Telegrammi. 749



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 749 del 24 novembre 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Maria G. Di Rienzo: Bravate

2. Lea Melandri e Maria Grazia Campari: Perche' il 25 novembre non sia solo una ricorrenza. Violenza di genere: dal privato alla sfera pubblica

3. La "Carta" del Movimento Nonviolento

4. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: BRAVATE

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento.

Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005; (a cura di), Voci dalla rete. Come le donne stanno cambiando il mondo, Forum, Udine 2011. Cfr. il suo blog lunanuvola.wordpress.com Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81; si veda anche l'intervista in "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 250, e quella nei "Telegrammi" n. 425]

 

"La bravata le e' costata cara"; "La bravata si e' trasformata in un incubo". Cosi' i giornali commentano lo stupro di una sedicenne, nei bagni della stazione di Lecce, ad opera degli "amici" con cui aveva marinato la scuola (22 novembre 2011).Chi scrive tali commenti non ha mai fatto "bravate", naturalmente. Ai tempi loro non hanno mai saltato una lezione, e al presente non hanno mai sentito nulla rispetto a quel che succede nei bagni delle scuole o nelle aule stesse. Io qualcosa ho udito e letto: dalle foto pornografiche con i cellulari alle violenze in classe (persino con la copertura degli altri studenti ed in presenza del professore) fino agli stupri veri e propri nelle toilette. Quindi, andare a scuola non era necessariamente piu' sicuro che andarsene a zonzo in una citta' vicina come ha fatto la ragazza in questione.

Forse avrebbe fatto meglio a non iscriversi affatto alle superiori: dopotutto, a che servono i diplomi di questi tempi, per di piu' ad una femmina. Il fatto che sia stata violentata mostra che e' appetibile sessualmente, no? "Ci sono un sacco di belle ragazze la' fuori, non posso mettere a tutte loro un soldato alle calcagna", spiegava autorevolmente, qualche tempo fa, un esperto del settore recentemente dimissionario dalla carica di governo, ignorando purtroppo che essere brutte, o vecchie o infanti o malate o in difficolta' non conta nulla per sfuggire alla violenza, in Italia o altrove, come provano gli stupri di bambine, di disabili, di pazienti ospedaliere, di ottantenni eccetera.

Comunque, una ragazzina caruccia trovera' sicuramente chi la compra, per cui smetta pure di andare a scuola e perfezioni la propria appetibilita' fra le accoglienti mura di casa. Ma - statistiche e resoconti di cronaca alla mano - stare a casa e' ancora meno sicuro che frequentare la scuola. Puo' cominciare a violentarti quando hai nove anni l'amico di famiglia sessantenne (Milano, gennaio 2011); l'intera tua famiglia puo' coalizzarsi a sostegno del tuo stupratore, soprattutto se costui e' tuo padre e permette anche ad altri membri di abusare di te, fin da quando hai dieci anni (Caserta, luglio 2011); puo' essere l'amato nonnino a portarti a letto assieme a tua sorella maggiore quando ne hai 11 (Avellino, gennaio 2011); a 12 tuo zio e tuo cugino possono mettere tranquillamente "la loro parte intima" nella tua "parte intima" (Palermo, aprile 2011); puo' essere il tuo prozio a costringerti a pratiche sessuali quando di anni ne hai 13 (Pisa, giugno 2011). A quattordici magari riesci a denunciarlo, il padre violentatore, ma solo dopo aver filmato di nascosto con il telefonino quel che ti fa, perche' prima nessuno ti ha creduto (Parma, aprile 2011). A meno che, naturalmente, tuo padre non ti metta incinta prima, quando di anni ne hai 10 (Genova, luglio 2011). Intendiamoci, non e' che quando cresci e stai per formarti una famiglia tua o l'hai gia' formata ti vada poi meglio: l'anno scorso 127 donne sono morte in Italia per mano dei loro fidanzati, compagni, mariti o ex tutto questo.

Quindi, torniamo al punto iniziale: e' la "bravata" ad aver causato lo stupro della ragazza? In altre parole, e' colpa sua? Mi scuso per i paragoni che sto per fare, perche' la gravità delle situazioni non e' comparabile, ma cari giornalisti: quando vi rubano l'automobile, vi piacerebbe leggere un articolo in cui si dice che la "bravata" di averla lasciata in un parcheggio incustodito vi e' costata cara? Se subite uno scippo, magari con qualche ingiuria fisica aggiunta, vi comoderebbe che fosse riportato come "La bravata di andarsene in giro con un borsello si e' trasformata in un incubo"?

