Voci e volti della nonviolenza. 278



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 278 del 27 dicembre 2008

In questo numero:
Ramin Jahanbegloo: La scelta della nonviolenza, il dialogo tra le culture

RAMIN JAHANBEGLOO: LA SCELTA DELLA NONVIOLENZA, IL DIALOGO TRA LE CULTURE
[Dal sito www.caffeeuropa.it riprendiamo il seguente testo li' pubblicato il
2 giugno 2006, dal titolo "Al di la' dello scontro delle intolleranze", il
sommario "Oggi non ci troviamo di fronte a uno scontro di civilta', ma a uno
scontro di intolleranze, secondo Ramin Jahanbegloo. E cos'e' l'intolleranza?
"Anzitutto l'incapacita' o l'indisponibilita' a vivere qualcosa di diverso".
"Dobbiamo incoraggiare le forze d'opposizione a aderire ai valori della
moderazione, della tolleranza e della nonviolenza", chiede questo giovane e
coraggioso professore dell'Universita' di Teheran, membro del comitato
scientifico di Reset Doc. Un uomo che e' stato appena arrestato, in Iran,
per le sue idee pacifiche, liberali e democratiche" e la nota redazionale
"Questo testo e' stato letto dall'autore in occasione della conferenza 'Al
di la' di Orientalismo e Occidentalismo', organizzata da Reset - Dialogues
on Civilizations e tenutasi al Cairo, in Egitto, dal 4 al 6 marzo 2006]

Il "dialogo tra le civilta'" e' divenuta una delle espressioni chiave, nel
discorso mondiale sulla globalizzazione culturale e sulla risoluzione di
conflitti internazionali. Tuttavia la scomparsa degli stereotipi
tradizionali che vigevano lungo le linee ideologiche della Guerra Fredda ha
dato vita a un nuovo schema di confronto, visibile al di sotto dell'idea
dello scontro di civilta'. Questa nuova forma di frizione ideologica
potrebbe senz'altro trasformarsi in un vero e proprio conflitto,
specialmente se si fornira' una dimensione religiosa agli atti di violenza,
cosi' potenzialmente dando il la a tutta una sequenza di eventi che
potrebbero eludere la razionalita' politica. Dai tempi del conflitto tra
impero persiano achemenide e le citta'-stato dell'antica Grecia, gli scontri
di civilta' hanno rappresentato un tema importante e molto familiare nella
storia mondiale. Tuttavia, se l'energia rilasciata nello scontro di due
civilta' potesse venire incanalata nella giusta direzione, i contatti tra
due differenti culture potrebbero fornire un'opportunita' d'oro per la
nascita di una costruttiva autoriflessione. La gente sarebbe in grado di
esaminare il proprio inquadramento culturale alla luce di un altro, e se un
esperimento di questo tipo riuscira', non solo si evitera' il conflitto, ma
si creera' anche l'opportunita' di ampliare gli orizzonti intellettuali di
una cultura.
*
Non e' infatti difficile trovare esempi storici del modo in cui uno scontro
di civilta' ha condotto ad un dialogo di piu' alto livello. L'esempio e il
paradigma di Al-Andalus e' particolarmente pertinente al tema del nostro
incontro, il dialogo tra le culture. Cio' che era notevole nella vita
religiosa e culturale della Spagna islamica e' che, nel loro intenso e ricco
dialogo, ebrei, cristiani e musulmani non miravano tanto a convertirsi l'un
l'altro alle rispettive fedi. Cercavano piuttosto di approfondire la loro
comprensione e di convincersi della verita' delle proprie fedi. Penso che
siamo tutti d'accordo che al cuore dell'esperienza di Cordoba non sta
l'intolleranza, ma un'aspirazione all'universale e un rispetto per la
diversita'. L'Europa si oscurava al tramonto, e intanto Cordoba, la citta'
piu' grande e la sede dell'impero dei Mori musulmani in Spagna, risplendeva
di lampade pubbliche. Gli europei si bagnavano in fiumi e laghi, e i
cittadini di Cordoba usufruivano di piu' di un migliaio di bagni. L'Europa
era invasa dagli insetti, mentre nella Spagna musulmana la gente si cambiava
la biancheria ogni giorno. Gli europei camminavano nel fango, mentre le
strade di Cordoba erano pavimentate. I palazzi europei avevano buchi per il
fumo sui tetti, mentre l'architettura araba di Cordoba era squisita.
