Telegrammi. 452



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 452 del 31 gennaio 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Si e' svolto il 30 gennaio a Viterbo un incontro di formazione nonviolenta

2. Un messaggio di auguri al professor Osvaldo Ercoli

3. Paromita Pain: Fotografie dall'Afghanistan

4. Peppe Sini: Primo, ricordare (1987)

5. Peppe Sini: Primo Levi, undici anni dopo (1998)

6. Chi si rivede, Mister Attila e i suoi pregiati venditori di fumo

7. Per sostenere il Movimento Nonviolento

8. "Azione nonviolenta"

9. Segnalazioni librarie

10. La "Carta" del Movimento Nonviolento

11. Per saperne di piu'

 

1. INCONTRI. SI E' SVOLTO IL 30 GENNAIO A VITERBO UN INCONTRO DI FORMAZIONE NONVIOLENTA

[Riceviamo e diffondiamo]

 

Domenica 30 gennaio 2011 presso il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di Viterbo si e' svolto un nuovo incontro del percorso di formazione e informazione nonviolenta che si tiene settimanalmente dal 2009.

In apertura i partecipanti all'incontro hanno inviato un messaggio di auguri al professor Osvaldo Ercoli in occasione del suo compleanno.

La parte principale dell'incontro e' stata dedicata alla Giornata della memoria della Shoah: in particolare sono stati letti e commentati alcuni testi di Primo Levi.

E' stato poi esaminato l'andamento e sono stati apprezzati i primi assai positivi esiti dell'iniziativa per il diritto allo studio promossa da alcuni mesi dai partecipanti al percorso di formazione e informazione nonviolenta.

E' stato quindi di nuovo ribadito l'impegno per la riduzione del trasporto aereo, in difesa dell'area del Bulicame, contro la realizzazione di un mega-aeroporto nocivo, distruttivo e fuorilegge, e per la realizzazione invece di un "parco naturalistico, archeologico e termale del Bulicame"; e' stato ribadito altresi' l'impegno sulla situazione delle acque del lago di Vico, a sostegno dell'iniziativa in difesa dell'ambiente e della salute della popolazione; e' stato ribadito anche l'impegno per la prosecuzione dell'iniziativa contro la presenza di arsenico nelle acque destinate a consumo umano; i partecipanti all'incontro hanno altresi' confermato il sostegno alle iniziative nonviolente contro il riarmo, e particolarmente contro l'acquisto da parte dell'Italia dei cacciabombardieri F-35 con un folle e criminale sperpero di miliardi di euro del pubblico erario; e' stato inoltre confermato il sostegno alle iniziative nonviolente contro il razzismo e particolarmente contro il colpo di stato razzista compiuto dal governo in carica; e' stato anche confermato il sostegno alle iniziative nonviolente contro la guerra e particolarmente contro l'incostituzionale partecipazione militare italiana alla guerra in Afghanistan; infine i partecipanti hanno confermato il sostegno alle iniziative nonviolente contro il nucleare. Su tutti questi temi si invieranno anche nuove lettere aperte a varie rappresentanze istituzionali.

*

Le persone partecipanti all'incontro

Viterbo, 30 gennaio 2011

Per informazioni e contatti: viterbooltreilmuro at gmail.com

 

2. MAESTRI. UN MESSAGGIO DI AUGURI AL PROFESSOR OSVALDO ERCOLI

[Riceviamo e diffondiamo.

Osvaldo Ercoli, gia' professore amatissimo da generazioni di allievi, gia' consigliere comunale e provinciale, impegnato nel volontariato, nella difesa dell'ambiente, per la pace e i diritti di tutti, e' per unanime consenso nel viterbese una delle piu' prestigiose autorita' morali. Il suo rigore etico e la sua limpida generosita' a Viterbo sono proverbiali. E' tra gli animatori del comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo. Nel 2007 ha promosso un appello per salvare l'area archeologica, naturalistica e termale del Bulicame dalla devastazione]

 

Caro professor Ercoli,

nel giorno del suo compleanno le giungano gli auguri riconoscenti ed affettuosi delle persone che hanno avuto l'onore e la gioia di collaborare con lei in tante iniziative di solidarieta', per la verita' e la giustizia, per il bene comune dell'umanita'; e che in lei hanno trovato un esempio costante di impegno morale ed intellettuale, un maestro di vita.

La ringraziano e la salutano

le persone partecipanti all'incontro di formazione alla nonviolenza svoltosi domenica 30 gennaio 2011 presso il centro sociale autogestito "Valle Faul" di Viterbo

Viterbo, 30 gennaio 2011

 

3. RIFLESSIONE. PAROMITA PAIN: FOTOGRAFIE DALL'AFGHANISTAN

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo del 26 gennaio 2011.

Paromita Pain e' corrispondente per "WeNews".

