Minime. 675



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 675 del 20 dicembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. La newsletter settimanale del Centro studi "Sereno Regis" di Torino
2. Claudio Toscani: Federigo Tozzi
3. Giambattista Misantri: Domande sull'universita'
4. Giambattista Misantri: Domande sui mass-media
5. Daniela Monti presenta "Malamore. Esercizi di resistenza al dolore" di
Concita De Gregorio
6. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
7. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009"
8. L'Agenda dell'antimafia 2009
9. Riedizioni: Omero, Iliade
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. STRUMENTI. LA NEWSLETTER SETTIMANALE DEL CENTRO STUDI "SERENO REGIS" DI
TORINO

Segnaliamo la newsletter settimanale del Centro studi "Sereno Regis" di
Torino, un utile strumeno di informazione, documentazione, approfondimento
curato da uno dei piu' importanti e piu' attivi centri studi di area
nonviolenta in Italia.
Per contatti e richieste: Centro Studi "Sereno Regis", via Garibaldi 13,
10122 Torino, tel. 011532824 e 011549004, fax: 0115158000, e-mail:
info at serenoregis.org, sito: www.serenoregis.org

2. PROFILI. CLAUDIO TOSCANI: FEDERIGO TOZZI
[Dal mensile "Letture", n. 621, novembre 2005, col titolo "Federigo Tozzi" e
il sommario "Lo scrittore senese porta agli esiti di maggior efficacia una
narrativa nella quale l'autobiografia diventa risorsa di valore
incalcolabile nella rifondazione del romanzo come acuminato strumento di
scavo interiore"]

