Minime. 680



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 680 del 25 dicembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Paola Melchiori: Neopatriarcato
2. Maria Vittoria Vittori intervista Igiaba Scego
3. Luigi Ferrajoli: Una parola d'ordine insensata
4. Cornelius Castoriadis: Moderni conformismi
5. Enzo Bianchi presenta "Il Mediterraneo e l'Europa" di Predrag Matvejevic
6. Dunya Carcasole presenta "Mille splendidi soli" di Khaled Hosseini (2007)
7. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
8. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009"
9. L'Agenda dell'antimafia 2009
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. PAOLA MELCHIORI: NEOPATRIARCATO
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo la relazione tenuta in occasione
del primo "Laboratorio di ricerca femminista" sul tema "Il patriarcato e' in
crisi? Pratiche di resistenza e spunti teorici" svoltosi a Milano il 13
dicembre 2008]

Se cerco di rispondere alla domanda sulle difficolta' che vive il femminismo
proprio oggi che i suoi temi sono cosi "evidenti" nello spazio pubblico, e
lo faccio dalla prospettiva del movimento internazionale nato sull'onda
delle Conferenze Onu degli anni Ottanta-Novanta, direi che non si puo'
prescindere dall'individuazione di una serie di elementi che rendono il
quadro attuale molto diverso da quello in cui il femminismo degli anni
Settanta si e' affermato.
Il movimento internazionale delle donne e' "caduto" in una certa
invisibilita' dopo la fine delle conferenze Onu che lo avevano sostenuto e
favorito malgrado cio' non fosse nei loro obbiettivi.
Questo "abbandono del movimento alle sue proprie forze", che ha significato
soprattutto un arretramento in termini di risorse, e' coinciso - ironia
della sorte - con un momento storico che ha fatto virare le scoperte delle
donne contro di loro.
Agli aggiustamenti strutturali, che hanno usato la consapevolezza
dell'importanza del lavoro femminile per sfruttarlo meglio, si e' aggiunto,
inoltre, l'emergere dei fondamentalismi.
*
L'uscita delle donne - per iniziativa autonoma - dal posto loro assegnato,
che ha significato l'eliminazione dei meccanismi classici di ammortizzazione
economica, sociale ed emozionale, si e' semplicemente dimostrata
intollerabile per tutti gli uomini (anche per quelli che si dicono
progressisti).
E' in questo contesto che va letta l'emersione di una violenza senza
precedenti contro le donne, che attraversa, con cifre paurose, i paesi
emancipati del Nord Europa fino all'ultimo "barrio" latinoamericano. E che
non puo' solo essere imputata all'emersione di qualcosa che prima c'era ma
non si vedeva.
Qualcosa e' cambiato per sempre infatti sulla scena e questo ha
radicalizzato i termini del conflitto prima oscurato dal silenzio di una
parte. Questo "silenzio" e' finito. Ha iniziato a parlare in modo da non
poter piu' essere categorizzato con altri nomi, ne' reso invisibile.
E, tutte, abbiamo  sottovalutato il livello di violenza che tale sottrazione
scatena negli  equilibri personali e sociali o quello che, semplicemente,
essa mette in evidenza.
Ci troviamo oggi di fronte a un difficile quadro, che definirei
neopratriarcale, caratterizzato da una misoginia dilagante che salda gli
elementi di un patriarcato classico e fondamentalista a quelli di un
patriarcato moderno, liberale e superilluminato.
Si afferma, infatti, il messaggio che il femminismo sarebbe ormai demode'
poiche' i "residui" premoderni di cui si occupa saranno spazzati via dal
trionfo delle democrazie neoliberali. E questa posizione e' condivisa da
molte giovani donne nate in un tempo dove alcune liberta' sembrano naturali
tanto quanto prima erano naturalmente negate.
*
Questo scenario configura una situazione radicalmente diversa rispetto a
quella degli anni Settanta, i cui paradossi sono particolarmente evidenti
soprattutto nello spazio pubblico della politica.
Malgrado il fatto - ad esempio - che oggi la leadership dei movimenti
sociali sia tutta  femminile, la scena pubblica, decisionale e
intellettuale, salvo poche eccezioni, rimane tutta  maschile e, come nel '68
ai tempi degli angeli del ciclostile, il lavoro politico e sociale delle
donne resta sempre percepito come il lavoro domestico nella societa'.
Negli spazi pubblici, malgrado i corpi femminili circolino "anche" come
corpi pensanti, le donne accedono al potere ancora attraverso la protezione
di uomini, o in quanto parte simbolica o reale di una coppia, o perche'
qualche uomo illuminato apre loro la via.
Nello stesso tempo destre fondamentaliste e militariste, riescono (in modo
molto piu' abile della sinistra) a usare pienamente i guadagni del
femminismo. Il teatrino Palin-Barbie delle elezioni Usa ha mostrato in
maniera esemplare questa tendenza peraltro evidente anche da noi.
