Telegrammi. 591



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 591 del 19 giugno 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Peppe Sini: Insorgere contro la guerra e il razzismo. Insorgere per disarmare gli assassini. Insorgere per ripristinare la legalita' che salva le vite

2. Mao Valpiana: Intervento di saluto all'assemblea nazionale del Movimento Internazionale della Riconciliazione

3. Annamaria Rivera: Una pecora clandestina a Lampedusa

4. Stefano Rodota': Una vittoria che viene da lontano

5. Giulio Vittorangeli: Una nuova agenda politica

6. Francesca Paci: Gendercidio

7. Francesca Paci intervista Tiziana Leone

8. Per sostenere il Movimento Nonviolento

9. Segnalazioni librarie

10. La "Carta" del Movimento Nonviolento

11. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: INSORGERE CONTRO LA GUERRA E IL RAZZISMO. INSORGERE PER DISARMARE GLI ASSASSINI. INSORGERE PER RIPRISTINARE LA LEGALITA' CHE SALVA LE VITE

 

Insorgere occorre.

Fedeli alla Costituzione della Repubblica Italiana, con gli strumenti della democrazia, con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza.

Insorgere contro la guerra e il razzismo.

Fedeli alla Costituzione della Repubblica Italiana, con gli strumenti della democrazia, con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza.

Insorgere per disarmare gli assassini.

Fedeli alla Costituzione della Repubblica Italiana, con gli strumenti della democrazia, con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza.

Insorgere per ripristinare la legalita' che salva le vite.

Fedeli alla Costituzione della Repubblica Italiana, con gli strumenti della democrazia, con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza.

Insorgere occorre.

 

2. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: INTERVENTO DI SALUTO ALL'ASSEMBLEA NAZIONALE DEL MOVIMENTO INTERNAZIONALE DELLA RICONCILIAZIONE

[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per averci messo a disposizione il testo del suo intervento di saluto all'assemblea nazionale del Movimento Internazionale della Riconciliazione (Mir) che si tiene a Roma il 18-19 giugno 2011.

Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive e ha lavorato come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' segretario nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Minime" n. 255 del 27 ottobre 2007; un'altra recente ampia intervista e' in "Coi piedi per terra" n. 295 del 17 luglio 2010]

 

Care amiche ed amici del Mir,

vi giunga il saluto e un sincero augurio per il buon andamento dei lavori della vostra assemblea nazionale. In una situazione internazionale e nazionale cosi' difficile, la nonviolenza ha bisogno di crescere, ma puo' farlo meglio e con profitto tanto quanto noi riusciamo a contribuire alla sua organizzazione. Gruppi nonviolenti, coordinati, che agiscono nella societa' e nelle chiese, possono davvero fare la differenza, essere il sale (o, come diceva Capitini, "l'aggiunta"), che avvia processi di cambiamento.

Emergono, di tanto in tanto, proposte di "unificazione" o "federazione" tra i nostri movimenti. La direzione e' certamente quella auspicabile, ma io penso che il contributo migliore che possiamo dare oggi sia ancora quello di far crescere i nostri movimenti, con campagne e azioni qualificanti. L'unita' vera la si raggiunge lavorando insieme, con obiettivi comuni, fini e mezzi condivisi, cosi' come e' recentemente avvenuto su larga scala nei referendum a difesa dei beni comuni, dell'ambiente e della legge uguale per tutti. Quella mi sembra la strategia giusta, e i fatti lo confermano.

La crisi economica, ambientale, morale che tocca anche il nostro paese, ha bisogno di risposte adeguate, quindi efficaci. Noi sappiamo che la nonviolenza e' la via che puo' evitare il baratro verso il quale le due ideologie dominanti nel Novecento hanno spinto l'Europa, con le tragiche prove della prima e della seconda guerra mondiale; con le ideologie sono morte anche le idee, ed oggi a spingerci verso il baratro, mediante la guerra infinita (non solo in Afghanistan e in Libia), e' rimasto solo l'interesse economico-energetico.

La nonviolenza (unica idea rimasta viva dopo il 1989) e' l'alternativa alla guerra, che e' il pilastro su cui si regge l'impero. Dunque, sara' la nonviolenza ad indicare la vera alternativa. Il Mir, che e' sempre stato coerente nell'indicare e praticare radicali scelte di vita e di fede, e' una tessera importante del mosaico della nonviolenza italiana.

