Voci e volti della nonviolenza. 248



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 248 del 21 ottobre 2008

In questo numero:
1. L'opera e l'ora di Aldo Capitini
2. Goffredo Fofi: Aldo Capitini quarant'anni dopo
3. Fulvio Cesare Manara: Memoria di un volto
4. Vittorio Merlini: Memoria di Capitini nella vita quotidiana
5. Pietro Pinna: Rifiuto assoluto della guerra per aprirsi ad una nuova
umanita'
6. Antonio Vigilante: Un pensatore eretico, aperto e appassionato
7. Arturo Colombo presenta due libri su Aldo Capitini (2002)
8. Enzo Marzo: Capitini, il futuro della nonviolenza (1999)

1. L'OPERA E L'ORA DI ALDO CAPITINI
[Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato
il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996;
segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri,
Edizioni Associate, Roma 1991; e la recente antologia degli scritti (a cura
di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della
nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)
sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di
Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di
un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90
e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui
apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un
volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione
ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente
e' la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo
Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007 e Aldo
Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Opere su Aldo
Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il
messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno:
Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di),
Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988;
Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini.
Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi
Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova
Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume
monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante,
La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un
profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze
2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze
2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza
di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; cfr. anche il capitolo dedicato a
Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi,
Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro
di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini
sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini:
www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai
utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere
richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a
Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento
Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it o anche redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org]

Manca ancora un'edizione nazionale - critica e adeguata - delle opere di
Aldo Capitini. Ma dovra' pur venire. E verra' con il riconoscimento della
rilevanza della sua opera e della sua azione. Verra' con la comprensione che
la nonviolenza e' la proposta decisiva affinche' l'umanita' possa
emanciparsi da tanti orrori e salvare ad un tempo la sua comune civilta' e
l'unica casa che tutte e tutti abbiamo.
*
Manca ancora un movimento ampio e corale che vittoriosamente si opponga alla
guerra, ai suoi strumenti ed ai suoi apparati, che si opponga ad ogni
terrorismo, ad ogni strage, ad ogni uccisione. Ma dovra' pur venire. E
verra' quando l'orrore per il male percepito o subito o commesso persuadera'
tante e tanti a passare dal pacifismo generico, non di rado inane e sovente
fin complice della guerra e dell'oppressione, alla nonviolenza specifica,
movimento di solidarieta' e di liberazione che tutte le guerre e tutte le
oppressioni contrasta con la forza della verita'.

2. GOFFREDO FOFI: ALDO CAPITINI QUARANT'ANNI DOPO
[Dal quotidiano "Il mattino" del 19 ottobre 2008 col titolo "Aldo Capitini.
Quarant'anni dopo"]