La destra e' capace di giocare la femminilita' assoluta, combinata con
l'asservimento e la potenza del materno, insieme all'emancipazione.
Le femministe sono strette in una trappola dove la repressione
fondamentalista si salda a un illuminismo neoliberale, ugualmente misogino.
Questo rende molto piu' complesse le lotte e i messaggi possibili e cio' e'
particolarmente visibile nella gestione di proposte in uno spazio pubblico
che vada al di la' delle lotte puramente difensive.
Le donne che occupano spazi di potere nel pubblico scontano una difficolta'
di posizione che e' strutturale: la difficolta' di rendere identificabile,
nell'uso del potere e nelle scelte politiche, la differenza che le donne
potrebbero e possono fare.
*
Ci si muove purtroppo in un terreno dove il nostro lavoro non e' stato
compiuto. Dove non si e' ancora consolidato ne' concettualmente ne' nelle
sue pratiche o modalita' organizzative un nostro spazio, dove la storia -
per cosi' dire - ci precede.
Uno degli aspetti di questo lavoro incompiuto e' l'illuminazione dei nessi
che legano il patriarcato al capitalismo e alla questione della democrazia,
l'altro la valorizzazione di pratiche alternative sul piano della gestione e
della concezione del potere.
Certo, parte delle difficolta' per le femministe di rendere le proprie
analisi visibili e praticabili e' responsabilita' di una sinistra che ha
perso il suo orizzonte e non riesce a vedere i guadagni che l'analisi
femminista apporterebbe nella comprensione della realta' e nella invenzione
di nuovi progetti politici.
Esiste anche una responsabilita' nostra: La subalternita' delle donne della
sinistra ai propri partiti nell'identificarsi con l'approccio "gruppo
vulnerabile" rinuncia a quella pratica essenziale degli anni '70 che
consisteva nel ridefinire le proprie questioni in mondo autonomo, porre le
proprie priorita' e conquistare la legittimita' di un altro sapere e con
cio' di altri paradigmi possibili.
Compiere quel lavoro di cui parlo mi sembra che oggi significhi la
capacita', ove gli altri vedono esclusione, razzismo, capitalismo, di
"illuminarne" lo strato patriarcale.
Nessun altro lo puo' fare se non chi lo vive e da una certa posizione.
L'insieme del confronto tra queste posizioni puo' creare mappe collettive
del loro funzionamento e dei loro legami interni.
Significa guardare la societa' da tutte quelle zone nascoste che
"naturalmente" scivolano sotto la cura delle donne e come tali stanno
nell'ombra.
Significa avere della societa' o della democrazia e delle regole che la
devono sostenere una visione piu' completa, sia nel senso della
complessita'-estensione dei fenomeni che nel senso della profondita',
perche' prende in esame tutti gli aspetti, anche quelli piu' invisibili.
*
Le definizioni di democrazia/pace/guerra/giustizia/sicurezza, sono diverse
in questa prospettiva, osservate da queste posizioni.
Dobbiamo mantenere le condizioni e gli spazi per questo sguardo, per un
rovesciamento di prospettive, per una  ridefinizione autonoma delle
questioni, delle priorita', delle forme organizzative. Queste sono le
condizioni per una ridefinizione della politica. E questo io vedo fare
spesso negli incontri cosi' poco visibili del femminismo internazionale.
Significa non cedere sulla nostra metodologia di conoscenza: esperienziale,
complessa, non frammentata, pluristratificata, molto specifica e molto
generale ad un tempo (il che ci permette anche di ridefinire il concetto di
concretezza).
Non dobbiamo accettare la confusione tra patriarcato e capitalismo: dove gli
altri vedono capitalismo, nazionalismo, razzismo, bisogna essere capaci di
vedere e far vedere lo strato patriarcale che e' piu' antico.
Non dobbiamo accettare il ricatto "dell'approccio piu' globale". L'approccio
piu' globale e' il patriarcato.
Non dobbiamo accettare l'alternativa tra separatismo e lavoro in ambiti
misti: le donne oggi lavorano normalmente in ambiti misti, e' un segno di
influenza e rispetto guadagnato. Tuttavia il movimento e anche coloro che
occupano posizioni di potere ancora vivono sui residui delle visioni e delle
posizioni radicali rese possibili da un movimento che ha ridefinito tutte le
questioni a modo suo, autonomamente e controcorrente, in un modo che sarebbe
stato impossibile ed impensabile in uno spazio misto e senza la metodologia
dell'autocoscienza e il dare valore al confronto tra le esperienze. Gli
interessi maschili non sono gli stessi di quelli femminili e questo e'
occultato negli ambiti misti.
Il desiderio di smantellare tutti gli aspetti del patriarcato e' per le
donne una condizione di sopravvivenza, per gli uomini puo' essere condizione
di comprensione-empatia.
Ma il sapere non viene dall'empatia, ma dall'esperienza in prima persona.
Essa e' il nostro punto di partenza e la nostra forza teorica.