La prossima Marcia Perugia-Assisi, nel 50mo anniversario della prima edizione, sara' una tappa importante del comune cammino: una palestra per lavorare insieme e fianco a fianco con altri movimenti. Il vostro contributo per farne un momento forte di proposta nonviolenta al piu' ampio movimento per la pace e di rinnovamento sociale, sara' decisivo.

Grazie per il vostro lavoro.

Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento

 

3. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: UNA PECORA CLANDESTINA A LAMPEDUSA

[Dal blog di Annamaria Rivera nel sito di "MicroMega" (blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it) riprendiamo il seguente articolo del 16 giugno 2011.

Annamaria Rivera, antropologa, vive a Roma e insegna etnologia all'Universita' di Bari. Fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, ha sempre cercato di coniugare lo studio e la ricerca con l'impegno sociale e politico. Attiva nei movimenti femminista, antirazzista e per la pace, si occupa, anche professionalmente, di temi attinenti. Al centro della sua ricerca, infatti, sono l'analisi delle molteplici forme di razzismo, l'indagine sui nodi e i problemi della societa' pluriculturale, la ricerca di modelli, strategie e pratiche di concittadinanza e convivenza fra eguali e diversi. Fra le opere di Annamaria Rivera piu' recenti: (con Gallissot e Kilani), L'imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave, Dedalo, Bari 2001; (a cura di), L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici. Discriminazione e violenza razzista in Italia, DeriveApprodi, Roma 2003; La guerra dei simboli. Veli postcoloniali e retoriche sull'alterita', Dedalo, Bari 2005; Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo, Dedalo, Bari 2009; La Bella, la Bestia e l'Umano. Sessismo e razzismo senza escludere lo specismo, Ediesse, Roma 2010]

 

C'era anche una pecora con i diciannove tunisini, dei quali sei donne e un bambino, sbarcati a Lampedusa in un'alba di pochi giorni fa. Non si sa se il mite animale fosse stato imbarcato per nutrire il piccolo durante la traversata, come dapprima si e' scritto, o solo per ricordo del paese lontano, come avrebbero dichiarato i tunisini. C'e' una terza ipotesi che nessuno ha avanzato: che la pecora fosse destinata ad essere immolata nella festa di Eid al-adha, la festa del sacrificio, appunto.

Qualunque sia la verita', v'e' qualcosa di evangelico in questa immagine della piccola comunita' viaggiante per le acque del Mediterraneo con un bimbo e una pecora. E' una parabola vivente che mette a nudo l'assurdita' delle norme che pretendono di confinare gli esseri umani nei recinti nazionali. Quando sono le ragioni primarie dell'esistenza a spingere verso qualche altrove per cercare la salvezza o un destino migliore, oppure "solo" per praticare la liberta', anche di movimento, conquistata con una rivoluzione.

Una volta giunti a Lampedusa, i dodici tunisini, le sei tunisine e il bimbo sono diventati tutti nuda vita, come la pecora: esposti all'arbitrio di poteri che hanno deciso preventivamente che essi non hanno il diritto di avere dei diritti. Conosciamo la sorte dei tunisini umani: sono arrivati dopo il 5 aprile, quindi sono clandestini passibili di espulsione, preceduta da un periodo variabile di prigionia, arbitrii e vessazioni. Dopo la sosta nell'isola, in quella bolgia che chiamano centro di accoglienza, saranno deportati in qualche lager difeso da grate e filo spinato in attesa del rimpatrio. Forse tenteranno la fuga, protesteranno per i maltrattamenti, assaggeranno i manganelli e i lacrimogeni delle forze dell'ordine.

La pecora extracomunitaria, invece, e' stata abbattuta subito, senza alcuna esitazione: a niente sono valse le proteste degli animalisti. Le cronache riferiscono che "il protocollo prevede in questi casi l'abbattimento dell'animale dopo le analisi di rito e la disinfestazione". Si noti il linguaggio: non e' diverso da quello che si usa per gli umani, clandestini come la pecora: "Gli extracomunitari di nazionalita' tunisina... in attesa delle decisioni dell'autorita'... dopo le verifiche di rito...".

Non so se avesse un nome, la nostra pecora gentile, indotta a emigrare clandestinamente. Ora che ha raggiunto quell'altra dimensione in cui nessuno piu' e' sacrificabile, ne' animali ne' umani, diamole un nome per onorarla: chiamiamola Karima, che in arabo vuol dire "generosa". Il nome le si addice, che abbia davvero salvato col suo latte la vita di un bimbo, che si sia prestata a farsi ricordo vivente del paese o, suo malgrado, capro espiatorio in senso proprio (cosi' si chiama anche un personaggio del mio romanzo, Spelix. Storia di gatti, di stranieri e di un delitto, che non e' una pecora, ma e' ugualmente tunisina: una parrucchiera tunisina altrettanto mite e generosa).

