Nonviolenza. Femminile plurale. 310



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 310 del 30 marzo 2011

 

In questo numero:

1. Il 2 aprile contro la guerra

2. Silvia Vaccaro intervista Francesca Brezzi

3. Nicola Misani: Un breve profilo di Elinor Ostrom

4. Giancarla Codrignani: Giuditta Bellerio e Cristina di Belgioioso

5. Diana Di Francesca: Le garibaldine

6. Patrizia Caporossi: Il Risorgimento delle donne

7. Roberta De Monticelli presenta "Le droit d'etre un homme. Anthologie mondiale de la liberte'" e "I diritti umani da un punto di vista filosofico" di Jeanne Hersch

 

1. APPELLI. IL 2 APRILE CONTRO LA GUERRA

[Riproponiamo il seguente appello promosso da Emergency]

 

"La guerra non si puo' umanizzare, si puo' solo abolire" (Albert Einstein)

Appello ai cittadini e alle associazioni per una giornata di mobilitazione nazionale sabato 2 aprile 2011.

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Ancora una volta i governanti hanno scelto la guerra. Gheddafi ha scelto la guerra contro i propri cittadini e i migranti che attraversano la Libia. E il nostro Paese ha scelto la guerra "contro Gheddafi": ci viene presentata, ancora una volta, come umanitaria, inevitabile, necessaria.

Nessuna guerra puo' essere umanitaria. La guerra e' sempre stata distruzione di pezzi di umanita', uccisione di nostri simili. Ogni "guerra umanitaria" e' in realta' un crimine contro l'umanita'.

Nessuna guerra e' inevitabile. Le guerre appaiono a un certo punto inevitabili solo quando non si e' fatto nulla per prevenirle.

Nessuna guerra e' necessaria. La guerra e' sempre una scelta, non una necessita'. E' la scelta criminale e assurda di uccidere, che esalta la violenza, la diffonde, la amplifica, che genera "cultura di guerra".

"Questa e' dunque la domanda che vi poniamo, chiara, terribile, alla quale non ci si puo' sottrarre: dobbiamo porre fine alla razza umana o deve l'umanita' rinunciare alla guerra?" (Dal Manifesto di Russell-Einstein, 1955).

Perche' l'utopia diventi progetto, dobbiamo innanzitutto imparare a pensare escludendo la guerra dal nostro orizzonte culturale e politico.

Il nostro no alla pratica e alla cultura della guerra e' un ripudio definitivo e irreversibile, e' il primo passo per fare uscire la guerra dalla storia degli uomini.

"La guerra non si puo' umanizzare, si puo' solo abolire" (Albert Einstein).

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Per adesioni: e-mail: dueaprile at emergency.it, sito: www.dueaprile.it

 

2. RIFLESSIONE. SILVIA VACCARO INTERVISTA FRANCESCA BREZZI

[Dal sito www.noidonne.org riprendiamo la seguente intervista dal titolo "Lo spazio euromediterraneo delle donne" e il sommario "Incontro con la professoressa Brezzi, filosofa e docente a Roma Tre, nonche esperta di tematiche di genere".

Silvia Vaccaro e' redattrice di "Noi donne", siciliana, ha studiato Mediazione linguistica e Cooperazione internazionale; appassionata di tematiche di genere, ha vissuto in Spagna ed Ecuador lavorando con donne kichwa; collabora con il Comitato Pari Opportunita' di Roma Tre.

Francesca Brezzi e' docente di filosofia morale e teoretica all'Universita' di Roma Tre. Tra le opere di Francesca Brezzi: Filosofia e interpretazione, Bologna 1969; Fenelon, filosofo della religione, Perugia 1979; Inquieta limina, tra filosofia e religione, Roma 1992; A partire dal gioco. Per i sentieri di un pensiero ludico, Genova 1992; Dizionario dei concetti filosofici, Roma 1995; La passione di pensare. Angela da Foligno, Maddalena de' Pazzi, Jeanne Guyon, Roma 1998; Ricoeur. Interpretare la fede, Padova 1999; Francesca Brezzi, Introduzione a Ricoeur, Laterza, Roma-Bari 2006]

 

A qualche giorno dall'incontro "La mimosa e il gelsomino", organizzato presso l'Universita' di Roma Tre da Copeam in collaborazione con il Gio, l'Osservatorio universitario sulle tematiche di genere, ho incontrato la professoressa Francesca Brezzi, presidente dell'Osservatorio e relatrice durante l'evento. Insieme abbiamo commentato alcune tematiche centrali dell'incontro, la cui riflessione era incentrata sul ruolo e sull'immagine della donna araba nello scenario attuale di rivolte popolari contro regimi autoritari.

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- Silvia Vaccaro: Nella sollevazione popolari tuttora in atto in alcuni paesi arabi, e anche nella partecipazione delle donne alle stesse, ha avuto molto peso la pervasivita' della rete. Quali sono le potenzialità del web e quali i rischi per le donne?

- Francesca Brezzi: Il web ha dato una grande spinta alle rivolte, favorendo la partecipazione femminile. Trattandosi di uno spazio orizzontale, che si contrappone alla verticalita' delle gerarchie del potere, le donne hanno maggiori possibilita' di occuparlo e di rendersi visibili. Bisogna assicurarsi pero' che i messaggi siano piu' che mai trasparenti e che si produca una comunicazione "sessuata", in cui i corpi non vengano omologati e le differenze uomo/donna non vengano appiattite. Se si intende il corpo come spazio politico, allora e' necessario che anche la rete sia un luogo in cui risiedano soggettivita' incarnate. Non deve prevalere in alcun modo il virtuale sul reale.

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- Silvia Vaccaro: Secondo la sua opinione, quali sono i punti principali che le donne arabe presenti all'incontro hanno voluto sottolineare?

- Francesca Brezzi: Gli interventi sono stati vari, ma tutte hanno ribadito l'importanza della presenza massiccia di donne e dei giovanissimi alle rivolte popolari. Sia le tunisine che le turche presenti all'incontro sono d'accordo sul fatto che le donne dei loro paesi siano gia' adesso protagoniste attive nella vita pubblica. Quello che manca pero' e' il potere politico, e questo e' un dato che accomuna i paesi del maghreb al nostro. E' stato molto interessante ascoltare due interventi dal pubblico: ci hanno fatto riflettere su quanto sia complesso essere portatori di una cultura altra, come quella egiziana, e vivere in Italia, essere giovani e non sottomesse ai maschi, ma decidere di portare il velo e di non somigliare al prototipo della donna occidentale, sempre piu' spesso rappresentata come una giovane rampate, aggressiva, artificiale e seminuda. Ascoltarle e' stato ricordarsi della molteplicita' delle identita' delle donne arabe, che troppo spesso rappresentiamo in un unico modo.