2. LIBRI. MARIA VITTORIA VITTORI INTERVISTA IGIABA SCEGO
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo la seguente intervista apparsa sul
quotidiano "Liberazione" del 16 novembre 2008 col titolo "Il modello e' la
lingua: contaminare e mescolare per includere. Intervista a Igiaba Scego"]

Nasce da un corpo traumatizzato, finisce con un corpo di nuovo collegato
all'interiorita', di nuovo capace e felice di esprimersi, questo romanzo: e
in mezzo ci sono le storie di due giovani donne, delle loro madri e dei loro
paesi, feriti e traumatizzati al pari dei corpi: questo, e molto di piu', e'
Oltre Babilonia di Igiaba Scego. Drammatico e luminoso, a piu' voci e piu'
prospettive, pieno di cicatrici e di energia vitale. Le voci di Zuhra e di
sua madre Maryam, in fuga da una Somalia lacerata dal colonialismo e dalle
guerre tribali, la voce di Mar e di sua madre Miranda, esuli da
quell'Argentina dei colonnelli che ha risucchiato i suoi figli migliori,
s'alternano - insieme a quella di Elias, il padre - in un inquieto
andirivieni fra epoche e luoghi diversi. A raccontare in una lingua densa,
succosa, meravigliosamente miscelata di percorsi differenti, ma ugualmente
accidentati, tra i progetti dei singoli e i campi minati della storia.
Igiaba Scego, nata nel 1974 a Roma da genitori somali venuti in Italia a
seguito del colpo di stato di Siad Barre, ha esordito nel 2004, con il
romanzo Rhoda (Sinnos). Laureata in lingua e letteratura spagnola, con un
dottorato di ricerca in letteratura post-coloniale, si definisce precaria
della ricerca. Collabora con "Il Manifesto", "Lo Straniero", "Nigrizia". Ha
pubblicato il libro per bambini La nomade che amava Alfred Hitchcock
(Sinnos) e diversi racconti inseriti in antologie; Oltre Babilonia (Donzelli
2008, pp. 458, euro 17,50) e' il suo ultimo romanzo.
*
- Maria Vittoria Vittori: Una trama complessa, intrecciata: da quali
immagini, impulsi nasce?
- Igiaba Scego: Prima di tutto, dal desiderio di raccontare che cosa succede
alle donne quando una violenza attraversa il loro corpo, che sia violenza
sessuale o violenza di guerra. Di violenze le donne somale ne hanno viste
tante, soprattutto nel corso della guerra civile. Ma io volevo raccontare
non solo di loro, ma anche di ogni altra donna, e mi interessava inoltre
capire cosa succede dopo la violenza, qual e' il percorso per ricostruirsi
una possibilita' di vita.
*
- Maria Vittoria Vittori: Tutti i personaggi femminili hanno una
denominazione significativa: la Negropolitana, la Nus-Nus, la Reaparecida,
la Pessottimista: e' forse il modo con cui la storia collettiva si salda a
quella dei singoli?
- Igiaba Scego: Anche se affronto temi complicati e dolorosi ho cercato di
essere lieve e ironica, e questo e' visibile soprattutto nel personaggio di
Zuhra, la Negropolitana. E certo, il nome gioca sullo stereotipo: ti
appropri di quella parola orrenda che ti scagliano in faccia per offenderti
e ne fai una bandiera. Sua madre e' la Pessottimista, in omaggio all'omonimo
libro di Emil Habibi. Palestinesi e somali si somigliano moltissimo, i primi
non hanno una patria, gli altri ce l'hanno, ma e' un territorio senza
governo. Nus-Nus, che in somalo vuol dire mezza-mezza e' Mar, a meta' tra
due mondi. Difficile condizione, quella degli immigrati di seconda
generazione: ci trattano sempre da stranieri. La Reaparecida, infine, e'
Miranda, la madre argentina di Mar, riuscita a scampare al destino dei suoi
coetanei desaparecidos.
*
- Maria Vittoria Vittori: Come mai c'e' questa singolare mescolanza tra il
destino dei somali e quello degli argentini?
- Igiaba Scego: Nasce da un fatto personale. Avevo assistito alla
presentazione del libro di Verbitsky Il volo ed ero rimasta fortemente
colpita da quest'enorme tragedia dei desaparecidos. E mi venne da pensare,
improvvisamente, che quelli che erano riusciti a mettersi in salvo in
Italia, alla fine degli anni Settanta, s'erano ritrovati, a Roma, insieme ai
somali in fuga da Siad Barre, proprio come i miei genitori. Da questa babele
di corpi e di linguaggi si resta sconvolti, ma poi ho pensato che dovevo
creare una struttura che riproducesse la diaspora somala e argentina.
*
- Maria Vittoria Vittori: Nel romanzo c'e' molto del passato remoto e del
passato prossimo della Somalia. Come lo vede il presente?
- Igiaba Scego: Penso che piu' ancora della dominazione di Mussolini siano
stati deleteri quei dieci anni di amministrazione fiduciaria dell'Italia.
Mio padre era tra quegli uomini politici che appartenevano alla Lega dei
giovani somali, costretti dalle Nazioni Unite a prendere lezioni di
democrazia proprio da un paese che era appena uscito dalla dittatura. Invece
della democrazia - che, comunque, non si puo' apprendere da nessuno - i
somali hanno appreso il malcostume politico e la corruzione. Hanno ripetuto
gli errori altrui, in un contesto molto differente; e cosi' la corruzione si
e' insediata all'interno del tribalismo, rendendo tutto molto piu' complesso
e pericoloso. Quando e' arrivato Siad Barre, ha trovato il campo libero. La
Somalia ne ha viste troppe: la dittatura, una guerra civile interminabile,
la questione dei rifiuti tossici, il traffico di armi e di esseri umani, i
signori della guerra, i fondamentalisti: una situazione intollerabile, di
estrema violenza. In cui le vittime piu' vittime sono le donne.
*
- Maria Vittoria Vittori: Nel romanzo, che pure ha forti connotazioni
sociali e politiche, c'e' un'attenzione particolare al corpo, e non solo
delle donne.
- Igiaba Scego: Noi siamo fatti del nostro corpo, che gioisce, che e'
ferito, che soffre. Ma la politica non conosce il nostro corpo. Non conosce
nemmeno il proprio. Due atteggiamenti in particolare mi colpiscono: la
morbosita' che continua ad esserci intorno al corpo delle donne e
l'indifferenza rispetto al corpo di alcune persone, come i rifugiati. Ecco,
io penso che dovremmo tornare alla considerazione che non e' solo biologica
ma anche e soprattutto politica di un corpo reale, vero, che ha bisogno di
determinate cose come il cibo, l'ambiente, l'amore, il rispetto.
*
- Maria Vittoria Vittori: Oltre Babilonia e' anche oltre il "politicamente
corretto". Perche' non ha paura di intaccare gli stereotipi buonisti, certi
slogan melensi quanto fasulli. "Gli zoo sono ancora dentro di noi", scrive.
E' proprio cosi'?
- Igiaba Scego: Noi abbiamo svariati politici incompetenti e xenofobi e
diciamo la verita': il razzismo non e' solo di destra, di governo. Anche in
parte della sinistra serpeggia il razzismo, magari meno evidente, ma forse
proprio per questo ancora piu' subdolo e pericoloso. Ma non per questo
rinuncio a dire che anche molti africani, all'interno delle loro comunita',
coltivano diffidenze e pregiudizi verso altre popolazioni. Il pregiudizio e'
l'unica cosa che veramente ci affratella.
*
- Maria Vittoria Vittori: Visto da questa prospettiva che non fa sconti a
nessuno, il razzismo che cos'e'?
- Igiaba Scego: Fondamentalmente e' imbecillita', paura di chi non si
conosce, rifiuto di conoscerlo. E mi sembra che in questo momento qualsiasi
forma di diversita', in Italia, faccia paura. E invece, si deve contaminare,
mescolare, riflettere e lavorare sul linguaggio perche' la lingua e'
fondamentale per far crollare le barriere, attivare una politica di
pedagogia antirazzista, allargare la rappresentanza degli immigrati di
seconda generazione, per poter creare una societa' che include, e non
esclude. Un'Italia vera e possibile, diversa da questa. Perche' noi italiani
siamo decisamente migliori di chi ci rappresenta.