Farzana Wahidy e' una fotoreporter afgana impegnata per i diritti umani di tutti gli esseri umani]

 

Kabul, Afghanistan - Farzana Wahidy ama imprimere le sue pellicole con le donne. Con la sua macchina fotografica, questa fotoreporter afgana di 26 anni trova ispirazione nel documentare le vite delle donne di un paese largamente devastato, donne che nonostante quel che hanno intorno sono "assai interessanti, meravigliosamente colorate e sempre commoventi". Farzana e' la prima fotografa afgana che lavora per agenzie internazionali come France-Presse e Associated Press. Il suo lavoro le ha guadagnato un premio, nel 2008, dalla National Geographic Society di Washington. Delle sue fotografie dice: "E' una responsabilita' farle, perche' io so come vanno le cose qui".

Nata a Kandahar, aveva circa 6 anni quando la famiglia si trasferi' a Kabul, dove crebbe. "Tutto quel che ricordo della mia infanzia riguarda la guerra, l'avere paura e il muoversi da una parte all'altra". Ma nessuna memoria d'infanzia supera il ricordo della notte in cui i talebani presero il controllo della nazione. "Avevo 13 anni, allora", racconta Farzana, "Nessuno riusci' a dormire. La nostra casa era vicina ad una stazione di polizia e ci spostammo in casa di mio zio per essere piu' al sicuro. In tutto eravamo una trentina di persone. Piu' tardi, quando tornammo a casa nostra, mi accorsi di come ci guardavano i talebani per strada. Mia madre mi disse che da allora in poi dovevamo stare attente a coprirci con i fazzoletti da testa".

A volte Farzana scatta le sue foto da dietro il cappuccio di un burqa, mostrando come si vede il mondo attraverso una rete di stoffa. "Stavo lavorando ad una fotostoria per l'Associated Press e tentavo tutte le angolature. Allora indossai un burqa: era come essere in prigione. Ho scattato cosi' una foto di fronte ad un centro commerciale, come simbolo di ogni oggetto che potevo desiderare ma non mi era permesso avere". La talebanizzazione dell'Afghanistan comincio' quando Farzana era appena adolescente, ma a sostenerla c'erano i ricordi del periodo precedente: "Durante il regime comunista le ragazze andavano a scuola. Le donne insegnavano all'universita' e non vedevi sciarpe per la testa o burqa". Ad aiutarla c'era anche un padre che la incoraggiava, e che era un appassionato fotografo. Farzana e' cresciuta osservando il suo lavoro. "Era la persona piu' aperta della famiglia", dice con orgoglio, "Credeva che le sue figlie dovessero avere un'istruzione". E cosi' Farzana conobbe le scuole segrete dell'Afghanistan.

"Quando i talebani andarono al potere mia madre mori' e mio padre fu messo in prigione. Era facile mandare qualcuno in galera, in quei giorni. Chiunque avesse qualcosa contro di te poteva dire per esempio che avevi armi in casa, ed era fatta. Picchiarono mio padre in malo modo. Non riusci' a camminare per mesi. Quando sapemmo che lo cercavano di nuovo fuggimmo a Kapisa". Laggiu' sembrava che Farzana e le sue sorelle fossero completamente tagliate fuori dal resto del mondo. Un programma radiofonico della Bbc le informo' delle scuole segrete per le ragazze. "Dapprima mio padre rifiuto' di mandarci, aveva paura. Io mi ammalai, ed il medico gli disse che l'unica cura per me era rendermi felice. La mia medicina stava nell'andare a scuola".

Non era una cosa facile. Durante il percorso verso le classi segrete le ragazze dovevano nascondere i libri. Se fossero state viste portarli potevano essere frustate in pubblico. Successivamente il padre di Farzana, che era stato un soldato, perse il suo lavoro. Le figlie dovevano ora dare una mano in casa. Fu cosi' che venne loro l'idea di aprire esse stesse una scuola. A 14 anni, Farzana divenne un'insegnante. "Cominciammo con le bambine del vicinato. Molte volte i talebani vennero a controllare, ma loro erano svelte a nascondere i libri. Dicevamo di star imparando il Corano. Siamo state fortunate che nessuno ci abbia denunciate. Facevamo tutto, dalla matematica all'inglese. Ci cambiavamo persino i vestiti, per fingere di essere insegnanti diverse e divertire le bambine".

Quando i talebani furono sconfitti, Farzana e molte delle sue parenti volevano fare corsi per rimettersi in pari con la propria istruzione, ma non c'erano soldi. "Mio padre non poteva pagare per noi. Eravamo una famiglia numerosa. Andai di nuovo a lavorare". Farzana si illumino' quando senti' di un corso per fotoreporter: presento' la domanda e fu accettata nella prima agenzia afgana di fotografia, l'Aina. Vinse la borsa di studio e l'agenzia la mando' a studiare in Canada.

"L'Afghanistan non e' un posto facile, per lavorarci come fotografa. In Canada ero immersa in un ambiente che apprezzava il mio lavoro". Come studente, Farzana vinse il premio per i ritratti in un concorso aperto a tutto il Canada ed agli Usa. Da quattro anni e' una fotoreporter sul campo, in Afghanistan: "Fotografare bombardamenti e attacchi e' sempre duro. Quando vedo pezzi di carne umana, corpi smembrati, torno sempre alle guerre della mia infanzia. Lo odio. Allora devo scattare altre fotografie, quelle che devono dire come mi sento". Farzana non ha mai ricevuto aiuto psicologico a livello professionale, dice che le sue amiche sono sempre disponibili quando lei ha bisogno di parlarne. E ama tutte le sue fotografie: "Persino quelle venute male", sorride, "E non dimentichero' mai le foto che feci nel reparto ustionati di un ospedale in cui lavoravo, il giorno in cui una donna che si era data fuoco fu portata la'. Gli odori, i suoni e l'atmosfera di quel giorno resteranno con me per sempre".