Nato a Siena l'11 gennaio 1883, a Tozzi il padre diede lo stesso suo nome,
Federigo, ma fu l'unica cosa che ebbero in comune. Contrapponendoglisi in
tutto, il figlio non tenne in conto ne' la praticita' affaristica del
genitore, ne' la sua volonta' di vivere e ben figurare tra la gente. Una
paternita' severa ed esclusivista, da un lato, e una filialita' inquieta e
indocile, dall'altro, costruirono a Federigo figlio un difficile destino
d'uomo e di scrittore.
Il piccolo Tozzi frequenta le prime scuole presso il Collegio Arcivescovile
di citta'; qui tenta il Ginnasio, ma ne viene allontanato. La madre
Annunziata, dedita e sottomessa moglie di "Ghigo" (cosi' era abitualmente
chiamato il marito), colloca allora il figlio a studi privati presso un
sacerdote, ma muore prima di assistere a un qualche risultato. Questa cruda
evenienza coglie Federigo a dodici anni, gia' in via di tener testa alla
debordante autorita' paterna; i ripetuti insuccessi scolastici (prima a
"Belle Arti" e poi alle "Tecniche"), le nuove nozze del genitore, le sempre
piu' frequenti liti con lui che intende farne l'affezionato erede della
propria "roba", le prime "scapigliate" amicizie politiche (il socialismo
senese ispirato a Enrico Ferri) e letterarie (Domenico Giuliotti, primo fra
tutti), fanno di Federigo una sorta di figlio irredimibile. Attratto con
assoluta irrevocabilita' dalla letteratura (presso la Biblioteca degli
Intronati di Siena chiede le prime opere a prestito che non ha ancora
quindici anni), Federigo riprende da autodidatta la via di una dura e
ramificata conoscenza culturale a mezzo di disparate e disperate letture di
classici e di contemporanei, italiani e stranieri.
Nel 1908 gli muore il padre, lasciandolo improvvido e unico titolare di una
consistente fortuna che, via via, provvedera' ad alienare senza grandi
contropartite di agiatezza o di serenita'. Lo stesso anno, gia' destinataria
di numerose lettere e oggetto di un amore contrastato e dialettico ma
sincero, Emma Palagi acconsente al matrimonio con Federigo, dandogli l'anno
appresso il figlio Glauco.
Tozzi, intanto, che per rendersi autonomo dalla potesta' paterna s'era
adattato a un impiego nelle Ferrovie, lascia l'occupazione e si ritira in
uno dei due poderi ereditati. Qui si dedica per intero alla divorante
passione delle lettere (e' il noto "sessennio di Castagneto", o "senese":
1908-1914) e alle prime pratiche di scrittura, non trascurando lo studio, la
ricerca, le amicizie, le collaborazioni e le pubblicazioni, ne' vietandosi
la varieta' dei generi creativi, dalla novella al teatro, dall'aforistica al
frammento al romanzo, dalla polemica culturale (vedi l'esperimento della
rivista "La Torre" fondata nel 1913 con Giuliotti) alla lettura critica o
saggistico-riflessiva (cio' che permettera' poi di dar vita a quella postuma
raccolta di scritti di vario umanesimo che ha per titolo Realta' di ieri e
di oggi).
A parte qualche isolata collaborazione a riviste quali "L'Eroica", il "San
Giorgio" e "La grande illustrazione", Tozzi vede il suo primo volume di
narrativa (Bestie) nel 1917, cioe' dopo i versi di La zampogna verde (1911),
le pagine di una Antologia d'antichi scrittori senesi (1913), il poema La
citta' della Vergine (pure del '13) e il volume di interesse storico-locale
Mascherate e strambotti della Congrega dei Rozzi di Siena (1915).
Trasferitosi a Roma nel '14, dove restera' sino alla morte, nel 1920, nel
cerchio di un avaro destino, Tozzi vivra' il suo piu' vero, autonomo e
qualificato universo letterario.
*
Tra provincia ed Europa
Ne' la componente ambientale d'origine o di soggiorno (Siena, citta'
tarpante e provinciale; Roma, trasferimento deludente e dispersivo), ne' la
contemporanea compresenza di personaggi quali Verga o D'Annunzio, ne' le
concentriche spirali di alta tradizione patria (Dante, Boccaccio, Leopardi,
Nievo), di memoria patronale (antichi mistici senesi), di amicale
paternalismo (Giuliotti, da un lato e il critico Borgese, dall'altro), ne'
l'eclettico elenco dei prestiti culturali stranieri (James, Poe, Zola),
possono vantare una definitiva ipoteca sulle motivazioni creative tozziane o
un qualche esclusivo marchio sulla sua opera.
Infatti, se entro il cerchio del Decadentismo di marca internazionale
(Rimbaud, Verlaine, Mallarme', Huysmans), rinforzato dalle
ideologie-filosofie-scienze d'entre deux siecles (Nietzsche, Bergson,
Freud), ritagliamo una interna circonferenza tutta italiana (Pascoli,
D'Annunzio, Pirandello, Svevo; crepuscolari, futuristi, vociani), il nome di
Federigo Tozzi celebra pressoche' in solitudine le sue realizzazioni
letterarie.
Ma se e' opinione critica abbastanza condivisa, e qua e la' maggioritaria,
che egli abbia attraversato il suo tempo come un estraneo, va precisato
allora che infiniti, anche se non palesi, sono stati per lui i circuiti che,
tra esistenza singola e vicenda sociale, hanno attivato animo e psicologia,
mente e mano.
Se il contenuto storico degli scarsi "assenti" quarant'anni di vita tozziani
(1883-1920) contempla l'avvio, con Giolitti e altri, del nostro trasformismo
istituzionale, la guerra di Libia, l'uscita di minorita' politica dei
cattolici, il primo conflitto mondiale e il dopoguerra ideologico che
proprio nel '20 vedra' la fondazione del Partito nazionale fascista, il
tempo culturale italiano, invece, considerato in taglio europeo, tiene a
battesimo quel fervore innovativo a torto designato con l'ingeneroso titolo
di "Decadentismo", al quale Tozzi appartiene di diritto e che per quanto gli
compete segna a vista col graffio vivo e vivace della sua vocazione e della
sua scrittura.
Di fatto, nel progress storico-letterario di Naturalismo, Decadentismo e
Avanguardismo primo-novecentesco, l'attimo in cui Tozzi, renitente a