3. RIFLESSIONE. LUIGI FERRAJOLI: UNA PAROLA D'ORDINE INSENSATA
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 26 settembre 2008 col titolo "Tolleranza
zero, l'ossessione dei potenti" e la nota redazionale "Pubblichiamo alcuni
stralci dell'intervento di Luigi Ferrajoli al festival del Diritto che si
svolge a Piacenza da oggi a domenica"]

La tolleranza zero, cioe' l'impossibilita' del crimine, potrebbe forse
essere raggiunta solo in una societa' panottica di tipo poliziesco, che
sopprimesse preventivamente le liberta' di tutti, mettendo un poliziotto
alle spalle di ogni cittadino e i carri armati nelle strade. Il costo della
vagheggiata e comunque sempre illusoria "tolleranza zero" sarebbe insomma la
trasformazione delle nostre societa' in regimi disciplinari e illiberali
sottoposti alla vigilanza capillare e pervasiva della polizia. Laddove il
connotato principale del diritto penale, in una societa' liberale, consiste
precisamente nella tolleranza, a garanzia delle liberta' di tutti, della
possibilita' materiale della trasgressione e nella sua prevenzione sulla
sola base della minaccia della pena: nella difesa, in altre parole, della
liberta' fisica della trasgressione in quanto vietata giuridicamente e non
impossibilitata materialmente. Di tutto questo furono ben consapevoli i
criminalisti della Scuola classica, che ammonirono contro il carattere
assurdo e funesto dell'illusione panpenalistica e pangiudizialista. "La
pazza idea che il giure punitivo debba estirpare i delitti dalla terra",
scrisse Francesco Carrara, "conduce nella scienza penale alla idolatria del
terrore". E prima di lui Gaetano Filangieri aveva scritto che solo un
legislatore "tirannico" puo' illudersi e illudere che "le pene potranno
interamente bandire dalla societa' i delitti", anziche' semplicemente
"diminuirne il numero". E Mario Pagano, a sua volta, aveva messo in guardia
contro lo zelo inquisitorio e le ideologie efficientiste, denunciando
l'"arbitrario ed immoderato potere" che "fa d'uopo" lasciare "nelle mani del
giudice" ove si voglia "che il piu' leggiero fallo non resti impunito",
nonche' il prezzo "di necessarie violenze ed attentati sulla liberta'
dell'innocente" che occorrerebbe pagare per la ricerca di ogni "occulto
delitto".
E tuttavia e' sulla base di questa insensata parola d'ordine che e' stata
promossa in questi ultimi venti anni la crescita esponenziale, non solo in
Italia, della carcerazione penale, senza che sia in alcun modo diminuita la
criminalita' che queste politiche avrebbero dovuto ridurre a zero. Si tratta
di un fenomeno di dimensioni gigantesche, che offre la prova piu' clamorosa
dell'irrazionalita' delle politiche penali informate al progetto insensato
della tolleranza zero. In tutti i paesi occidentali si e' prodotta in questi
anni una vera esplosione delle carceri, che ha visto talora raddoppiare,
come in Italia, e talora, come negli Stati Uniti, addirittura decuplicare la
popolazione carceraria: una popolazione formata ormai quasi unicamente, come
mostrano le statistiche giudiziarie di tutti questi paesi, da soggetti
poveri ed emarginati: immigrati, neri, tossicodipendenti, detenuti per
piccoli reati contro il patrimonio.
Ma simultaneamente la criminalita', per effetto delle politiche informate
alla vagheggiata tolleranza zero, non e' affatto diminuita. Negli Stati
Uniti, al contrario, e' aumentata. Da un lato il numero dei detenuti ha
raggiunto circa i due milioni e mezzo, senza contare i quattro milioni di
cittadini sottoposti alle misure della probation o della parole: uno ogni
cento abitanti, dieci volte di piu' che in Europa, otto volte di piu' che
negli stessi Stati Uniti di trenta anni fa. Ma dall'altro il numero degli
omicidi ha raggiunto il numero di circa 30.000 l'anno, che e' quasi dieci
volte il numero degli omicidi che, nonostante le mafie e le camorre,
accadono ogni anno in Italia. Aggiungo che il fenomeno si e' sviluppato, pur
se in misura incomparabilmente inferiore, anche in Europa. Si tratta di una
carcerazione di massa della poverta', generata da una degenerazione
classista della giustizia penale, del tutto scollegata dai mutamenti della
fenomenologia criminale e sorretta soltanto da un'ideologia dell'esclusione
che criminalizza i poveri, gli emarginati, o peggio i diversi - lo
straniero, l'islamico, l'immigrato clandestino - all'insegna di
un'antropologia razzista della disuguaglianza. In ogni caso l'effetto della
cosiddetta tolleranza zero e' stato, in termini di sicurezza, uguale a zero:
perfino a New York, dove e' stata sbandierata come un grande successo del
sindaco Giuliani, si e' risolto nel nascondere la polvere sotto il tappeto:
nel far sparire vagabondi, spacciatori e piccoli criminali dal centro di
Manhattan e nel costringerli a spostarsi in periferia.
Il diritto penale, luogo, nel suo modello normativo, quanto meno della
uguaglianza formale davanti alla legge, e' cosi' diventato, di fatto, il
luogo della massima disuguaglianza e discriminazione. Esso non solo
riproduce le disuguaglianze presenti nella societa', riproducendone gli
stereotipi classisti e razzisti del delinquente "sociale" oltre che
"naturale", ma ha codificato discriminazioni e privilegi con politiche
legislative tanto severe con la delinquenza di strada quanto indulgenti con
quella del potere. Si pensi solo, in Italia, all'introduzione di misure
draconiane nei confronti della criminalita' di strada e dell'immigrazione
clandestina e, insieme, all'edificazione di un intero corpus iuris ad
personam finalizzato a paralizzare i vari processi contro il presidente del
consiglio; simultaneamente - va aggiunto - a una campagna di denigrazione
dei giudici: tanto piu' accusati di politicizzazione quanto piu' al
contrario, prendendo in parola il principio dell'uguaglianza davanti alla
legge, hanno cessato di essere condizionati dalla politica.
Si sta cosi' producendo, in una misura ancor piu' massiccia che in passato,
una duplicazione del diritto penale: diritto minimo e mite per i ricchi e i
potenti; diritto massimo e inflessibile per i poveri e gli emarginati.
Mentre nei confronti della delinquenza dei colletti bianchi la giustizia e'
sostanzialmente impotente - si pensi solo alla prescrizione perseguita
sistematicamente in questi processi da agguerriti difensori - nei confronti
della delinquenza di strada la giustizia penale e' severissima.

4. RIFLESSIONE. CORNELIUS CASTORIADIS: MODERNI CONFORMISMI
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 2 aprile 2007 col titolo "Moderni
confromismi" e il sommario "Nel decennale della morte un testo inedito del
filosofo greco-francese. Da 'Lettera Internazionale' in uscita in questi
giorni anticipiamo una parte del saggio di Cornelius Castoriadis, scomparso
nel 1997. E' una riflessione sul ruolo che riveste la cultura 'per tutti'
nella societa' odierna. L'autore e' stato uno dei piu' importanti studiosi e
critici delle ideologie del nostro tempo. Nella creazione culturale si
stanno avverando le profezie piu' pessimistiche. Cio' che accade e' in
stretto rapporto con l'inerzia e la passivita' sociale. L'arte moderna e'
democratica anche se non corrisponde al gusto popolare"]