Essere una fotoreporter in Afghanistan ha i suoi svantaggi, dice Farzana, perche' la maggioranza degli uomini, in special modo nelle zone piu' conservatrici, sostiene che lei non dovrebbe fare questo lavoro. Cio' che la nutre e la fa andare avanti e' lo sbrigliato entusiasmo delle donne che ritrae nelle sue fotografie: "Ma guardati un po', mi dicono con orgoglio. Amano il fatto che io abbia un lavoro e che sia io stessa a controllare la mia vita".

Il sito di Farzana Wahidy: www.farzanawahidy.com

 

4. MEMORIA. PEPPE SINI: PRIMO, RICORDARE (1987)

[L'articolo che di seguito nuovamente riproduciamo apparve originariamente su "A. Rivista anarchica" dell'agosto-settembre 1987.

Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente scomparso nel 1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz, sopravvissuto, fu per il resto della sua vita uno dei piu' grandi testimoni della dignita' umana ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di sterminio. Le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu' alti dell'impegno civile in difesa dell'umanita'. Opere di Primo Levi: fondamentali sono Se questo e' un uomo, La tregua, Il sistema periodico, La ricerca delle radici, L'altrui mestiere, I sommersi e i salvati, tutti presso Einaudi; presso Garzanti sono state pubblicate le poesie di Ad ora incerta; sempre presso Einaudi nel 1997 e' apparso un volume di Conversazioni e interviste. Altri libri: Storie naturali, Vizio di forma, La chiave a stella, Lilit, Se non ora, quando?, tutti presso Einaudi; ed Il fabbricante di specchi, edito da "La Stampa". Ora l'intera opera di Primo Levi (e una vastissima selezione di pagine sparse) e' raccolta nei due volumi delle Opere, Einaudi, Torino 1997, a cura di Marco Belpoliti. Opere su Primo Levi: AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano 1991; AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994; Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998; Massimo Dini, Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992; Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica, Einaudi, Torino 1997; Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere, Einaudi, Torino 2007; Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia, Firenze 1981; Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta, Mursia, Milano 1992; Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di Primo Levi, Mursia, Milano 1990; Fiora Vincenti, Invito alla lettura di Primo Levi, Mursia, Milano 1976]

 

E' mia profonda convinzione che tanta parte dei nuovi movimenti di liberazione, e particolarmente alcune esperienze che si sono contraddistinte per consapevolezza e impegno (come il movimento di psichiatria democratica) debbano molto a Primo Levi, e che in un confronto serrato con la sua opera possano e debbano trovare motivo, occasione e strumenti di ulteriore approfondimento della propria riflessione, di ulteriore radicalizzazione della propria prassi.

Perche' Primo Levi e' il militante e il testimone, il resistente, il disvelatore, l'uomo con cui tutti ci siamo identificati e nel profondo, e con dolore, e con orgoglio; il Primo Levi della deportazione e del lager, della memoria e della riflessione sul lager e la violenza che non finiscono; il Primo Levi di Se questo e' un uomo, La tregua, di alcuni racconti del Sistema periodico e di Lilit, di alcune poesie del magro e acuto canzoniere; il Primo Levi, infine, de I sommersi e i salvati. E' l'autore indimenticabile di opere ineludibili: sa poco del nostro tempo e della nostra condizione chi non le ha lette.

Ma vi sono anche altri aspetti dell'opera di Primo Levi di cui vogliamo parlare: del maestro cordiale, del pensatore rigoroso e onesto, dell'uomo "a cui molte cose vengono raccontate"; le varie sfaccettature, insomma, che contribuiscono a rendercene la pienezza, la dignita', la statura umana.

*

Contro il dolore

La lotta contro il dolore, contro la violenza, e' uno dei punti focali dell'opera di Levi, e la sua visione del mondo ne e' la scaturigine al pari della sua vissuta esperienza.

Una visione del mondo laica, razionale e fraterna, materialistica; e' caratteristico di questa limpidezza di sguardo, un breve articolo, incluso ne L'altrui mestiere ed intitolato appunto "Contro il dolore", in cui Levi svolge alcune semplici e serene considerazioni in fraterna discussione con Enrico Chiavacci (teologo prestigioso ed uomo di pace, impegnato nei movimenti pacifisti e nonviolenti, autore di un libro come Teologia morale e vita economica, Cittadella, Assisi '86, che anch'io - materialista rigoroso - ho molto apprezzato) concludendo che "e' difficile compito di ogni uomo diminuire per quanto puo' la tremenda mole di questa 'sostanza' che inquina ogni vita, il dolore in tutte le sue forme; ed e' strano, ma bello, che a questo imperativo si giunga a partire da presupposti radicalmente diversi".

