Telegrammi. 596



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 596 del 24 giugno 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Tutto e' cosi' chiaro

2. Si puo'?

3. Luciano Bonfrate: Mentre l'Italia illegalmente e' in guerra

4. Si e' svolta il 23 giugno a Blera una conferenza su "Keith Haring, segno artistico e impegno civile"

5. Associazione "Respirare": Una volta di piu'

6. Antonio Cianciullo intervista Jeremy Rifkin

7. Nadia Angelucci intervista Luciana Percovich

8. Franco Basaglia: Marco Cavallo (1979)

9. Peppe Dell'Acqua: Marco Cavallo

10. Per sostenere il Movimento Nonviolento

11. Segnalazioni librarie

12. La "Carta" del Movimento Nonviolento

13. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. TUTTO E' COSI' CHIARO

 

Tutto e' cosi' chiaro.

La guerra uccide.

Il razzismo uccide.

Alla guerra e al razzismo tu devi opporti.

 

2. EDITORIALE: SI PUO'?

 

Si puo' essere per la pace senza opporsi alla guerra?

Si puo' essere umani senza opporsi al razzismo?

Si puo' essere civili senza opporsi alle stragi?

Si puo' essere onesti senza opporsi al crimine?

 

3. EDITORIALE. LUCIANO BONFRATE: MENTRE L'ITALIA ILLEGALMENTE E' IN GUERRA

 

Mentre l'Italia illegalmente e' in guerra

mentre lo stato illegalmente uccide

tanti innocenti nelle case loro

tanti innocenti alla fuga costretti

 

di nulla si accorgono gli intellettuali?

di nulla si accorgono le associazioni?

di nulla si accorgono tutti i chiacchieroni?

 

Non vi e' nelle istituzioni italiane

una sola persona alle leggi italiane fedele?

Una sola persona che si opponga al crimine

di tutti i crimini il piu' criminale: la commissione

di massacri.

 

Non vi e' tra tutti i cittadini italiani una persona

che ricordi la differenza tra il bene e il male,

che ricordi che uccidere e' un delitto?

 

Non vi e' piu' in Italia un solo

cittadino, un solo repubblicano?

Non vi e' una sola persona disposta

a resistere alla violenza assassina?

Una sola persona disposta

a lottare per salvare le vite?

 

A tal punto il fascismo ha vinto?

 

4. INCONTRI. SI E' SVOLTA IL 23 GIUGNO A BLERA UNA CONFERENZA SU "KEITH HARING, SEGNO ARTISTICO E IMPEGNO CIVILE"

[Dalle amiche e dagli amici della cooperativa "Il Vignale" di Blera (per contatti: tel. 3475988431 - 3478113696, e-mail: ilvignale at gmail.com) riceviamo e diffondiamo.

Giselle Dian, studiosa di fenomeni artistici e comunicazione multimediale, collaboratrice del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo, fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta"; nel 2010 ha realizzato un ampio studio su Keith Haring dal titolo "Keith Haring: segno artistico, gesto esistenziale, impegno civile", per il quale ha anche effettuato una serie di interviste a varie personalita' di vari campi del sapere (critici d'arte, filologi, filosofi, psicologi, sociologi, storici, operatori sociali, studiosi dei nuovi linguaggi artistici e dei media...). Ha pubblicato saggi, interviste e recensioni sul quotidiano telematico "La nonviolenza e' in cammino".

Keith Haring nasce il 4 maggio 1958 a Reading in Pennsylvania; primo ed unico maschio di quattro figli. Il padre e' il caporeparto di una societa' elettrica mentre la madre e' casalinga. In occasione della visita all'Hirshhorn Museum a Washington ammira le opere di Andy Warhol, che lasciano in lui una profonda traccia. Nel 1976 si iscrive all'Ivy School of Professional Art di Pittsburgh scegliendo l'indirizzo di grafica pubblicitaria, ma dopo i primi due semestri abbandona la scuola dedicandosi solo ed esclusivamente all'arte. Nel 1978 si trasferisce a New York, citta' che gli avrebbe offerto maggiori possibilita'. Qui si iscrive alla School of Visual Arts (Sva). Cerca il contatto con il pubblico esponendo i suoi disegni in locali pubblici e per le strade. Stringe rapporti di amicizia con artisti come Kenny Scharf e Jean-Michel Basquiat. Dal 1980 attira l'attenzione con i subway drawings, ovvero decorando gli spazi pubblicitari liberi all'interno della metropolitana di New York. Decide in seguito di lasciare la Sva e comincia ad organizzare diverse mostre collettive al Club 57 e al Mudd Club. Nel 1982 Tony Shafrazi diventa il gallerista di Haring. Per la sua prima personale l'artista fa uso per la prima volta di quadri di grande formato. I contatti con il panorama della pittura murale lo avvicinano a LA II, un giovane graffitista con il quale collabora. In poco tempo la sua fama cresce e viene conosciuto nei Paesi Bassi, in Belgio, in Giappone. In Italia espone alla galleria Lucio Amelio di Napoli. L'artista tiene lezioni di disegno presso le scuole di New York, Amsterdam, Londra, Tokyo e Bordeaux. Nel 1985 espone per la prima volta le proprie sculture in acciaio e alluminio alla Galleria di Leo Castelli di New York. In questo periodo cresce il suo impegno politico e si schiera contro l'apartheid. Nel  1986 apre il primo Pop Shop a Soho con l'obiettivo del contatto con il pubblico. Dopo aver contratto l'infezione da Hiv realizza dipinti sempre piu' duri e taglienti affiancati da un impegno legato alla ricerca contro l'Aids. Durante gli ultimi anni di vita esegue pitture murali a Barcellona, Chicago e Pisa, dove dipinge una facciata della Chiesa di Sant'Antonio con il murale intitolato "Tuttomondo". In questi anni crea una fondazione che ha il compito di promuovere progetti per l'infanzia e sostenere le organizzazioni impegnate nella lotta contro l'Aids. Haring muore di Aids il 16 febbraio 1990. Tra gli scritti e le interviste di Keith Haring: Diari, Mondadori, Milano 2001, 2007; L'ultima intervista, Abscondita, Milano 2010; tra le opere su Keith Haring: Renato Barilli, Haring, "Art dossier" Giunti, Firenze 2000; Alexandra Kolossa, Keith Haring, Taschen, Koln 2005; Christina Clausen, The universe of Keith Haring, Feltrinelli, Milano 2010 (libro + dvd); un sito di riferimento: Keith Haring Foundation, www.haring.com]