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- Silvia Vaccaro: Quello che sta succedendo in vari paesi arabi coinvolge direttamente non solo l'opinione pubblica internazionale ma anche la realta' dei singoli paesi europei che accolgono i migranti e si devono confrontare con queste identita' molteplici. Come ripensare l'immigrazione in virtu' di questi scenari?

- Francesca Brezzi: E' necessario ripensare al Mediterraneo come uno spazio comune parlando quindi di identita' "euro-mediterranea", mettendo in luce il grande tema delle donne migranti, non trascurando ovviamente le differenze che ci sono tra loro. Bisogna dunque adoperarsi per una cittadinanza che io chiamo "cittadinanza non indifferente", ricollegandomi direttamente alla filosofia della differenza femminista che considera la differenza una chiave di lettura del mondo e di esaltazione dell'identita' sotto un cappello di uguaglianza di diritti e doveri.

 

3. MAESTRE. NICOLA MISANI: UN BREVE PROFILO DI ELINOR OSTROM

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it riprendiamo il seguente articolo.

Nicola Misani "e' ricercatore di economia e gestione delle imprese all'Universita' Bocconi di Milano, dove si occupa di strategia, di relazioni fra organizzazioni e societa' e di gestione dei rischi. Ha una laurea in filosofia di cui non ha mai fatto alcun uso. Pubblica le sue opinioni, economiche e non, nel suo blog".

Su Elinor Ostrom dalla Wikipedia riprendiamo la seguente scheda: "Elinor Ostrom (Los Angeles, 7 agosto 1933) e' un'economista statunitense. Il 12 ottobre 2009 e' stata insignita del Premio Nobel per l'economia, insieme a Oliver Williamson, per l'analisi della governance e in particolare delle risorse comuni. E' stata la prima donna a essere premiata con il Nobel in questo settore. E' docente di Scienze Politiche e co-direttore del Workshop in Teoria politica e analisi politica all'Universita' dell'Indiana. Inoltre ha fondato e diretto il Center for the Study of Institutional Diversity all'Universita' statale dell'Arizona. Esperta in cause collettive, trust e beni comuni, il suo approccio istituzionale alla politica pubblica e' considerato originale, tanto da formare una branca separata della teoria della scelta pubblica. Ha pubblicato numerosi libri nel campo della teoria dell'organizzazione, della politica economica e della pubblica amministrazione. Opere di Elinor Ostrom: Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge University Press, 1990, traduzione italiana: Governare i beni collettivi, Marsilio, Venezia, 2006; (con Larry Schroeder e Susan Wynne): Institutional Incentives and Sustainable Development: Infrastructure Policies in Perspective, Oxford: Westview Press, 1993; (curatrice, con Roy Gardner e James Walker): Rules, Games, and Common Pool Resources, Ann Arbor, University of Michigan Press, 1994; (con Sue E.S. Crawford): A Grammar of Institutions. American Political Science Review 89, no. 3 (September 1995): pp. 582-600; A Behavioral Approach to the Rational Choice Theory of Collective Action: Presidential Address, American Political Science Association, 1997, The American Political Science Review 92 (1): pp. 1-22. 1998; (curatrice, con James Walker): Trust and Reciprocity: Interdisciplinary Lessons for Experimental Research, Volume VI in the Russell Sage Foundation Series on Trust, Russell Sage Foundation, 2003; Understanding Institutional Diversity, Princeton, Princeton University Press. 2005; (curatrice, con Charlotte Hess): Understanding Knowledge as a Commons: From Theory to Practice, The Mit Press, Cambridge, Massachusetts, 2006, traduzione italiana: La conoscenza come bene comune. Dalla teoria alla pratica, Bruno Mondadori, 2009"]

 

Elinor Ostrom, Los Angeles 1933 - vivente. Scienziata politica americana, e' professore all'Universita' dell'Indiana e all'Universita' Statale dell'Arizona. Nel 2009 e' stata la prima donna a ottenere il Nobel per l'Economia, quarant'anni dopo l'istituzione del premio. Il riconoscimento le e' stato dato, insieme all'economista Oliver Williamson, per i suoi studi sul governo delle risorse senza proprietari (i common), come i pascoli, le foreste, le acque, le aree di pesca, l'atmosfera o il world wide web. La Ostrom si distingue per uno stile eclettico, che combina la teoria dei giochi, la geografia, la sperimentazione psicologica in laboratorio e gli studi sul campo, con il quale ha illustrato la varieta' di regole che le societa' umane escogitano per proteggere l'ambiente naturale o sociale in cui vivono.

La "tragedia dei common" divenne un tema centrale della ricerca economica nel 1968, quando il biologo Garrett Hardin sostenne che le risorse del pianeta erano destinate a esaurirsi per eccesso di sfruttamento. La tragedia dei common si verifica quando ogni utilizzatore si appropria dei benefici privati che trae dalla risorsa, ma divide con i rivali i costi collettivi del deterioramento della stessa. Per esempio, ogni baleniera massimizza la quantita' di esemplari uccisi, senza curarsi che un eccesso totale di caccia porti all'estinzione del common. Hardin argomento' che solo due soluzioni possono sventare la tragedia: privatizzare il common, cosi' che il proprietario ne razioni l'accesso, o affidarne il governo allo Stato, perche' lo gestisca.

La Ostrom noto' che, tuttavia, molte comunita' di utilizzatori sembrano capaci di evitare il deterioramento del common senza recinzioni o interventi pubblici. Dopo un primo studio negli anni Sessanta sulle acque in California, la Ostrom ha portato alla luce varie storie di successo nel governo dei common in Africa, Asia ed Europa. Un caso rappresentativo e' il villaggio svizzero di Torbel, che dal 1517 governa comunitariamente il pascolo alpino con la regola che "in estate nessuno puo' pascolare piu' vacche di quante riesca a mantenerne in inverno".

Sulla base di queste osservazioni, la Ostrom ha analizzato in quali condizioni istituzionali regole simili sono efficaci e in quali invece falliscono.

Governing the commons, del 1990, sintetizza i risultati della Ostrom, che ha formulato un elenco delle condizioni che permettono il governo comunitario dei common: la partecipazione diretta degli utilizzatori al monitoraggio, la gradualita' delle sanzioni ai trasgressori, la comunicazione faccia a faccia, la possibilita' di escludere gli estranei, l'assenza di cambiamenti tecnici o sociali accelerati e altre. La Ostrom ha mostrato che anche la privatizzazione e la gestione pubblica possono fallire, documentando tentativi calamitosi delle autorita' centrali di imporre regole disinformate e prive di legittimita' sociale a comunita' locali che avevano gestito un common per secoli. E' famoso lo studio della Ostrom di un pascolo diviso fra la Mongolia, la Russia e la Cina, sottoposto rispettivamente a governo comunitario, gestione dello Stato e regime privatistico: le immagini satellitari svelarono il degrado del common in Russia e in Cina.

