, ma poteva fare molto di piu'. Potrei dire che gli e' mancato il karma.
Nella nostra classe politica, almeno per quanto riguarda la ricerca medica e
scientifica, non c'e' la consapevolezza che la conoscenza significa
ricchezza. E' un peccato, perche' abbiamo un capitale umano eccellente e un
grado di innovazione tecnologica che nulla deve invidiare al resto del
mondo. Dalle nostre universita' escono ragazzi molto preparati che non
trovano pero' un terreno fertile sul quale esercitarsi, cosi' la gran parte
di loro, se puo', fugge all'estero. Li regaliamo agli altri, per vederli
ritornare magari dopo dieci o vent'anni, un po' piu' vecchi, un po' piu'
stanchi. L'Italia non e' mai stata capace di investire sulle capacita'
intellettuali della sua gente. Manca la voglia di riconoscere il merito".
L'alloggio e' al quarto piano di una casa costruita negli anni Sessanta su
viale di Villa Massimo, alle spalle di Villa Torlonia. Sull'ascensore una
bimba di quattro o cinque anni si stringe alle gambe della mamma e, mentre
schiaccio il pulsante sulla bottoniera, mi chiede seria se sto andando a
trovare la professoressa con i capelli bianchi. Rita Levi Montalcini non ha
figli. Mi spiega perche' cominciando da Dio. "Invidio chi ha la fede. Io non
credo in dio. Non posso credere in un dio che ci premia e ci punisce, in un
dio che ci vuole tenere nelle sue mani. Ognuno di noi puo' diventare un
santo o un bandito, ma cio' dipende dai nostri primi tre anni di vita, non
da dio. E' una legge di una scienza che si chiama epigenetica, in altre
parole si puo' definire il risultato del dialogo che si instaura tra i
nostri geni e l'ambiente familiare e sociale nel quale cresciamo. Prenda una
bicicletta o un insetto, oggi sono pressoche' uguali a com'erano duecento
anni or sono. Noi no. L'uomo e' darwiniano al cento per cento. Ebbene, io a
tre anni, a tre anni, glielo giuro, ho deciso che non mi sarei mai sposata e
che non avrei avuto bambini. Sono rimasta condizionata dal rapporto
vittoriano che subordinava mia madre a mio padre. A quei tempi nascere donna
significava avere impresso sulla pelle un marchio di inferiorita'. Eppoi ho
visto troppe vite matrimoniali mai fortunate. Ne vedo tante anche ai nostri
giorni. Vite tristi e vuote. Le racconto un episodio di quand'ero negli
Stati Uniti. A un ricevimento mi si avvicina una signora e mi fa: "Anche suo
marito e' membro della National Academy?". Le rispondo "I am my own
husband", sono io stessa mio marito. Lei si allontana frettolosamente e un
po' interdetta, pensando probabilmente che non so esprimermi in inglese. Ho
rinunciato a costruire una famiglia, non all'amore. Questo no. Ho avuto
degli affetti, mi sono innamorata, sono stata felice. Ma forse il mio unico
figlio e' stato l'Nfg. Ho avuto e ho amici importantissimi, gli amici di una
vita: Renato Dulbecco, Giuseppe Attardi, il mio maestro Viktor Hamburger
alla Washington University di St. Louis, Norberto Bobbio, la poetessa Maria
Luisa Spaziani. Tutto e' stato enorme attorno a me".
Dal passato non si levano fantasmi. "Senza Mussolini e Hitler oggi sarei
soltanto una vecchia signora a un passo dal centenario. Grazie a quei due,
invece, sono arrivata a Stoccolma. Non mi sono mai sentita una perseguitata.
Ho vissuto il mio essere ebrea in modo laico, senza orgoglio e senza
umilta'. Non vado in sinagoga ne' in chiesa. Non porto come una medaglia il
dato storico di appartenere a un genere umano che ha sofferto molto, ne' ho
mai cercato di trarre vantaggi o risarcimenti morali. Essere ebrei puo' non
essere piacevole, non e' comodo, ma ha creato in noi un impulso
intellettuale supplementare. Come si puo' affermare che Albert Einstein era
di razza inferiore? Dovremmo abolire anche nella nostra testa il concetto di
razza. Esistono i razzisti, non le razze. E a me interessano soltanto le
persone. Durante la guerra, a Torino ho trasformato in laboratorio la mia
camera da letto, un piccolo locale di due metri per tre in corso Re Umberto.