 

Giovedi' 23 giugno 2011 presso la biblioteca comunale di Blera (Vt) si e' svolta una conferenza su "Keith Haring, segno artistico e impegno civile" promossa dalla Cooperativa agricola "Il Vignale".

Ha aperto l'incontro e moderato gli interventi Marilu' Provvisiero, socia della cooperativa.

E' poi intervenuta Giselle Dian, che ha svolto un'ampia ed articolata relazione presentando il percorso esistenziale e la riflessione estetica, semiotica e morale di Keith Haring, e commentando poi in dettaglio un'ampia serie di opere del celebre artista americano.

Giselle Dian e' una giovane e apprezzata studiosa di fenomeni artistici e comunicazione multimediale; collaboratrice del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo, fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta"; ha gia' pubblicato saggi, recensioni e interviste. Su Haring ha realizzato lo scorso anno un ampio e ricco studio che esamina molteplici aspetti della figura e dell'opera dell'artista.

E' intervenuto alla conferenza anche il prestigioso fotografo viterbese Mario Onofri, che ha documentato l'evento.

Nel corso dell'incontro e' intervenuta anche Fabiana Guarcini, socia della cooperativa, acuta conoscitrice dei linguaggi e delle culture della condizione postmoderna.

Dopo la replica finale della relatrice l'incontro e' terminato con l'intervento conclusivo di Marilu' Provvisiero che ha ringraziato i partecipanti e dato appuntamento a giovedi' 30 giugno sempre presso la biblioteca comunale di Blera per la conferenza di Paolo Arena su "Stalker" di Andrej Tarkovskij (su questo tema Paolo Arena ha tenuto tempo addietro una apprezzata conferenza presso l'Universita' di Roma "La Sapienza").

Un'ampia, attenta e appassionata partecipazione ha caratterizzato l'iniziativa.

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La cooperativa agricola "Il Vignale"

Per informazioni: tel. 3475988431 - 3478113696; e-mail: ilvignale at gmail.com

Blera, 23 giugno 2011

 

5. RIFLESSIONE. ASSOCIAZIONE "RESPIRARE": UNA VOLTA DI PIU'

[Riceviamo e diffondiamo]

 

Una volta di piu' ribadiamo cosa debbano fare i Comuni nel cui territorio le acque erogate alla popolazione presentano una concentrazione di arsenico superiore a quanto la legge consenta.

Come sosteniamo da diversi mesi, occorre l'impegno di tutte le istituzioni competenti per ottenere la completa dearsenificazione dell'acqua da bere, ed in particolare che in tutti i Comuni in cui l'acqua erogata nelle case supera la concentrazione di arsenico di 10 microgrammi per litro di acqua le amministrazioni comunali si impegnino immediatamente a:

1. emettere ordinanze di non potabilita', affinche' i cittadini non si avvelenino;

2. realizzare al piu' presto impianti di dearsenificazione che dearsenifichino alla fonte tutte le acque che giungono nelle case come potabili; e' possibile farlo con risultati adeguati, in tempi brevi e con costi contenuti;

3. durante la realizzazione dei dearsenificatori fornire acqua con autobotti all'intera popolazione, agli esercizi produttivi, ai servizi;

4. informare finalmente in modo onesto la popolazione: l'arsenico e' un veleno e l'obiettivo finale delle istituzioni deve essere fornire acqua del tutto priva di arsenico.

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L'associazione "Respirare"

Viterbo, 23 giugno 2011

L'associazione "Respirare" e' stata promossa a Viterbo da associazioni e movimenti ecopacifisti e nonviolenti, per il diritto alla salute e la difesa dell'ambiente.

 

6. RIFLESSIONE. ANTONIO CIANCIULLO INTERVISTA JEREMY RIFKIN

[Dal quotidiano "La Repubblica" del 2 giugno 2011 col titolo "Gli italiani si giocano il futuro e con il sole vinceranno la sfida" e il sommario "Si deve ribaltare la logica che spinge a scelte che convengono solo alle grandi aziende e non alla sicurezza".

Antonio Cianciullo e' un giornalista impegnato sui temi ambientali. Laureato in filosofia, inviato del quotidiano "La Repubblica", ha ricevuto numerosi premi per la sua attivita'.Tra le opere di Antonio Cianciullo: Atti contro natura, Feltrinelli, Milano 1992; con Enrico Fontana, Ecomafia, Editori Riuniti, Roma 1995; con Giorgio Lonardi, Far soldi con l'ambiente, Sperling & Kupfer, Milano 1996; Il grande caldo, Ponte alle grazie, Firenze 2004; con Ermete Realacci, Soft economy, Rizzoli, Milano 2005; con Gianni Silvestrini, La corsa della green economy, Edizioni Ambiente, Milano 2010.