In laboratorio, la Ostrom ha guidato studi pioneristici sulla nostra disponibilita' a monitorare e sanzionare i trasgressori anche quando e' costoso, cio' che aiuta a spiegare come una regola possa reggersi sulla sorveglianza volontaria dei membri di una comunita'.

Gli studi della Ostrom sono rilevanti per il controllo del cambiamento climatico, una tragedia derivante dallo sfruttamento dell'atmosfera, un common globale dove gran parte delle condizioni istituzionali per una gestione comunitaria mancano. A loro volta, la privatizzazione e la gestione pubblica sono impraticabili, in assenza di autorita' sovranazionali legittimate. La Ostrom ha suggerito di affrontare il problema con una varieta' di regole a diversi livelli di decentramento, ricorrendo a deliberazioni inclusive che coinvolgano scienziati, utilizzatori e osservatori interessati, in modo da costruire il capitale di relazioni necessario per gestire i conflitti e assicurare l'applicazione efficace delle soluzioni proposte.

Fonti, risorse bibliografiche, siti: Elinor Ostrom, Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge University Press 1990; Elinor Ostrom, Understanding Institutional Diversity, Princeton University Press 2005; Garrett Hardin, The Tragedy of the Commons, "Science", 162, pp. 1243-1248, 1968; Ostrom et al., Revisiting the Commons: Local Lessons, Global Challenges, "Science", 284, pp. 278-282, 1999; Dietz, Ostrom & Stern, The Struggle to Govern the Commons, "Science", 302, pp. 1907-1912.

 

4. MEMORIA. GIANCARLA CODRIGNANI: GIUDITTA BELLERIO E CRISTINA DI BELGIOIOSO

[Da "Noi donne" di marzo 2011 col titolo "Anche noi credevamo" e il sommario "150 anni. La storia non ricorda mai che non e' fatta solo dai maschi. Riflessioni a margine di una ricorrenza"

Giancarla Codrignani, gia' presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994; L'amore ordinato, Edizioni Com nuovi tempi, Roma 2005. Si veda anche la risposta all'ultima domanda dell'intervista apparsa nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 343]

 

Una donna, vedendo il film di Martone sul volto nascosto del Risorgimento, si accorge di aver memorizzato solo idee e figure maschili. Certo, ci sono due donne "protagoniste", Cristina di Belgioioso e Giuditta Bellerio, che dicono cose intelligenti, ma vengono ricordate soprattutto per il loro ruolo: la donna libera che dispone di se' e governa anche gli amanti e la consolatrice.

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Giuditta Bellerio

Quest'ultima e' la baronessina Giuditta Bellerio, andata sposa giovanissima al ricco patriota carbonaro Sidoli, che, morto precocemente, le lascio' quattro figli, immediatamente sottratti dal suocero austriacante ad una madre inaffidabile perche' sostenitrice della sovversione. Incarcerata a Modena, poi sfuggita a Radetzky, e' lei che ha consegnato alla guardia civica di Reggio Emilia il tricolore ed e' lei che, esule a Lugano e a Marsiglia, ha ospitato gli esuli e tra essi Mazzini. Con lui, divenuto suo amante e padre di un ultimo figlio, ha fondato la Giovane Italia e, dopo la fine della relazione, ha continuato la campagna di sostegno, in Europa e in Italia, al Risorgimento. Stabilitasi infine a Torino, apri' un salotto politico risorgimentale in cui si preparavano le vie dell'unita'.

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Cristina di Belgioioso

Quanto alla figlia di Gerolamo Trivulzio, semplicemente Cristina - nonostante i dodici nomi datile nel 1808 al fonte battesimale e nonostante l'enorme patrimonio di cui divenne a quattro anni erede universale - per ribellione al matrimonio con il figlio del tutore sposo' il principe di Belgioioso, bello e corrotto che le trasmise la sifilide. Quando il marito le propone un menage a trois, Cristina ha diciotto anni: scandalizzando i benpensanti, lascia il marito e Milano. Trascorrera' un paio d'anni di viaggi in Italia, incontrando patrioti e rivoluzionari e, quando la polizia austriaca l'obblighera' al rientro, fuggira' in Francia, dove continuera' ad impegnarsi per la causa. Recuperata parte del patrimonio, nel 1840 ritorna in Italia dove, senza abbandonare l'interesse per la politica, si dedica al riformismo sociale. Vive con la sua bambina "illegittima" a Locate, nel feudo Trivulzio, a contatto con la poverta' dei contadini lombardi. Rifacendosi alle teorie di Saint-Simon e di Fourier, crea un asilo esemplare (secondo il giudizio di Ferrante Aporti), poi scuole elementari maschili e femminili, contestata dal perbenismo borghese di chi - lo stesso Manzoni - riteneva che i contadini non hanno bisogno di cultura. Pubblica libri (un "Saggio sulla formazione del dogma cattolico"), traduce in francese il Vico, ha contatti con le grandi personalita' del risorgimento da Cavour a Cattaneo, si impegna nell'editoria liberale e collabora con contributi propri, critici anche delle contrapposizioni litigiose dei patrioti, a sostegno della necessita' di una mediazione monarchica. Tuttavia, quando scoppiano le "cinque giornate di Milano" porta alla citta' i duecento volontari della "divisione Belgioioso". Dopo il cedimento di Carlo Alberto torna a Parigi, ma, quando anche i francesi "tradiscono", va a sostenere la Repubblica romana, organizzando anche un corpo di infermiere. Dopo la fine tragica della Repubblica, Cristina torna alle peregrinazioni, da Malta ad Atene, alla Turchia (in Cappadocia compera un terreno per fondare una colonia per gli esuli italiani), alla Terrasanta; pubblica le sue esperienze in "Ricordi" e articoli che, contro l'esotismo di moda, registrano le piaghe della poverta' e dell'ignoranza in Oriente. Passano gli anni, molti amici ormai sono morti, l'Unita' e' vicina e reale. Nel 1860 finalmente ottiene che per legge il nome Belgioioso venga riconosciuto alla figlia che cosi' si sposera' e mettera' al mondo un'altra Cristina. La prima Cristina e' ormai nonna, ma non cessa l'impegno: fonda un giornale di impianto europeo, "L'Italie", e continua a pubblicare cose intelligenti; fino al 1871.