Che cosa c'e' di piu' immediato, per coloro che ritengono di vivere in una
societa' democratica, dell'interrogarsi sul ruolo che la cultura riveste
nella societa' in cui vivono; tanto piu' che assistiamo con ogni evidenza a
una diffusione senza precedenti di cio' che chiamiamo cultura e,
contemporaneamente, all'intensificarsi delle istanze e delle critiche su
cio' che viene diffuso e sulle modalita' della sua diffusione?
C'e' un modo di rispondere a questo interrogativo che e', in realta', un
modo per eluderlo. Da piu' di due secoli, si afferma che la specificita' del
ruolo della cultura in una societa' democratica - al contrario di quanto
succedeva nelle societa' non democratiche - risiede nel fatto che la cultura
e' per tutti e non per questa o quella elite. Questo "per tutti", a sua
volta, puo' essere inteso in un senso puramente quantitativo: la cultura di
volta in volta esistente deve essere messa a disposizione di tutti, non solo
"giuridicamente" (cosa che non succedeva, per esempio, nell'Egitto dei
faraoni), ma anche sociologicamente, nel senso della sua effettiva
accessibilita' - cosa alla quale dovrebbero servire oggi sia l'istruzione
universale, gratuita e obbligatoria, sia i musei, i concerti pubblici, e
cosi' via. (...)
Prendiamo in considerazione la fase propriamente moderna del mondo
occidentale, a partire dalle grandi rivoluzioni della fine del XVIII secolo,
democratiche e di fatto decristianizzatrici, fino a circa il 1950, data
approssimativa a partire dalla quale mi pare sia nata una situazione nuova.
Qual e' il campo di significazioni che sottendono alla straordinaria
creazione culturale che ha luogo nel corso di questo secolo e mezzo?
Dal punto di vista del creatore, possiamo probabilmente parlare di un
sentimento intenso di liberta' e di una ebbrezza lucida che lo accompagna.
Ebbrezza dell'esplorazione di forme nuove, della liberta' di crearle. Queste
forme nuove sono ormai esplicitamente ricercate per se stesse, non sorgono
per sovrappiu' come in tutti i periodi precedenti. Ma questa liberta' resta
legata a un oggetto; essa e' ricerca e instaurazione di un senso nella
forma, o meglio, ricerca esplicita di una forma portatrice di un senso
nuovo.
Certo, c'e' anche un ritorno del kleos e del kudos antichi - della gloria e
della rinomanza. Ma Proust lo ha gia' detto: l'atto stesso ci modifica cosi'
profondamente che finiamo per non attribuire piu' tanta importanza agli
impulsi che lo hanno generato, come l'artista "che si e' messo al lavoro per
la gloria e nello stesso tempo si e' distaccato dal desiderio della gloria".
Qui, l'attualizzazione della liberta' e' la liberta' di creazione di norme,
creazione esemplare (come dice Kant nella Critica del giudizio) e, per
questo, destinata a durare. E' il caso per eccellenza dell'arte moderna, che
esplora e crea delle forme nel vero senso della parola. Con cio', anche se
e' accettata con difficolta' dai suoi destinatari, e anche se non
corrisponde al "gusto popolare", essa e' democratica, cioe' liberatrice. Ed
e' democratica anche quando i suoi rappresentanti sono politicamente
reazionari, come lo sono stati Chateaubriand, Balzac, Dostoevskij, Degas e
tanti altri. (...)
Il pubblico, dal canto suo, partecipa "per procura", per il tramite
dell'artista, a questa liberta'. Soprattutto, e' preso dal senso nuovo
dell'opera - e questo solo perche', nonostante le inerzie, i ritardi, le
resistenze e le reazioni, e' un pubblico esso stesso creatore. La ricezione
di una nuova grande opera non e' mai, e mai puo' essere, semplice
accettazione passiva, ma e' sempre anche ri-creazione. E le societa'
occidentali, dalla fine del XVIII secolo fino alla meta' del XX, sono state
societa' autenticamente creatrici. In altre parole, la liberta' del creatore
e i suoi prodotti sono, di per se', socialmente investiti.
Siamo ancora in questa situazione? Domanda rischiosa, pericolosa, alla quale
tuttavia non cerchero' di sottrarmi.
Penso che, nonostante le apparenze, la rottura della chiusura di senso
instaurata dai grandi movimenti democratici rischi l'oscuramento. Sul piano
del funzionamento sociale reale, il "potere del popolo" serve da paravento