Quella stanza divento' un centro di ricerca frequentato anche da alcuni miei
compagni di scuola che professavano il fascismo e forse la domenica
indossavano la camicia nera. Qualcuno cantava quelle stupide canzoncine. "Se
ci manca un po' di terra prenderemo l'Inghilterra, se ci manchera' il sapone
prenderemo anche il Giappone...". Tutti assieme si rideva. Con l¥avvento
delle leggi razziali di Mussolini la mia famiglia fu costretta a trasferirsi
a Firenze. Scegliemmo un altro cognome, lo decisi io, Lupani, il primo che
mi venne in mente. Ci ospitava una famiglia che vagamente sapeva di noi. Mi
specializzai nella stampa di documenti falsi per gli ebrei, avevo rapporti
con il Partito d'Azione. Un giorno mi venne a trovare il professor Giuseppe
Levi e per non farci scoprire disse semplicemente alla padrona di casa: "Mi
chiami la Rita". Vede, sono stata anche allora come Crusoe. Sola. Devo alla
solitudine anche il Nobel. Sono giunta alla scoperta sull'Nfg perche' ero
l'unica a lavorare in quello specifico campo della neurologia. Ero sola in
una giungla e non conoscevo nulla o quasi. Sapere troppo, spesso, ostacola i
nostri progressi".
Le domando se ancora sogna. Mi dice di si'. Spera che quando lei non ci
sara' piu' altri continueranno i suoi studi sulla molecola proteica che le
e' valsa il Nobel, perche' le sue applicazioni cliniche nella cura delle
malattie degenerative del cervello possono essere straordinarie. "Ma la cosa
che piu' desidero e' la pace in Medioriente. Mi interrogo spesso sul
conflitto tra arabi e israeliani. Non posso accettare l'idea di chi vorrebbe
la soppressione dello Stato d'Israele e allo stesso modo non accetto che i
palestinesi abbiano poche possibilita' di esprimere liberamente la propria
intelligenza. Credo ancora sia possibile raggiungere l'obiettivo di una
convivenza pacifica tra i due popoli. Siamo tutti uguali, ha detto
Confucio".
Il tavolino di cristallo di fronte al divano e' pieno di fiori. Sono rose
bianche e gialle, azalee, iris, orchidee. Non sono li' per cio' che accadra'
tra due giorni. Sono per una donna che ama i colori tutto l'anno. Lei si
alza, mi tende le mani. Mi aspetto la loro fragilita'. Le sfioro appena.
Sono invece secche e nodose. Sono ferme, la stretta e' forte e calda. "La
vita non mi ha maltrattata. Sono una donna senza rimpianti. Se rinascessi
ripercorrerei le stesse strade. Tutto e' stato a mio vantaggio, anche cio'
che non ho avuto, anche cio' che ho perso lungo il cammino. Certo, avrei
potuto essere una donna migliore. Sono pessima in matematica. Non conosco la
musica, solo un po' di Beethoven e Bach, qualcosa di Schubert, Mozart e
Chopin. Non abbastanza. Amo molto il teatro, non l'opera. Nei rapporti umani
ho trovato la compensazione ai miei novantanove anni. Accetto questa eta'
senza fatica, non mi vergogno delle mie doppie protesi acustiche, dei miei
occhi che non vedono quasi piu'. Voglio andare avanti. Non sono stanca di
vivere. E non cerco la morte. Arrivera'. Forse tra un mese, forse tra due
anni, chissa'. Le mie colpe sono di scarsa entita'. Spero di avere
pochissimo da farmi perdonare".

3. RIFLESSIONE. EVA CANTARELLA: DOPO CLITENNESTRA
[Dal "Corriere della sera" del 28 aprile 2008 col titolo "Il mito che
cancella la giustizia maschile" e il sommario "Una nuova sintesi tra
emozione e ragione. La lettura tradizionale dell'assoluzione del matricida
Oreste e l'esempio del Sudafrica. Dalla tragedia classica di Clitennestra
l'idea di un diritto in grado di riconciliare uomini e donne".