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Il risorgimento delle donne

La finiamo qui, senza aggiungere il conteggio di quante donne hanno approfittato della rivoluzione risorgimentale per alzare anche la bandiera della "loro" liberta', ma soprattutto per "fare" l'Italia con le idee, il contributo personale, le azioni. Ricordiamo solo che nel 1861 in Italia circolava un centinaio di riviste e rivistine femminili. Gran parte delle prime notti erano stupri. Se una restava vedova ed era incinta, si ritrovava la tutela di un "curatore al ventre" perche' la legge la riteneva inaffidabile per natura. Se studiava la ritenevano strana e, comunque, le vietavano le cattedre e il potere. Se condivideva le lotte del lavoro, i sindacati la mettevano davanti a tutti perche' si presumeva che il regio esercito non avrebbe sparato sulle donne. Chiesero il voto (e la Repubblica romana lo aveva accolto nella sua Costituzione): lo ebbero dopo la seconda guerra mondiale. La storia, infatti, non ricorda mai che non e' fatta solo dai maschi.

 

5. MEMORIA. DIANA DI FRANCESCA: LE GARIBALDINE

[Dal sito www.noidonne.org col titolo "Bianco, rosso, verde e rosa: le Garibaldine" e il sommario "Audaci, generose, risolute... e invisibili. Donne del Risorgimento".

Non ci e' stato possibile verifcare se l'autrice Diana Di Francesca sia la scrittrice e poetessa Angela Diana Di Francesca nata a Cefalu' nel 1954, autrice di varie pubblicazioni]

 

La punta avanzata delle patriote e' costituita dalle "garibaldine", spesso coinvolte nella lotta politica per amore di un uomo, ma

poi protagoniste convinte delle loro battaglie: come Colomba Antonietti che al fianco del marito - il conte Luigi Porzi - combatte', vestita da bersagliere, per la Repubblica Romana e mori' sotto il fuoco francese a Porta San Pancrazio. Sepolta nel mausoleo garibaldino sul Gianicolo, fu celebrata da Carducci e da Alexandre Dumas padre.

O come Enrichetta Di Lorenzo, compagna di Carlo Pisacane, anch'essa a fianco del suo uomo durante la Repubblica Romana, in cui non solo fu nominata dal triumvirato "direttrice dell'ambulanza" e assistette i feriti insieme a Cristina di Belgiojoso, ma partecipo' il 30 aprile 1849 ai combattimenti contro i francesi a San Pancrazio.

Per la Repubblica Romana combatte' anche Rosa Strozzi, moglie del capitano garibaldino Vincenzo Santini. Segui' poi Garibaldi in Sicilia, nel 1860, guadagnandosi una medaglia al valore.

Ufficialmente una sola donna partecipo' alla spedizione del Mille: Rose (Rosalia) Montmasson, trentacinquenne, allora moglie del riberese Francesco Crispi, lavandaia e stiratrice savoiarda che aveva conosciuto Crispi mentre era rifugiato in Piemonte dopo i moti del 1848. Quando Crispi dovette lasciare anche il Piemonte per Malta, Rose lo segui' e divenne sua moglie, condividendo con lui una vita di cospirazioni, fughe e pericoli: da Malta alla Francia, a Londra, poi ancora in Italia per collaborare allo sbarco in Sicilia. Imbarcatasi sul "Piemonte" in abiti maschili, si distinse nell'attivita' di infermiera - Calatafimi, Vita, Alcamo, Salemi - ma partecipo' anche ad azioni militari. Furono proprio i giovani siciliani, ammirati da questa insolita e generosa figura di donna, a ribattezzarla "Rosalia" quasi che questo nome la identificasse come loro conterranea. La storia di Rosalia ha un epilogo triste. Dopo l'unita' d'Italia, Crispi abbandona le idee repubblicane per passare ai monarchici, viene eletto deputato e ripudia Rosalia, per sposare addirittura la discendente di un ramo borbonico, Lina Barbagallo, dichiarando non valido il matrimonio contratto a Malta. Il fatto costitui' uno scandalo per l'epoca. La regina Margherita di Savoia, che aveva avuto modo di visionare la copia dell'atto di matrimonio maltese, dimostro' una moderna solidarieta' femminile per Rosalia, rifiutandosi, in un'occasione ufficiale, di stringere la mano a Crispi. Il matrimonio era in effetti valido, ma, durante il processo per bigamia nei confronti di Crispi, fu dichiarato nullo perche' celebrato da un prete sospeso a divinis per la sua attivita' patriottica. Rosalia mori' nel 1904 in poverta', dimenticata da tutti, e fu sepolta al Verano a spese del Comune di Roma. Una targa ne ricorda l'attivita' patriottica in Sicilia, ma si trova a Firenze, nella casa in via della Scala dove abitoì con Crispi. In Sicilia non c'e' niente che la ricordi.

Rose Montmasson pero' non e' l'unica "garibaldina". Alla seconda spedizione di volontari, capitanata dal generale Giacomo Medici, che raggiunse Garibaldi in Sicilia nel luglio del 1860, si era aggregata, anche lei affiancando il marito Alberto Mario, l'inglese Jessie White, che sotto l'aspetto fragile nascondeva un temperamento deciso e ribelle, tanto da meritarsi l'appellativo di "Hurricane Jessie", Jessie l'Uragano. Giornalista e patriota, nata a Portsmouth nel 1832, aveva studiato filosofia alla Sorbonne; aveva conosciuto anche Mazzini, e aveva iniziato a collaborare con articoli e con raccolte di fondi. Nel 1857 conobbe il patriota Alberto Mario. I due si sposarono e iniziarono insieme una fervida attivita' di propaganda per la causa italiana, a Londra e a New York. Tornati in Italia, dopo vari arresti ed espulsioni, parteciparono all'impresa di Garibaldi imbarcandosi con la nave "Washington". Anche Jessie come Rosalia svolse attivita' di infermiera e organizzatrice delle ambulanze divenendo subito popolare per la sua sensibilita' e per la capacita' di infondere fiducia. Nella battaglia del Volturno, Jessie usci' allo scoperto quattordici volte sotto il fuoco borbonico, sfidando la morte per portare soccorso ai garibaldini feriti. Partecipo' a tutte le battaglie di Garibaldi fino al 1870; le furono consegnate due medaglie d'oro, e ad Aspromonte assiste' il medico Zanotti durante l'intervento sulla ferita del Generale. Famosa come giornalista sia in Europa che in America (era tra l'altro corrispondente del noto giornale inglese "Morning Star"), contribui' con i suoi articoli alla popolarita' di Garibaldi in entrambi i continenti. Si dedico' poi agli studi, scrisse articoli in particolare su temi di igiene sociale e medicina e sui problemi del Meridione, memorie, una biografia di Garibaldi. Morto il marito nel 1883, Jessie visse in modeste condizioni economiche insegnando inglese, in mezzo ai suoi ricordi. Il libro che forse, dato il successo avuto, l'avrebbe resa ricca, Nascita dell'Italia moderna, usci' postumo nel 1909. Jessie era morta da tre anni. Si dice che negli ultimi tempi girasse per casa in mezzo ai cimeli, alle foto, alle medaglie, indossando la camicia rossa degli anni eroici. Ma il suo mito resiste' al passare del tempo: ai suoi funerali assistettero migliaia di persone, e cento ragazze sparsero petali di rose al passaggio del carro funebre.