Karima e' l'emblema della gerarchia del dominio: siamo tutti sacrificabili dal momento in cui si e' deciso che gli animali sono sacrificabili; siamo tutti mercificabili e riducibili a quantita' irrilevante dal momento in cui si e' deciso che tali sono i non umani. Nella gerarchia del dominio lei occupava l'ultimo gradino. La piccola comunita' tunisina giunta dal mare, che a sua volta ha esercitato dominio sulla pecora, ora e' essa stessa esposta all'arbitrio del potere.

Karima e' l'emblema non solo della generosita' e della mitezza, ma anche del vivente inerme e sacrificabile: che il sacrificio si compia nella forma della messa a morte o in quella dell'espulsione, cioe' dell'annientamento di un progetto di riscatto. Dovremmo far qualcosa perche' a quel bambino, approdato avventurosamente sulle sponde della speranza, sia concesso, insieme ai suoi, di cercare su queste sponde un futuro migliore.

 

4. RIFLESSIONE. STEFANO RODOTA': UNA VITTORIA CHE VIENE DA LONTANO

[Dal quotidiano "La Repubblica" del 16 giugno 2011.

Stefano Rodota' e' nato a Cosenza nel 1933, giurista, docente all'Universita' degli Studi di Roma "La Sapienza" (ha inoltre tenuto corsi e seminari nelle Universita' di Parigi, Francoforte, Strasburgo, Edimburgo, Barcellona, Lima, Caracas, Rio de Janeiro, Citta' del Messico, ed e' Visiting fellow, presso l'All Souls College dell'Universita' di Oxford e Professor alla Stanford School of Law, California), direttore delle riviste "Politica del diritto" e "Rivista critica del diritto privato", deputato al Parlamento dal 1979 al 1994, autorevole membro di prestigiosi comitati internazionali sulla bioetica e la societa' dell'informazione, dal 1997 al 2005 e' stato presidente dell'Autorita' garante per la protezione dei dati personali. Tra le opere di Stefano Rodota': Il problema della responsabilita' civile, Giuffre', Milano 1964; Il diritto privato nella societa' moderna, Il Mulino, Bologna 1971; Elaboratori elettronici e controllo sociale, Il Mulino, Bologna 1973; (a cura di), Il controllo sociale delle attivita' private, Il Mulino, Bologna 1977; Il terribile diritto. Studi sulla proprieta' privata, Il Mulino, Bologna 1981; Repertorio di fine secolo, Laterza, Roma-Bari, 1992; (a cura di), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari, 1993, 1997; Quale Stato, Sisifo, Roma 1994; Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1995; Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari, 1997; Liberta' e diritti in Italia, Donzelli, Roma 1997. Alle origini della Costituzione, Il Mulino, Bologna, Il Mulino, 1998; Intervista su privacy e liberta', Laterza, Roma-Bari 2005; La vita e le regole, Feltrinelli, Milano 2006, 2009; Perche' laico, Laterza, Roma-Bari 2009]

 

Tutto e' cominciato poco piu' di un anno fa, quando la raccolta delle sottoscrizioni per i referendum sull'acqua come bene comune s'impenno' fino a raggiungere il picco di un milione e quattrocentomila firme, record nella storia referendaria. Pochi si accorsero di quel che stava accadendo. Molti liquidarono quel fatto come una bizzarria di qualche professore e di uno di quei gruppi di "agitatori" che periodicamente compaiono sulla scena pubblica. O lo considerarono come un inciampo, un fastidio di cui bisognava liberarsi. Basta dare un'occhiata ai giornali di quei mesi.

E invece stava succedendo qualcosa di nuovo. Il travolgente successo nella raccolta delle firme era certamente il frutto di un lavoro da tempo cominciato da alcuni gruppi. In quel momento, pero', incontrava una societa' che cambiava nel profondo, dove l'antipolitica cominciava a rovesciarsi in una rinnovata attenzione per la politica, per un'altra politica. Ai referendum sull'acqua si affiancarono quelli sul nucleare e sul legittimo impedimento. Nasceva cosi' un'altra agenda politica, alla quale, di nuovo, non veniva riservata l´attenzione necessaria.