La nobilta' europea non sapeva scrivere neanche il proprio nome, mentre i
bambini di Cordoba andavano a scuola. I monaci d'Europa non sapevano leggere
il servizio battesimale. Gli insegnanti di Cordoba crearono una biblioteca
con piu' di due milioni di libri, su tutti gli argomenti della vita umana.
E' una piccola pagina della storia europea, che gli studiosi europei, nei
loro libri, scelgono di ignorare completamente o di menzionare solo di
sfuggita. In quest'epoca in cui e' l'Occidente a dominare il mondo, spesso
sentiamo ricordare quanto l'Europa sia e sia stata civile, democratica,
umana, tollerante e illuminata rispetto ai barbari, primitivi, violenti e
"medievali" musulmani. Per tutto il Medio Evo ebrei e musulmani hanno preso
in prestito molto gli uni dagli altri, nel campo della filosofia, della
scienza, del misticismo e della legge. Per esempio, Maimonide venne
profondamente influenzato dai nostri filosofi musulmani, mentre molti oggi,
nel mondo islamico, lo leggono come un pensatore arabo.
Un esempio eccezionale della cooperazione religiosa fu la moschea di
Cordoba, che il venerdi' veniva usata dai predicatori musulmani, il sabato
dalla comunita' ebraica, e la domenica dai cristiani. Quella era veramente
una societa' aperta, creata da un'atmosfera di solidarieta' senza
discriminazione religiosa. Nella Spagna musulmana, per un periodo di quasi
ottocento anni, esiste' una societa' in cui musulmani, ebrei e cristiani
vissero insieme in pacifica coesistenza, condividendo conoscenza, cultura e
comprensione.
*
Uno dei problemi fondamentali che si incontrano piu' di frequente in una
situazione di dialogo e' la tendenza a paragonare gli ideali della propria
fede con le pratiche dell'altro, e viceversa. Si usa questo approccio
anzitutto per sminuire e degradare l'altro. Un approccio di questo tipo non
solo impedisce la comprensione e la conversazione genuina al di la' dei
confini religiosi, ma conduce anche alla glorificazione gratuita della
propria fede e dei testi sacri. In realta', il vero problema comincia quando
entrambe le parti cominciano a credere che un equilibrio sia impossibile e
che uno scontro sia inevitabile. Quando succede, finiscono di ascoltarsi
l'uno con l'altro, si deumanizzano l'un l'altro e rendono il clash sempre
piu' probabile. A meno che, e fino a che, le tre fedi abramitiche non
scopriranno un nuovo paradigma di vita religiosa che onori la diversita'
come parte della religiosita' umana, saranno destinate a competere, e le
civilta' saranno in conflitto. Questo nuovo paradigma non puo' essere
insegnato, ma puo' essere scoperto. E il modo di scoprirlo e' osare tuffarsi
in una profonda esperienza interreligiosa con le tradizioni contemplative
del mondo.
L'aspetto contemplativo della religione conduce sempre ad un senso di
umilta'. La grande mistica di ogni fede comprendeva che Dio era piu' grande
di ogni fede. Immergendo la gente nelle tradizioni contemplative
dell'Ebraismo, del Cristianesimo e dell'Islam, e coltivando l'umilta'
spirituale che alimenta un paradigma di santa diversita' e mutuo rispetto
(opposta alla mera tolleranza) il mondo puo' andare oltre lo scontro di
civilta' e verso una nuova era di dialogo globale e di pacifica cooperazione
interspirituale. Oggi non viviamo uno scontro di civilta', quanto piuttosto
uno scontro di intolleranze. L'intolleranza e' anzitutto l'incapacita' o
l'indisponibilita' a vivere qualcosa di diverso. L'intolleranza di quanti
sono diversi da noi e' ovviamente prevalente, nelle nostre societa' moderne.
Non si tratta solo di intolleranza morale o politica, ma dell'intolleranza
verso chiunque sia diverso da noi. Dal tragico evento dell'11 settembre c'e'
stato un numero sempre crescente di attacchi razzisti verso musulmani, sikh
o chiunque altro avesse radici mediorientali o asiatiche. Oltre a cio', i
commenti superficiali che politici e media hanno riservato all'Islam e ai
musulmani hanno alimentato nel mondo le fiamme dell'odio e della paura tra
le diverse comunita' di credenti. Ma l'intolleranza verso i musulmani va a
braccetto con la demonizzazione dell'Occidente operata dai fondamentalisti
musulmani.