qualsiasi coscrizione di principio, milita fuori di ogni tendenza e si
distingue da ogni altra figura in campo, e' contrassegnato da quel suo
soggettivo risultato d'arte letteraria che e' lamento d'angoscia metafisica
unita a spietata lotta esistenziale. E che, dissipate le iniziali ombre o
tangenze dannunziane, frammentistico-vociane o veristiche, cerca tra causa
ed effetto, e recupera, nell'evento minimale il segno e il senso della
storia grande.
Allo scadere del "sessennio senese", Tozzi ne imbocca uno "romano" (tra
1914-15 e 1920). Prima di approdare alla capitale, la', nella casa padronale
a Castagneto, egli ha scritto o abbozzato quasi tutto, ma Roma gli urge in
cuore come speranza grande di successo. Dagli anni romani, pero', non
verranno che inattese e inedite delusioni.
Se si eccettuano alcune entrature giornalistiche e scarse amicizie, Tozzi
deve infatti subire, nella capitale, l'indifferenza della metropoli nei
confronti del provinciale e una distanza fredda, anche se non sdegnosa,
dell'intellighentzja di allora: il disinteresse, insomma, e la degnazione,
non escluso qualche dileggio.
Di fatto, sia Bestie (1917) che Le cose piu' belle di Santa Caterina da
Siena (1918); sia Con gli occhi chiusi (1919) che Tre croci (1920); sia
Ricordi di un impiegato (1920, in "Rivista Letteraria") che le raccolte di
novelle Giovani e L'amore (1920, ma gia' postume); sia, infine, Il podere (a
puntate in un periodico qualche settimana dopo la sua morte), sono tutti
libri che non escono in conseguenza del suo inurbamento capitolino, o di una
specifica congiuntura romana. Il piu' di Tozzi e' pubblicato dopo la sua
morte: nel '21 l'editore Treves dara' ufficialita' a Il podere; nel '23
Mondadori a Gli egoisti e al dramma teatrale L'incalco. Poi, la moglie Emma
trascegliera' in Novale (1925) alcune lettere di Federigo e, a parte
ristampe o riproposte, dovra' giungere a maturazione il preciso intento del
figlio Glauco per darci, presso Vallecchi, l'opera omnia del padre affinche'
la critica disponga di un corpus filologicamente attendibile.
*
Nella parola, la crisi della realta'
Ma e' con Paolo e con Adele, quasi paralleli incipit creativi del "sessennio
senese" (il primo, prosa poematica d'aspirazione al libro; il secondo,
abbozzo di romanzo, cresciuto e al tempo stesso depauperato per travasi
verso altri testi) che Tozzi si avvia alla scrittura letteraria animando due
figure di giovani dalla dolorosa inconcludenza esistenziale, angosciati e
nevrotici, autodistruttivi al punto di uccidersi dopo essersi scorticati
l'anima tra autoanalisi, fantasmi intellettuali, misticismo irrazionale e
delirante sensualita'.
Anche Ricordi di un impiegato, non e' un romanzo organico ma a schede, se
non proprio a frammenti, storia di Leopoldo Gravi, ventenne figlio di un
ristoratore che lascia la famiglia con la quale intrattiene rapporti
burrascosi e affettivamente infidi per un impiego in ferrovia in quel di
Pontedera. I fatti (l'andamento dell'ufficio, il difficile inserimento
nell'ambiente inameno e pettegolo, il rientro a casa per la morte della
fidanzata Attilia e la nascita di un'altra sorella, la nuova partenza,
stavolta per Firenze) sono stemperati dalle prominenti vicende dell'io
interiore, un io allo specchio, autoanalitico e autointerrogativo. Ricordi
di un impiegato e' un esempio di narrativa che rompe i canoni e le unita'
naturalistiche: uno fra i primi del nostro Novecento in cui sono denunciate
una mancanza a essere, una incapacita' alla vita, una inettitudine
all'alterita' (dimensione estranea e inattingibile del prossimo) non meno
che al proprio foro interiore.
Quello che sopraggiunge quasi subito e' il capolavoro di Con gli occhi
chiusi (scritto nel '13), romanzo-simbolo, titolo-emblema e coscienza
finalmente organizzata attorno ai propri strumenti espressivi. Domenico
Rosi, uomo dispotico, egocentrico, di salda tempra fisica e di buona fortuna
finanziaria, marito di Anna, una bastarda senza dote, e' finalmente padre di
Pietro che meglio non si potrebbe definire, quanto a carattere, come il suo
assoluto contrario. Ma un'altra figura interessa al procedere del libro,
quella di Ghisola, una ragazza che compare in libro quando Pietro compie
tredici anni e viene portato in campagna, a Poggio a' Meli. Pietro rivedra'
Ghisola anche nelle due primavere successive e, nell'arco degli anni della
sua difficile e scontrosa educazione giovanile, cui il padre non collabora
se non con riottosa malagrazia e palesi minacce, la presenza della giovane
contadina aprira' nella sua mente facili varchi d'affetto. Ma prima che
Pietro vi si dedichi seriamente, la ragazza viene allontanata, intraprende
un'esistenza di disinibita disponibilita', si lascia andare, diventa amante
del vedovo Borio, del suo fattore, del signor Alberto (un commerciante
separato dalla moglie) e finisce in un ostello-bordello quando, rimasta
incinta e riallacciati i rapporti con Pietro, trama con l'aiuto di Alberto
di sedurre il giovane, farsi sposare da lui, accollargli il figlio e
redimersi socialmente, se non moralmente, accasandosi e sistemandosi per il
resto della vita. La cosa sta per riuscire perche' Pietro vive "con gli
occhi chiusi", ma finalmente folgorato dalla realta' li apre e l'abbandona,
senza drammi, ma con irrevocabile ripudio.
Con gli occhi chiusi sembra accennare a una sorta di viaggio esistenziale,
tra astrattezze ed estraneita', verso un incontro-scontro con le contundenze
del reale. Ma quelle cose che come un incubo oscillante si presentano alla
vista nebbiosa di Pietro, che all'apertura del romanzo e' un ragazzo, sono
le stesse che lo ritroveranno dopo il lampo rivelatore del ventre colmo di
Ghisola (per proseguire in Il podere con un Pietro-Remigio anche piu'