Jeremy Rifkin, economista americano, laureato in economia alla Wharton School dell'Universita' della Pennsylvania e in affari internazionali alla Fletcher School of law and diplomacy della Tufts University, attivista pacifista negli anni '60 e '70, fondatore nel 1969 della Citizen Commission - un'associazione che denunciava e documentava i crimini di guerra degli Usa durante il conflitto in Vietnam -, e' presidente della Foundation on economic trends di Washington e della Greenhouse Crisis Foundation, docente alla Wharton School of finance and commerce, studioso di problemi ecologici globali. Tra le opere di Jeremy Rifkin: Dichiarazioni di un eretico, Guerini e associati, Milano 1988; Entropia, Interno Giallo, Milano 1992; Guerre del tempo, Bompiani, Milano 1989; La fine del lavoro, Baldini & Castoldi, Milano 1995; Il secolo biotech, Baldini & Castoldi, Milano 1998; L'era dell'accesso, Mondadori, Milano 2000; Ecocidio, Mondadori, Milano 2001; Economia all'idrogeno, Mondadori, Milano 2002; Il sogno europeo, Mondadori, Milano 2004; La civilta' dell'empatia, Mondaodri, Milano 2010]

 

"Non e' solo un referendum sul nucleare, e' un referendum sul futuro: sono in gioco la crescita economica e la sicurezza energetica. Io penso che gli italiani andranno a votare perche' non intendono lasciare il loro destino nelle mani di pochi oligopolisti e di una tecnologia in via di abbandono. L'Italia e' il paese del sole, questa e' la chiave per uno sviluppo che puo' distribuire ricchezza e coinvolgere intere comunita'". Jeremy Rifkin, il teorico della terza rivoluzione industriale, ha passato mesi in Italia studiando le possibilita' di sviluppo green di alcune citta' e di alcune regioni e si e' andato formando un'idea precisa sulle potenzialita' del paese.

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- Antonio Cianciullo: La situazione italiana al momento appare pero' lontana dal quadro positivo che lei dipinge. Il governo prima ha paralizzato le fonti rinnovabili cancellando gli impegni assunti, poi ha varato una strategia in due tempi: oggi si cancella il piano nucleare per allontanare Fukushima dal ricordo, domani lo si ripropone.

- Jeremy Rifkin: Io resto ottimista: vedo una primavera italiana alimentata dalla fiducia nel futuro. Del resto l'Europa ha scelto la sua strada. La Svizzera chiudera' le centrali nucleari. La Gran Bretagna ha scelto di non mettere soldi pubblici sull'atomo. La Germania ha deciso di fermare i reattori entro il 2022, cioe' subito in termini di programmazione energetica, e di puntare con grande determinazione sulle fonti rinnovabili, che forniranno l'80 per cento dell'elettricita' entro il 2030, sulle reti intelligenti e sull'idrogeno. E' una rivoluzione epocale che disegna un quadro delle convenienze economiche da cui sarebbe molto pericoloso restare esclusi.

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- Antonio Cianciullo: L'Italia, che certo ha piu' sole della Germania, ha fermato il settore fotovoltaico per tre mesi, l'eolico resta bloccato dalle incertezze normative. Ritiene possibile un recupero?

- Jeremy Rifkin: Il trend di crescita delle rinnovabili a livello globale e' cosi' forte che l'effetto di trascinamento appare inevitabile. Ma sole e vento costituiscono solo un tassello della terza rivoluzione industriale. Il punto centrale e' ribaltare la vecchia logica che spinge a scelte che convengono alle grandi aziende energetiche, non alla sicurezza e alla distribuzione della ricchezza.

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- Antonio Cianciullo: E la nuova logica?

- Jeremy Rifkin: Arrivare a un sistema largamente decentrato in cui i benefici sono equamente ripartiti assicurando benessere e posti di lavoro. Il modello della terza rivoluzione industriale e' basato sull'efficienza e su una rete intelligente in cui come terminali ci sono le case che producono piu' energia di quella che consumano, le microcentrali che si moltiplicano ovunque, le auto elettriche e l'idrogeno che permette di accumulare l'energia prodotta.

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- Antonio Cianciullo: Il nucleare e' stato presentato come un'alternativa ai combustibili fossili.

- Jeremy Rifkin: E' una possibilita' che si e' chiusa nel 1979, quando c'e' stato l'incidente che ha distrutto la centrale nucleare di Three Mile Island. Da allora in America gli ordinativi si sono bloccati e neppure gli incentivi pubblici decisi da Bush sono riusciti a ridare fiducia agli imprenditori: il rischio e' troppo alto e le incertezze rendono non conveniente l'investimento.

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- Antonio Cianciullo: Dal 1979 pero' le tecnologie nucleari si sono affinate.

- Jeremy Rifkin: Non hanno superato nemmeno uno dei problemi nati 60 anni fa. La prima questione irrisolta e' la gestione delle scorie radioattive: ancora oggi non si sa dove metterle nonostante siano stati spesi miliardi di euro. La seconda questione e' la durata limitata delle scorte di uranio. La terza la possibilita' di trasformare l'uranio in plutonio, estremamente pericoloso in un quadro di forte instabilita' geopolitica. La quarta e' che le centrali nucleari hanno bisogno di molta acqua per il raffreddamento e la risorsa idrica diventa sempre piu' preziosa.

 

7. RIFLESSIONE. NADIA ANGELUCCI INTERVISTA LUCIANA PERCOVICH

[Dal sito www.noidonne.org col titolo "All'inizio erano le madri" e il sommario "Immagina il possibile. Solo la trasformazione dell'immaginario puo' rompere gli schemi interpretativi esistenti e farci rinominare la realta'. Intervista a Luciana Percovich".

Nadia Angelucci e' redattrice di "Noi donne", giornalista, esperta in cooperazione internazionale, ha vissuto in vari paesi del Sud America collaborando con Ong, Universita', Istituti di cultura; collabora con varie testate e cura la trasmissione "Bucanero" su Radio Popolare Roma.