Mentre i referendari lavoravano per blindare giuridicamente i quesiti e farli dichiarare ammissibili dalla Corte costituzionale, le dinamiche sociali trovavano le loro strade, anzi le loro piazze. Si', le piazze, perche' tra l'autunno e l'inverno questi sono stati i luoghi dove i cittadini hanno ritrovato la loro voce e la loro presenza collettiva. Le donne, le ragazze e i ragazzi, i precari, i lavoratori, il mondo della scuola e della cultura hanno creato una lunga catena che univa luoghi diversi, che si distendeva nel tempo, che faceva crescere consenso sociale intorno a temi veri, nei quali si riconosceva un numero sempre maggiore di persone - il lavoro, la conoscenza, i beni comuni, i diritti fondamentali, la dignita' di tutti, il rifiuto del mondo ridotto a merce.

Le piazze italiane prima di quelle che simboleggiano il cambiamento nel nord dell'Africa? Le reti sociali, Facebook e Twitter come motori delle mobilitazioni anche in Italia? Proprio questo e' avvenuto, segno evidente di un rinnovamento dei modi della politica che non puo' essere inteso con le categorie tradizionali, che sfida le oligarchie, che rende inservibile la discussione da talk show televisivo. Forse e' frettoloso parlare di un nuovo soggetto politico per una realta' frastagliata e mobile. Ma siamo sicuramente al di la' di quei "ceti medi riflessivi" che segnarono un'altra stagione della societa' civile. Di fronte a noi sta un movimento che si dirama in tutta la societa', prensile, capace di costruire una agenda politica e di imporla.

Mentre tutto questo avveniva, le incomprensioni rimanevano tenaci. Patetici ci appaiono oggi i virtuosi appelli contro il "movimentismo", provenienti anche da persone e ambienti dell'opposizione, che oggi dovrebbe riflettere seriamente sulla realta' rivelata dalle elezioni amministrative e dai referendum invece di insistere nella ricerca di categorie astratte - il centro, i moderati. E se la maggioranza vuol cercare le radici della sua sconfitta, deve cercarle proprio nell'incapacita' totale d'intendere il cambiamento, con un Presidente del consiglio che ci parlava di piazze piene di fannulloni, una ministra dell'Istruzione che non ha incontrato neppure uno studente, una maggioranza che pensava di domare il nuovo con la prepotente disinformazione del sistema televisivo.

Guardiamo alle novita', allora, e alle prospettive e ai problemi che abbiamo di fronte. Il voto di domenica e lunedi' ha restituito agli italiani un istituto fondamentale della democrazia - il referendum, appunto. Ma ci dice anche che bisogna eliminare due anomalie che continuano a inquinarne il funzionamento. E' indispensabile riscrivere la demagogica legge sul voto degli italiani all'estero, fonte di distorsioni, se non di vere e proprie manipolazioni. E' indispensabile ridurre almeno il quorum per la validita' dei referendum. Pensato come strumento per evitare che l'abrogazione delle leggi finisse nelle mani di minoranze non rappresentative, il quorum ha finito con il divenire il mezzo attraverso il quale si cerca di utilizzare l'astensione per negare il diritto dei cittadini di agire come "legislatore negativo". Si svilisce cosi' anche la virtu' del referendum come promotore di discussione democratica su grandi questioni di interesse comune.

Ma il punto cruciale e' rappresentato dal fatto che ai cittadini e' stato chiesto di esprimersi su temi veri, che liberano la politica dallo sguardo corto, dal brevissimo periodo, e la obbligano finalmente a fare i conti con il futuro, con una idea di societa', con il rinnovamento delle stesse categorie culturali. Un'altra agenda politica, dunque, che da' evidenza all'importanza dei principi, al rapporto nuovo e diverso tra le persone e il mondo che le circonda, all'uso dei beni necessari a garantire i diritti fondamentali di ognuno. La regressione culturale sembra arrestata, il risultati delle amministrative e dei referendum ci dicono che un'altra cultura politica e' possibile.

Il voto sul nucleare non ipoteca negativamente il futuro dell'Italia. Al contrario, impone finalmente una seria discussione sul piano energetico, fino a ieri elusa proprio attraverso la cortina fumogena del ritorno alla costruzione di centrali nucleari. Il voto sul legittimo impedimento ci parla di legalita' e di eguaglianza, esattamente il contrario della pratica politica di questi anni, fondata sul privilegio e il rifiuto delle regole. Il voto sull'acqua porta anche in Italia un tema che percorre l'intero mondo, quello dei beni comuni, e cosi' parla di un'altra idea di "pubblico". Proprio intorno a quest'ultimo referendum si e' registrato il massimo di disinformazione e di malafede. Si e' ignorato quel che da decenni la cultura giuridica e quella economica mettono in evidenza, e cioe' che la qualificazione di un bene come pubblico o privato non dipende dall'etichetta che gli viene appiccicata, ma da chi esercita il vero potere di gestione. Si sono imbrogliate le carte per quanto riguarda la gestione economica del bene, identificandola con il profitto. Si sono ignorate le dinamiche del controllo diffuso, garanzia contro pratiche clientelari, che possono essere sventate proprio dalla presenza dei nuovi soggetti collettivi emersi in questa fase.