al potere del denaro, della tecnoscienza, della burocrazia dei partiti e
dello Stato, dei media. Sul piano degli individui si va affermando una nuova
chiusura, che assume la forma di conformismo generalizzato.
Ritengo che stiamo vivendo la fase piu' conformista della storia moderna. Si
dice che ogni individuo e' "libero", ma di fatto ognuno riceve passivamente
il solo senso che l'istituzione e il campo sociale gli propongono e gli
impongono: il tele-consumo, fatto di consumo, di televisione, di consumo
simulato attraverso la televisione.
Mi soffermero' brevemente sul "piacere" del tele-consumatore contemporaneo.
Al contrario di quello dello spettatore, uditore o lettore di un'opera
d'arte, questo piacere comporta una sublimazione minima: e' soddisfazione
surrogata delle pulsioni attraverso un atto di voyeurismo, e' un "piacere
fisico" bidimensionale, accompagnato a un massimo di passivita'. Che cio'
che la televisione presenta sia di per se' "bello" o "brutto", esso e'
recepito passivamente, nell'inerzia e nel conformismo.
Si e' proclamato il trionfo della democrazia come trionfo
dell'individualismo. Ma questo individualismo non e' e non puo' essere forma
vuota in cui gli individui "fanno cio' che vogliono" - non piu' di quanto la
"democrazia" possa essere semplicemente procedurale. Le "procedure
democratiche" sono di volta in volta intrise del carattere oligarchico della
struttura sociale contemporanea - cosi' come la forma "individualistica" e'
intrisa dell'immaginario sociale dominante, immaginario capitalistico della
crescita illimitata della produzione e del consumo.
Sul piano della creazione culturale, dove di certo i giudizi sono piu'
incerti e piu' contestabili, e' impossibile sottovalutare l'aumento
dell'eclettismo, del collage, del sincretismo invertebrato, e, soprattutto,
non vedere la perdita dell'oggetto e di senso, che va di pari passo con
l'abbandono della ricerca della forma, forma che e' sempre molto piu' che
forma, perche', come diceva Hugo, essa e' il fondo che sale in superficie.
Si stanno avverando le profezie piu' pessimistiche - da Tocqueville e dalla
"mediocrita'" dell'individuo "democratico", passando per Nietzsche e il
nichilismo, arrivando fino a Spengler, a Heidegger e oltre. Profezie
teorizzate nel postmoderno con autocompiacimento arrogante e stupido.
Se queste constatazioni sono, anche solo parzialmente, esatte, la cultura in
una societa' "democratica" corre grandi rischi - di certo non per quanto
attiene alla sua forma erudita, museale o turistica, ma per quanto riguarda
la sua essenza creatrice.
L'evoluzione attuale della cultura non e' senza rapporto con l'inerzia e la
passivita' sociale e politica che caratterizzano il nostro mondo, ma la
rinascita della sua vitalita', se deve avvenire, sara' indissociabile da un
nuovo grande movimento sociale-storico che riattivera' la democrazia e le
dara' di volta in volta la forma e i contenuti che il progetto di autonomia
esige.
Siamo turbati dall'impossibilita' d'immaginare concretamente il contenuto di
una tale creazione - mentre e' proprio questo il bello di ogni creazione.
Clistene e i suoi compagni non potevano ne' dovevano "prevedere" la tragedia
e il Partenone - non piu' di quanto i membri della Costituente o i Padri
Fondatori non avrebbero potuto immaginare Stendhal, Balzac, Flaubert,
Rimbaud, Manet, Proust o Poe, Melville, Whitman e Faulkner.
La filosofia ci mostra che sarebbe assurdo credere di avere ormai esaurito
il pensabile, il fattibile, il formabile, cosi' come sarebbe assurdo porre
limiti alla potenza della formazione che sempre risiede nell'immaginazione
psichica e nell'immaginario collettivo sociale-storico. Ma la stessa
filosofia non ci invita a constatare che l'umanita' ha attraversato periodi
di cedimento e di letargia, tanto piu' insidiosi quanto piu' sono stati
accompagnati da cio' che chiamiamo "benessere materiale". Ammesso che coloro
che hanno un rapporto diretto e attivo con la cultura possano contribuire a
far si' che questa fase di letargia sia quanto piu' possibile breve, cio'
sara' possibile solo se il loro lavoro restera' fedele ai principi di
liberta' e di responsabilita'.