Luciana Percovich, saggista, docente e ricercatrice della Libera Universita' delle donne di Milano (del cui comitato di gestione fa parte); ha diretto la collana di saggistica "Il Vaso di Pandora" per La Salamandra edizioni, cura la collana di storia, mito e spiritualita' femminile "Le Civette/Saggi" per l'Editrice Venexia; ha collaborato con La Tartaruga edizioni e con diverse riviste, tra cui "Fluttuaria", "Lapis", "Madreperla", "Memoria", "Orsaminore", "Reti", "Sottosopra"; suoi saggi sono apparsi anche in vari volumi collettanei, tra cui Verso il luogo delle origini, La Tartaruga, Milano 1992; Donne del Nord / donne del Sud, Angeli, Milano 1994; Figuras de la madre, Catedra, Madrid 1996; e' autrice e curatrice di vari volumi. Su Luciana Percovich dal sito della Libera universita' delle donne di Milano riprendiamo la seguente scheda: "Attiva nel movimento delle donne dall'inizio degli anni Settanta (Movimento per una medicina delle donne, Libreria delle donne di via Dogana), ha tenuto numerosi corsi per la Libera Universita' delle Donne di Milano, diretto collane di saggistica e scritto su varie riviste occupandosi di medicina delle donne, scienza, antropologia, mitologia e spiritualita' femminile. Attualmente cura la collana Le Civette/Saggi per l'Editrice Venexia. Tra le pubblicazioni, i saggi apparsi su Orsaminore, Reti, Lapis, Fluttuaria, Madreperla; le dispense dei corsi tenuti per la Libera Universita' delle donne (Passaggi, Momenti della costruzione di se', 1993; Guerre che non ho visto: sull'aggressivita' femminile, 1995; Islam e islamismo: ne parlano le donne,1996; La rivoluzione Cyber, Nuove reti di Donne, 1997; Donne, Medicina, Scienza, 1998; Mitologie del Divino: Immagini del Sacro femminile, 2000; Storie di Creazione: Immagini del Sacro femminile, 2001; Mito-Archeologia d'Europa: Immagini del Sacro femminile, 2002; Il viaggio metapatriarcale di Mary Daly, 2003); e i volumi: Posizioni amorali e relazioni etiche, Melusine, 1993 (tradotto in Figuras de la madre, Madrid, 1996); La coscienza nel corpo. Donne, salute e medicina negli anni Settanta, Fondazione Badaracco/Franco Angeli, 2005; Oscure Madri Splendenti. Le radici del sacro e delle religioni, Venexia, 2007; Colei che da' la vita, Colei che da' la forma. Miti di creazione femminili, Venexia, 2009. Ha curato l'edizione italiana di I sentieri dei sogni. La religione degli aborigeni dell'Australia Centrale, Mimesis,1997. Nel sito www.universitadelledonne.it cura la rubrica "Mito e Religioni"]

 

Tra la confusione del vivere in uno spazio e in un tempo che non sentiamo piu' adeguati a rispondere alle domande di senso sulla nostra umanita' e il cammino per cercare di intravedere una realta' che ancora non conosciamo, abbiamo fatto una chiacchierata con Luciana Percovich, docente della Libera Universita' delle Donne di Milano, appassionata di sacro femminile e pioniera della riscoperta delle radici femminili nelle civilta' storiche.

"Non uso mai il termine matriarcato; penso provochi una reazione di rigetto perche' percepito come 'societa' in cui comandano le donne'; ossia una societa' fondata sulle stesse strutture del patriarcato ma in cui il potere e' in mano alle donne. E questo anche se l'etimologia del termine matriarcato ci riporta piuttosto a mater (madre) e arche' (inizio) e la sua corretta interpretazione sarebbe 'all'inizio erano le madri'".

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- Nadia Angelucci: Che cosa si intende allora per societa' matriarcali o matrifocali, matrilineari?

- Luciana Percovich: Le societa' matriarcali, matrifocali o matrilineari hanno alla loro base dei clan o famiglie allargate il cui punto di riferimento e' l'anziana della famiglia. Generalmente in questo tipo di organizzazione sociale c'e' una condivisione delle proprieta' e dei mezzi di produzione o comunque il passaggio di questi beni avviene per via femminile. I grandi vantaggi di queste societa', detti in termini sintetici e prendendo a paragone il nostro presente, consistono nel fatto che le figlie non sono costrette ad abbandonare la famiglia materna, non ci sono problemi di gravidanze indesiderate, di figli illegittimi, di depressione post-partum, di aborti, perche' bimbi e bimbe sono sempre bene accetti, e l'allevamento viene fatto oltre che dalle madri dalle sorelle e dalle nonne. Gli anziani sono curati e godono di grande rispetto. I maschi hanno prevalentemente il ruolo di ponte con l'esterno e la figura maschile per i bambini non e' quella del padre biologico ma quella dei fratelli della madre.

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- Nadia Angelucci: In genere pero' queste strutture sociali appartengono alla preistoria, dal Paleolitico all'eta' del Bronzo. Quali sono i passaggi che ci hanno fatto abbandonare questo tipo di struttura sociale ed approdare a quello che chiamiamo il patriarcato? E perche' e' cosi' difficile liberarci dal patriarcato?

- Luciana Percovich: Il processo di trasformazione dalle culture matrifocali al patriarcato e' durato qualche millennio, perche' ha incontrato non poche resistenze. Si e' trattato di una guerra combattuta sia con le armi che con i miti e i simboli, per realizzare una rivoluzione nell'immaginario simile a quella che anche ora e' necessario fare. L'immaginario infatti da' forma alla dimensione piu' profonda dell'umano, dove trovano risposta le domande fondamentali sul senso della vita e orienta, spesso inconsapevolmente, le nostre azioni.