A quarant'anni dalla morte, la figura e il pensiero di Aldo Capitini
assumono un valore che cresce in rapporto alla crisi profonda e
irrimediabile della politica, della democrazia.
Quarant'anni fa era il '68, e tra gli ultimi scritti di Capitini ci sono gli
apprezzamenti convinti del movimento degli studenti, la raccomandazione a
difendere il valore dei piccoli gruppi e delle assemblee contro l'eventuale
risorgere dei partiti e partitini (un'altra amica scomparsa lo stesso anno,
Ada Gobetti, scrisse che il '68 partiva di dove la generazione della
Resistenza aveva lasciato e ceduto; ma il movimento, di fronte alle
difficolta' di crescere e alle enormi e inattese domande di tante parti
della societa' italiana risvegliate dalle sue lotte, scelse altri modelli, e
trascuro' proprio i maestri che piu' ne apprezzarono la novita', per
ricadere nelle indegnita' del modello leninista).
E' proprio in conseguenza dei fallimenti della politica (e delle proposte
che la sinistra ha avanzato di fronte ai cambiamenti della societa', da
Togliatti a Veltroni passando per Rossanda e Bertinotti) che l'esempio e il
pensiero di Capitini acquistano oggi un peso crescente, entrano decisamente
nell'attualita' e indicano alcuni modi di reagire alla decadenza dell'intera
societa' umana la cui storia ha piu' che mai il suo perno nel denaro e nelle
armi.
Il punto di partenza di Capitini e' piu' valido che mai, ma non guarda
soltanto alla realta' sociale, e' una pacata rivolta contro le storture
della creazione - che, diceva Anna Maria Ortese, "e' tarata" -, e' una
rivolta contro la condizione umana cosi' come essa e', contro i suoi limiti
che non sono soltanto sociali. Diceva Capitini, in un brano che non ci si
stanca mai di citare: "Quando incontro una persona, e anche un semplice
animale, non posso ammettere che poi quell'essere vivente se ne vada nel
nulla, muoia e si spenga, prima o poi, come una fiamma. Mi vengono a dire
che la realta' e' fatta cosi', ma io non accetto. E se guardo meglio, trovo
anche altre ragioni per non accettare la realta' cosi' com'e' ora, perche'
non posso approvare che la bestia piu' grande divori la bestia piu' piccola,
che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realta'
fatta cosi' non merita di durare". E infatti, potremmo aggiungere, oggi
sembra davvero destinata a non durare.
Il "non accetto" di Capitini non e' bensi' di tipo individuale. Esso avrebbe
potuto far suo il motto di Albert Camus "Mi rivolto dunque siamo", con la
differenza che Capitini aveva individuato, sulla scia di Gandhi, i modi in
cui sarebbe stato possibile, in cui sarebbe tuttora possibile intervenire
sulla realta', cominciando dalle ingiustizie che sono piu' evidenti, quelle
sociali.
Forse il libretto che oggi i giovani bene intenzionati (i "persuasi",
secondo il linguaggio di Capitini) dovrebbero conoscere per prima cosa di
suo, e' l'opuscolo su Le tecniche della nonviolenza che nel '68 Feltrinelli
non volle nelle sue edizioni maggiori e relego' alle transitorie e caotiche
edizioni della Libreria, l'opuscolo che ristampo' "Linea d'ombra" anni dopo
e di cui una parte e' compresa nella recente antologia sulla disobbedienza
civile delle Edizioni dell'Asino, dal titolo molto chiaro di Ribellarsi e'
giusto. Qui le convinzioni filosofico-religiose di Capitini lo spingono a
derivare dai principi della nonviolenza i loro due indispensabili corollari:
la nonviolenza non e' un atteggiamento di "anime belle" ma un metodo di
lotta, la nonviolenza non puo' agire se non unita alla nonmenzogna e alla
noncollaborazione, e cioe', in termini dichiaratamente politici, alla
disobbedienza civile.
Capitini credeva nel piccolo gruppo che interviene con i metodi della
nonviolenza per far da lievito, provocare, dar l'esempio, difendere chi non
ha parola, chiedere l'abolizione delle leggi ingiuste, ovviamente rischiando
ostracismi e carceri.
E' cosi' che si puo' cambiare la societa', e non sparando, non esercitando
anche noi la violenza, non ricorrendo agli ignobili mezzi che il potere si
da'. Le tecniche della nonviolenza avanzava proposte molto concrete, che la
sinistra ha continuamente trascurato o burlato, finendo come e' finita. Ma
anche gli stessi nonviolenti le hanno perlopiu' trascurate, ed e' questo che
ha fatto dire a Gunther Anders, partito come nonviolento cosi' come tanti
anni prima era partito nonviolento il pastore protestante Dietrich
Bonhoeffer, che poi partecipo' al fallito attentato a Hitler e venne
impiccato dai nazisti, che bisogna trovare modi di reagire nuovi e - visto
che la violenza del potere sta portando il mondo alla sua rovina - anche
violenti. E', credo, la incapacita' di incidere dei gruppi nonviolenti e la
loro trascuratezza della disobbedienza civile ad aver spinto Anders a queste
conclusioni, che sembrano dimenticare il principio della equivalenza tra i
fini e i mezzi; e' la trascuratezza di tutta la sinistra per la nonviolenza
e i suoi metodi, per la pratica della disobbedienza civile.
Da Capitini, oltre alla fondamentale "non-accettazione" del mondo e della
societa' come sono, si possono ancora apprendere i modelli di lotta oggi
indispensabili a far rinascere un'opposizione seria e radicale, non
compromessa, non consociativa, non corrotta in partenza dagli stessi modelli
che impone il potere.
Un'altra cosa credo infine che sia da imparare da lui: il suo modello di
leadership e l'importanza dell'educazione, un modo non di imporre la propria
visione ma di aiutare, i "persuasi" e tutti, a contribuire all'impresa
comune di trasformazione cercando e sviluppando i propri talenti, non
imitando, non adeguandosi.

3. FULVIO CESARE MANARA: MEMORIA DI UN VOLTO
[Ringraziamo Fulvio Cesare Manara (per contatti: philosophe0 at tin.it) per
questo intervento]

Fare memoria di un volto, quello di Aldo Capitini, come quello di infiniti
altri testimoni di nonviolenza, profeti di una parola che non trova sempre
casa nelle opere e nei giorni, e' sentirci in cammino a fianco di lui.
E' un compito primario per noi quello di ascoltare, di tornare ad ascoltare
quel che ci resta di questa sua testimonianza: le sue parole, scritte nei
libri. La sua opera, in senso piu' stretto.
Ascoltare come in un dialogo: che non puo' piu' essere vivo se non perche'
mette in moto noi stessi e chi ascolta con noi. Segna infatti al nostro
passo la distanza ancora ampia tra una vita nonviolenta e la nostra
esistenza.
Una piccola memoria, che pero' apre nelle nostre vite spazi per una vita
altra e piu' piena, piu' autentica.
Una piccola memoria, se siamo capaci di attendere una compresenza e
lasciarci trasformare da ogni cosa e in ogni cosa.