improvvido e sprovveduto). Niente sara' mai adatto a lui, al suo sentimento,
o meglio, non-sentimento della vita.
Tra Con gli occhi chiusi e Il podere, Tozzi scrive Bestie, raccolta di prose
lirico-soggettive nate nel '14, sintesi di riflessioni condotte in anni
amari con la tecnica spersonalizzante del flash, via via occasionata da
continue accensioni interiori attorno a diversi nuclei generativi di
scrittura. Uomini, cose, paesaggi, stati d'animo, tocchi d'atmosfera,
ritratti di animali (giusta il titolo), ruotano in orbite descrittive
strutturalmente eccentriche attorno alla prismatica presenza di un io che
non si narra direttamente, ma per appunti di vita, senza logico ordito ma
con la "bestia" in clausola, a mo' di personaggio, di tramite coesivo.
E sopraggiunge Il podere (scritto nel '18) con il suo delusivo protagonista,
Remigio Selmi, in veste di inopinato erede di una tenuta che non sa come
condurre, tra l'interessata indifferenza di Luigia (seconda moglie del padre
Giacomo) e l'ossessiva avidita' di Giulia Cappuccini, amante di Giacomo
stesso. Rimasta indesignata erede dopo la morte di costui, Giulia intenta
causa con la falsa testimonianza di due loschi figuri, "Ciambella"
(Corradino Crestai) e "Chiocciolino" (Pietro Carletti). Tra le pretese delle
donne (la vedova e l'ex amante), l'opportunistica schiera dei salariati che,
deridendo Remigio, nuovo padrone, lo derubano pian piano del suo lasciando
andare alla malora i raccolti e i frutti della terra, oltre che la terra
stessa e i beni ivi pendenti, le oscure manovre di quanti vogliono
impossessarsi del fondo (La Cosuccia); le unghiute interessenze dei vari
avvocati e del notaio incaricato della successione e, infine,
l'inconcludente brancolare di Remigio stesso, ecco che la "roba" va allo
sfacelo e sul dramma della proprieta' si innesta da ultimo il raptus di
Berto (un bieco salariato avverso al nuovo padrone) che finira' per
assestargli un colpo d'accetta, uccidendolo.
Il podere, oltre a ripresentare precedenti tematiche, esibisce una sua
visione dell'individuo nella societa', dell'individuo che la societa'
sacrifica (c'e' anche un tanto di rurale religio e il cruento rito di un
laico "agnello" immolato, nel testo) per la continuita' del suo egoistico
tornaconto, per la tranquilla e insoluta sequenza del suo avere. La realta'
del conflitto in scena vede piccola borghesia contro proletariato, per dirla
in termini d'oggi: l'una, in crisi per perdita di coscienza padronale
(complicata, in Remigio, da smarrita identita' psicologica ed esistenziale);
l'altro, che riesce a tener testa alla proprieta', ma non sa far altro che
rovinarla, per ignoranza storica, inesistente cultura, incoscienza atavica e
sonnolento gene anarco-distruttivo.
Fatta la sua comparsa in modo singolo nel Podere, la morte si ripete nel
romanzo Tre croci (anch'esso scritto nel '18). Coprotagonisti i tre fratelli
Gambi: Giulio (che falsifica le firme del cavalier Orazio Nicchioli per
prorogare continuamente la scadenza di un debito bancario), figura piu'
malinconica ma anche piu' forte delle altre, piu' intelligente, lavoratrice
ed educata, che si rende conto delle conseguenze morali oltre che pratiche
del falso compiuto; Niccolo' (l'antiquario, il solitario, il girovago,
l'unico sposato, fanatico del cibo, colui che morto Giulio rifiutera' di
aiutare il superstite fratello, sino alla morte d'apoplessia); Enrico,
infine (il legatore, sgarbato e prepotente, frequentatore di bettole e
osterie, giocatore accanito dal prevedibile destino di barbone). Preso
spunto da un evento cittadino (certi librai erano realmente falliti in
Siena), il romanzo presenta un interno di negozio dove transita una piccola
umanita' di clienti, ma bollono piu' che altro le "insaziabili" psicologie
dei Gambi, dissipatori di sentimenti (oltre che di alimenti), nel senso che
sperperano affetti, amicizie e simpatie in un cupo e morboso giro di
ripicche, litigi, "armistizi" culinari, assalti, soprassalti, disprezzi e
rancori. E' un interno di negozio, s'e' detto, ma anche un interno d'anime.
Tozzi, e le sue insolvenze esistenziali, hanno buon gioco a specchiarsi
nelle contorsioni psicologiche dei tre fratelli Gambi.
Con Gli egoisti (elaborato tra il '17 e il '20) si completa la bibliografia
tozziana. Dario Gavinai, protagonista del libro, e' un musicista che cala a
Roma in cerca "del", anzi, a mietere "il" successo che gli par suo di
diritto e che non avra' secondo lui da faticare a cogliere, tanto si sente
sovreccitatamente invasato dal nume creativo. Subito pero', alla stregua di
tutte le altre figure tozziane, Dario precipita nell'incapacita' e
nell'inefficienza piu' paralizzanti. Se cio' non bastasse, la sua e'
un'impotenza egoistica e immorale, un'apatia che prende i toni del cinismo,
un'inconcludente snervatezza, oltre che nei confronti della musica, anche
nei rapporti con Albertina Marelli, sua fidanzata e innamorata impaziente.
Dario incontra a Roma tre amici: il primo, Nello Giachi, impiegato al
ministero della Pubblica istruzione, una figura di routinier della
burocrazia che gli promette molte cose ma non ne fa nulla, individuo
insignificante e privo di ambizioni, dalla psicologia "breve" che fa centro
sul "se'" piu' gretto e piu' stretto; il secondo, Ubaldo Papi, il mondano,
il donnaiolo fatuo, l'insulso lover dall'egocentrismo mentale e "carnale";
il terzo, Ugo Carraresi, tra il contadino e il signore, approdato a Roma ma
schifato dall'urbe che si vanta capitale della cristianita' e che, a suo
avviso, altro non e' se non onfalo del peccato e dell'ignominia politica.
Fin qui, la linea contenutistica. Ma Gli egoisti e' il libro della crisi,
dopo che esistenziale e morale, religiosa di Tozzi: nel senso di un ritorno