I sistemi patriarcali, per riuscire a imporsi, hanno dovuto sopprimere o capovolgere la sapienza millenaria delle societa' matrilineari, hanno s-naturato le simbologie del passato, colonizzandole con valori diversi, basati sulla lotta contro la madre e contro la natura, viste solo come risorse da dominare e sfruttare. Dall'Illumismo in poi, inoltre, le idee di riforma o di rivoluzione delle societa' si sono basate sul presupposto che bastasse cambiare i rapporti sociali di produzione per provocare il cambiamento. Ma ogni progetto di societa' che consideri la vita spirituale delle persone e le religioni solo come sovrastrutture e' destinato a fallire miseramente, come anche la storia del '900 dimostra.

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- Nadia Angelucci: Cosa ci possono dire questi modelli del passato?

- Luciana Percovich: Che dobbiamo rinunciare alla logica della gerarchia e dello sviluppo, inteso come una linea retta, e recuperare la dimensione circolare e ciclica. I modelli patriarcali, che dal punto di vista temporale sono venuti dopo le precedenti societa' matrifocali, non rappresentano di fatto una "evoluzione" o il "progresso", semmai il contrario. La sapienza dei primi miti racconta come la creazione non sia un gesto avvenuto all'inizio del tempo, una volta per tutte, ma che il principio di creazione viene rimesso in moto tutte le volte che, attivamente, l'umanita' riesce a stabilire rapporti di equilibrio anziche' di sopraffazione o sfruttamento.

Le societa' del passato possono costituire un modello non nella riproposizione di un ordine sociale estinto ma contribuendo a spezzare quell'immaginario negativo che e' stato loro calato addosso e riportando alla luce l'idea dell'equilibrio, tra umani e natura e tra esseri viventi tout court. Le culture matriarcali non sono obnubilate dall'idea dello sviluppo, del progresso, dell'altrove come meta; nel "qui e ora" occorre lavorare per creare l'armonia tra i vari bisogni e dimensioni. Sono societa' pacifiche, non basate sulla competizione e sull'accumulazione; hanno molto presente il senso del limite.

La Dea Madre rappresentava proprio questo principio regolatore e ciclico, non era tanto il femminile inteso come corpo che da' la vita, ma era soprattutto considerata come Colei che da' le regole, le forme attraverso cui una societa' possa svilupparsi in armonia. Con l'irruzione del Dio monoteista, esterno alla creazione, si ruppe questa visione del "divino nella natura", introducendo svalutazione e controllo su tutto cio' che e' materia e corporeita', proprio la visione che oggi ci mostra evidenti tutti i danni che ha prodotto.

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- Nadia Angelucci: C'e' un'esperienza molto attuale, quella delle nuove costituzioni di Bolivia ed Ecuador che hanno messo nel loro prologo il principio del Sumak Kawsay, parola quechua traducibile come "buon vivere" inteso come capacita' di vivere in armonia con il mondo circostante, natura ed esseri viventi. Il Sumak Kawsay e' un principio generatore, da cui scaturiscono i criteri alla base del patto sociale, e ordinatore, da cui derivano le norme che regolano la convivenza. E' un esperimento interessante perche', portato avanti a livello statuale pur con grandissime difficolta', propone la ricerca di un modello alternativo.

- Luciana Percovich: Esperienze come quelle a cui ti riferisci sono fondamentali proprio perche', pur con le grandi difficolta' che incontrano nella loro attuazione, vanno nella direzione di suscitare delle visioni alternative e provocare uno strappo nell'immaginario. La stessa rottura e' stata operata, in senso contrario, quando al concetto di Dea Madre si e' sostituito quello di Dio Padre. La Dea Madre rappresentava quel principio generatore e regolatore; Dio Padre ha introdotto e sostenuto invece le istanze di controllo e di dominio su tutto cio' che e' materiale, corpi, piante, natura.

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- Nadia Angelucci: Una sorta di sorveglianza che rompe l'autonomia e il vivere in armonia di quei corpi. Questo mi sembra uno dei tratti fondamentali di cio' che ancora oggi, in maniera sempre piu' marcata, stiamo vivendo: il biopotere.

- Luciana Percovich: Certo, questa e' la hybris del pensiero occidentale, e del pensiero scientifico in genere, che sembra voler dire alla natura: "Tu sbagli. E' l'uomo/dio che da' i modelli e se ne sei fuori, sei espulso dal biopotere".

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- Nadia Angelucci: Le donne hanno recuperato la dimensione della sacralita' perduta e il legame con il tempo della matrifocalita' attraverso alcuni gesti quotidiani; ma incentivando il genere femminile a potenziare questo modello non si rischia di marginalizzarlo ancora di piu'?

- Luciana Percovich: Il problema non e' la marginalizzazione ma il saper mettere in discussione in maniera profonda la sensatezza dei modelli patriarcali. Quando cio' avviene, non si ha piu' il desiderio di lottare per guadagnare un posticino all'interno di questo sistema proprio perche' lucidamente se ne vede la perfetta follia. Mentre diventa fondamentale il gesto di ricentrarsi su di se' in quanto donne: e' un atto fondativo che restituisce senso e fa cambiare la percezione di cio' che abbiamo intorno e introiettato dentro di noi. Significa liberarsi dalle dipendenze e osservare con distacco cio' che ci circonda. Si tratta di spostare completamente la centratura della societa' da un mondo basato sui valori maschili della competizione e del consumo per entrare invece nella dimensione della relazione con cio' che ci circonda e con i nostri limiti. La preoccupazione di autoemarginarsi e' propria di chi investe ancora molto sulla politica tradizionale.