4. VITTORIO MERLINI: MEMORIA DI CAPITINI NELLA VITA QUOTIDIANA
[Ringraziamo Vittorio Merlini (per contatti: vittoriomerlini at peacemail.it)
per questi pensieri inviatici nel quarantesimo anniversario della scomparsa
di Aldo Capitini]

Omnicrazia 1. Piacenza. Novembre 1977. Mancano pochi giorni alla laurea. Sto
facendo il servizio civile in un'associazione di assistenza agli spastici.
Viene dato un ricevimento in onore dei laureandi. Tutti sono euforici. Ad un
certo punto esprimo ad alta voce i miei pensieri: "qui festeggiamo la nostra
laurea,  ma il mio pensiero va ai ragazzi handicappati e analfabeti! Abbiamo
lavorato tutti questi anni per migliorare le nostre potenzialita' e
conoscenze, mentre loro... Mi viene la tentazione di non presentarmi il
giorno della laurea ma di continuare a lavorare per crescere il loro potere
di vivere pienamente la  loro vita".
*
Omnicrazia 2. Ponte Nossa. 1980. Mi hanno chiesto di candidarmi al consiglio
comunale del mio paese. Ho rifiutato per due motivi: mi stavo  trasferendo
in un'altra regione per vivere in una comunita' (che possa anche accogliere
persone in difficolta') e preferivo dedicare le mie energie non alla
gestione del potere ma a impegnarmi per far crescere il potere di chi non lo
ha.
*
Omnicrazia 3. Sestola. Ottobre 2008. Dialogo tra cittadini e sindaco. I
cittadini lamentano la scarsa democrazia dell'amministrazione, le decisioni
urbanistiche non condivise, la mancanza di dialogo. Il sindaco risponde che
nessuno partecipa ai consigli comunali, che nessuno scrive osservazioni, che
pochi partecipano agli incontri. Chi ha il potere puo' essere infastidito da
un eccessivo controllo ("non disturbate il manovratore"). Chi ha poco potere
trova comoda la delega e faticoso, alla sera, lasciare il tepore della
propria casa per partecipare alle riunioni sul futuro del proprio paese. Si
concorda una pubblica assemblea a novembre per parlare insieme di
urbanistica.
*
Nonviolenza e pacifismo. Assisi. 2003. Abbiamo ancora appeso in casa il
cartello che abbiamo usato alla marcia della pace, con la scritta grande e
colorata: "Pace con mezzi pacifici" (copiata da un titolo di Galtung).
Abbiamo appeso anche la fotografia della nostra famiglia che tiene il
cartello con sullo sfondo la citta' di Assisi. C'e' chi crede che la pace si
possa ottenere con qualsiasi mezzo, anche con la violenza ("si vis pace para
bellum"). Altri pensano che la pace sia il bene supremo, da accettare a
qualsiasi prezzo, anche quello della liberta'. Noi abbiamo marciato per
affermare che il mezzo deve essere della stessa natura del fine. La bonta'
del pane dipende dalla qualita' della farina.
*
Compresenza dei morti 1. Sestola. 2002. Non sappiamo se e quando verra'
realizzata la nostra idea di un Parco della Pace attorno al Castello.
Abbiamo fatto un bel progetto, con cinquanta idee, sculture, sentieri,
percorsi tematici. Il parco confina con il cimitero. O meglio, il cimitero
e' dentro al parco. E i morti sono presenze vive, maestri di pace.
*
Compresenza dei morti 2. Sestola 2000. Anni fa, passando di fronte al
cimitero chiesi al piccolo Antonio: "cosa fanno i morti li' dentro?". E lui:
"stanno aspettando i vivi!".
*
Compresenza dei morti 3. Quando mi spiegano che il mio vegetarianesimo, in
realta', e' una forma di violenza verso i vegetali, rispondo: "solo i morti
sono i veri nonviolenti".