alla fede, non di un allontanamento. Tanto che, per nulla pretestuosamente,
la critica ne ha parlato in modo assai piu' dialettico che non per tutti gli
altri testi. Infatti, le cose si fanno ardue, e al limite
dell'indecifrabile, se sulla realta' del foglio bianco lo scrittore tenta di
rapprendere criterio o desiderio del totalmente Altro. Libro rimasto in
fieri, non accudito cioe' sino in fondo, Gli egoisti e' il romanzo del
recupero di alcune fermezze morali, se non proprio dimenticate, rimaste
quanto meno inoperose sotto la gran mole di lavoro svolta in cosi' poco
tempo. Dal canto suo, il ritorno al modello intimistico, introspettivo,
viscerale, solitario, di libri scritti anni e anni prima, si compone in una
materia non piu' bruciante, ancorche' biografica, ma decantata rispetto a
quell'arbitrio strutturale che denotava trascorsi esperimenti. Quella
innovativa frantumazione della linea del racconto che era stata empirica o
piu' o meno inconscia prova d'avanguardia, ora e' consostanziale al suo
stile. I traguardi emotivi che egli si augurava di raggiungere sono ora vere
e proprie "cime", come dice lui stesso, di nuove unita' psicologiche. Il non
finito, che non era molto diverso dal frammento e poteva confondervisi, ora
e' traguardo di intenzionale rarefazione narrativa. E anche l'inatteso,
insospettabile lieto fine (nessun libro di Tozzi vi approda), non e'
conclusione vacua o incredibile o gratuita, ma prova in limine (morira'
prima di rivedere il testo), di una esperienza creativa fatta alla luce di
una riconsiderazione dei valori primari della vita: quello religioso
anzitutto.
*
Le novelle, il teatro, la critica
Parallelamente ai testi citati, esiste nell'opera di Tozzi tutta una
cospicua dedizione novellistica, saggistica e teatrale, testimone di una sua
costante innervatura lungo tutto il corpus narrativo. Ma non e' qui
possibile mostrare il complesso dei riscontri, delle interferenze, dei
ripiegamenti o degli aggiustamenti, delle conferme o delle contrapposizioni
che novelle, pieces teatrali e riflessioni critiche offrono nei confronti
dei romanzi.
Il Tozzi dei racconti, o delle composizioni brevi, e' stato visto, nei
confronti del Tozzi romanziere, in posizione pressoche' tributaria, fermo
restando che nel campo della short story il nostro autore evita facili
effetti, straordinarie evenienze, macchinosi colpi di mano. La sua novella,
in genere, non conclude, restando sempre piuttosto sospesa sui casi e sui
personaggi messi in moto ma trattati come propositi inespressi e quasi
sgomenti, con risultati del tutto privi di esaltazioni, gesti e discorsi
(cio' non toglie alla psicologia degli attori in pagina di essere sempre
piuttosto surriscaldata, tesa, aspra, complicata). "Sacrificando con ingenuo
eroismo tutte le occasioni di popolarita'", come e' stato ben detto, il
Tozzi delle novelle privilegia gli stati d'animo, scende rapidamente e
volentieri agli strati ultimi di quell'identitario endon psichico dei
personaggi, nucleo di quei "misteriosi atti" che decifrano personalita' e
caratteri. Anche se poi da', per rapidissime congiunture esistenziali (un
tic, una mossa, un cenno, una frase, un atteggiamento), il senso intimo del
dramma in partenza da uno spinoso reticolo di quotidiane coazioni
oscuramente determinate sotto la volta delle coscienze e senza eccessivo
corredo aneddotico. Tozzi, dunque, si pone il problema della novella in un
frangente storico-culturale che intravedeva l'imminenza dei giornali e delle
loro "appendici", delle pubblicazioni popolari e dei periodici illustrati:
di una stampa, cioe', che al passo con tempi di rampante borghesia e di
relativo agio socioeconomico, veniva profilando la letteratura come
promettente surrogato cartaceo dei veri problemi della trasformazione del
Paese. E lo risolve a modo suo, lungi da corrive compiacenze. Nei luoghi
eletti delle sue tematiche, il Tozzi novellista convoca la parte afflitta
dell'umanita'. Al di qua delle classi, egli campiona gli ultimi, quelli del
possibile comportamento antistituzionale, la tranche socio-patologica
funzionale a un certo grado di vocazione anarchica, se non eversiva.
Il teatro tozziano, invece, ha meno storia, ne' si puo' sperare che l'abbia.
La critica, se proprio non emargina tale creativo risvolto del senese, non
gli riserva ne' molti entusiasmi ne' molta ammirazione. L'incalco, il piu'
consistente e considerevole dei suoi lavori teatrali, passo' sempre
attraverso degnazioni, se non stroncature. La poca critica favorevole fu,
non a caso, di stampo letterario, non specialistico, non tecnico-scenico,
men che meno registico-repertoriale. Tredici lavori inediti su un totale di
sedici dicono la parola fine sull'argomento.
Sul terreno della scrittura critica di Tozzi, infine, e per quanto
profittevolmente vi sia da scoprire in quella cinquantina di pezzi dati a
giornali, riviste o periodici del momento (v. la raccolta Realta' di ieri e
di oggi), e' suggerimento dei piu' quello di accostarvisi come a un Tozzi
che lateralmente spiega da se' la sua complessiva tematica. Intervenendo
dialetticamente su autori, opere, correnti intellettuali e letterarie, egli
affila gli strumenti della sua stessa scrittura, in ogni caso
esercitandovisi con spirito fustigatore e rostrata penna di critico.
Rilasciando inconsci biglietti d'invito a guardare senza schermi la sua
stessa operazione letteraria, recensisce libri altrui, sviluppa temi che la
cultura gli porge, accosta stili o proposte di altri, presenta proprie
programmatiche proposte. Cio' che non gli si puo' negare e' la sua istintiva
intelligenza del vero: la "sanita'" del Verga, la vivezza di D'Annunzio, la
"relativita'" di Pirandello, la compattezza intellettuale e la sincerita' di