Eva Cantarella, docente universitaria di diritto romano e di diritto greco;
ha pubblicato molte opere sulla cultura antica ed e' autrice di fondamentali
ricerche sulla condizione della donna nelle culture antiche.
Dall'enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche riprendiamo la
seguente scheda: "Nata nel 1936 a Roma, Eva Cantarella si e' laureata in
giurisprudenza nel 1960 presso l'universita' di Milano. Ha compiuto la
propria formazione postuniversitaria negli Stati Uniti all'Universita' di
Berkeley e in Germania all'universita' di Heidelberg. Ha svolto attivita'
didattica e di ricerca in Italia presso le universita' di Camerino, Parma e
Pavia e all'estero all'Universita' del Texas ad Austin ed alla Global Law
School della New York University. E' professore ordinario di Istituzioni di
diritto romano presso la facolta' di giurisprudenza dell'universita' di
Milano, dove insegna anche diritto greco. Partendo dalla ricostruzione delle
regole giuridiche, le ricerche di Eva Cantarella, sia in campo romanistico
che grecistico, tendono da un lato a individuare la connessione tra le
vicende politiche ed economiche e la produzione normativa, e dall'altro a
verificare la effettivita' delle norme stesse, analizzando lo scarto tra
diritto e societa', la direzione di questo scarto e le ragioni di esso". Tra
le opere di Eva Cantarella: La fideiussione reciproca, Milano 1965; Studi
sull'omicidio in diritto greco e romano, Milano 1976; Norma e sanzione in
Omero. Contributo alla protostoria del diritto greco, Giuffre', Milano 1979;
L'ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell'antichita' greca e
romana, Editori Riuniti, Roma 1981; Tacita Muta. La donna nella citta'
antica, Editori Riuniti, Roma 1985; Pandora's Daughters, Bpod, 1987; Secondo
natura. La bisessualita' nel mondo antico, Editori Riuniti, Roma 1988; I
supplizi capitali in Grecia e a Roma, Rizzoli, Milano 1991; Diritto greco,
Cuem 1994; Passato prossimo. Donne romane da Tacita a Sulpicia, Feltrinelli,
Milano 1996; (con Giulio Guidorizzi), Profilo di storia antica e medievale,
Einaudi Scuola, 1997; Pompei. I volti dell'amore, Mondadori, Milano 1998;
(con Luciana Jacobelli), Un giorno a Pompei. Vita quotidiana, cultura,
societa', Electa, Napoli 1999; Storia del diritto romano, Cuem, 1999;
Istituzioni di diritto romano, Cuem, 2001; (con Giulio Guidorizzi), Le
tracce della storia, Einaudi Scuola, 2001; Itaca. Eroi, donne, potere tra
vendetta e diritto, Feltrinelli, Milano 2002; (con Lorenzo Gagliardi,
Marxiano Melotti), Diritto e sessualita' in Grecia e a Roma, Cuem, 2003;
(con Giulio Guidorizzi), L'eredita' antica e medievale, Einaudi Scuola,
2005; L'amore e' un dio, Feltrinelli, Milano 2006; Il ritorno della
vendetta, Rizzoli, Milano 2007; altre opere a destinazione scolastica: (con
Giulio Guidorizzi), Corso di storia antica e medievale, Einaudi Scuola; (con
Giulio Guidorizzi), Il mondo antico e medievale, Einaudi Scuola; (con Giulio
Guidorizzi), La cultura della storia. Laboratorio, Einaudi Scuola; (con
Giulio Guidorizzi), Lo studio della storia. Laboratorio, Einaudi Scuola;
(con Giulio Guidorizzi), Storia antica e medievale, Einaudi Scuola; (con
Giulio Guidorizzi), Antologia latina, Einaudi Scuola; (con Giulio
Guidorizzi, Laura Pepe), Letteratura e storia di Roma antica. Antologia
degli autori latini, Einaudi Scuola; (con G. Martinotti), Cittadini si
diventa, Einaudi Scuola; (con E. Varni, Franco Della Peruta), La memoria
dell'uomo, Einaudi Scuola]

Crudele, infida, violenta, adultera e assassina: il prototipo dell'infamia
femminile. Questa era la fama di Clitennestra presso i greci, consolidata
nei secoli dalla messa in scena, ad Atene, nel 458 a. C., dell'Orestea di
Eschilo.