5. PIETRO PINNA: RIFIUTO ASSOLUTO DELLA GUERRA PER APRIRSI AD UNA NUOVA
UMANITA'
[Ringraziamo il mensile "Azione nonviolenta" (per contatti: via Spagna 8,
37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per averci messo a
disposizione il seguente articolo apparso nel fascicolo dell'ottobre 2008
monografico sul tema "1968-2008. Il pensiero e il lavoro di Aldo Capitini]

Ad altri di ripercorrere ancora una volta con amore - nel quarantesimo
anniversario della morte di Aldo Capitini - la sua lezione umana, politica e
religiosa, supremamente illuminante e coinvolgente. Io mi restringo qui a
porre in evidenza un aspetto soltanto della sua opera nonviolenta -
"apertura all'esistenza, alla liberta' e allo sviluppo di ogni essere" -, ma
che considero di importanza fondamentale per la storia umana in atto, ed a
cui egli ha dedicato tanto della sua appassionata attivita'.
E' l'impegno capitiniano volto a contrastare quella realta' di male che, con
le tant'altre nostre miserie e colpe, e' la piu' tragica, la piu' devastante
e abbrutente per l'umanita' intera: la guerra.
E' questo l'aspetto sul quale Capitini, con preminente importanza e urgenza,
ha teso a suscitare la coscienza e l'impegno di quanti potesse raggiungere
con la sua diuturna parola e le sue iniziative, un impegno da concretare qui
e subito sulla base del pacifismo assoluto. A esprimere tale orientamento -
che piu' insistentemente troviamo richiamato nelle sue pagine - aveva
scritto fin dall'inizio del suo operare, alla vigilia della seconda guerra
mondiale, quelle parole che abbiamo imparato a ridire a memoria: "Tanto
dilagheranno violenza e materialismo, che ne verra' stanchezza e disgusto; e
dalle gocce di sangue che colano dai ceppi della decapitazione salira'
l'ansia appassionata di sottrarre l'anima ad ogni collaborazione con
quell'errore, e di instaurare subito, a cominciare dal proprio animo (che e'
il primo progresso), un nuovo modo di sentire la vita: il sentimento che il
mondo ci e' estraneo se ci si deve stare senza amore, senza una apertura
infinita dell'uno verso l'altro, senza una unione di sopra a tante
differenze e tanto soffrire. Questo e' il varco attuale della storia".
Mille altri potrebbero essere i passi da citare, nei quali Capitini ha
espresso questa esigenza del pacifismo assoluto, quale dato prevalente ed
essenziale all'apertura di un mondo nonviolento. "Nel rifiuto della guerra
sta una svolta decisiva di questo tempo". "Sul rifiuto assoluto della guerra
si puo' costruire una nuova civilta'". "Il rifiuto della guerra e' la
condizione preliminare per parlare di un orientamento diverso". "Il rifiuto
integrale della guerra e' il punto di partenza, la svolta, la condizione
assoluta di una nuova impostazione del potere". "La capacita' delle
moltitudini di impedire dal basso le oppressioni e gli sfruttamenti ha il
suo collaudo nel rifiuto della guerra, intimando un altro corso alla storia
del mondo".
Insomma, tanto ha insistito Capitini su questa esigenza, da potersi
affermare che nel rifiuto della uccisione preordinata e deliberata di esseri
umani - e sono migliaia e milioni nelle guerre - viene posta la pietra
angolare della apertura da lui perseguita ad una nuova umanita', nuova
societa', nuova realta', nell'unita' amorevole di tutti.
Ora, che ne e', sul piu' ampio piano culturale e politico, di questo
pacifismo assoluto, di rifiuto integrale e immediato della preparazione di
ogni apparato bellico? Esso - non e' neppure il caso di dirlo - resta di
infima ignorata minoranza. Negatore di esso, a dominare il campo e' un
fronte smisurato dei piu' diversi pacifismi: di governi, partiti,
organizzazioni internazionali, chiese di ogni genere, che per la loro
influenza e ampiezza avrebbero ben dovuto da tempo portare il mondo al
sospirato traguardo del superamento della guerra. Ma perche' siamo invece
ancor oggi - e chissa' per quanto tempo ancora - immersi in questa storia
sanguinosa, nonostante questo universale pacifismo? Il perche' e' presto
detto, lo dicono i fatti. E' perche' si tratta null'altro che di un
pacifismo non assoluto, ma di un pacifismo relativo, condizionato, sempre
basato - bacato direi - sulla predisposizione di un apparato militare
statale indispensabile, si dice, a preservare i propri sacrosanti valori e
interessi dalle possibili minacce altrui. Talche', ancorata sempre al