Borgese.
*
Retorica della scrittura
Visto a questo punto, in un suo retrospettivo e specificamente tecnico
complesso, il lavoro di Federigo Tozzi mostra, in un personalissimo contesto
di modalita' comunicative ed espressive (al di la', quindi, dei particolari
intrecci, delle accensioni tematiche proprie a ogni libro, della chiamata in
scena dei loro tanti interpreti o della varia casistica dei gesti e dei
messaggi) un'assodata e inossidabile operazione linguistica. Sul suo modo di
scrivere, sull'importanza della sua personale "formalita'"
poetico-narrativa, va detto che Tozzi, quanto a lingua, uso' un vocabolario
italiano e toscano sostanzialmente tonale, con accezioni gergali e vernacole
mai eccentriche o preziose, mai particolari benche' particolarmente usate.
Il gioco degli "ismi" favorevoli o contrastivi (Decadentismo, Naturalismo di
ritorno e cosi' via), non basta a centrare Tozzi, non soddisfa. Tozzi ha
cento tangenze e anche anticipazioni o precorrimenti sono nel conto e cosi'
pure le inconsce consentaneita' con cio' che stava accadendo nel polifonico
sconcerto del secolo appena nato. Ma la sua sigla fu quella della
trasgressione innovativa di ogni galateo logico-formale e dell'inaugurazione
di una struttura letteraria a mosaico lacunare, relativistico, insofferente
della compiutezza e della regolarita', del risultato e della progressione
causale secondo scontate attese. Qui Tozzi fu talmente delusivo della norma
che per anni e anni la critica lo escluse dal catalogo dell'ufficialita'
letteraria, non avvertendo nei messaggi del senese altra fondatezza che
quella dei suoi propri verdetti di autoesclusione.
Tozzi procede per shock narrativi, ingaggia una sorda lotta con la pagina e
una tormentosa pratica della parola e della combinatoria verbale. L'occhio
di Tozzi ("chiuso" per antonomasia) intuisce per lampi laconici, per
identificazioni visionarie. E quando la sua penna recupera la memoria, ne fa
rivisitato presente al battito di un'angoscia senza tempo: cronologia
incompiuta, elastica, sospesa, non tanto alla treccia dei fatti, ma al filo
della coscienza, dell'esperienza soggettiva. Il tempo tozziano e'
dell'ordine della "durata" di Bergson; lo spazio e' colto tra grandangolo e
microscopio, tra molecolare a molare; la figura e' vivisezionata e i suoi
segni fisionomici tengono luogo di vicissitudini interiori.
La storia grande non esiste, ma la guerra psicologica si', che e' sempre
grande per chi la combatte. Ma cio' che maggiormente impressiona e' la
scomposizione analitica (ma si potrebbe dire psicoanalitica, non foss'altro
che ante litteram), con cui egli inaugura la stagione dei narratori
abissali, di una letteratura che vedra', nell'accumulo del debito
esistenziale, il progressivo avanzare del vuoto di coscienza.
Tozzi mette a nudo la mera parvenza d'ogni cosa: presuppone che il flusso
della vita o della storia o delle cose venga modificato, messo in
discussione, tolto dalla banalita', dalla convenzione, dal condizionamento.
Da qui l'inevitabile scacco e il ritorcersi in se' di tutta un'immensa
"passione" non collocata, d'una altrettanto immane tensione non scaricata.
La riserva non spesa della sua capacita' creativa e della sua vitalita'
immaginaria va tutta nella direzione dello sfogo autodistruttivo. Alla
perdita o alla inattingibilita' dei suoi oggetti d'amore (cose e persone,
realta' e ideali) oppone la difesa di un pensiero piu' che altro
fantasmatico. Tra il lampo interiore dello sguardo e la spirale del dire
ogni possibile realta' si contagia con la visione o col sogno.
E qui dovremmo riprendere dall'inizio, da quel suo funesto "romanzo
familiare", se si vuol parlare con l'ausilio di Freud (il parentale
conflitto cui si accennava in primis), che ha da subito suscitato in Tozzi
un inconscio e quindi categoriale tumulto, tanto negli affetti umani quanto
negli effetti letterari.
Cio' che ne ha fatto uno scrittore dall'io "confessivo", qualcosa di piu'
che semplicemente autobiografico. Cio' che in lui ha implicato l'uomo in
genere piu' che l'autoritratto di un artista come personaggio.
*
Libri essenziali
Opere
La zampogna verde, 1911.
Antologia d'antichi scrittori senesi, Siena, 1913.
La citta' della Vergine, 1913.
Mascherate e strambotti della Congrega dei Rozzi di Siena, 1915.
Bestie, 1917.
Le cose piu' belle di Santa Caterina da Siena, 1918.
Con gli occhi chiusi, 1919.
Tre croci, 1920.
Ricordi di un impiegato, in "Rivista Letteraria", 1920.
Giovani, (novelle), 1920.
L'amore, (novelle), 1920.
Il podere, in "Noi e il mondo", 1920.
Gli egoisti, 1923.
L'incalco, (teatro), 1923.
Novale, (epistolario e taccuino) 1925.
Realta' di ieri e di oggi, 1928.
*
Bibliografia critica
Data l'ingente mole delle possibili segnalazioni di studi, note, articoli e
recensioni sull'opera di Federigo Tozzi, indichiamo solo alcuni essenziali
saggi monografici.
Ferruccio Ulivi, Federigo Tozzi, Mursia, 1962.
Giacomo Debenedetti, in Il romanzo italiano del Novecento, Garzanti, 1971.
Claudio Carabba, Tozzi, La Nuova Italia, 1972.
Gino Tellini, La tela di fumo. Saggio su Tozzi novelliere, Nistri-Lischi,
1972.
Aldo Rossi, Modelli e scrittura di un romanzo tozziano. Il podere, Liviana,
1972.
Luigi Reina, Invito alla lettura di Tozzi, Mursia, 1975.
Giuseppe Savoca, Introduzione ai romanzi di Federigo Tozzi, Bonaccorso,
1977.
Geno Pampaloni, Federigo Tozzi, De Agostini, 1982.
Franco Petroni, Ideologia del mistero e logica dell'inconscio nei romanzi di
Federigo Tozzi, Manzuoli, 1984.
Luigi Baldacci, Tozzi moderno, Einaudi, 1993.
Marco Marchi, Federigo Tozzi. Ipotesi e documenti, Marietti, 1993.
Romano Luperini, Federigo Tozzi. Le immagini, le idee, le opere, Laterza,
1995.
Marco Marchi, Vita scritta di Federigo Tozzi, Le Lettere, 1997.