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- Nadia Angelucci: Che senso ha un gesto individuale? Il percorso verso il cambiamento non dovrebbe essere fatto in forme di partecipazione che siano anche collettive e che prendano forma insieme ad altri?

- Luciana Percovich: Sono molte le persone che si stanno ponendo queste domande. In questo momento, non sentiamo la necessita' di renderci visibili piu' di tanto: da una parte perche' cio' che e' visibile viene rapidamente fagocitato e trasformato in merce, e dall'altra perche' siamo in una fase di ricerca, di sperimentazione. Si tratta di modificare gli obiettivi di una comunita' ma anche le modalita' di relazione tra gli individui. Tutte cose che nel mondo della politica tradizionale sono impraticabili.

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- Nadia Angelucci: Siamo in transizione tra un modello che non e' piu' adeguato e un divenire che ancora non c'e'. Dobbiamo ripensare e rinominare una realta' che ancora non conosciamo. Quali sono le pratiche che ci possono orientare in quest'epoca di cambiamenti?

- Luciana Percovich: Innanzitutto sarebbe importante riportare il sacro nel quotidiano per ridare valore a tutto quello che prendiamo nella relazione con la natura, per renderci conto che non puo' andare avanti il saccheggio dell'acqua, dell'aria, delle piante e degli animali. Che il lavoro non ha come scopo unicamente la produzione di denaro, ma che e' un modo per manifestare le nostre potenzialita' creative.

Poi condividere e praticare modelli di relazioni rituali che restituiscano a ciascuna/o la propria "anima" e ci permettano di rimetterci in sintonia con i ritmi delle stagioni, del nascere-crescere-invecchiare-morire, e quindi tornare ad una dimensione che e' altro dal tempo lineare.

I gruppi lavorano in cerchio, creando consapevolmente uno spazio extra-ordinario che permette di stabilire relazioni diverse tra le persone, lontane dai modelli della gerarchia e del dominio. Per cambiare occorre lavorare su di se' e insieme alle altre/i.

 

8. MAESTRI. FRANCO BASAGLIA: MARCO CAVALLO (1979)

[Dal quotidiano "l'Unita'" del 22 giugno 2011 col titolo "Il cavallo azzurro che porto' i matti fuori dal manicomio" e il sommario "Rivoluzioni. Franco Basaglia. La prima volta che i malati si mescolarono con i sani: un inedito racconto. Lo psichiatra: Esperienza unica che segno' un nuovo inizio. Fu il sogno di una cosa migliore. A Trieste "Impazzire si puo'": tre giorni di incontri e scambi. Questo testo inedito in Italia venne scritto nel 1979 da Franco Basaglia per la prefazione all'edizione tedesca di Marco Cavallo. Il libro di Giuliano Scabia ora torna in libreria per le Edizioni Alpha Beta Verlag".

Su Franco Basaglia riproponiamo questa nostra scheda di qualche anno fa: Franco Basaglia, nato a Venezia nel 1924 e deceduto nel 1980, e' la figura di maggiore spicco della psichiatria italiana contemporanea; ha promosso la restituzione di diritti e il riconoscimento di dignita' umana ai sofferenti psichiatrici precedentemente condannati alla segregazione e a trattamenti disumani e disumanizzanti; e' stata una delle piu' grandi figure della teoria e della pratica della solidarieta' e della liberazione nel XX secolo. Opere di Franco Basaglia: vi e' una pregevole edizione in due volumi degli Scritti, Einaudi, Torino 1981-82. Tra i principali volumi da lui curati (e scritti spesso in collaborazione con la moglie Franca Ongaro Basaglia, e con altri collaboratori) sono fondamentali Che cos'e' la psichiatria, L'istituzione negata (sull'esperienza di Gorizia), Morire di classe, Crimini di pace, La maggioranza deviante, tutti editi da Einaudi; insieme a Paolo Tranchina ha curato Autobiografia di un movimento, editori vari, Firenze 1979 (sull'esperienza del movimento di psichiatria democratica); una raccolta di sue Conferenze brasiliane e' stata pubblicata dal Centro di documentazione di Pistoia nel 1984, una nuova edizione ampliata e' stata edita da Raffaello Cortina Editore, Milano 2000; una recente raccolta di scritti e' L'utopia della realta'., Einaudi, Torino 2005. Opere su Franco Basaglia: assai utile il volume di Mario Colucci, Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia, Bruno Mondadori, Milano 2001, con ampia bibliografia; cfr. anche Nico Pitrelli, L'uomo che restitui' la parola ai matti, Editori Riuniti, Roma 2004. Un fascicolo monografico a lui dedicato e' Franco Basaglia: una teoria e una pratica per la trasformazione, "Sapere" n. 851 dell'ottobre-dicembre 1982. Si veda inoltre la collana dei "Fogli di informazione" editi dal Centro di documentazione di Pistoia. A Basaglia si ispira tutta la psichiatria democratica italiana e riferimenti a lui sono praticamente in tutte le opere che trattano delle vicende e della riflessione della psichiatria italiana contemporanea]

 

Marco Cavallo, come simbolo della liberta' da contrapporre alla miseria della psichiatria, fu un'esperienza unica. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, fornisce materiale per accese dispute sul senso e la convenienza di utilizzare un simbolo quale elemento rappresentativo di un cambiamento, un simbolo intorno al quale possano riunirsi uomini che vogliano e siano in grado di riconoscersi in una speranza. Nel nostro caso si trattava di un gruppo di persone composto da sani e malati, da matti e non matti, tutti insieme mossi dall'idea di impedire la repressione all'interno del manicomio fino a superarla, e riaffermare il diritto e la capacita' che ogni individuo ha di esprimere se stesso, alla ricerca di un progetto comune.