fracido principio "si vis pacem para bellum", siffatta politica pacifista
armata, anziche' alla pace ha portato l'umanita' ad agonizzare in guerre
sempre piu' sanguinose e terrificanti (siamo alla bomba atomica!),
sciorinanti sulla scena del mondo come spiccioli da una tasca bucata.
A questo quadro desolante, da questa denuncia del disastroso pacifismo
relativo - la cui responsabilita' non va solo addossata ai vertici dominanti
ma all'intera comunita' che volente o nolente vi aderisce - non si
sottraggono i variegati movimenti dal basso per la pace, pur essi di
pacifismo relativo. Diciamone una parola di piu', dolorosamente ma
severamente dovuta. Anch'essi si sono dati, massicciamente da oltre un
secolo, a voler affossare la guerra, con una riuscita evidentemente nulla
viste le tante guerre intercorse. L'ultimo grandioso Movimento della Pace ha
messo in campo nei nostri giorni cento e piu' milioni di dimostranti ad
impedire l'aggressione armata degli Stati Uniti in Irak, ma con l'esito
ognora ricorrente di un'assoluta penosa scontata inconcludenza. Dopo tanti
smacchi, arriveremo finalmente a capire che, nulla facendo in anticipo per
la messa in discussione dell'esercito, struttura portante della guerra, vano
risultera' poi frenare l'impiego di quell'immane forza contrapponendogli
semplici forme di dissenso verbale, vacue di presa reale! Una pretesa - ci
avvenne di scrivere gia' anni fa, al tempo della prima Guerra del Golfo -
simile a quella di voler arrestare un ciclone con una reticella da farfalle.
Non soltanto deprimente questo pacifismo nella sua inanita' di opposizione
alla guerra ormai avviata, ma peggio ancora deplorevole nella sua
responsabilita' di non averne prima ostacolata, ed anzi accettatane la
preparazione. I due aspetti sono cosi' riassunti in due concise frasi di
Gandhi. Circa l'inanita', egli osserva: "Rifiutare la guerra soltanto quando
ne e' arrivato il momento, significa fare qualcosa quando ormai praticamente
non c'e' piu' tempo per combattere il male". E inoltre, quanto alla
responsabilita': "Affermo che pur coloro che non hanno l'obbligo di
prestarsi direttamente alla guerra partecipano ugualmente al male se
appoggiano lo Stato organizzato militarmente".
Riassumiamo allora anche noi il lungo discorso sul pacifismo in due incisi.
Siamo veramente, assolutamente, "senza se e senza ma" contrari alla guerra?:
aboliamone il suo strumento essenziale, l'esercito; vogliamo invece, pur in
nome della pace, continuare a mantenerlo in piedi, a portata di mano, anche
se cosi' precario e rovinoso?: avremo, come e' sempre stato, continua, e
continuera' ad essere, la guerra.
Norberto Bobbio, filosofo della travagliata vicenda umana, ha cosi'
prospettato con drammatica lucidita' il perentorio dilemma in cui si trova
oggi l'umanita': "All'uomo di ragione e di fede che sia penetrato cosi' a
fondo in questa storia tragica di orrori e di follie, non sono restate che
due vie: o il rassegnarsi ad essa senza speranza, o il tentare una nuova
strada".
Non resta, a questo gia' lungo articolo di denuncia del pacifismo relativo,
se non lo spazio per concludere, quando invece ci sarebbe da iniziare il
discorso altrettanto essenziale dei tanti e pur assillanti problemi che
stanno di fronte alla "nuova strada" del pacifismo assoluto. Per intanto,
basti qui di essere almeno approdati a destare alla consapevolezza e alla
coscienza dell'inderogabile scelta che, non bastante fin qui il senso etico,
l'attuale realta' tragica ci impone. L'umanita' intera - quindi ciascuno di
noi - deve alfine assumersi la responsabilita' di una scelta netta,
inequivoca - fuor dagli altalenanti "si', ma pero'" che costellano le
interminabili discussioni in materia - tra il continuare la vecchia strada
della predisposizione armata o rifiutarla in assoluto.
A sorreggere e invigorire l'impegno di chi si da', pur al presente in infima
minoranza, alla nuova strada del pacifismo integrale, puo' valere ancora una
volta una frase di Aldo Capitini: "Se e' vero che gli uomini siano
diversamente appassionati e interessati, puo' anche darsi che nel loro cuore
ci sia un senso universale di gratitudine e poi anche di partecipazione per
chi agisce nel modo piu' puro e piu' nonviolento superando qualsiasi
schieramento, in attuazione e al servizio del bene primario della pace".