Quell'agenda politica deve ora essere attuata ed integrata. E' tempo di mettere mano ad una radicale riforma dei beni pubblici, per la quale gia' esistono in Parlamento proposte di legge. E bisogna guardare ad altre piazze. Quelle che affrontano il tema del lavoro partendo dal reddito universale di base. Quelle che ricordano che le persone omosessuali attendono almeno il riconoscimento delle loro unioni: un diritto fondamentale affermato nel 2009 dalla Corte costituzionale e che un Parlamento distratto e inadempiente non ha ancora tradotto in legge, com'e' suo dovere.

La fuga dai referendum non e' riuscita. Guai se, dopo un risultato cosi' straordinario, qualcuno pensasse ad una fuga dai compiti e dalle responsabilita' che milioni di elettori hanno indicato con assoluta chiarezza.

 

5. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: UNA NUOVA AGENDA POLITICA

[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento.

Per un profilo di Giulio Vittorangeli - che e' da sempre uno dei principali collaboratori di questo foglio e uno degli amici piu' cari - dall'ampia intervista apparsa in "Coi piedi per terra" n. 325 riprendiamo la seguente breve notizia biobibliografica "Giulio Vittorangeli e' nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili. E' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni. Ha partecipato alla realizzazione, stesura e pubblicazione di tre libri: Que linda Nicaragua!, Associazione Italia Nicaragua, Fratelli Frilli editori, Genova 2005; Nicaraguita, la utopia de la ternura, Terra Nuova, Managua, Nicaragua, 2007; Nicaragua. Noi donne le invisibili, Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, Davide Ghaleb editore, Vetralla (Vt) 2009. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Attualmente cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"]

 

Il risultato dei referendum e' inequivocabile.

E' una vittoria dei movimenti che delinea finalmente una nuova agenda politica ecologista: "La difesa dell'acqua e' un dovere di legittima difesa del genere umano. Perche' di acqua siamo, e quando lo neghiamo stiamo tradendo la piu' antica memoria dell'umanita'" (Eduardo Galeano).

Una nuova agenda politica antiliberista, che segna definitivamente il tramonto delle politiche neoliberiste messe in atto sia dal centrodestra che dal centrosinistra.

Una nuova agenda politica in cui la legge e' uguale per tutti.

Una doppia vittoria per chi, come noi nel viterbese, ha partecipato attivamente al movimento antinucleare degli anni '80, contro la costruzione della centrale a Montalto di Castro.

Vale la pena ricordare che i reattori ad acqua bollente General Electric di Fukushima, erano proprio dello stesso tipo e della stessa tecnologia che volevano installare a Montalto di Castro e per i quali si erano date ampie assicurazioni di sicurezza alla gente della Maremma e del Lazio, poi fortunatamente il nucleare fu bloccato dal primo referendum nucleare del 1987, un anno dopo il disastroso incidente di Chernobyl del 26 aprile 1986.

Cosi' come vale la pena ricordare che delle quattro nuove centrali nucleari previste originariamente dal governo Berlusconi (costo di 30 miliardi di euro, con entrata in funzione tra 15/20 anni, per produrre il 5% dell'energia nazionale), una certamente era destinata nuovamente a Montalto, continuando volutamente ad ignorare che si tratta di zona sismica: la stessa faglia sismica che ha dato luogo al terremoto distruttivo di Tuscania (febbario 1971) si allunga sino a Pian dei Gargani, il sito della centrale. Allora, mentre infuriava la polemica sul dopo-Chernobyl, tocco' al professor Floriano Villa, presidente dell'Associazione Nazionale dei Geologi, mettere in evidenza questa situazione.

Quanto a questa seconda campagna referendaria, rispetto alla prima, poco si e' riflettuto sullo stretto legame fra nucleare civile e nucleare militare. Valeva ieri, coma vale oggi: le centrali nucleari sono il cavallo di Troia per arrivare alle bombe. Questo limite certamente e' legato alla difficolta' odierna di riproporre in termini chiari la questione della guerra. Il movimento pacifista e' come evaporato; mentre l'opposizione continua a votare tutte le leggi che rifinanziano le guerre italiane, come se non fossero contro il dettato costituzionale.