Altre "garibaldine" sono la veneta Tonina Marinelli, citata nella discussa opera di Garibaldi I Mille col nome di battaglia di "Lina", e la romana "Marzia" di cui e' ignota l'identita'. Tonina Marinelli, combattente coraggiosa, fu decorata sul campo di battaglia. Mori' a Firenze nel 1862 e le sue gesta furono cantate da Francesco dell'Ongaro. Lina e Marzia sono esaltate da Garibaldi per il loro coraggio: "Nel turbinio dell'assalto, della fuga, e della persecuzione, io vidi avvolgersi sempre fra i primi le due incantevoli creature", cosi' egli narra.

E' da ricordare poi Lia, ragazza di Palermo, compagna del giovane capo dei picciotti palermitani, il barone palermitano Narciso Cozzo, morto a Capua per salvare un suo commilitone e sepolto nella Chiesa di San Domenico a Palermo. Definita da Garibaldi "la graziosa contadina dell'Agro Palermitano", "la bella fanciulla dall'occhio nero e fulgidissimo come quello dell'aquila", la siciliana Lia e' un personaggio che e' rimasto impresso nella memoria e nel cuore dell'eroe dei due mondi. Garibaldi ne descrive l'abnegazione nello stare accanto al suo uomo, e nel momento del dolore, davanti al compagno mortalmente ferito nell'ospedale di Caserta, Lia svela tutta la sua capacita' di dolcezza e tenerezza, commuovendo Garibaldi, che ne fissa i drammatici momenti in questa poetica descrizione: "Essa procurava di sorridere al suo caro, quando gli occhi loro s'incontravano; ma poi, da lui non vista, struggevasi in dirottissimo pianto".

 

6. STORIA. PATRIZIA CAPOROSSI: IL RISORGIMENTO DELLE DONNE

[Ringraziamo Patrizia Caporossi (per contatti: latuffatrice at virgilio.it) per averci messo a disposizione questo suo articolo apparso sul "Corriere Adriatico" (nell'inserto culturale per il 150mo anniversario dell'Unita' d'Italia) il 13 marzo 2011.

Patrizia Caporossi (1951) e' docente, filosofa e storica delle donne. Laurea in filosofia alla Sapienza di Roma (1975), perfezionamento in filosofia a Urbino (1978) e a Napoli (1981), dottorato in filosofia e teoria delle scienze umane a Macerata (2007); docente di filosofia e storia, a tutt'oggi, al Liceo classico di Ancona; docente per filosofia e storia alla Scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario dell'Universita' di Macerata (1999-2009); dirigente provinciale dell'Unione donne italiane di Modena (1976-1978); presidente provinciale dell'Istituto di storia del movimento di liberazione delle Marche di Ancona (1985-1986); commissaria della prima Commissione delle pari opportunita' delle Marche (1987-1991); socia fondatrice dell'Istituto Gramsci Marche (1980); socia, sin dalla fondazione (1989), della Societa' delle storiche italiane; promotrice dei Seminari magistrali di genere "Joyce Lussu" di Ancona (1995). Tra le ultime pubblicazioni: Identita' di genere nella formazione, Ancona 1996; Tina Modotti, Ancona 1998; Seminare per fare politica, Ancona 2000; Joyce Lussu e la passione politica, Firenze 2002; Joyce Lussu e la storia, Cagliari 2003; Il giardino filosofico, Falconara 2005; Il dono della liberta' femminile, Firenze 2006; Essere creare sapere, Ancona 2008; Il corpo di Diotima. La passione filosofica e la liberta' femminile, Quodlibet 2009; Il mio '68, Ancona 2009; Il genere e il metodo; donne e scienza, Progetto Formez, PensaMultiMedia, 2010. Cfr. anche l'intervista in "Coi piedi per terra" n. 340, e il blog: http://patcap.blogspot.com/]

 

Per il 150mo anniversario dell'Unita' d'Italia e per far si' che le celebrazioni non siano vuote e formali, bisogna dar seguito, come bene sottolinea il Presidente della Repubblica, a riflessioni storiografiche capaci di far rivivere il senso della storia italiana, tenendo conto delle persone in carne e ossa, del loro vissuto, soprattutto quando, come nel caso della partecipazione femminile, e' rimasto come silente.

La storia degli uomini e delle donne, spesso, e' (stata) rinchiusa all'interno di eventi dominanti, presi come tratto oggettivo di tutta un'epoca. In realta', l'approccio storico non e' mai oggettivo di per se', ma ovviamente esprime uno sguardo e indica una prospettiva. Il criterio per prendere atto dell'intervento delle donne e' provocatoriamente proprio quello della soggettivita', nel senso di scoprirne la portata specifica, perche', come nel caso del Risorgimento italiano, e' impossibile non registrarne la presenza, cosi' fitta e anche socialmente trasversale: dalle intellettuali alle popolane, dalle borghesi alle operaie, dalle aristocratiche alle contadine. Ma in che modo? Appiattita sullo sfondo o archiviata come eccezione?

Evidenzia la studiosa Gianna Pomata che la storia delle donne e', da una parte, una storia di confine e non solo in quanto spesso emarginata dalla storiografia ufficiale, ma, soprattutto, perche', cosi' posizionata, permette paradossalmente una maggiore e profonda visibilita' e, dall'altra parte, risulta essere una storia carsica che trova forme proprie, tutte da s-covare, senza farne mai, pero', in modo riduttivo, una semplice storia particolare, ridotta magari a marginalita' o chiusa e incorniciata in ritagli e medaglioni e, di fatto, contrapposta alla cosiddetta storia generale. Non si tratta, pero', di rivendicarne la semplice registrazione come un'aggiunta, ma di coglierne la specificita', proprio per questo suo carattere carsico e di confine offre la possibilita' di mostrare cio' che e' sottaciuto e di entrare cosi' in ogni piano storico: da quello sociale a quello economico, al piano politico.