La laica tolleranza di Levi, e la maturita' del suo materialismo, emergono nitidi nell'intera sua opera, come emerge una visione del mondo che ripudia le illusioni e le mistificazioni, che lotta contro il male e fonda questa lotta su presupposti saldissimi perche' veritieri, non alienati, senza maschere e senza utopismi, ma anche senza disperazioni di maniera, con serena consapevolezza e con strazio profondo - tanto costa la dignita' umana -; sono memorabili quelle parole de La tregua (riprese anche nell'ultimo grande libro) sulla vergogna "che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volonta' buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa"; e ancora ne I sommersi e i salvati troviamo, ad esempio, che "e' compito dell'uomo giusto fare guerra ad ogni privilegio non meritato, ma non si deve dimenticare che questa e' una guerra senza fine".

Contro il dolore, contro l'inganno, contro l'oppressione, lungo una linea di resistenza che si snoda da Lucrezio (il grande poeta-filosofo, poeta-scienziato, "considerato pericoloso - scrive Levi - perche' cercava un'interpretazione puramente razionale della natura, perche' voleva liberare l'uomo dalla sofferenza e dalla paura, perche' si ribellava contro ogni superstizione, e descriveva con lucida poesia l'amore terrestre") all'illuminismo radicale, a Leopardi, a Marx; una linea di resistenza che propone agli uomini anche la ricerca di un parco edonismo, la sobrieta' di Epicuro: nell'"antologia personale" La ricerca delle radici (da cui abbiamo citato il giudizio su Lucrezio) Levi esemplifica questa posizione riportando con caldo consentimento un passo di Bertrand Russell.

E ancora, a definire questa visione del mondo, la weltanschauung materialista di Levi, concorrono appieno i quattro filoni di ricerca, i quattro itinerari che egli delinea con le sue letture nello schema che apre La ricerca delle radici: la salvazione del riso, l'uomo soffre ingiustamente, statura dell'uomo, la salvazione del capire.

La dialettica del raccontare e' un elemento saliente della consapevolezza di scrittore di Primo Levi.

Perche' raccontare e' in primo luogo testimonianza e comunicazione: comunicazione, che significa riconoscimento di umanita', dignita' dell'io e del tu, ascoltarti ed essere ascoltato, riconoscerti ed essere riconosciuto, e cosi' - in questo atto, in questa relazione - riconoscermi; e' un capitolo fortissimo de I sommersi e i salvati quello intitolato "Comunicare", e appunto dedicato a questo nodo estremo dell'esperienza del lager ("abbiamo avuto modo di capire bene, allora, che del grande continente della liberta' la liberta' di comunicare e' una provincia importante"). Ma si veda anche quello stupendo racconto che e' "Decodificazione", nel libro Lilit. Comunicazione, ma anche testimonianza; testimoniare cio' che non deve essere dimenticato, cio' che deve essere capito, cio' che deve essere riscattato dalla morte ulteriore dell'oblio, del misconoscimento, del disconoscimento; raccontare per dire la verita', per combattere la morte: per salvare, per quanto e' possibile, l'esistenza di Hurbinek "che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero", "Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek mori' ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie pagine" (La tregua, capitolo secondo).

Vi e' quindi un raccontare come dovere in Levi, ma anche un raccontare come passione, e come impulso; e' quello che definisce muovendo dalla figura dell'Ancient Mariner di Coleridge (non casualmente in epigrafe a I sommersi e i salvati), e nella bellissima poesia dedottane, "Il superstite" (raccolta in Ad ora incerta, libro che gia' nel titolo riprende questo decisivo motivo) dal memorabile incipit: "Since then, at an uncertain hour, / Dopo di allora, ad ora incerta, / Quella pena ritorna, / E se non trova chi lo ascolti / Gli brucia in petto il cuore". Raccontare anche per liberarsi del carico intollerabile d'angoscia, per sforzarsi di comunicare l'incomunicabile, cio' che fa gorgo nell'intimo, sapendo che al fondo il segreto orrore - l'orrido segreto -, l'enigma indicibile, resta insormontabile, eppure bisogna dire, bisogna che gli uomini sappiano; ed e' non solo missione civile ma anche disperata passione cio' che compulsa l'ultimo libro di Levi, e la sua intera opera (ed en passant vogliamo segnalare quell'incunabolo de I sommersi e i salvati che e' l'appendice del '76 all'edizione scolastica di Se questo e' un uomo).

Ma vi e' anche il piacere del raccontare: la vena fantastica e fantascientifica (sui generis), morale e umorale, di Levi, sgorga anche qui, nel gusto della fabulazione, nel piacere del conversare per cui si chiede agli amici "raccontami una storia" (e Levi lo fa esplicitamente ad esempio nel racconto "Argento" del Sistema periodico, ad esempio ne "L'anima e gli ingegneri" nella raccolta di Lilit; ed esemplare e' l'intero libro di duplice affabulazione orale La chiave a stella); vi e' nel raccontare un'amista', un rasserenamento, un dar forma umana - dar lingua - alla vita che sovente umana non e', che forma e armonia non ha; sintomatico di questo atteggiamento, tenero, ironico, e' ad esempio il capoverso in quarta di copertina dell'ultimo libro di racconti (Lilit), in cui presentando in breve le storie raccolte nel volume si conclude: "non ci sono, che io sappia, ne' messaggi ne' profezie fondamentali; se il lettore ce li trova, e' bonta' sua": e quel "bonta' sua" non e' forse proprio anche il cordiale invito al lettore a cooperare alla storia? A proseguire la conversazione? Raccontare e ascoltare e' un atto di amicizia, e' amicizia in atto.