La storia e' nota: nell'Agamennone,la prima tragedia della trilogia,
Clitennestra, durante l'assenza del marito, diventa l'amante di Egisto, e
quando Agamennone torna da Troia lo uccide, con la complicita' dell'amante.
Nella seconda, le Coefore, suo figlio Oreste ordisce, con la sorella
Elettra, il piano per uccidere la madre ed Egisto. Nella terza, le Eumenidi,
dopo aver realizzato il piano, Oreste e' inseguito dalle mostruose Erinni,
incitate dallo spettro di Clitennestra, assetato di vendetta. Per risolvere
il caso, la dea Atena istituisce il primo tribunale della storia ateniese,
l'Areopago, incaricato di giudicarlo: l'era della vendetta e' finita per
sempre, e' nato il mondo del diritto.
Torniamo a Clitennestra: nelle riletture moderne e' molto diversa
dall'immagine che i greci ci hanno tramandato. Per le femministe e' una
donna indomita, dignitosa, capace di opporsi all'infelicita' cui le donne
sono condannate in quella polis che un grande antichista ha definito "un
club di uomini". E a partire dalla sua storia si pongono due domande:
continua a esistere, oggi, la violenza di genere che arma la mano di
Clitennestra? Quali sono i possibili obiettivi di una politica di
riconversione del rapporto uomo/donna? Ma per capire perche' Clitennestra
diventa il personaggio attorno al quale si organizzano queste riflessioni e'
necessario andare oltre la sua morte, e seguire gli esiti del processo di
Oreste.
La prima sentenza dell'Areopago, infatti, afferma un principio destinato a
segnare per secoli il rapporto fra generi: Oreste viene assolto perche' "non
e' la madre la generatrice di quello che e' chiamato suo figlio; ella e' la
nutrice del germe in lei inseminato. Il generatore e' colui che la
feconda...".
Inserita nel lungo dibattito greco sulla riproduzione, l'ipotesi del ruolo
secondario della madre viene ribadita da Aristotele, al quale dobbiamo una
teoria sulla riproduzione che codifica, su basi scientifiche,
l'identificazione della donna con la materia e dell'uomo con lo spirito.
Anche le donne, spiega Aristotele, hanno un ruolo nella riproduzione:
accanto allo sperma, alla formazione dell'embrione concorre il sangue
mestruale, ma con un ruolo diverso. Lo sperma e' sangue, come quello
mestruale, ma piu' elaborato. Il sangue altro non e' che il cibo non espulso
dall'organismo, trasformato dal calore: ma la donna, meno calda dell'uomo,
non puo' compiere l'ultima trasformazione, che da' luogo allo sperma. Nella
riproduzione, dunque, e' il seme maschile che "cuoce" il residuo femminile,
trasformandolo in un nuovo essere. Anche se indispensabile, pertanto, il
contributo femminile e' quello della materia, per sua natura passiva;
l'apporto maschile invece e' quello dello spirito, attivo e creativo. In
Aristotele, insomma, troviamo una teoria delle differenza tra generi
destinata a durare per secoli, che traduce la "differenza" in inferiorita':
ecco perche' la storia di Clitennestra e' l'archetipo che consente meglio di
ogni altro di interrogarsi sul rapporto uomo/donna. Nel mito in cui la sua
storia e' inserita la teorizzazione della inferiorita' e subalternita'
femminile e' parte integrante ed essenziale del processo che porta alla
nascita del diritto e dello Stato.