Questa difficolta' non dobbiamo dimenticarla nell'euforia per la vittoria referendaria.

Cosi' come non dobbiamo dimenticare il persistere del razzismo che colpisce principalmente i migranti.

La caccia al nero, al diverso, e' la metafora di un intero Paese corrotto dal razzismo ed incapace di difendere i piu' elementari diritti degli esseri umani.

Nel sonno della ragione, si e' persa legalita' e solidarieta', ed il razzismo e' ridiventato una piaga purulenta diffusa in tutto il paese. Sordi al monito di Primo Levi: "La peste si e' spenta, ma l'infezione serpeggia... I segni: il disconoscimento della solidarieta' umana, l'indifferenza ottusa e cinica per il dolore altrui", e' stato accettato il colpo di stato razzista del nostro governo (ad iniziare dalla legge 94/2009, il cosiddetto "pacchetto sicurezza"), lo svuotamento della Costituzione, sia quella materiale che quella formale. "Se sbattiamo in galera gli immigrati clandestini, possiamo anche inserire questo sano principio nella Costituzione riformata", scriveva Luigi Pintor piu' di quattordici anni fa e sembra oggi.

E' evidente il ruolo svolto dalla destra e la sua, neanche piu' tanto larvata ormai, volonta' di imporre uno sbocco autoritario alla crisi italiana.

Purtroppo non e' solo responsabilita' della destra, ma anche dell'opposizione, incapace di promuovere una lotta unitaria a difesa della Costituzione, della convivenza civile, dei diritti di chi il lavoro lo sta perdendo o non e' mai riuscito ad averlo. Propensa, invece, a rincorrere la destra sul terreno della retorica e della propaganda per la "sicurezza".

La nostra lotta, inevitabilmente, continua. Per proporre una nuova agenda politica della pace, in cui ritorni l'indignazione per l'oscenita' della guerra (che non produce mai eroi, ma solo morte e menzogna), e che faccia cessare la violenza contro gli ultimi, contro chi patisce una crudele negazione del suo diritto alla vita, nel cercare da noi pane e dignita'.

 

6. MONDO. FRANCESCA PACI: GENDERCIDIO

[Dal quotidiano "La Stampa" del 16 giugno 2011 col titolo "La denuncia: una strage silenziosa. L'Onu: meta' del mondo non e' per le donne. Il 'gendercidio', punta avanzata della discriminazione sessuale" e il sommario "I poveri: In molte nazioni le braccia femminili sono considerate un peso insostenibile. I ricchi: anche nell'India avanzata resiste lo stereotipo e muoiono 600.000 bambine l'anno. 100 milioni di fantasmi: sono le donne che mancano all'appello nel mondo secondo una stima (del 1990) del Premio Nobel Amartya Sen. 1152 stupri ogni giorno: e' l'orrendo primato della Repubblica Democratica del Congo, dopo l'Afghanistan il Paese piu' pericoloso per le donne. 87 per cento di analfabete: il regime dei talebani ha lasciato un'eredita' drammatica: in Afghanistan moltissime donne non sanno leggere ne' scrivere. 134 neonati maschi: sono i bambini che nascono in Cina ogni 100 bambine: una sproporzione dovuta agli aborti selettivi e al pregiudizio culturale".

 

Francesca Paci (Roma, 1971), giornalista del quotidiano "La stampa"; laurea in lettere moderne, master europeo in comunicazione multimediale, master di specializzazione in peacekeeping management; si occupa particolarmente di immigrazione, diritti umani, questione femminile, intercultura, Medio Oriente. Dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo per stralci la seguente notizia: "Dal febbraio 2009 e' corrispondente del quotidiano 'La Stampa' a Londra. Dall'aprile 2007 era stata corrispondente, sempre per 'La Stampa' a Gerusalemme. Prima ancora aveva lavorato alla cronaca locale di Torino, seguendo un corso in peacekeeping e imparando l'arabo, fattori che le hanno permesso di diventare inviata del quotidiano di via Marenco nel periodo post-11 settembre. Ha scritto due libri sull'islam italiano... Nel 2005 ha vinto il Premio Giornalistico Internazionale Marco Luchetta per aver raccontato una tragica storia di immigrazione dalla Romania. Nel 2007 ha condotto la trasmissione televisiva Nirvana, in onda su La7". Tra le opere di Francesca Paci: L'islam sotto casa, Marsilio, Venezia 2004; Islam e violenza. Parlano i musulmani italiani, Laterza, Roma-Bari 2006]