*

L'eredita' del lager

Noi siamo ad un tempo umani e non ancora umani, umani e gia' non piu' umani; cosi' ci lacera questo tempo di devastazioni. Di questa condizione degli uomini scissa, anfibia, Levi e' testimone e poeta grandissimo. Perche' in se' l'ha vissuta intensamente e per molteplici scomposizioni e crisi, infinite catene di contraddizioni e dialettiche; perche' tecnico e poeta, scienziato e scrittore, manipolatore di elementi chimici e di elementi linguistici, perche' testimone di una condizione di totale alterita' dall'umano, testimone del lager ("non uno degli eventi, ma l'evento mostruoso, forse irripetibile, della storia umana", parole di Bobbio che Levi cita nell'ultimo libro), perche' perseguitato.

Creatura ancipite in molti campi della sua attivita' e in molte situazioni della sua identita', e quindi testimone veritiero e profondo di situazioni scisse, nonche' felice - se il termine e' lecito - creatore di figure poetiche lacerate (si pensi ad esempio ai due racconti speculari di "Recuenco", in Vizio di forma), Levi ha elaborato anche efficaci, illuminanti metafore di questa condizione, riprendendo ad esempio la figura di Tiresia (ne La chiave a stella), o creando quel magnifico racconto che e' "Quaestio de Centauris" (in Storie naturali), o anche - a un livello gia' diverso, e ben addentro a una riflessione sulla letteratura che muove forse dal secondo Chisciotte - nel pur poco riuscito racconto "La ragazza del libro" (in Lilit).

Noi non siamo ancora nel regno della liberta', ed energie sempre piu' massicce ed alacri lavorano ad impedire che mai l'uomo possa realizzarsi, ne' si possa raggiungere la liberazione delle persone e dei popoli: l'eredita' del lager, Levi lo segnalava con forza incomparabile nell'ultimo e fondamentale libro, e' ancor oggi ben viva e operante. La testimonianza, la resistenza, la lotta sono l'eredita' che Primo Levi ci ha lasciato e che dobbiamo portare avanti. Non dobbiamo, non possiamo sottrarci a questo compito.

 

5. MEMORIA. PEPPE SINI: PRIMO LEVI, UNDICI ANNI DOPO (1998)

[Il testo seguente, che nuovamente riproduciamo, e' quello della relazione di Peppe Sini al convegno su "Primo Levi, testimone della dignita' umana" tenutosi a Bolsena il 15-16 maggio 1998]

 

"Ma la guerra e' finita, obiettai: e la pensavo finita, come molti in quei mesi di tregua, in un senso molto piu' universale di quanto si osi pensare oggi.

Guerra e' sempre, rispose memorabilmente Mordo Nahum".

(La tregua)

 

Undici anni sono trascorsi dalla scomparsa di Primo Levi.

Quando ci raggiunse la notizia della sua scomparsa, noi eravamo impegnati in una campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano, campagna alla quale Primo Levi aveva dato la sua adesione, la piu' autorevole fra tutte; ed in particolare eravamo impegnati nella preparazione di una manifestazione nazionale contro l'apartheid che poi si svolse il primo maggio a Viterbo con la partecipazione di illustri relatori, manifestazione alla quale avevamo chiesto a Primo Levi di intervenire.

Pochi giorni prima della sua scomparsa Primo Levi ci aveva comunicato telefonicamente che i suoi doveri familiari ed una non buona condizione di salute gli impedivano di spostarsi da Torino.

E' uno dei miei turbamenti, forse sciocchi, forse presuntuosi, da quando mi raggiunse la notizia della sua scomparsa, il rammarico di non avergli saputo dire in quell'ultima occasione quanto lui fosse importante per me e per noi, e quanta affezione - e lasciatemi dire la parola buffa: quanto amore, amore, si' - anch'io sentissi per lui, come tanti, come tutti quelli che nel corso del tempo lo avevano conosciuto uomo giusto, uomo buono.

Quel primo maggio aprimmo la manifestazione nazionale contro l'apartheid nel suo nome e nel suo ricordo, a farci scudo di lui ancora una volta, ad usare del suo nome e della sua opera ancora una volta come di una bandiera, di un grido di battaglia, di un giuramento di fedelta'.

E quasi ad adempiere un voto realizzammo il 25 luglio di quello stesso anno 1987 a Viterbo un convegno nazionale, il primo, intitolato a "Primo Levi, testimone della dignita' umana", convegno di cui, undici anni dopo, quello odierno che qui ci riunisce riprende il nome, il discorso, l'impegno.