Ora, questa lettura della storia e' stata resa possibile nella contemporaneita', anche grazie ai Women's studies, quale uno degli esiti piu' fecondi del movimento delle donne del '900. Nel senso che, quando un tale soggetto politico entra nella storia, si apre un mondo e, rendendo possibile la visibilita' del corpo femminile, apre scenari e nuove geografie, rinnovando le stesse modalita' della ricerca storica, attraverso, per esempio, l'uso di altre e/o nuove fonti, dai diari alle lettere, al vestiario.

Da tale risorgenza soggettiva, scrive la storica Anna Rossi-Doria, si puo' delineare con chiarezza, in senso politico, la parabola di un lungo risorgimento delle donne: dal settembre 1791 al giugno 1946. E' una datazione ben precisa che segna di se' la stessa modernita' occidentale, espressa con la nozione privato/pubblico: dalla "Dichiarazione del Diritti della donna e della cittadina" di Olympe de Gouges al voto delle donne italiane. Il Risorgimento segna in Italia cosi' quel passaggio e quel nodo politico, formativo dell'habitus nazionale, di cui poi la Resistenza al nazifascismo esprimera' una nuova risorgenza costitutiva in tutti i sensi.

Per questo le azioni, gli atti, le prese di posizione assumono un grande valore simbolico proprio sulla linea della modernita' costituente. Dai cahiers de doleances ai salotti, ai circoli femminili e ai comitati pro voto: una storia fitta che dilaga come una piena imprevista. L'invisibilita' ufficiale e' proprio nel non riconoscimento, delineando tutt'al piu' stereotipi (dalle filantrope alle artiste) che fanno scomparire, di fatto, nei documenti scritti, l'agire femminile. Il percorso emancipazionista (prima di sfociare nel processo di liberazione del secondo '900) passa attraverso le carbonare (dette "le giardiniere"), le mazziniane, le garibaldine, attraverso azioni individuali, spesso queste ultime accanto alle imprese degli eroi, ma anche attraverso azioni collettive, piu' proprie e autonome (dai comitati ai battaglioni femminili, alle scuole di mutuo soccorso). Una divisione dei ruoli, spesso riperpetuata come naturale, che mostra, pero', la condizione storica della donna: dal diritto di famiglia patriarcale, ribadito dal Codice napoleonico (bisognera' in Italia aspettare il 1975 per il nuovo diritto di famiglia) a una certa mistica della femminilita', essenzialmente di servizio, come poi Mussolini riprendera' con le sue famose tre "M": Moglie Madre Massaia.

In realta', la rottura si compie e da quel crinale le donne non solo emergono e si mostrano nella modernita', ma la segnano con la propria coscienza di se', avviandone il cammino e lanciando cosi' un testimone che arriva fino ai giorni nostri rispetto proprio alla dignita' della donna in quanto persona. Da qui si puo', allora, (ri)avviare la narrazione storica con nomi e cognomi.

 

7. LIBRI. ROBERTA DE MONTICELLI PRESENTA "LE DROIT D'ETRE UN HOMME. ANTHOLOGIE MONDIALE DE LA LIBERTE'" E "I DIRITTI UMANI DA UN PUNTO DI VISTA FILOSOFICO" DI JEANNE HERSCH

[Da "Saturno" del 4 marzo 2011 col titolo "A chi l'esclusiva dei diritti umani?" e il sommario "Una raccolta di testi sulla genesi del concetto dei Diritti Umani".

Roberta de Monticelli, acuta pensatrice, docente e saggista. Riproponiamo per stralci la seguente scheda di alcuni anni fa: "Roberta De Monticelli ha studiato alla Scuola Normale e all'Universita' di Pisa, dove si e' laureata nel 1976 con una tesi su Edmund Husserl: dalla Filosofia dell'aritmetica alle Ricerche logiche; ha continuato i suoi studi presso le Universita' di Bonn, Zurigo e Oxford, dove e' stata allieva di Michael Dummett, logico e filosofo del linguaggio. Sotto la sua direzione ha scritto la tesi di dottorato su Frege e Wittgenstein. A Oxford e' stata iniziata allo studio della tradizione platonica da Raymond Klibansky, membro e custode del Circolo Warburg, grande storico delle idee ed editore di numerosi testi medievali e moderni. Ha cominciato la sua carriera universitaria come ricercatrice della Scuola Normale di Pisa, poi trasferita presso il dipartimento di filosofia dell'Universita' statale di Milano, nell'ambito della cattedra di Filosofia del linguaggio (Andrea Bonomi). A Milano ha frequentato per anni i corsi della Facolta' Teologica dell'Italia Settentrionale, approfondendo la sua formazione nel quadro delle sue ricerche sul platonismo, e poi sulla filosofia di Agostino, di cui ha curato per Garzanti un'edizione delle Confessioni con testo a fronte, commento e introduzione (La Spiga 1992). E' stata dal 1989 al 2004 professore ordinario di filosofia moderna e contemporanea all'Universita' di Ginevra, sulla cattedra che fu di Jeanne Hersch (1910-2000, con Hannah Arendt e Raymond Klibansky la migliore allieva di Karl Jaspers). Per valorizzare l'opera di questa pensatrice, fra le piu' significative del Novecento, ha diretto fra l'altro una ricerca d'equipe sull'opera e la figura di Jeanne Hersch, finanziata dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica, ricerca che ha gia' portato alla preparazione per la stampa di numerosi inediti, e a svariate traduzioni in italiano e altre lingue di opere della pensatrice ginevrina. A Ginevra ha fondato la scuola dottorale interfacolta' 'La personne: philosophie, epistemologie, ethique', che ha diretto fino al 2004 (corresponsabili: Bernardino Fantini, Faculte' de Medicine, Bernard Rordorf, Faculte' Autonome de Theologie Protestante, Alexandre Mauron, Centre Lemanique d'ethique), scuola dottorale frequentata da studenti di ogni paese europeo, nel quadro della quale ha invitato i migliori specialisti internazionali delle discipline interessate (etica ed etica applicata, ontologia, fenomenologia, filosofia della mente, filosofia della psicologia, scienze cognitive, storia della medicina, filosofia della biologia). Dall'ottobre 2003 e' stata chiamata per chiara fama all'Universita' Vita-Salute San Raffaele, sulla cattedra di filosofia della persona. Un insegnamento di concezione nuova anche nel nome (e' la prima cattedra in Italia con questa denominazione). La persona, la sua realta' e i modi della sua conoscenza sono al centro della sua ricerca, che, pur riconoscendosi erede della grande tradizione, da Platone ad Agostino a Husserl, tenta una fondazione nuova, sul piano ontologico e sulla base del metodo fenomenologico, di una teoria della persona. Sua ambizione e' di costruire un linguaggio limpido e rigoroso per affrontare le questioni che si pongono a ogni esistenza personale matura (identita' personale, sfere della vita personale - cognitiva, affettiva, volitiva -, libero arbitrio, natura della conoscenza morale, fondamenti dell'etica, natura della vita spirituale). Un linguaggio, d'altra parte, capace di contribuire, anche con analisi concettuali e fenomenologiche e un proprio insieme di tecniche d'argomentazione, al dibattito contemporaneo promosso dagli sviluppi della filosofia della mente e delle scienze naturali dell'uomo, biologia, neuroscienze, scienze cognitive...". Tra le opere di Roberta de Monticelli: Dottrine dell'intelligenza - Saggio su Frege e Wittgenstein, De Donato, Bari 1982; (con M. Di Francesco), Il problema dell'individuazione - Leibniz, Kant e la logica modale, Edizioni Unicopli, Milano 1984; Il richiamo della persuasione. Lettere a Carlo Michelstaedter, Marietti, Genova 1988; Le preghiere di Ariele. Garzanti, Milano 1992; L'ascesi filosofica, Feltrinelli, Milano 1995; L'ascese philosophique - Phenomenologie et Platonisme, Vrin, Paris 1997; La conoscenza personale. Introduzione alla fenomenologia, Guerini e associati, Milano 1998; (a cura di), La persona: apparenza e realta'. Testi fenomenologici 1911-1933, Raffaello Cortina, Milano 2000; L'avenir de la phenomenologie - Meditations sur la connaissance personnelle  Aubier-Flammarion, Paris, 2000; Dal vivo, Rizzoli, Milano 2001; El conoscimiento personal, Catedra, Madrid 2002; Le Medecin Philosophe aux prises avec la maladie mentale, Actes du Colloque International Phenomenologie et psychopathologie, Puidoux, 16-18 fevrier 1998 , Etudes de Lettres, Lausanne 2002; Leibniz on Essental Individuality, Proceedings of International Symposium on Leibniz (G. Tomasi, editor,  M. Mugnai, A. Savile, H. Posen), Studia Leibnitiana, 2004; La persona e la questione dell'individualita', in "Sistemi intelligenti", anno XVIII, .33, dic. 2005, pp.419-445; L'ordine del cuore - Etica e teoria del sentire, Garzanti, Milano 2003; (a cura di), Jeanne Hersch, la Dame aux paradoxes - Textes rassembles par Roberta de Monticelli, L'Age d'Homme, Lausanne 2003; L'allegria della mente, Bruno Mondadori Editore, Milano 2004; Nulla appare invano - Pause di filosofia, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2006; Esercizi di pensiero per apprendisti filosofi, Bollati Boringhieri, Milano 2006; Sullo spirito e l'ideologia, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007.