Non capite che piu' biasimate le vittime della violenza sessuale piu' contribuite a crearne di altre? La ragazzina violata stava semplicemente facendo quelle che la stragrande maggioranza delle e degli adolescenti fa in tutto il mondo almeno una volta: marinare la scuola con dei compagni di cui ci si fida. Questo puo' meritarle una nota sul diario o sul registro, non uno stupro, e i "bravi" (nel senso manzoniano del termine) sono casomai i due violentatori, quelli che dopo aver distrutto la vita della loro "amica" in un cesso di stazione ferroviaria l'hanno abbandonata la' e sono tranquillamente saliti sul treno per far ritorno a casa. Sicuri che la vergogna e la riprovazione sarebbero state scaricate sulla loro vittima. Non sarebbe ora di sottrarre loro almeno questa convinzione?

 

2. APPELLI. LEA MELANDRI E MARIA GRAZIA CAMPARI: PERCHE' IL 25 NOVEMBRE NON SIA SOLO UNA RICORRENZA. VIOLENZA DI GENERE: DAL PRIVATO ALLA SFERA PUBBLICA

[Riproponiamo ancora il seguente appello di Lea Melandri e Maria Grazia Campari, dell'Associazione per una Libera universita' delle donne di Milano (sito: www.universitadelledonne.it), appello che ha gia' ricevuto numerosissime adesioni.

Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Tra le opere di Lea Melandri segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001; Amore e violenza, Bollati Boringhieri, Torino 2011. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'".

Maria Grazia Campari e' una prestigiosa giurista e intellettuale femminista, impegnata nei movimenti per la pace e i diritti; dal medesimo sito riprendiamo la seguente scheda: "Maria Grazia Campari, avvocata, appartiene all'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano e all'Associazione Rosa Luxemburg di Firenze. Ha scritto per varie riviste (Democrazia e diritto, Quale giustizia, Il diritto delle donne, Reti, Alternative, Sottosopra, Il paese delle donne...) e collabora al sito sui temi del diritto sessuato, della violenza sessista, della rappresentanza politica e sociale, della cittadinanza femminile e delle problematiche di bioetica. Ha partecipato alla scrittura di alcune opere collettanee: Donne e diritto. Lessico politico delle donne; Percorsi del femminismo milanese a confronto; L'eredita' del femminismo per una lettura del presente; Ai confini dello stato sociale; Con Rosa Luxemburg - politica, cultura, impegno contro la guerra; Donne e uomini nella politica: rappresentanza, partecipazione, conflitti"]

 

Il problema della violenza maschile sulle donne - in particolare quella che avviene in ambito domestico (maltrattamenti, stupri, persecuzioni, omicidi, ecc.) - e' stato, negli ultimi sei anni, al centro di grandi manifestazioni nazionali, oggetto di dibattiti, appelli, documenti, ricerche, iniziative cittadine, da parte delle componenti piu' varie dell'impegno femminile. Il fenomeno, come apprendiamo purtroppo dalle cronache quotidiane, non e' diminuito, anzi, e' aumentato sommandosi alla violenza omofobica contro la liberta' di scelta sessuale, mentre e' invece inspiegabilmente scomparso dall'agenda del movimento delle donne nel momento stesso in cui stanno per essere chiusi, per mancanza di finanziamenti, alcuni centri antiviolenza.

Senza aspettare che sia la ricorrenza del 25 novembre a ricordarcelo, e' percio' necessario che il tema venga ripreso e affrontato per la gravita' che riveste e l'ampiezza delle implicazioni,  private e pubbliche, che vi sono connesse.