A quel convegno presero parte tante persone a noi molto care, che vollero attestare il loro affetto per Primo Levi, lo sbigottito strazio per la sua morte, la fedelta' a quanto aveva insegnato.

Proprio in questi giorni riandando le stinte carte di undici anni fa constatavo tra quei nomi la presenza di alcune delle persone migliori che abbiamo avuto la fortuna di conoscere, e tra essi tanti che non sono piu' in vita.

Vorrei qui ricordare il professor Vittorio Emanuele Giuntella, che quel giorno a Viterbo ricordo' in Primo Levi non solo il testimone, lo studioso, il poeta, ma anche l'amico e il compagno. Il professor Vittorio Emanuele Giuntella, mio maestro di nonviolenza, scomparso anche lui qualche anno fa.

E vorrei ricordare padre Ernesto Balducci, che quel giorno a Viterbo lesse e interpreto' con tensione indicibile, con voce e movimento di profeta, una poesia di Primo Levi e quel gesto suo estremo, facendo rompere in singhiozzi e calde lacrime i presenti, come dicono accadesse agli ateniesi assistendo alla rappresentazione dei Persiani. Ed anche padre Balducci ci ha frattanto lasciato.

E' ancora tra noi invece Lello Perugia, compagno di Primo Levi ad Auschwitz e nel lungo ritorno, uno degli eroi omerici e primigeni de La tregua, che anche lui fu a Viterbo quel giorno, e che salutiamo augurandogli ogni bene ed una ancor lunga vita.

E per ricordare in un solo nome tutti gli altri che nel 1987 a quel convegno di omaggio a Primo Levi vollero associare la loro voce, diro' adesso di Rosanna Benzi, che di Primo Levi era stata teneramente amica, che dal polmone d'acciaio dell'ospedale di Genova in cui viveva volle dettarmi anche un suo contributo che tra le lacrime trascrissi. Anche Rosanna e' nel frattempo scomparsa. Anche di lei noi serbiamo memoria.

E dovrei dire di Giovanni Michelucci, dovrei dire di Alexander Langer, di Tullio Vinay, di Natalia Ginzburg, di Giuliano Naria, di Elio Filippo Accrocca, di tanti altri che vollero unirsi a quell'omaggio a Primo Levi, e che non sono piu' tra noi.

Oggi nuovamente tornando a ricordare Primo Levi, e con Primo Levi tutte le vittime del Lager e tutti coloro che lottarono e testimoniarono contro il fascismo e il genocidio, in questo ricordo vogliamo associare anche tutti coloro che Primo Levi amarono, che nel loro concreto agire vollero essere fedeli a quanto lui scrisse e opero', alla sua lotta per l'umana dignita'.

E non voglio dimenticare un affettuoso saluto e un vivo ringraziamento a Lucia Levi, che a nome della famiglia autorizzo' quel convegno del 1987 cosi' come questo che adesso si sta svolgendo.

E voglio dire altresi' la mia gratitudine per Giulio Vittorangeli che con tanta e tanto alacre tenacia ha voluto ed ha organizzato l'iniziativa che oggi ci riunisce qui a Bolsena.

*

Su due argomenti vorrei ora richiamare la vostra attenzione.

Il primo consiste nel proporvi di leggere l'opera di Primo Levi anche come un classico del pensiero politico, di un pensiero politico all'altezza degli sconvolgimenti abissali e dei radicali interrogativi di questo secolo, in grado di indicarci criteri ed obiettivi per i nostri compiti nell'ora presente.

Il secondo consiste nel considerare ancora una volta alcune scaturigini ed implicazioni del raccontare, del pensiero poetante (oltre che indagatore, oltre che testimone) di Primo Levi, nelle sue molteplici dimensioni e valenze.

*

Un classico del pensiero politico

Proponendo di leggere l'opera di Primo Levi non solo come un classico, cosa ormai ovvia per tutti gli studiosi, ma anche specificamente come un classico del pensiero politico, non mi nascondo di prestare il fianco al rischio di essere frainteso: quasi volessi piegarla, quell'opera grande, ad un uso improprio, o impoverirla a una sola delle sue dimensioni. Massime oggi che l'ideologia dominante percuote le menti con lo slogan ossessivo secondo cui la politica e' una cosa sporca e che tra persone dabbene non si fa politica (slogan che mi pare arieggi un punto di vista che era in gran voga nel ventennio, quando ogni pensiero era riprovevole, e la filosofia si faceva col manganello).

Io credo che l'opera di Primo Levi sia di straordinaria ricchezza, si presti a molte letture, apporti molteplici strumenti di conoscenza, e costituisca uno sguardo nel cuore degli uomini e del mondo di grande vivezza e penetrazione; e proprio per questo mi sono formato il convincimento della possibilita', della legittimita' di una lettura anche precisamente politica: che l'uso dell'opera di Primo Levi come chiave di lettura e guida per l'azione specificamente politica sia appunto un uso possibile e ammesso, e non un abuso; e che evidenziare questo ambito e questa interpretazione non solo non significhi sminuire, rendere "unidimensionale" quell'opera, ma precisamente evidenziare di essa un aspetto di grande fecondita'.