6. ANTONIO VIGILANTE: UN PENSATORE ERETICO, APERTO E APPASSIONATO
[Ringraziamo il mensile "Azione nonviolenta" (per contatti: via Spagna 8,
37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per averci messo a
disposizione il seguente articolo apparso nel fascicolo dell'ottobre 2008
monografico sul tema "1968-2008. Il pensiero e il lavoro di Aldo Capitini]

Capitini e' morto da quarant'anni. Io l'ho incontrato quindici anni fa.
Studiavo, allora, il pensiero di Giuseppe Rensi, l'inquieto filosofo
scettico e pessimista, ateo eppure religioso - anzi: religioso in quanto
ateo. Nella mia ricerca quasi da collezionista di qualsiasi materiale che lo
riguardasse mi imbattei nel numero di una rivista che conteneva un dossier
sugli eretici della cultura italiana del Novecento. E non poteva mancare,
accanto a Rensi, Aldo Capitini. Mi sorpresero subito le sue idee, nonostante
l'estrema sintesi dell'articolo, ma piu' ancora a sorprendermi fu il titolo
stesso della sua opera principale: La compresenza dei morti e dei viventi. I
morti, i viventi. Compresenti. Era una idea forte, provocatoria.
Cercai i suoi libri in biblioteca, cominciai a leggere, e quel certo
pessimismo nichilistico di cui allora mi compiacevo comincio' a vacillare.
Pagina dopo pagina scoprivo non una filosofia, non una teoria. Qualcosa di
radicalmente altro. Si fa un torto a Capitini, e lo si equivoca, se lo si
considera (solo) un filosofo. Ogni pagina, ogni singolo periodo dei suoi
libri avevano una risonanza particolare dentro di me. Erano come ami gettati
nel profondo, capaci di far affiorare pensieri, emozioni, percezioni nuove,
vive e guizzanti come pesci appena sottratti al mare. Forse non ne ero
ancora del tutto consapevole, ma leggendo i suoi libri sperimentavo la
realta' stessa di quella compresenza che tanto filo da torcere ha dato agli
interpreti. Capitini era morto. Eppure era vivo. Operava in me come se lo
avessi accanto. Attraverso la parola si faceva presente, compresente: era
unito a me nell'intimo, ed agiva aperture. Era, e' un centro che irradia
valori, oltre il limite della morte. Presto ne scaturirono scelte.
L'obiezione di coscienza, lo sbattezzo. Al vegetarianesimo ero giunto per
conto mio, all'eta' di sedici anni.
Aldo Capitini ha insegnato una sola cosa: l'apertura. L'attenzione infinita
al mondo - all'altro, al non umano, alle piante, perfino alle cose. Tutto
scaturisce in lui da questo sguardo appassionato sul mondo, da questo
insensato appassionamento per ogni ente. Ho protestato spesso con lui.
Chiedi una purezza dello sguardo di cui non sono capace, gli dicevo. Ma poi
l'apertura accadeva, non cercata, non presentita; accadeva come accade la
gioia di dentro in un giorno di pioggia. Accadeva: per dirla con Blake, le
porte della percezione si aprivano e il mondo appariva realmente perfetto.
Il mondo aperto al possibile, che Capitini ha mostrato per decenni con la
caparbieta', con il candore del profeta, era li', concreto eppure
indicibile, fugacemente festoso, presto sottratto dalla invasivita' del
quotidiano, dalla gabbia ferrea del sistema dei nomi e delle forme. Capitini
ha avuto per una vita intera quello sguardo, e' vissuto in quella realta'
nella quale ognuno e' custodito, in cui l'uomo e' uno con la terra, in cui
la morte e' vinta e il tempo si apre.
Ma l'apertura non e' solo sguardo appassionato. Stare nell'apertura
significa anche combattere, protestare, lottare contro le chiusure. Rompere
i gusci, scardinare le porte. E' l'aspetto duro, intransigente di Capitini,
quello che lo induce a ricordare negli Elementi di un'esperienza religiosa:
"La vita e' lotta. Non c'e' cosa di valore che non costi". E Capitini ha
lottato tutta la vita. Contro il fascismo, contro la finta democrazia dei
partiti, conto la Chiesa cattolica. Verrebbe da dire che e' stato sconfitto,
considerando l'esito di queste lotte.
Ho tra le mani il ritaglio di un articolo di dieci anni fa. E' un elzeviro
di Giancarlo Lunati sul "Corriere della sera" del 18 ottobre del 1998.
Commemorando Capitini, scriveva che nei trent'anni successivi alla sua morte
quella Chiesa contro la quale aveva lottato e' cambiata. Si spingeva fino a
dire che "la religione aperta di Capitini e' negli animi di molti uomini di
Chiesa e dello stesso papa Giovanni Paolo II", e che la sua lotta
apparteneva a un tempo in cui "era ancora lontano il Concilio Vaticano II".
Eppure il concilio vaticano II e' terminato nel '65. Non solo: Capitini ha
addirittura scritto un libro (Severita' religiosa per il Concilio, 1966) per
mostrare l'insufficienza religiosa delle aperture del Concilio.
Difficilmente avrebbe potuto ritrovare la sua religione aperta nel