Su Jeanne Hersch dalla Wikipedia riprendiamo la seguente scheda: "Jeanne Hersch (Ginevra, 13 luglio 1910 - Ginevra, 5 giugno 2000) e' stata una filosofa svizzera. D'origine polacca (da parte materna) e lituana (da parte paterna), la sua famiglia ebraica si trasferi' a Ginevra prima della sua nascita. Il padre, Liebmann, fu professore di demografia e statistica all'Universita' di Ginevra, la madre, Liba Lichtenbaum, era medico. Jeanne Hersch, dopo aver studiato a Ginevra, ando' a specializzarsi a Heidelberg e a Friburgo, dove ascolto' le lezioni di Heidegger, per poi continuare gli studi a Parigi. La sua tesi di laurea (1931), su Les images dans l'oeuvre de Bergson (Le immagini nell'opera di Bergson), la mise in contatto con il filosofo francese, che ne rimase molto colpito; ma il suo vero maestro fu Karl Jaspers, di cui fu assistente e traduttrice in francese. Nel 1936, aveva gia' scritto la sua prima opera d'una certa estensione e importanza, L'illusione filosofica, che usci' in tedesco venti anni dopo, con una lusinghiera introduzione di Jaspers. Un'altra opera fondamentale del periodo e' L'etre et la forme (Essere e forma), del 1946. Dopo aver insegnato qualche tempo negli Stati Uniti (quando le leggi razziali le impedivano di insegnare in Europa), torno' appena possibile a Ginevra, dove insegno' dal 1947 al 1977, trenta lunghi anni di formazione per centinaia di studenti che hanno studiato nella citta' dotta di Rousseau e Calvino. Bisogna ricordare anche e almeno Ideologies et realites (Ideologie e realta'), del 1956. Nel 1966 viene chiamata dall'Unesco a dirigere la divisione di filosofia e a raccogliere le voci di pensatori e scrittori in Le droit d'etre un homme (Il diritto d'essere un uomo, 1968), altro testo fondamentale, sia pure come curatela. Nel 1970 fu la rappresentante della Svizzera nel Consiglio esecutivo dell'Unesco. E' stata anche scrittrice di racconti (raccolti in La nascita di Eva) e di un romanzo (Primo amore). Nel 1987 le e' stata assegnata la Medaglia Albert Einstein. Opere principali: 1931: Les images dans l'oeuvre de Bergson, traduzione di Annamaria Carenzi, in Henri Bergson, Lucrezio, a cura di Riccardo De Benedetti, Milano: Medusa, 2001 (con introduzione di Laura Boella). 1936: L'illusion philosophique, traduzione di Fernanda Pivano e Silvia Trulli, L'illusione della filosofia, Torino: Einaudi, 1942; poi Milano: Bruno Mondadori, 2004 (con introduzioni di Karl Jaspers e Nicola Abbagnano). 1940: Temps alternes, traduzione di Roberta Guccinelli, Primo amore. Esercizio di composizione, Milano: Baldini Castoldi Dalai, 2005 (con prefazione di Roberta De Monticelli). 1946: L'etre et la forme, traduzione di Stefania Tarantino e Roberta Guccinelli, Essere e forma, Milano: Bruno Mondadori, 2006. 1956: Ideologies et realite'. Essai d'orientation politique. 1956: Sur les bords de l'Issa (traduzione da Czeslaw Milosz). 1968: Le droit d'etre un homme, traduzione di Emilio Marini, Il diritto di essere uomo. Raccolta di testi preparata sotto la direzione di Jeanne Hersch, Torino: Societa' editrice internazionale, 1971. 1978: Karl Jaspers. 1981: L'etonnement philosophique. Une histoire de la philosophie, traduzione di Alberto Bramanti, Storia della filosofia come stupore, Milano: Bruno Mondadori, 2002. 1981: L'ennemi c'est le nihilisme. 1985: Textes, traduzione di Federico Leoni, La nascita di Eva. Saggi e racconti, prefazione di Jean Starobinski, postfazione di Roberta De Monticelli, Novara: Interlinea, 2000. 1986: Eclairer l'obscur, intervista con Gabrielle e Alfred Dufour, traduzione di Laura Boella e Francesca De Vecchi, Rischiarare l'oscuro, Milano: Baldini Castoldi Dalai, 2006. 1986: traduzione di Philosophie di Karl Jaspers. 1986: Temps et musique, traduzione e introduzione di Roberta Guccinelli, con prefazione di Roberta De Monticelli, Milano: Baldini Castoldi Dalai, 2009. 1991: (con altri) La Suisse, etat de droit. 2008: L'exigence absolue de la liberte'. Textes sur les droits humains (1973-1995). 2008: Les droits de l'homme d'un point de vue philosophique, traduzione di Francesca De Vecchi, I diritti umani dal punto di vista filosofico, Milano: Bruno Mondadori, 2008 (con prefazione di Roberta De Monticelli). Opere su Jeanne Hersch: Emmanuel Dufour Kowalski, Jeanne Hersch: presence dans le temps, Paris: L'Age d'Homme, 1999; Jeanne Hersch, la dame aux paradoxes, Paris: L'Age d'Homme, 2003; Roberta Guccinelli, La forma del fare. Estetica e ontologia in Jeanne Hersch, Milano: Bruno Mondadori, 2007; Stefania Tarantino, La liberta' in formazione. Studio su Jeanne Hersch e Maria Zambrano, Mimesis, 2008; Francesca De Vecchi, La liberta' incarnata. Filosofia, etica e diritti umano secondo Jeanne Hersch, Milano: Bruno Mondadori, 2008"]