Mentre molti musulmani riconoscono il sostegno e la sensibilita' della
maggior parte degli occidentali, alcuni musulmani continuano a imbarazzarci
con la ristrettezza della loro visione e la grossolanita' dei loro
sentimenti verso l'Occidente. L'agenda sembra essere la stessa in entrambi i
campi: promuovere un conflitto generalizzato tra il mondo islamico e
l'Occidente. Ma chi ha il dovere maggiore di fermare questo scontro di
intolleranze commesso nel nome dell'Islam e della civilta' occidentale? La
risposta, ovviamente, e': i musulmani e i non-musulmani che sono contrari a
una raffigurazione superficiale e apocalittica di un mondo diviso. Ogni
soluzione a un odierno scontro di intolleranze deve lottare contro il folle
nazionalismo, l'odio tribale e l'intolleranza religiosa ed etnica, e deve
incoraggiare le forze d'opposizione a aderire ai valori della moderazione,
della tolleranza e della nonviolenza. E' difficile riconciliare l'idea del
dialogo tra le culture con la teoria contemporanea che la nonviolenza sia
semplicemente una strategia di convenienza.
*
La nonviolenza non e' una maglietta che oggi s'indossa e domani si toglie.
Praticare la nonviolenza e' diventata una necessita' pratica nelle relazioni
internazionali. Dal momento che ci viene richiesto di creare un'intera
cultura di nonviolenza intorno a noi, dobbiamo creare una cultura di
nonviolenza e di tolleranza intorno a noi per praticare il dialogo.
L'ingiunzione ad essere tolleranti e nonviolenti vuol dire soltanto, e senza
dubbio, che dovremmo esercitare tolleranza e nonviolenza se e quando ci
confrontiamo con idee o azioni che disapproviamo o addirittura consideriamo
odiose, allo stesso modo in cui il principio della liberta' di espressione
ha senso solo se e' applicato anche a quanti dicono cose per noi sbagliate.
Perche' ovviamente non c'e' particolare impedimento o merito, e non richiede
neanche uno speciale sforzo spirituale, il tollerare cio' che consideriamo
buono e giusto e cio' che si accorda con le nostre idiosincrasie, e non c'e'
merito particolare neppure nel tollerare cio' che coincide con le nostre
opinioni. E ancora, come l'intera storia prova abbondantemente, non possiamo
e non dovremmo tollerare l'inumano.
Tollerare l'inumano porta solo piu' inumano. Colui che accetta passivamente
l'inumano ne e' tanto coinvolto quanto chi aiuta a perpetrarlo. Il dialogo
nonviolento e' il modo migliore per protestare contro l'inumano senza
esserne indifferenti. Il che vuol dire che se il dialogo interculturale deve
essere autenticamente se stesso, deve essere accompagnato, sostenuto e messo
alla prova da una tolleranza dialogica. Differendo da una tolleranza
dialettica, in cui ogni voce e' bloccata all'interno di punti di vista
prestabiliti, e differendo da una tolleranza eclettica, una tolleranza
dialogica comporta sia il se'-altro sia il se'-se'. Il se' incontra qualcuno
che e' sia altro sia se'. Il che ricorda una bella poesia di T. S. Eliot
pubblicata nei Quattro Quartetti, dove il personaggio di un poeta-filosofo
sente dentro di se' la voce di un'altra persona e dice: "Benche' noi non lo
fossimo. Io ero ancora lo stesso. Conoscere me stesso eppure essere qualcun
altro". Quel qualcun altro che c'e' e non c'e', come la voce di un'altra
cultura o di un'altra religione, viene a chiederci di essere aperti alle
possibilita' del pensiero dell'altro, cosi' come alla voce del dialogo
stesso. Questa attitudine all'apertura suggerisce che quanti prendono parte
a un dialogo devono credere che le visioni del mondo di ciascuno sono in
grado di essere comprese. In altre parole, non potrebbe esserci alcun
dialogo interculturale tra culture che costituiscono camere di significato
chiuse ermeticamente. Al contrario, devono assumere che le loro visioni del
mondo siano orizzonti aperti. Toshihiko Izutsu usa l'espressione "fusioni di
orizzonti" per descrivere il modo in cui il contatto tra due opposti
inquadramenti culturali possono finire per raggiungere una nuova prospettiva
sul mondo, oltre e al di la' delle loro attuali visioni del mondo.