5. LIBRI. ENZO BIANCHI PRESENTA "IL MEDITERRANEO E L'EUROPA" DI PREDRAG
MATVEJEVIC
[Dal supplemento librario "Tuttolibri" del quotidiano "La stampa" del 20
settembre 2008 col titolo "Un uomo-ponte tra asilo e esilio" e il sommario
"Nel 'Mediterraneo e l'Europa' l'approccio laico di Matvejevic ai problemi
della convivenza civile"]

Ci sono persone che nel loro corpo, nella loro esistenza recano le impronte
di fratture, lacerazioni, ponti, rive e incroci che paiono quasi invocare
confronti e riconciliazioni. Cosi' e' di Predrag Matvejevic, nato a Mostar
(letteralmente "antico ponte", mirabile costruzione sulla Neretva, distrutto
durante il conflitto bosniaco e ora ricostruito) da padre russo ortodosso e
da madre cattolica croata della Bosnia. Il padre conobbe i campi di lavoro
forzato dei nazisti, i parenti paterni soffrirono nei gulag e anche dopo la
caduta del regime sovietico non riapparvero nella vita pubblica e politica
perche' "il coraggio di cui hanno dato prova negli anni del comunismo
ricorda ad altri la loro debolezza: continuano a essere sgraditi".
Non sorprende allora che un uomo-ponte come Matvejevic - sempre in bilico,
dopo il crollo della Jugoslavia, tra "asilo ed esilio" - abbia dedicato
tante sue energie intellettuali al Mediterraneo, mare che unisce o separa
due sponde (in realta', una molteplicita' di sponde) cosi' simili e cosi'
diverse. A questo mare e al suo rapporto con il nostro continente Matvejevic
ha dedicato in particolare una serie di lezioni al College de France,
pubblicate nel 1998 e riprese ora, ancora attualissime, nel volume Il
Mediterraneo e l'Europa (Garzanti, pp. 150, euro 9,50) arricchito da una
nuova postfazione su laicita' e laicismo.
E' proprio questo approccio "laico" ai problemi della convivenza civile che
fa dell'autore cosmopolita una memoria scomoda per tutti quanti vogliono
scordare un passato che "non ha dappertutto lo stesso peso, ma sembra pesare
ovunque".
L'onesta' intellettuale di Matvejevic l'ha anche portato a denunciare in un
articolo come "nostri talebani" quegli scrittori che si erano messi al
servizio della macchina di istigazione bellica dei leader nazionalisti di
Serbia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina: per questo venne condannato a cinque
mesi di carcere con la condizionale. Lui reitero' l'accusa e torno' a
Zagabria rendendosi cosi' passibile di arresto pur di non far tacere il
grido di giustizia e di fronteggiare quella che lui considera "non piu' una
semplice crisi della cultura, ma peggio: una crisi di fiducia nella cultura"
e nel ruolo etico degli intellettuali.
Forse sono proprio quelle faglie di divisione che hanno lacerato la carne e
il cuore di Predrag Matvejevic che hanno suscitato in lui non solo una
profonda sofferenza, ma anche una rara capacita' di discernere l'altro e di
gettare ponti tra le rive del fiume Neretva come tra le sponde del
Mediterraneo e l'Europa.