 

Correva l'anno 1985, quando la studiosa americana Mary Anne Warren denunciava, pioniera, i rischi dello sterminio volontario di un genere sessuale nel saggio "Gendercide: The Implications of Sex Selection". E' passato un quarto di secolo e lungi dal rivelarsi un'iperbolica previsione, il "gendercidio", punta avanzata della crescente violenza contro le donne, si e' trasformato in drammatica attualita'. Ieri cinque agenzie dell'Onu hanno firmato a Ginevra una dichiarazione contro l'aborto selettivo delle bambine diffusissimo in Asia sud-orientale, mentre uno studio del Fondazione Thomson Reuters rilascia ora la classifica dei Paesi piu' pericolosi per la popolazione femminile, uccisa prima o dopo la nascita, socialmente discriminata o marginalizzata fino al silenzio.

E' noto che poverta' e sottosviluppo non favoriscano le pari opportunita'. Con l'87% delle donne analfabete e il 70% costrette a matrimoni combinati, l'Afghanistan guida la lista nera della Fondazione Reuters. Seguono il Congo con l'orrendo primato di 1152 stupri al giorno, il Pakistan degli oltre mille delitti d'onore l'anno, l'India e i suoi tre milioni di prostitute, il 40% delle quali minorenni, e la Somalia, dove il 95% delle ragazze ha subito mutilazioni genitali. Eppure il benessere economico non sembra serva da antidoto contro la mattanza, che gia' nel 1990 il Nobel Amartya Sen stimava aver impoverito il mondo di almeno 100 milioni di esseri femminili. Taiwan e Singapore, per dire, sono campioni di crescita, ma mostrano una sproporzione nel numero di fiocchi azzurri che sarebbe biologicamente impossibile senza l'intervento umano. C'e' poi la Cina, dove secondo la Chinese Academy of Sociale Sciences entro il 2020 un uomo su cinque non potra' sposarsi per mancanza di potenziali mogli, decimate dalla selezione "innaturale" che gia' oggi "produce" 134 neonati ogni 100 neonate. Sbaglierebbe anche chi attribuisse la moria al perdurare atemporale del comunismo o alla famigerata politica del figlio unico. Il fenomeno infatti e' in ascesa anche nei Paesi a dir poco allergici all'eredita' sovietica, come Armenia, Azerbaijan e Georgia, o nella modernissima India, modello globalmente esaltato di democrazia liberista.

"Crescere una figlia e' come innaffiare l'orto del vicino", recita un proverbio indu', alludendo all'inutile investimento sulla prole destinata alla famiglia del futuro marito. Il risultato e' che la piu' grande democrazia della Terra guadagna capacita' tecnologica, ma perde ogni anno 600.000 bambine (piu' esposte a morte precoce perche' trascurate). E non conta che dal 1994 il governo abbia bandito l'aborto selettivo: se un tempo la diagnosi prenatale costava 110 dollari e prometteva ai genitori di far risparmiare i 1100 dollari della dote, oggi con 12 dollari lo scanner a ultrasuoni e' alla portata dei meno abbienti e piu' interessati ad allevare braccia maschili. Figurarsi gli altri, benestanti e dunque convinti a riprodursi in modo contenuto e ottimale in termini di benefici futuri. Il tutto con buona pace della legalita'.

L'impressione di studiosi come il demografo dell'American Enterprise Institute Nick Eberstadt e' dunque che il "gendercidio" abbia poco a che fare con l'arretratezza economica e culturale, ma dipenda piuttosto dall'atavica preferenza per il maschio, dal boom delle famiglie ridotte e dalle tecnologie diagnostiche, una miscela letale di pregiudizi antichi e nuovi bisogni.

Qualcuno in realta' comincia gia' ad invertire la marcia. La Corea del Sud, fino al 1990 assestata su standard cinesi, ha compensato il dislivello maschi-femmine con un'impennata di matrimoni misti, che dal 2008 sono oltre l'11% del totale. L'alternativa e' l'aggressivita' macha di citta' come Pechino, dove negli ultimi 20 anni la delinquenza e' raddoppiata, o Mumbai, con gli uomini senza donne responsabili per almeno un decimo dell'aumento dei crimini.