pontificato di Giovanni Paolo II, che ha fatto fare alla Chiesa cattolica
molti passi indietro rispetto al Concilio. Meno che mai in quello di papa
Benedetto XVI, che e' stato per molti anni prefetto della Congregazione per
la dottrina della fede, vale a dire l'equivalente attuale della Santa
Inquisizione.
Nell'ottobre del '58 Capitini scrisse al vescovo di Prato per chiedergli di
essere sbattezzato. Occasione della richiesta erano state le pubbliche
offese rivolte dal vescovo a una coppia di coniugi che avevano scelto di non
sposarsi in chiesa, e che furono bollati come "concubini".   In seguito a
quanti episodi avrebbe potuto avanzare una simile richiesta ai giorni
nostri? Forse dopo aver visto rifiutare il funerale religioso a Piergiorgio
Welby, colpevole di non aver ottemperato all'obbligo cattolico di vivere in
qualsiasi condizione. O forse dopo aver saputo degli immigrati senza casa
cacciati dalle manganellate della polizia dal duomo di Napoli. O forse dopo
aver constatato che in una delle piu' frequentate chiese di Palermo c'e' in
bella vista una targa che ricorda un noto mafioso. Avrebbe solo l'imbarazzo
della scelta.
Non molti hanno voglia di ricordare quella richiesta di sbattezzo. In
qualche caso l'episodio viene letteralmente rimosso. Leggo e rileggo, ad
esempio, le pagine che Roberto Mancini ha dedicato a Capitini nel suo libro
L'amore politico (Cittadella). Settanta pagine, nelle quali non trovo un
solo riferimento allo sbattezzo, mentre si puo' leggere che "per il filosofo
perugino la fede cristiana testimonia una verita' universalmente valida, che
in quanto tale non puo' essere racchiusa entro una confessione religiosa
particolare"; affermazione che fa pensare ad una adesione al cristianesimo,
sia pure al di la' delle confessioni, di un uomo che invece ha affermato con
vigore la necessita' di giungere ad un post-cristianesimo. Sulla stessa
linea e' il libro di Federica Curzi Vivere la nonviolenza. La filosofia di
Aldo Capitini (Cittadella). Libro ben scritto, non privo di spunti
originali, ma che riconduce il riottoso rivo della compresenza capitiniana
nel vecchio alveo della nostra tradizione metafisico-religiosa. Vero e',
dice, che la compresenza non e' proprio uguale al Dio cristiano, ma "nella
costante critica agli attributi del Dio cattolico l'autore si avvicina
sempre piu' ad un totale recupero del Dio evangelico descritto,
rappresentato e vissuto attraverso la figura di Gesu'". La compresenza
diventa cosi' un Dio che fonda l'essere dandosi nell'amore, con un atto che
l'uomo ripete amando il prossimo. Siamo alla piu' classica fondazione
metafisica dell'etica, mentre il discorso di Capitini e' molto piu'
complesso. La compresenza non e' l'origine, non fonda l'essere, anzi
all'essere non appartiene affatto, non e' realta' che scaturisce
dall'origine, quanto piuttosto anticipazione del compimento. Semplificando
con un'immagine, vi sono due correnti: la prima, tempestosa e torbida, e'
quella dell'essere, che proviene dall'origine, la seconda e' quella del
bene, una luce tranquilla, diafana che viene dal futuro, dal compimento del
tutto. Queste due correnti si incontrano nel momento in cui io, posto di
fronte all'altro, gli dico tu. E' in questo momento che, dice Capitini, Dio
nasce. Cio' che ora nasce appartiene al futuro, evidentemente. Il Dio che
nasce nel mio dire tu e' il Dio futuro, il compimento del tutto in cui la
violenza dell'essere sara' dissolta nella pace del tu-tutti. Non e' troppo
lontana, la compresenza di Capitini, da quel Dio di cui parla Ferdinando
Tartaglia nelle Tesi per la fine del problema di Dio: un Dio che "finora non
e' mai stato", e che solo ora e' possibile, assunto come "puro 'dopo'". Non
e' possibile comprendere l'eretico Capitini senza l'eretico Tartaglia,
insieme al quale fondo' il Movimento di Religione.
Capitini non e' stato, come le interpretazioni appena citate vorrebbero
lasciare intendere, un pensatore giunto attraverso le sue personali
riflessioni a lambire le verita' cristiane. Capitini e' stato un pensatore
profondamente consapevole della crisi attuale della metafisica e
dell'insufficienza delle care vecchie verita', ma anche un uomo d'azione che
ha lottato per aprire istituzioni che non hanno piu' verita'. Di fronte alle
tronfie, persistenti esibizioni di potere di questi macabri gusci vuoti,
viene da pensare che si', Capitini e' stato sconfitto. Ma la compresenza
opera lentamente, aggiunge pazientemente apertura ad apertura, opera
incessante e silenziosa. La voce di Capitini resta, amorevole eppure decisa,
coraggiosa e paziente, appellante e viva nella compresenza dei morti e dei
viventi.