Ma allora Marco Cavallo e' il risultato finale del lavoro di un gruppo di animatori che, una volta arrivati all'ospedale psichiatrico, furono presi dal desiderio di mettere in movimento se stessi e gli altri? E' molto difficile rispondere a questo interrogativo. Forse una risposta si puo' trovare assistendo alla rappresentazione teatrale di Marco Cavallo, oppure comunicando qualcosa delle pratiche quotidiane nel tentativo di rendere il lettore partecipe degli sviluppi avvenuti in quegli anni nell'ospedale psichiatrico di Trieste. O forse ci sono risposte che vanno al di la' delle relazioni e di quello che puo' contenere un protocollo. Potrebbe sembrare che il lavoro di Marco Cavallo sia stato un gioco fugace, come la costruzione di un castello di sabbia spazzato via dalla prima onda. Noi non sappiamo cosa sia stato Marco Cavallo, ma una cosa e' certa: per noi ha avuto una profonda importanza. Quando oggi gli ospiti dell'allora ospedale psichiatrico di Trieste si incontrano in citta', molti ripensano al periodo in cui costruirono Marco Cavallo come a un momento che segnò un nuovo inizio; un progetto di vita che non aveva niente in comune con l'odiata quotidianita' del manicomio, ma che rappresentava piuttosto un legame tra individui in una nuova dimensione. Quando il cavallo azzurro lascio' il ghetto, centinaia di ricoverati lo seguirono. La testimonianza della poverta' e della miseria dell'ospedale invase le strade della citta' portando con se' la speranza di poter stare insieme agli altri in un aperto scambio sociale, in rapporti liberi tra persone.

E dopo Marco Cavallo? La sua non fu altro che la storia di una speranza ingannevole? Quando la speranza si limita a sorvolare la realta', quando assume il gesto dell'astrazione, della metafisica, della filosofia, si trasforma facilmente in falsa profezia. Tutto cio' avra' pure segnato la storia di Marco Cavallo, ma e' e rimane indiscutibile il fatto che, davanti a un simbolo impostosi in modo cosi' visibile, la citta' intui' per un giorno intero cosa significasse un manicomio e chi erano le persone che lo abitavano. Marco Cavallo fu, per dirlo con le parole di Marx, "il sogno di una cosa migliore".

In seguito alla classificazione sistematica della malattia introdotta dai grandi psichiatri, i manicomi ottennero la dignita' di centri medici, mentre, al tempo stesso, i malati venivano derubati della propria dignita' di persone. A ogni cosa fu assegnato il suo nome e il suo posto. Demenza precoce, disturbo maniacodepressivo, psicosi, psicopatia, direttore, infermiere, infermiera, e cosi' via. L'occupazione fu totale. Da Emil Kraepelin in poi, le persone con disturbi mentali non sono piu' alla "ricerca di un autore"; si trovano piuttosto di fronte a una compagnia e a un capocomico che recitano improvvisando di continuo. Il manicomio si trasforma in teatro, il teatro della follia, che diventa elemento fondamentale nei quotidiani alti e bassi della vita, un teatro che tranquillizza sia i ricoverati che i non ricoverati. La violenza che vi si esercita e' la risposta razionale alla violenza e alla pericolosita' dei malati. In questo modo la malattia diventa "ragione" e la "sragione" del folle scompare dietro la logica dell'ordine della diagnosi clinico-psichiatrica. Lo "schizofrenico" non e' piu' un folle, ma diventa un "malato mentale". Cio' segna una svolta storica nel modo di interpretare i comportamenti umani.

Se noi consideriamo un paziente in base alla sua cartella clinica, lo incateniamo agli aspetti negativi della sua biografia proprio cosi' come viene descritta. Nel contesto di tale descrizione, il suo comportamento viene spiegato a posteriori, il che va poi a confermare la consistenza della sua deviazione, cosicche' viene definito minaccioso e percio' bisognoso di essere tenuto sotto controllo. Questo e' il costrutto che motiva le misure medico-giuridiche, che legittima la sanzione del comportamento deviante del "malato mentale" nel manicomio allo scopo di difendere la societa' dall'irrazionale corpo malato. E appena i bisogni delle persone non trovano piu' altro posto per esprimersi che nell'irrazionale (in quello che viene definito tale), si arriva al punto in cui la "malattia mentale", cosi' come un cancro, va estirpata dall'organismo sociale, va etichettata e isolata. Con cio' inizia l'esclusione classificatoria, la spietata trasformazione dell'individualita' in oggetto. La malattia, o meglio un'accezione della malattia, viene cucita addosso ai singoli soggetti come una camicia che presto diventa troppo stretta o troppo larga, perche' in nessun caso e' fatta a loro misura. Sin dall'inizio questa e' la realta' del manicomio.

A poco a poco si alzano le voci che affermano che la psichiatria si e' sbagliata, che gli psichiatri sono nel torto. Il manicomio porta le persone che vi sono rinchiuse non alla guarigione ma alla morte, e per questo va distrutto. La psichiatria dominante giudica un'affermazione di questo tipo folle oppure il riflesso di un'ideologia politica rivoluzionaria che mira ad abbattere la scienza e l'ordine vigente. E nonostante cio', viene colta dal bisogno di giustificare se stessa. Oggi come in passato la psichiatria dominante si rifiuta di ammettere i propri insuccessi di fronte alle persone che sono state inghiottite dai manicomi, persone di cui non sono rimasti che corpi senza storia, oggetto di una pura e semplice diagnosi clinica. Continua ostinatamente a chiudere gli occhi davanti alla ragione dell'irriducibilita' della follia. E' stata questa considerazione che ha portato a riconoscere l'istituzione psichiatrica come una "falsa profezia". Con le sue classificazioni violenta il comportamento e impedisce la percezione della sofferenza, delle sue cause e di quanto sia correlata alle condizioni di vita e alle possibilita' di esprimersi che il singolo individuo trova o non trova nella societa'. Continuare ad accettare la psichiatria e la sua definizione di "malattia mentale" significa accettare che un mondo sconvolto e distruttivo sia l'unico mondo possibile, naturale e immutabile contro il quale non ha senso lottare. Finche' sara' cosi', continueremo a formulare diagnosi, prescrivere cure e trattamenti, inventare nuove tecniche terapeutiche, pur consapevoli del fatto che il vero problema e' altrove.