3. LE PENULTIME COSE. GIAMBATTISTA MISANTRI: DOMANDE SULL'UNIVERSITA'
[Il nostro buon amico Giambattista Misantri sapete com'e' fatto. I
gentilissimi lettori vorranno compatire le sue intemperanze]

Non sarebbe meglio abolirla per dieci anni?
Non sarebbe meglio che anche i privilegiati andassero per dieci anni a
lavorare nelle campagne a produrre quel che mangiano?
Perche', se i contadini per una vita intera si spezzano la schiena per far
mangiare manicaretti ai ricchi sempre restando poveri e affamati nessuno
obietta alcunche', e se a un ricco si chiedesse di lavorare la terra per
dieci soli anni allora si compie un'orribile violazione dei diritti umani?
*
Abolita l'universita', le cosiddette scuole medie e superiori dovrebbero
tornare a insegnare qualcosa. Chissa' che non ci riuscirebbero.

4. LE PENULTIME COSE. GIAMBATTISTA MISANTRI: DOMANDE SUI MASS-MEDIA

Perche' dobbiamo pagare col pubblico denaro giornali e tv il cui scopo e'
ingannarci?
Le disponibilita' del bilancio dello stato non sarebbe meglio utilizzarle
per garantire "case, scuole ed ospedali" a tutte le persone che in questo
paese vivono?
Liberta' di opinione significa che i privilegiati che ci assordiscono
debbono essere foraggati coi soldi dei disgraziati che restano comunque
senza parola e senza potere?

5. LIBRI. DANIELA MONTI PRESENTA "MALAMORE. ESERCIZI DI RESISTENZA AL
DOLORE" DI CONCITA DE GREGORIO
[Dal "Corriere della sera" dell'11 ottobre 2008 col titolo "Nel segno del
dolore: le donne che sperano di cambiare gli uomini" e il sommario "Concita
De Gregorio indaga sulle ragioni di una violenza che non passa nonostante
l'emancipazione"]