L'emancipazione femminile batte in ritirata? Al ritmo di due passi avanti e uno indietro c'e' da sperare. Sebbene la crisi abbia colpito l'occupazione rosa e la violenza domestica avvicini tristemente Oriente e Occidente, un rapporto della Casa Bianca rivela che le donne contemporanee si laureano e brillano nel lavoro piu' dei maschi. Certo, i loro stipendi sono fermi al 70% di quelli dei colleghi ma gradi e responsabilita' combaciano. La sfida e' di genere, il pericolo pero' riguarda tutti: se crolla quella che Mao definiva l'altra meta' del cielo e' difficile che sotto qualcuno sopravviva.

 

7. RIFLESSIONE. FRANCESCA PACI INTERVISTA TIZIANA LEONE

[Dal quotidiano "La Stampa" del 16 giugno 2011 col titolo "Cinque domande a Tiziana Leone demografa".

Ricercatrice alla London School of Economics Tiziana Leone ha studiato alla Sapienza di Roma e a Southampton, ha lavorato all'ufficio statistico dell'Onu e dal 2006 e' alla London School of Economics]

 

- Francesca Paci: Sembra che il gendercidio sia andato avanti, da quando nel 1990 Amartya Sen denunciava 100 milioni di donne scomparse. E' cosi'?

- Tiziana Leone: Purtroppo le proiezioni non sono buone. In India, in particolare, il modello patriarcale un tempo circoscritto alle regioni del nord sembra aver contagiato anche il sud portandosi dietro le sue peggiori conseguenze.

*

- Francesca Paci: Perche' nonostante la globalizzazione del sapere, lo sviluppo economico e la crescente attenzione per i diritti umani, la situazione delle donne in certe zone sta peggiorando?

- Tiziana Leone: La spiegazione e' in parte demografica: il fenomeno si e' accentuato negli ultimi anni perche' la fecondita' decresce ma le famiglie continuano a desiderare il fiocco azzurro. Se pianifichi due soli figli invece dei sei di una volta hai meno chance di avere un maschio. Cosi', oltre all'aborto selettivo, cresce l'infanticidio: nei primi mesi di vita la differenza nella mortalita' di bambine e bambini e' spaventosa.

*

- Francesca Paci: Le donne studiano e lavorano di piu' ma restano vittime della violenza maschile, sia nel mondo povero che in quello "evoluto". Perche'?

- Tiziana Leone: I dati, in realta', devono essere letti con attenzione. Alcune cose vanno peggio, e' vero. Ma l'aumento dell'autonomia, dell'educazione e dell'occupazione femminile significa anche una superiore consapevolezza in termini di diritti che si traduce in maggiori denunce delle violenze subite. Insomma, forse se ne parla di piu'.

*

- Francesca Paci: Come si puo' contrastare la resistenza diffusa del retaggio patriarcale?

- Tiziana Leone: Credo che la cosa migliore sia coinvolgere di piu' gli uomini, specialmente a livello locale. La legge cambia poco, bisogna intervenire sul piano culturale, sulla mentalita'. Il governo di Delhi, per esempio, ha vietato gli aborti selettivi e in tutti gli ospedali ci sono cartelli che lo ricordano. Ma basta una mancia al tecnico di turno perche' una strizzata d'occhio riveli il sesso del feto indagato dai macchinari. In alcuni villaggi indiani manca l'acqua ma non lo scanner a ultrasuoni per la diagnostica prenatale.

*

- Francesca Paci: Cosa caratterizzerebbe un mondo molto meno colorato di rosa?

- Tiziana Leone: Superlavoro per gli psicologi, aumento della violenza e della prostituzione, concorrenza feroce per le mogli. La Cina sta gia' pagando il prezzo della selezione dei sessi.

 

8. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

9. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Letture

- Javier Fresan, I sogni della ragione. La logica matematica e i suoi paradossi, Mondo matematico - Rba Italia, Milano 2011, pp. 142, s.i.p. (ma euro 9,99).

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Riedizioni

- Margherita d'Ayala Valva e Alexander Auf der Heyde (a cura di), Toulouse-Lautrec, Skira-Rcs, Milano 2033, 2011, pp. 192, euro 6,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

- John Fante, Rapimento in famiglia e altri racconti, Il sole 24 ore, Milano 2011, pp. 80, euro 2 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore").

- Ignacio Matte Blanco, Pensare, sentire, essere, Einaudi, Torino 1995, Fabbri-Rcs, Milano 2007, 2011, pp. XVIII + 398, euro 9,90.

 

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

11. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 591 del 19 giugno 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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