 

9. MEMORIA. PEPPE DELL'ACQUA: MARCO CAVALLO

[Dal quotidiano "l'Unita'" del 22 giugno 2011 col titolo "La storia di Marco Cavallo ritorna in libreria in una collana targata 180" e il sommario "Durante la tre giorni triestina dedicata ai 'matti' torna in libreria (libro+dvd, pp. 240, euro 20) nella nuova Collana 180 di Edizioni Alpha Beta Verlag, diretta da Peppe Dell'Acqua, Nico Pitrelli e Pier Aldo Rovatti" e il box "A Trieste 'Impazzire si puo'': tre giorni di incontri e scambi. Di Marco Cavallo (libro) si parlera' venerdi' a Trieste nel corso di 'Impazzire si puo' - viaggio nelle possibilita' delle guarigioni' (da oggi a venerdi'), nel Parco dell'ex manicomio di San Giovanni dove fu concepita la storica riforma di Franco Basaglia. La tre giorni e' all'insegna dell'assemblea (prima azione rivoluzionaria di Basaglia, con la quale diede voce agli internati). Molti saranno gli ospiti che si alterneranno nel corso dei meeting, che si svolgeranno pensando alle 'assemblee goriziane' degli anni '60: fra questi Pino Roveredo, Massimo Cirri, Ida Di Benedetto, Donatella Poretti, Roberto Natale, Michele Saccomanno e le persone che attraversano o hanno attraversato l'esperienza del disagio psichico. Oggi, dalle 10.30, e' in programma il secondo raduno nazionale delle Radio per la Salute Mentale in Italia".

Peppe Dell'Acqua, psichiatra, e' direttore del Dipartimento di salure mentale di Trieste. Nell'ospedale psichiatrico di quella citta' ha cominciato a lavorare nel 1971 con Franco Basaglia partecipando al cambiamento e alla chiusura del manicomio. Dalla fine degli anni Settanta ha contribuito alla nascita dei primi centri di salute mentale terrioriali. Svolge anche attivita' di consulenza scientifica e collabora con programmi radiofonici e televisivi sul disturbo mentale. Tra le opere di Peppe Dell'Acqua: Non ho l'arma che uccide il leone. Storie dal manicomio di Trieste, Nuovi Equilibri, Viterbo 2007; Fuori come va? Famiglie e persone con schizofrenia. Manuale per un uso ottimistico delle cure e dei servizi", Editori Riuniti, Roma 2003, 2005, Feltrinelli, Milano 2010]

 

Era il 25 febbraio del 1973 quando Marco Cavallo mise prima il muso, poi le zampe e il corpaccione blu oltre la soglia proibita. Quel giorno valico' il confine che separava la Trieste dei sani, dei normali, e quella dei matti, condannati a restare chiusi dentro il parco di San Giovanni. Nell'Ospedale psichiatrico che, ormai, aveva i giorni contati. Allora, il corto viaggio del cavallo blu attraverso le strade della citta', e poi su fino al colle di San Giusto e a quello di San Vito, risuono' forte come un grido di liberta'. Come l'affermazione a piena voce del concetto che anche i "diversi" hanno diritto di cittadinanza nella societa'. Nella realta'. Ma oggi, a oltre 35 anni di distanza, c'e' chi di tutta quella storia sa poco o nulla. E magari ha dimenticato quanto rivoluzionario fu l'ingresso, prima a Gorizia e poi a Trieste, di Franco Basaglia e dei suoi collaboratori in strutture drammaticamente chiuse, claustrofobiche, capaci di annullare la dignita' delle persone, come gli ospedali psichiatrici. E allora? E' nato il progetto di una collana di libri intitolata "180 Archivio critico della salute mentale", pubblicata da Edizioni Alpha Beta Verlag di Merano. Che tra pochi giorni debutta nelle librerie con l'uscita del suo primo volume: una nuova edizione, arricchita, del Marco Cavallo dello scrittore e regista teatrale Giuliano Scabia. Del testo esiste una prima versione, ormai introvabile, pubblicata nel 1976 da Einaudi.

Questo progetto ha preso forma in riva al mare. Eravamo in vacanza a Ustrine, un delizioso borgo dell'isola di Cherso. Il motore di quest'idea e' stato l'editore Aldo Mazza, convinto come noi che si sentisse la mancanza di un archivio critico della salute mentale. Basti ricordare che gli stessi testi di Basaglia si trovano a fatica in libreria. Cosi' abbiamo pensato di muoverci su quattro traiettorie. ci saranno le Narrazioni, le Riproposte, l'Attualita' e le Traduzioni. Una grande scommessa, che avra' distribuzione nazionale. E che vede gia' alcuni progetti in divenire.Come, per esempio, il prossimo libro: sara' dedicato a C'era una volta la città dei matti, il bel film televisivo di Marco Turco con Fabrizio Gifuni nei panni di Basaglia. Raccoglieremo soggetto e sceneggiatura piu' altri materiali inediti. Ma ci piacerebbe anche aprire l'orizzonte a progetti come Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute di Marco Paolini.

 

10. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

11. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Hannah Arendt, Karl Jaspers, Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989, pp. XXIV + 248.

 

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

13. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 596 del 24 giugno 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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