*
E veniamo cosi' alle Clitennestre moderne. Le loro storie non sono meno
drammatiche di quelle dell'archetipo. Penso a due esempi molto diversi fra
loro, e lontani nel tempo: la Clitennestra di Dacia Maraini (I sogni di
Clitennestra, Bompiani 1981) ha perso la forza di ribellarsi, e finisce in
un manicomio: la follia, spiega l'autrice in un'intervista del 1984, e' la
conseguenza della impossibilita' delle donne di adattarsi a un mondo che non
e' fatto per loro. La Clitennestra di Valeria Parrella (Il verdetto,
Bompiani 2007) e' vittima-complice di Agamennone, senza speranza alcuna di
salvezza: versando il sangue del marito, dichiara, ha versato il suo stesso
sangue. Danno molto a pensare, queste Clitennestre, e varrebbe la pena
discuterne. Ma ragioni di spazio costringono a rinunziarvi per seguire il
discorso sulle strategie di riconversione del rapporto. Oltre alle
riflessioni femministe (prevalentemente orientate verso ipotesi di tipo
conciliatorio), e' importante ricordare alcune recenti riflessioni sul
diritto. Lo abbiamo gia' detto, nell'Orestea la nascita del diritto e'
legata alla sconfitta della parte femminile e dunque emotiva del mondo. Ma
recentemente l'idea che il diritto sia e debba essere solo ragione e' stata
messa in discussione anche da alcuni giuristi. Osserva ad esempio un
esponente di spicco del movimento Law and literature, Paul Gewirtz, che
indiscutibilmente, nell'Orestea, le forze della vendetta sono donne
(Clitennestra, e le Erinni) mentre il diritto nascente e' rappresentato da
uomini (Apollo e i giudici, cui si aggiunge Atena, donna-uomo senza madre e
senza marito). Ma nella parte finale delle Eumenidi le Erinni, sconfitte,
rinunziano al loro lato sanguinario e accettano di entrare nel sistema
giudiziario, svolgendovi un ruolo: e' la conciliazione dei generi sul piano
del diritto. L'interpretazione secondo la quale l'assoluzione di Oreste
segna la sconfitta della parte femminile del mondo e' da rivedere. Il
diritto non puo' essere solo ragione: per essere giusto, deve dare spazio
alle emozioni.
*
Con le dovute differenze, questa visione del diritto fa pensare al ruolo
assegnato alle emozioni dalla "restorative justice", la teoria di una
giustizia "riparativa" emersa negli anni Novanta e teorizzata da politici,
accademici, lavoratori sociali, gruppi religiosi e nuove figure
professionali dette "mediatori di giustizia". Schematizzando all'estremo,
per la giustizia riparativa la funzione del diritto e' promuovere la
riconciliazione tra chi ha commesso e chi ha subito un torto. Per chiarire
il concetto puo' essere utile ricordare che il caso piu' noto di giustizia
riparativa e' l'azione della Truth and Reconciliation Commission guidata da
Desmond Tutu, incaricata di riportare l'ordine e la riconciliazione nello
stato sudafricano. E uno degli aspetti fondamentali di questa giustizia e'
la considerazione data a temi quali le emozioni, negli ultimi anni sempre
piu' al centro delle riflessioni da parte di tutti gli scienziati sociali.
Nel 2002, ad esempio, e' stato dedicato a questi temi un numero speciale di
"Theoretical Criminology", ove si legge, tra l'altro, che "per avere un
dibattito piu' razionale sulla giustizia, dobbiamo paradossalmente prestare
piu' attenzione alla loro dimensione emozionale". Infine, parlando di
emozioni, e' impossibile non ricordare le indagini a cavallo tra diritto e
filosofia di Martha Nussbaum, cui si debbono libri celebri come
L'intelligenza delle emozioni (Il Mulino): per comprendere la realta' e per
comprendere se stessi, dice Nussbaum, non basta la ragione. Emozioni come
l'amore, l'ansia, la vergogna, hanno un ruolo etico nella costruzione della
vita sociale, e contribuiscono alla elaborazione di una concezione normativa
nella quale le persone sono intese non come mezzi, ma come fini e come
agenti.
Rileggendo la storia di Clitennestra, si arriva non solo a mettere in
discussione l'opposizione donna-emozione/uomo-ragione. Si arriva anche a
immaginare una nuova giustizia, all'interno di nuovi rapporti sociali e
politici. Si puo' arrivare persino a sognare una cultura i cui valori
possono cancellare per sempre la necessita' della scure.