In particolare penso che cosi' come Se questo e' un uomo e' "un libro che reincontreremo al Giudizio Universale" (come ha scritto Claudio Magris) e costituisca una lettura obbligata per la conoscenza della storia di questo secolo, altresi' I sommersi e i salvati sia un'opera indispensabile per la formazione politica in senso forte (quindi morale e civile) di ogni persona che voglia lottare per la verita' e la giustizia.

In una ideale biblioteca minima del pensiero politico da salvare dal diluvio, credo che questi due libri di Primo Levi debbano esserci insieme a poco altro: La ginestra di Leopardi, l'Elogio della follia di Erasmo, Lucrezio, Qohelet, l'Antigone. Ma certo anche Cervantes, La vita e' sogno, Kafka...

E' l'opera di Levi un classico del pensiero politico, poiche' pone in termini da nessun altro indagati con tanta limpidezza e profondita', temi fondanti dell'essere e dell'agire, di etica e politica, come la verita', la memoria, la comunicazione, la responsabilita': con un nitore di linguaggio che quasi abbaglia, con una lucidita' di pensiero che toglie il fiato, con un rigore morale che non si placa giammai.

E' un'opera politica: ci pone di fronte al volto dell'altro, che ci interroga muto e chiama la nostra responsabilita' (qui penso, lo capite, alla capitale riflessione di Emmanuel Levinas); e' un'opera politica: pone al centro il "principio responsabilita'" (che cosi' efficacemente ha tematizzato Hans Jonas). E' quella di Primo Levi un'opera di riflessione politica di cui abbiamo assoluto bisogno per affrontare le questioni cruciali ed inaudite della torbida ora presente, dell'enigmatico e spaventoso futuro che ci si scaraventa addosso.

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La scrittura contro la morte

Primo Levi e' un grande scrittore, un grande narratore, un grande poeta. Il suo raccontare, la sua scrittura, assolve a funzioni molteplici, molti doni reca. Non e' mio compito oggi dar conto compiutamente di questo inesauribile tema, altri dira' piu' e meglio; io mi limito a proporvi un catalogo di argomenti su cui meditare: il racconto come terapia, come paradossale riduzione al dicibile, quindi all'umano, di cio' che e' inumano e quindi indicibile; il racconto come spazio dell'amicizia, come luogo dell'io e del tu, come reciproco riconoscersi nell'atto del dire e dell'ascoltare, riconoscersi eguali, fraterni; il racconto come sospensione ed insieme come reintegrazione del tempo (ergo il racconto come sconfitta di quel tempo vuoto e quell'ora apocalittica che fu il Lager); la scrittura come testimonianza, come comprensione, come memoria; la scrittura come compresenza dei vivi e dei morti (questo tema della compresenza lo desumiamo, e' ovvio, da Capitini); la scrittura come appello ed interrogazione, come affiorare del "volto dell'altro"; la lingua agita come legame e come ragionamento, come tradizione e progetto, come opera di chiarificazione e ricerca;  la scrittura contro la morte (tema questo su cui lungamente medito' anche Elias Canetti).

Nell'opera di Primo Levi infiniti sono i luoghi in cui si riflette con luminosa profondita' sul parlare, il comunicare, il raccontare, lo scrivere; infinite sarebbero le citazioni possibili: ma una fra tutte, una per tutte qui diamo: quel passo de La tregua che evoca la figurina di Hurbinek "che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero", "Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek mori' ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie pagine".

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Undici anni fa Primo Levi ci ha lasciato.

Quando seppi che era scomparso, affiorò in me il ricordo di un episodio di Se questo e' un uomo, quello dell'impiccagione dell'Ultimo.

Narra Levi che il mese prima uno dei crematori di Birkenau era stato fatto saltare, e "l'uomo che morra' oggi davanti a noi ha preso parte in qualche modo alla rivolta". I nazisti lo traggono al patibolo; dinanzi ai deportati schierati, gli occhi a terra, rassegnati, l'uomo viene ucciso, ma trova ancora la forza di un grido: "tutti udirono il grido del morente - scrive Primo Levi -, esso penetro' le grosse antiche barriere di inerzia e di remissione, percosse il centro vivo dell'uomo in ciascuno di noi: 'Kameraden, ich bin der Letzte!' (Compagni, io sono l'ultimo!)".

Ma quell'ultimo non era l'ultimo in senso assoluto, perche' per fortuna nostra e del mondo altri continuarono la lotta, e il nazismo annientatore fu infine annientato; e proprio tra gli uomini muti a capo chino sul piazzale dell'appello dinanzi al patibolo anche uno ve n'era, lo Haeftling che recava tatuato sul braccio il numero 174517, che si era chiamato e che tornera' a chiamarsi Primo Levi, che sara' poi e per sempre finche' vi sara' una civilta' umana, finche' vi sara' una storia umana, il simbolo stesso della Resistenza contro l'inumano.