Ribaltare tutto, cambiare prospettiva. Mettere in discussione quello che
abbiamo imparato finora: che e' la subordinazione economica, culturale e
sociale a fare delle donne le vittime predestinate della violenza maschile.
E' la mancanza di scelta e di alternativa a consegnarle, mani e piedi
legati, al proprio aguzzino. Chi un'alternativa ce l'ha, chi ha uno
stipendio, chi non e' costretta a vivere all'ombra di nessuno e' salva.
Sospiro di sollievo. Eppure questi argomenti non bastano piu'. Ci sono nuove
emergenze e nuove domande, come quelle attorno a cui ruota l'ultimo libro di
Concita De Gregorio, Malamore. Esercizi di resistenza al dolore, edito da
Mondadori nella collana Strade Blu: si puo' decidere consapevolmente di
essere vittime? Come mai tante donne disinvolte, intelligenti, autonome,
emancipate accettano di subire maltrattamenti gravi, a volte gravissimi?
Perche' potendo scegliere, scelgono il dolore?
"Violenza borghese", la chiama la De Gregorio, quattro figli (maschi), per
anni inviata de "La Repubblica" e ora fresca direttrice de "l'Unita'".
Il libro e' un mosaico di storie di donne diverse - da Louise Bourgeois a
Dora Maar, dalla Eva Kant dei fumetti a Lee Miller, dalla prostituta d'alto
bordo Cristina, alla piccola Dalia, venduta a 12 anni dalla nonna - e anche
se il sottotitolo recita "Le donne, i loro uomini e la violenza", gli uomini
non sono che figurine sullo sfondo, si muovono con gesti meccanici,
scontati. Meschini anche quando portano nomi importanti (impietoso il
ritratto di Picasso), sono la parte debole della storia. Non c'e' interesse
a raccontarli. Li conosciamo, in fondo. Giocando sul titolo di un altro
libro della De Gregorio: una donna lo sa. Chi sono, come sono. Sa
riconoscerli. Eppure li sceglie. E allora?
Non e' neppure la violenza degli uomini il tema del libro. Sono le donne che
accettano quella violenza, donne che sembrano tutto fuorche' indifese.
Potrebbero spaccare il mondo e invece si lasciano annientare nel privato. La
De Gregorio cerca di renderlo pubblico, questo privato, come fosse l'unica
mossa per mettere k.o. l'avversario: perche' come insegna la fiaba di
Barbablu' (e le fiabe, dice la De Gregorio, lo sanno) - l'assassino seriale
che sposa giovinette per poi ucciderle e nasconderle in cantina - alla fine,
a vincere sara' quella che ordisce un piano per ingannare il mostro, quella
che "resta ferma e guarda meglio, poi richiude la porta della cantina e
torna su per le scale. Vince chi va all'inferno e ritorna. Vince chi vuol
sapere e poi sa cosa farsene, anche, del suo sapere. Chi soffre e trova un
rimedio".
Le bambine di Elena Gianini Belotti sono diventate grandi. Mettersi dalla
loro parte, ora, vuol dire cercare di portare a galla meccanismi di
autodistruzione che alimentano vite all'apparenza perfette: la donna
ministro che si lascia umiliare in privato dall'amante subalterno, a cui ha
spianato la strada per la carriera; la bella e misteriosa Marie Trintignant,
che si fa uccidere dall'amante rockstar di una "bellezza cupa e maledetta,
dei duri in fondo fragili, quelli che fanno svenire le adolescenti pronte a
guarirli dai loro mali"; la signora alto-borghese presa a botte dal marito e
insultata dai figli che sulle pareti del soggiorno le dedicano una scritta
con lo spray: "Mamma vattene, i deboli soccombono, i forti vincono".
E alla fine del suo viaggio fra le mille storie, sono due le risposte che
l'autrice da' a quell'ossessivo perche': da una parte una specie di
contrappasso, un prezzo da pagare in privato per i riconoscimenti che si
sono ottenuti in pubblico. E' la giustificazione lucida che la donna
ministro offre a se stessa: "Credo di capire cosa mi succede quando mi
faccio maltrattare cosi' tanto da lui. E' come se io stessa ne avessi
bisogno, da qualche parte: e' come se fosse necessario per sostenere l'altro
ruolo, quello pubblico". L'altra risposta e' piu' sconcertante. E, di nuovo,
viene cercata nella parte piu' profonda, "dentro" le donne: e' il programma
segreto, l'agenda occulta, la presunzione che fa pensare alle donne di
poterli cambiare, gli uomini violenti, l'idea grandiosa di se' che fa
credere alla topina protagonista della favola La rateta - che apre e chiude
il volume - di poter sposare il gatto e di essere capace di domarlo,
convincendolo ad amarla invece di mangiarla. Che illusione. Il gatto fara'
della moglie presuntuosa e dei suoi supposti "superpoteri" un sol boccone.
"I gatti mangiano i topi ed e' inutile provare a cucinare loro carciofi - e'
la morale del volume -. La piu' grande prova di forza e' affrancarsene,
liberarsi di loro, imparare a evitarli, lasciarli soli. Questo si' e' uno
straordinario successo: non dover dimostrare piu' niente, non mettersi alla
prova".

6. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

7. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009"

Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano
per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita',
per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla
forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione
tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno
dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della
nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata.
E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009".
- 1 copia: euro 10
- 3 copie: euro 9,30 cad.
- 5 copie: euro 8,60 cad.
- 10 copie: euro 8,10 cad.
- 25 copie: euro 7,50 cad.
- 50 copie: euro 7 cad.
- 100 copie: euro 5,75 cad.
Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946,  e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it

8. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009

E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne
nella lotta contro le mafie e per la democrazia.
E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani.
Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro
Impastato o all'editore.
*
Per richieste:
- Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa
Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail:
csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it
- Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax:
923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito:
www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com

9. RIEDIZIONI. OMERO: ILIADE
Omero, Iliade, Rizzoli-Rcs, Milano 1996, Rcs, Milano 2008, pp. 1336, euro
3,90 (in supplemento al "Corriere della sera"). Con un saggio di Wolfgang
Schadewaldt, la traduzione e un'ampia introduzione di Giovanni Cerri, le
note di commento di Antonietta Gostoli, il testo greco a fronte, l'occasione
per rileggere ancora un'opera costitutiva della nostra cultura, della nostra
identita'. Ogni volta che ho riletto l'Iliade, quest'opera che tutti
presumono conoscere e che invece resta per sempre un enigma e un vulcano,
essa di nuovo mi ha incantato, come il cielo dagli infiniti lucenti muti
occhi ed il vasto respiro del mare. Questo orribile fiume di sangue che
rivela una volta per sempre quale orrore la guerra sia, e quanto futili le
motivazioni che ad essa carneficina recano. Questo monumento al dolore
umano. Questa voce di un cieco cantore che chiama nella notte, e tu
rispondi.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 675 del 20 dicembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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