4. RIFLESSIONE. NADIA FUSINI: DONNE IN RIVOLTA
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 29 aprile 2008 col titolo "Si apre oggi
a Firenze un convegno sulle donne in rivolta. La passerella delle adultere"
e il sommario "Emma Bovary, Anna Karenina, Nora, Giovanna, Hedda Gabler,
Effi Briest sono tutte eroine che muoiono in modi diversi per una grande
ingiustizia sociale. Sara' Gae Aulenti ad aprire oggi a Firenze, Palazzo
Strozzi, il convegno 'Donne in rivolta: tra arte e memoria', organizzato
dalla Fondazione Sum - Istituto Italiano di Scienze Umane in collaborazione
con il Maggio Fiorentino, che si concludera' domani. Anticipiamo qui parte
della relazione di Nadia Fusini".
Nadia Fusini, nata ad Orbetello nel 1946, acuta intellettuale, fine
saggista, narratrice, traduttrice e curatrice di edizioni di classici,
docente universitaria (laureata in lettere e filosofia all'Universita' La
Sapienza di Roma nel luglio 1972 con Agostino Lombardo e Giorgio Melchiori
con una tesi sul tema dell'iniziazione nella letteratura del Novecento; dopo
un periodo di studi nel campo della letteratura americana negli Stati Uniti
presso le universita' di Ann Arbor e di Harvard, ha studiato Shakespeare e
il teatro elisabettiano presso lo Shakespeare Institute di Birmingham, in
Gran Bretagna; e' stata nel 1978-'82 professore incaricato di lingua e
letteratura inglese all'Universita' di Bari e dal 1982 ha la cattedra di
lingua e letteratura inglese all'Universita' La Sapienza di Roma; dal
2000-2001 insegna, oltre letteratura inglese, critica shakespeariana), e'
impegnata nelle esperienze del movimento delle donne. Opere di Nadia Fusini:
segnaliamo particolarmente (a cura di, con Mariella Gramaglia), La poesia
femminista, Savelli, Roma 1974; La passione dell'origine. Studi sul tragico
shakespeariano e il romanzesco moderno, Dedalo, Bari 1981; Pensieri di pace
e di guerra, Centro Virginia Woolf, Roma 1984; Nomi. Dieci scritture
femminili, Feltrinelli, Milano 1986, nuova edizione Donzelli, Roma 1996;
Due. La passione del legame di Kafka, Feltrinelli, Milano 1988; La luminosa.
Genealogia di Fedra, Feltrinelli, Milano 1990; B e B. Beckett e Bacon,
Garzanti, Milano 1994; La bocca piu' di tutto mi piaceva, Donzelli, Roma
1996; Due volte la stessa carezza, Bompiani, Milano 1997; Uomini e donne.
Una fratellanza inquieta, Donzelli, Roma 1996; Il figlio negato, Mondadori,
Milano; L'amor vile, Mondadori, Milano 1999; Lo specchio di Elisabetta,
Mondadori, Milano 2001; I volti dell'amore, Mondadori, Milano 2003; La bocca
piu' di tutto mi piaceva, Mondadori, Milano 2004; Possiedo la mia anima. Il
segreto di Virginia Woolf, Mondadori, Milano 2006. Ha curato traduzioni e
edizioni, tra gli altri, di testi di Mary Shelley, Keats, Ford, Shakespeare,
Wallace, Virginia Woolf (di cui ha curato l'edizione delle opere nei
Meridiani Mondadori)]

Non v'e' dubbio che nella seconda meta' dell'Ottocento esista una quantita'
consistente di romanzi con strutture tematiche e compositive ricorrenti, che
vanno a comporre un unico, grande romanzo, che potremmo definire
"femminista", se non altro perche' ne sono protagoniste indiscusse delle
donne: Emma Bovary, dell'omonimo romanzo del 1857; Anna Karenina,
dell'omonimo romanzo del 1877; Nora, di Casa di bambola del 1879; Giovanna,
di Una vita del 1883; Hedda Gabler, primadonna dell'omonimo dramma del 1890;
Effi Briest, del 1895; Marta nell'Esclusa del 1901. Donne prese tutte nella
posa dell'adultera.
E' altrettanto indubbio che nel corso dell'azione noi lettori assistiamo
all'eliminazione fisica delle protagoniste, e dove volessimo, a mo' di
inchiesta, accertare le responsabilita' della morte, e comprendere se si
tratti, di volta in volta, nei casi specifici, di suicidio, o di omicidio,
non potremmo che osservare che sono insieme il marito Karenin e l'amante
Wronskji a uccidere Anna; sono il marito barone von Innstetten e il maggiore
Crampas a uccidere Effi; il noiosissimo marito Tesmann e il demonico
Loevborg e il volgare Brack a uccidere Hedda. Per non parlare delle
responsabilita' di Charles Bovary, di Torvaldo Helmer, di Giuliano di Lamare
e di Leone e di Rodolfo.