Ebbene, sia detto qui in tono solenne: Primo Levi certo conobbe e reco' dentro se' una sofferenza che neppure l'affetto grande dei familiari e degli amici poteva lenire; la sua benignita', la sua lucidita', il suo calore umano, la sua esattezza, finanche il suo humour, erano eretti su abissi di strazio indicibili. Ma Primo Levi non e' stato annichilito, non e' stato sconfitto. E il suo messaggio non e' restato inascoltato.

Dal Sud Africa al Chiapas altri uomini si sono levati; e se l'eredita' del nazismo appesta oggi ancora e di nuovo il mondo, contro di essa si erge l'eredita' di Primo Levi che chiama a resistere e a lottare; di questa eredita' di Primo Levi anche questo convegno - se le cose piccole e' lecito comparare alle grandi - e' un frutto e una testimonianza.

Vorrei concludere ora con le parole con le quali lo ricordai undici anni fa, all'indomani della scomparsa.

Nei momenti di smarrimento, di sfinimento, quando sembra che il male ingigantisca e prevalga, e le nostre forze inani, o schiantate, allora tutti noi ci siamo rifugiati tra le braccia di Primo Levi; dalla sua esistenza abbiamo tratto la coscienza e la forza di resistere, di lottare. Dinanzi al dolore del mondo, dinanzi all'eredita' malefica del nazismo, alla logica sterminista, ebbene, nella necessaria resistenza in lui abbiamo avuto una guida ed un sostegno; perche' per l'intera vita Primo Levi ha combattuto contro il male, contro la sopraffazione e la menzogna: ne restano testimonianza sconvolgente ed indimenticabile le sue opere.

Ora che non e' piu', vorremmo, e speriamo, che abbia conosciuto, a lenire l'immedicabile dolore del giusto, i sentimenti descritti nelle parole conclusive di quel memorabile dialogo leopardiano: "e anche in quell'ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteranno: e ci rallegrer' il pensiero che, poi che saremo spenti, essi molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora".

 

6. AMBIENTE. CHI SI RIVEDE, MISTER ATTILA E I SUOI PREGIATI VENDITORI DI FUMO

[Riceviamo e diffondiamo]

 

Si avvicinano le elezioni e a Viterbo la banda del mega-aeroporto riprende la sua miserabile, cialtrona, truffaldina propaganda.

Ed a questi messeri occorre ripetere una volta di piu' che e' semplicemente folle e criminale il progetto di realizzare a Viterbo nel cuore di un'area cosi' unica e preziosa come quella del Bulicame di dantesca memoria un mega-aeroporto nocivo, distruttivo e fuorilegge.

La realizzazione del mega-aeroporto nel cuore dell'area naturalistica, archeologica e termale del Bulicame avrebbe infatti come immediate e disastrose conseguenze:

a) lo scempio dell'area del Bulicame e dei beni ambientali e culturali che vi si trovano;

b) la devastazione dell'agricoltura della zona circostante;

c) l'impedimento alla valorizzazione terapeutica e sociale delle risorse termali;

d) un pesantissimo inquinamento chimico, acustico ed elettromagnetico di grave nocumento per la salute e la qualita' della vita della popolazione locale (l'area e' peraltro nei pressi di popolosi quartieri della citta');

e) il collasso della rete infrastrutturale dell'Alto Lazio, territorio gia' gravato da pesanti servitu';

f) uno sperpero colossale di soldi pubblici;

g) una flagrante violazione di leggi italiane ed europee e dei vincoli di salvaguardia presenti nel territorio.

Quell'area va tutelata nel modo piu' adeguato: istituendovi un parco naturalistico, archeologico e termale; e fin d'ora respingendo ogni operazione speculativa, inquinante, devastatrice, illecita.

E quindi a questi messeri occorre ripetere una volta di piu' anche che il perseverare da parte di pubblici amministratori insipienti ed irresponsabili con piu' atti esecutivi del medesimo disegno criminoso nel voler realizzare una palese violazione delle leggi, un disastro ambientale, una distruzione di insostituibili beni pubblici ed un avvelenamento della popolazione, portera' inevitabilmente alla denuncia, all'incriminazione ed alla successiva condanna di quanti si faranno complici della lobby speculativa, truffatrice e vandalica che intende devastare la preziosa area naturalistica, archeologica e termale del Bulicame realizzando nel suo cuore un insensato ed illegale, devastante ed inquinante mega-aeroporto.

Mister Attila e i suoi pregiati venditori di fumo sono avvisati.

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Il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti

Viterbo, 30 gennaio 2011

Per informazioni e contatti: e-mail: info at coipiediperterra.org, sito: www.coipiediperterra.org

 

7. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

8. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"

 

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.

Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.

E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".

 

9. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Letture

- Jonathan Beecher, Fourier. Il visionario e il suo mondo, Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 2008, pp. 384, euro 20. Per richieste alla casa editrice: Massari Editore, casella postale 144, 01023 Bolsena (Vt), e-mail: erre.emme at enjoy.it, sito: www.enjoy.it/erre-emme

- Cesp-Cobas, Memorie di "classe". Lavorare a scuola con le fonti orali per leggere il mondo contemporaneo, a cura di Mauro Capecchi e Remo Martone, Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 2007, pp. 400, euro 16.

 

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

11. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 452 del 31 gennaio 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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