 

Nel momento in cui ci interroghiamo sul senso e sul futuro delle rivoluzioni in Nordafrica, non c'e' forse un testo migliore su cui meditare che la grandiosa Antologia mondiale della liberta', gia' disponibile on line in tre lingue sul sito dell'Unesco, alla cui versione italiana si sta in questi mesi lavorando.

Cos'e', come nasce, questa raccolta di testi che coprono l'arco di due millenni, racchiusi in quasi seicento pagine? E' una splendida avventura del pensiero umano, e vale la pena di raccontare come nacque. Immaginate di trovarvi nel giardino della sede storica dell'Unesco, a Parigi. La' c'e' un piccolo edificio di meditazione, cilindrico e vuoto. A rendere il senso di quello che prova chi vi sosti qualche istante non ci sono forse parole piu' adatte di queste: "Tutte le civilta' veramente creatrici hanno saputo... creare un posto vuoto riservato al soprannaturale puro... tutto il resto era orientato verso questo vuoto". Le scrisse Simone Weil nelle sue Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione (1937).

Teniamole in mente, perche' sono quasi certamente all'origine invisibile di questa avventura. Per l'origine visibile, dobbiamo di nuovo darci appuntamento a Parigi, ma nel 1968. Si festeggia il ventennale della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Jeanne Hersch - professoressa di filosofia a Ginevra, allieva di Jaspers, compagna di studi di Hannah Arendt e per un paio d'anni in carica all'Unesco, dove dirige la sezione di filosofia - decide di impegnare le risorse di quell'organizzazione in un audace esperimento storico ed etnografico. Chiede ai rappresentanti di tutti i Paesi di inviarle testi tratti dalle loro tradizioni, anteriori al 1948, "in cui si manifestasse, secondo loro, in qualunque forma, un senso dei diritti dell'uomo". Dai paesi piu' lontani, dalle epoche piu' remote, arrivavano a Parigi pensieri espressi in una babele di lingue, morte e vive: come offerte "con pieta' conservate nei veli di parole d'altri tempi e altri luoghi".

Cosi' fu impostata una sorta di verifica sul campo della vexata quaestio: e' o non e' un concetto puramente "occidentale" quello dei "diritti dell'uomo"? Peccato che molti continuino a ignorare questa preziosa documentazione, costituita dal libro sorprendente e magnifico di Jeanne Hersch, Le droit d'etre un homme, la cui edizione francese porta il sottotitolo Anthologie mondiale de la liberte'. Fu la base empirica della sua riflessione sul fondamento dei diritti umani, proseguita fino alla morte, nel 2000, ora disponibile anche in italiano a cura di Francesca De Vecchi (I diritti umani da un punto di vista filosofico, Mondadori). E qual e' il risultato di questa riflessione, che passa attraverso le culture religiose dei popoli antichi e moderni, ma anche gli autori fondamentali del pensiero occidentale, da Montesquieu, Beccaria e Tocqueville fino a Maritain e Roosevelt? A differenza dei giuspositivisti come Norberto Bobbio, non si accontenta di ritenere la Dichiarazione espressione di un ethos fra gli altri, incapace di giustificazione universale; a differenza dei giusnaturalisti, constata che in natura la legge del piu' forte ha la meglio.

Tuttavia, la prima questione che i diritti umani pongono e' quella della loro ragion d'essere, del loro fondamento. Qui il passaggio attraverso le "offerte" delle culture religiose e arcaiche si rivela non vano: e' proprio la' - ci dice Hersch, rovesciando tutti i luoghi comuni - che il fondamento si disvela. Questo e', in ogni cultura, l'esigenza degli esseri umani di essere riconosciuti in cio' che hanno di propriamente umano: la liberta', intesa nella sua radice "selvaggia", assoluta. Essere liberi e' essere capaci d'accettare volontariamente la morte, purche' sia salvo cio' che e' piu' importante della vita stessa. Come Antigone, o come Socrate. Non c'e' liberta' fuori da questo impegno assoluto, da questa pericolosa posta in gioco. Ecco perche' e' vano, spiega Hersch, il tentativo di ridurre il rispetto dei diritti umani al rigetto di ogni impegno verso l'assoluto, a una neutralita' ragionevole e pragmatica. Certo, un impegno verso l'assoluto e' sempre pericoloso: attraverso l'integralismo, rischia di ispirare e giustificare le peggiori violazioni dei diritti umani.

E allora? Ecco l'intuizione profonda: la possibilita' di riconoscere che anche l'altro sta "di fronte all'assoluto" e che nessuno lo possiede e' intrinseca a ogni religione in quanto apertura alla trascendenza. Ogni cultura teologica sa che l'idolatria e' il piu' grande dei peccati: non e' parlare "di fronte all'assoluto", ma in nome dell'assoluto, come se lo si possedesse. Occorre "conoscere Dio come ignoto". Jeanne Hersch ha scoperto la via che libera potenzialmente ogni cultura teologica dal rischio della teopolitica, e l'apre alla speranza cosmopolitica.

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Numero 310 del 30 marzo 2011

 

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