7. ARTURO COLOMBO PRESENTA DUE LIBRI SU ALDO CAPITINI (2002)
[Dal "Corriere della sera" del 13 gennaio 2002 col titolo "Un Gandhi a
Perugia" e il sommario "Personaggi. Le quattro utopie 'eretiche' di Aldo
Capitini]

Per capire chi fosse veramente Aldo Capitini, bisogna averlo visto almeno
una volta sullo sfondo di quello straordinario paesaggio della sua Perugia,
dov'era nato nel 1899 e dov'era vissuto fino al 1968. Lo chiamavano, magari
con un pizzico d'ironia, il Gandhi nostrano; ma benche' sia riconosciuto
tuttora come il maggior sostenitore della nonviolenza nel nostro Paese,
molto differenti erano le matrici culturali e i punti-forza del suo
pensiero.
Se ne ha un'efficace riprova leggendo il saggio che Pietro Polito, cresciuto
alla scuola di Bobbio, dedica adesso a L'eresia di Aldo Capitini,
restituendoci - se non l'immagine viva - il calore, e il vigore, del suo
esempio di riformatore indomito (Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini,
Stylos, Aosta). Un "fuoco vitale", come lui stesso lo chiamava, ha divorato
Capitini, fin dalla giovinezza: quella straordinaria carica "religiosa" (pur
lontanissima dal cattolicesimo) che gli faceva credere nella "comunione dei
vivi e dei morti", con uno spirito di apertura verso tutti, senza
distinzione di sesso, di razza, di censo.
Forse il simbolico quadrilatero all'insegna dei principi della liberta', del
pacifismo, della nonviolenza e della democrazia diretta (che lui chiamava
"onnicrazia", o potere di tutti), entro il quale si racchiudeva il suo
programma, non era solo una "eresia"; era piuttosto una generosa utopia, che
Capitini - con la tenacia di chi rifiuta la realta' del mondo cosi' com'e',
perche' crede indispensabile cambiarlo - ha voluto perseguire fino in
ultimo.
Ma guai a considerarlo alla strega di un visionario o di un acchiappanuvole.
Al contrario, come spiegano anche gli interventi di un altro volume su Aldo
Capitini tra socialismo e liberalismo, curato da Gian Biagio Furiozzi
(Franco Angeli, Milano), le carte in regola per denunciare le ingiustizie e
le vergogne, di cui siamo tuttora vittime (o colpevoli), le possedeva e ce
le gettava in faccia, perche' sapeva che non bisogna mai rinunciare alla
lotta per un ideale di miglioramento, anche a costo di passare per un
ingenuo sognatore.
Col suo disarmante sorriso Capitini era pronto a rispondere che per salvarci
dai guastafeste in servizio permanente non c'e' altro rimedio che decidersi
a costruire insieme l' impossibile.

8. ENZO MARZO: CAPITINI, IL FUTURO DELLA NONVIOLENZA (1999)
[Dal "Corriere della sera" del 14 dicembre 1999 col titolo "Capitini, il
futuro della nonviolenza" e il sommario "Pionieri. A cento anni dalla
nascita, filosofi e politologi ricordano il pensatore pacifista"]

Fra pochi giorni, il 23 dicembre, cade il centenario della nascita di Aldo
Capitini. Il suo nome non e' conosciuto dai piu'. Probabilmente e' ignoto
persino a molti di coloro che, suggestionati da un certo spirito del tempo,
praticano senza saperlo i suoi insegnamenti etici. E quindi Capitini resta
un isolato che, pero', con i suoi libri sa parlare alle coscienze.
Il 15 e il 16, a Torino, a cura del Centro studi Sereno Regis, si svolge un
convegno dove, all'insegna del pensiero capitiniano, si confronta tutta la
cultura nonviolenta. Ci saranno Polito, l'organizzatore, Fofi, Veca, Pinna,
D'Orsi, Revelli e molti altri.
Secondo Bobbio, Capitini della nonviolenza "fu il filosofo e il maestro, il
propagatore e l'infaticabile organizzatore. E anche il poeta". Ma forse
proprio questo fare un tutt'uno di teoria politica, etica e religiosita' non
ha giovato alle fortune della nonviolenza. Un'eccessiva esaltazione
dell'"uomo religioso" rispetto al "cittadino", il far passare concetti che
sono e devono essere politici attraverso la cruna della religiosita', per
quanto venata di laicita' e distinta dalla fede, hanno opacizzato la forza
dirompente di valori sempre piu' necessari per una pacifica convivenza.
Anche se Capitini, questi principi, ha cercato di fondarli su categorie
solide (noncollaborazione, nonmenzogna e nonuccisione) che con grande
anticipo offrivano la soluzione a questioni teoricamente complesse (si
possono rifiutare leggi considerate nel proprio intimo ingiuste?).
Avveniristica e' stata anche l'identificazione tra mezzi e fini, nonche' l'
estensione del rispetto assoluto della vita a tutti gli esseri: agli uomini,
agli animali e alle cose.
Sono, questi, concetti attualissimi nel dibattito attuale, anche se le forze
politiche nel nostro Paese non se ne accorgono. Ma cosi' sono esse a
distaccarsi sempre piu' dalla societa' civile.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 248 del 21 ottobre 2008

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