Se qui stiamo parlando in termini di principi e di spirito, questo commento
non varrebbe solo a livello di cultura ma anche di civilta', e certamente
cio' che chiediamo oggi e' questa fusione di orizzonti - la chiave con cui
trasformare lo scontro di civilta' in un dialogo di civilta'. Se venissero
fatti degli sforzi in tutto il mondo, tra tutte le culture, per raggiungere
una "fusione di orizzonti", allora alla fine otterremmo una globalizzazione
nel vero senso della parola. Percio', l'obiettivo di un dialogo tra le
culture non e' la creazione di un mondo dal pensiero e dalla cultura
uniforme, ma, idealmente, l'esatto opposto. Il dialogo culturale non
dovrebbe essere niente di meno di un meccanismo che arricchisca
l'individualita' e la visione del mondo delle persone, siano esse americane
o di una comunita' islamica. Ogni cultura tende a possedere un inquadramento
che determina la forma di base del comportamento, dei pensieri, e delle
emozioni delle persone che appartengono a quella cultura.
La comprensione dialogica richiede che membri di culture diverse si
impegnino attivamente l'un l'altro in un dialogo reale, ascoltino cosa hanno
da dire gli altri, e raggiungano accordi parziali sul significato delle
prospettive comunicate. Questo significa, ed e' importante, che si
interrogano le altre culture, e non che le si evita. Interrogare in modo
critico rimane parte del processo del dialogo interculturale. Ma venire a
conoscenza di cio' che non si sa dovrebbe ricordarci della saggezza di
Socrate. Sebbene l'interrogare socratico fosse motivato dalla sua ammissione
di ignoranza, permetteva anche la critica dei valori e delle fedi dei suoi
interlocutori, sottolineandone l'inconsistenza. Indicando i limiti della
conoscenza di Teeteto, Socrate crede che il giovane possa diventare piu'
gentile con i suoi colleghi. Allo stesso modo, quando ritraiamo il dialogo
interculturale come un interrogare senza fine, i partecipanti si
incoraggiano l'un l'altro a vivere le proprie visioni culturali come aperte
alla revisione. Una conversazione interculturale, anche con un "altro"
inflessibile, offre a chi parla i vantaggi sia della scoperta-del-se' sia
della possibilita' di imparare un altro aspetto di una verita' piu' grande e
piu' complessa. L'obiettivo non e' giungere necessariamente a un accordo tra
persone con opinioni fondamentalmente diverse. Lo scopo e' raggiungere un
senso di empatia e solidarieta' per il mondo. Non possiamo piu' predicare
qualsiasi forma di omogeneizzazione culturale, ne' propugnare una visione di
differenza radicale.
*
Il mondo e' diverso ed e' importante rispettare la diversita'. Ma ne' le
leggi internazionali ne' le istituzioni internazionali sono sufficienti ad
assicurare la pace e il dialogo nel nostro mondo contemporaneo. Abbiamo
bisogno di coltivare una coesistenza dialogica, che e' possibile solo quando
sussiste interesse nell'ascolto e nella comprensione del punto di vista
dell'altro, e rispetto per cio' che esso considera vitale per la sua
identita' culturale. Queste sono le premesse di base e gli obiettivi
principali di un dialogo nonviolento tra culture. Ma abbiamo bisogno anche
di capire che nel mondo di oggi la spirale dell'odio e della violenza
costituisce un'enorme minaccia non solo alla pace internazionale ma anche al
destino dell'uomo. E' tempo di realizzare che ci troviamo nel pieno di un
grande rivolgimento. La democratizzazione dell'intolleranza e' diventata la
regola del comportamento sociale. Paradossalmente, la nozione di tolleranza
predicata da tutte le religioni e culture e' diventata intolleranza
all'interno dei confini della politica particolaristica.