6. LIBRI. DUNYA CARCASOLE PRESENTA "MILLE SPLENDIDI SOLI" DI KHALED HOSSEINI
[Dal quotidiano "L'Arena" del 5 giugno 2007 col titolo "Una storia afghana
al femminile" e il sommario "Mille splendidi soli, di Khaled Hosseini, e'
comparso in libreria da pochi giorni e non sorprende sia gia' un best
seller. Due donne unite dalle avversita' e da un destino di sottomissione.
Il romanzo ha tutte le carte in regola per soddisfare i vecchi lettori dello
scrittore e per catturarne molti di nuovi"]

Mille splendidi soli e' comparso in libreria per i tipi di Piemme da poco
piu' di una settimana e non sorprende sia gia' un best seller. Con andatura
delicata Khaled Hosseini accompagna il lettore lungo il filo della storia e,
senza mai incespicare o sbagliare un incrocio, raggiunge le menti ed apre i
cuori. Racconta la vita di due donne, divise da una strada e quindici anni.
Miriam, allontanata dal mondo e dalla felicita' fin da bambina, cresciuta
nella consapevolezza di dover piegare l'orgoglio di fronte alle richieste di
un uomo, e' succube e al contempo artefice di una debolezza che in realta'
e' forza d'animo e capacita' di sopportazione. E' "come una roccia nel letto
di un fiume, che sopporta senza lamentarsi". Laila invece e' stata educata a
raggiungere i propri obiettivi a testa alta. Tutto in lei parla di
emancipazione secondo il modello occidentale, dall'abbigliamento alla
raffinata istruzione. Perfino i riccioli biondi che le incorniciano il viso
sembrano cosi' poco mediorientali. Eppure anche la ragazza forbita che
avrebbe dovuto diventare l'orgoglio del padre, a cui l'amica Hasina ripeteva
"un giorno prendero' in mano un giornale e trovero' la tua foto in prima
pagina", e' costretta a chinare il capo. Due donne cosi' diverse si
troveranno unite dalle avversita' e da un comune destino di ubbidienza e
sottomissione.
Ma questo romanzo e' anche e soprattutto uno sguardo su cinquanta anni di
storia afgana attraverso gli occhi delle donne che, come incendi, hanno
visto accendersi le speranze in un futuro migliore per poi osservarle
inermi, lacerate sotto le bombe assieme ai propri padri, figli e mariti.
Testimoni della guerra da sotto il burqa, che le affligge ma talvolta quasi
le protegge, non possono vedere ne' a destra ne' a sinistra, solo diritto
avanti a se' attraverso la grata. Stando attente a non inciampare nell'orlo
della tunica attendono lo svolgersi degli eventi, rimanendo ignare alle
logiche belliche e sorde agli ideali che portano gli uomini a combattere.
Quando mancano acqua, cibo e liberta' importa poco se sono i sovietici, i
mujahidin, i talebani o gli americani a governare il Paese. Mille splendidi
soli ha tutte le carte in regola per soddisfare chi ha deciso, dopo Il
cacciatore di aquiloni, di rinnovare la sua fiducia allo scrittore, e per
catturare l'attenzione di molti altri lettori. E' un libro profondo;
l'argomento trattato farebbe scivolare molti nella retorica mentre Hosseini
riesce a descrivere l'Afghanistan con lo sguardo delle sue donne, senza
sbavature ne' prese di posizione, guardando sempre dritto e appellandosi
solo alla legge del buonsenso. Aderenza al vero ed imparzialita' non
basterebbero ad elevare questo testo da garbata denuncia di un profugo
politico a splendido romanzo. E' lo stile pulito e mai fuori dalle righe che
ne fa un libro da leggere senza mai staccare gli occhi, lasciandosi guidare
per mano attraverso le tappe piu' importanti della storia delle protagoniste
e del loro Paese.

7. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

8. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009"

Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti". E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009", una copia:
10 euro.
Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946,  e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it

9. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009

E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, curata dal Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, il costo e' di 10 euro a
copia.
Per richieste:
- Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa
Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail:
csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it
- Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax:
923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito:
www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 680 del 25 dicembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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