Si potrebbe addirittura parlare di "morti bianche", perche' a me pare che
questi personaggi di donna - sia che si lascino assassinare, o si
abbandonino alla morte per asfissia, per assideramento, o anestesia - sono
sempre e comunque li' a testimoniare il costo incivile di una enorme
ingiustizia sociale.
L'adulterio realizzato di Anna e il suo suicidio; il matrimonio di Effi e il
finale aborto di se', che la trasporta a un'esistenza larvale; il disgusto
di Hedda e la morte che si da', quasi fosse una vendetta che si prende
contro la vita; le vicende non dissimili delle altre, tutte insieme
compongono oggettivamente un patrimonio romanzesco che vede l'eroe in
conflitto aperto con la propria epoca storica, le sue leggi e forme.
Ora, non v'e' dubbio che a definire questo nuovo personaggio concorrano
cambiamenti avvertibili nella cultura e nella societa'.
Ma e' anche vero che uno scrittore non sempre segue l'azione, a volte e' la
letteratura a guidarne il corso, a prefigurare il cambiamento, o perlomeno,
a gettarne le basi. Lo scrittore, e' stato scritto, "da' voce a tutto cio'
che resta soffocato nel mondo com'e', a qualcosa nel cui nome il mondo volta
per volta andrebbe cambiato, alle ragioni che non trovano riconoscimento da
parte degli ordini conosciuti o grazia di fronte alle opinioni pubbliche".
Scriveva cosi', anni fa, Francesco Orlando a proposito di un'antenata, la
Fedra di Racine. Anche lei una ribelle.
Del resto, e' sempre stato cosi': perche' la macchina drammatica o
romanzesca scatti, ci deve essere una crisi. Perche' si inizi a raccontare
si deve aprire una breccia, attraverso la quale applicare lo sguardo a cio'
che soltanto superficialmente finora avevamo guardato, o addirittura
tralasciato di osservare.
E per fare cio' ci vuole un personaggio che sia capace di sopportare la
fatica del nuovo sguardo. Intendo dire: lo scrittore dovra' inventare un
personaggio cui affidare tale rottura, tale rivolta. Nei romanzi di cui
parlo, e' il personaggio-donna a sostenere il peso di tale azione.
E', se volete, ancora una volta il discorso aristotelico sul personaggio. Se
il romanzo, come la tragedia, ha al suo fondo un conflitto, il suo eroe
sara' il rappresentante di un'istanza oppressa, colui, colei che si rifiuta
di obbedire alle leggi della citta', perche' sa che ci sono altre leggi,
altre leggi devono essere trovate, inventate. In tale posa troviamo Anna,
Emma, Hedda.
Lo scrittore, per riprendere un vecchio stilema marxiano, stilema assai
demode' di questi tempi - ma proprio percio' con ancora maggior
soddisfazione me ne servo - lo scrittore, dicevo, sa che le istituzioni
tendono a presentarsi come assolute, necessarie, naturali. Cosi' anche per
il matrimonio. Che cosa c'e' di piu' naturale del matrimonio? Che cosa c'e'
di piu' naturale di una famiglia composta da un uomo e una donna, e
possibilmente il frutto del loro amore? (Vi prego incidentalmente di notare
che tale grazioso quadretto vale tuttora, guai a disturbare il
presepe-famiglia). L'adultera - "ce mystere de la femme en dehors du
mariage", come diceva Flaubert - e' il personaggio-donna che non si lascia
piu' definire dal matrimonio. Non importa che commetta o meno sensualmente,
fisicamente, l'adulterio. Gia' nella definizione flaubertiana e' evidente
come allo scrittore non interessa l'interno protetto, lo spazio gia'
conosciuto e perimetrato della passione coniugale, ma piuttosto il mistero,
il segreto - indicibile, irrappresentabile come tutti i misteri - di chi si
avventura all'esterno.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 185 del 29 maggio 2008

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