Dobbiamo pensare al di la' di questa sovradeterminata dicotomia di "West" e
"Rest", che sembra suggerire che il "resto del mondo" non ha nulla da dire a
proposito dell'Occidente. Un'affermazione simile negherebbe l'essenza
pluralistica della civilta' occidentale. Se l'Occidente comincia ad agire
come i Talebani, ignorando il fatto che al suo interno include una
diversita' di vedute e culture, finira' per tradire le sue radici liberali e
gli obiettivi democratici. Tuttavia, c'e' una possibilita' di coesistere in
un mondo sempre piu' intollerante. Possiamo partire dalla premessa che la
dignita' umana e' troppo grande per essere imprigionata in una cultura. In
altre parole, ogni cultura alimenta e sviluppa una certa dimensione della
dignita' umana, e il progresso verra' sempre da un dialogo tra culture.
Cosi', se l'Occidente chiede all'Islam di eliminare le sue intolleranze, ha
il dovere di fare altrettanto con le sue. I musulmani hanno bisogno
dell'Occidente per trovare un equilibrio tra democrazia e responsabilita', e
l'Occidente puo' imparare dal senso di comunita' dell'Islam.
*
Mahatma Gandhi, una figura considerevole per i nostri tempi, ha combattuto
tutta la vita contro l'intolleranza. Ogni sua azione mirava a creare armonia
tra culture e individui. Gandhi ha saputo esprimere meglio di tutti il senso
di questo dialogo tra culture e di questo scambio di idee, quando ha detto:
"Non voglio che la mia casa abbia muri su tutti i suoi lati e che le
finestre siano tappate. Voglio che le culture di tutti i paesi soffino nella
mia casa il piu' liberamente possibile". Che sfida rappresentano queste
parole per quanti lottano contro lo scontro delle intolleranze. Se il mondo
sta cercando una via per uscire dallo scontro di intolleranze, il modo
migliore e' difendere la liberta' di espressione dell'uno senza mancare di
rispetto alle opinioni degli altri. La vera natura del dialogo consiste
nell'abilita' di vedere se stessi nella prospettiva dell'altro. E'
certamente vero che esistono forze, all'interno di ogni cultura, che
ostacolano questo impegno. C'e' il pericolo di leggere, nelle altre culture
e nelle altre religioni, qualcosa che in realta' non c'e'. Ma questo e' il
rischio di ogni dialogo. Se c'e' una decostruzione da compiere per entrare
veramente in dialogo con le altre culture, essa deve cercare di epurare gli
aspetti violenti e distruttivi della nostra stessa cultura e della nostra
stessa coscienza.
La questione rilevante non concerne cosa dovremmo credere, ma cosa dovremmo
fare delle nostre fedi. Questo era la missione di grandi figure storiche
come Mahatma Gandhi, Martin Luther King Jr. e Abdul Ghaffar Khan. Voglio
cogliere l'occasione per onorare l'eredita' di Abdul Ghaffar Khan, meglio
noto come Badshah Khan, che mori' a Peshawar nel 1988 all'eta' di novantotto
anni. Badshah Khan non e' piu' tra la sua gente, ma le sue lunghe sofferenze
al servizio dei Pathans rimarranno una grande fonte di ispirazione. La
profonda fede di Abdul Ghaffar Khan nella verita' e nell'efficacia della
nonviolenza veniva dalla sua profonda esperienza di fedele musulmano. La sua
vita testimonia concretamente che essere un nonviolento e essere un
musulmano sono cose perfettamente compatibili. "Il mondo d'oggi va verso una
direzione piuttosto strana", Abdul Ghaffar Khan disse nel 1985: "Vedete che
il mondo sta andando verso la distruzione e la violenza. E la caratteristica
della violenza e' di creare odio e paura tra le persone. Io credo nella
nonviolenza e dico che la pace o la tranquillita' non scenderanno tra le
genti del mondo finche' non verra' praticata la nonviolenza, perche' la
nonviolenza e' amore e infonde coraggio nella gente". L'eredita' di Abdul
Ghaffar Khan potrebbe essere d'aiuto a tutti noi oggi, nel tentativo di
vincere gli scontri di intolleranza tra l'Islam e l'Occidente, e tra i
musulmani e gli indu' nel subcontinente. La sua vita, tutta spesa a
costruire ponti, e' un'affermazione chiara e trasparente del fatto che
dialogo, pace e coesistenza sono possibili al di la' dello scontro di
civilta'.

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
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Numero 278 del 27 dicembre 2008

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