Nella speranza che il movimento nato dalle piazze del 13 febbraio non voglia attestarsi soltanto su posizioni rivendicative, cancellando il mutamento profondo che dagli anni '70 in avanti il femminismo ha portato alla concezione tradizionale della politica, e' importante percio' che, prima di definire un'agenda fatta di obiettivi, proposte specifiche, articolate su diversi piani, si faccia chiarezza sulle interpretazioni che hanno impedito finora di affrontare in tutta la sua complessita' e ambiguita' una violenza che sembra legata fatalmente alle vicende piu' intime del rapporto tra i sessi (sessualita', amore, maternita', affetti famigliari):

1. la lettura in chiave di devianza o patologia individuale, e non come residuo dell'antico potere patriarcale di vita e di morte su donne, schiavi e figli;

2. l'uso in chiave sicurezza pubblica e di conflitto di civilta', cioe' contro i costumi barbarici di questo o di quello "straniero";

3. l'idea che si possa arginarla con politiche di tutela familiare, senza tener conto che sono proprio i vincoli familiari a tenere ambiguamente confuse protezione e aggressivita'.

Un altro passaggio importante e' non isolare la violenza nelle sue forme manifeste da quella che passa e si perpetua invisibile attraverso la cultura maschile dominante - istituzioni, saperi, linguaggi, habitus mentali, norme morali, mezzi di comunicazione, ecc. -, una rappresentazione del mondo che le donne stesse hanno, loro malgrado, interiorizzata e fatta propria. Rientra nella violenza simbolica o culturale anche la difficolta' a vedere il rapporto di potere tra uomo e donna per la valenza politica che ha in se', per cui persiste la tendenza a porlo come "questione femminile": le donne viste come un gruppo sociale omogeneo, portatore di uno "svantaggio" storico da colmare, o di un "talento" da valorizzare quanto merita. In altre parole: un sesso debole da tutelare, o una risorsa salvifica, una visione tutta interna alle "differenze di genere" cosi' come sono arrivate fino a noi, le stesse sulla base delle quali e' avvenuta la divisione tra privato e pubblico, la complementarizzazione e la subordinazione del ruolo femminile a quello maschile.

L'identificazione della donna con il corpo, la funzione sessuale e riproduttiva, e quindi la sua cancellazione come persona, e' la ragione prima della sua esclusione dalla polis, ma a sua volta e' la violenza implicita in questa privazione di spazi essenziali di liberta' e di potere decisionale ad avere pesanti ricadute negative sulla vita delle donne: dai gesti quotidiani di disvalore alla persecuzione violenta di quelle che tentano gesti di autonomia.

*

Misure efficaci

Lo svantaggio sociale femminile cristallizzato nella famiglia tradizionale e' all'origine della violenza maschile che alligna nel privato e si espande nel pubblico anche grazie alla mercificazione mediatica del corpo femminile, usato come elemento eccitante di promozione vendite in senso lato.

Lo svantaggio politico percepibile in una democrazia a-partecipata e monosessuata determina il quadro e lo completa.

Ecco perche' la violenza sessista, anche domestica, non puo' mai essere un fatto privato, ma e' un'indecenza pubblica che le istituzioni non possono ignorare o mistificare attraverso la scorciatoia dell'utilizzo del diritto criminale come risposta esclusiva o preponderante.

A ben altri livelli occorre agire per sradicare questo grumo di violenza ancestrale, sedimentato nell'immaginario maschile, che va contrastato a partire dai primissimi messaggi che i bambini ricevono dalla famiglia, dalla scuola e dalla societa'.

Le misure suggerite dall'esperienza ben piu' seriamente strutturata in altri Paesi europei (vedi legge spagnola del 2004) partono appunto da un piano di acculturamento e sensibilizzazione fin dalla prima infanzia per il cambiamento delle relazioni fra donne e uomini, in ogni contesto del vivere associato.

Si sviluppano attraverso piani scolastici multilivello e una legislazione onnicomprensiva che evidenzia l'origine sessista e discriminatoria della violenza contro le donne e la previene attivamente, contrastando esclusioni e pregiudizi.

Si concretano attraverso una vigilanza costante e un monitoraggio dei risultati, attivando interventi correttivi e provvidenze pubbliche adeguate.

Prevedono, oltre alla visibilita' del problema, ritenuto di interesse generale, ruoli attivi delle istituzioni pubbliche centrali e locali,  gravate delle connesse responsabilita'.

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Proposte iniziali

In concreto, sull'esempio di cio' che si fa in altri Paesi, pensiamo si debba promuovere un piano nazionale di sensibilizzazione e prevenzione della violenza di genere, incentrato su specifiche iniziative, tra cui qui citiamo:

- un programma di educazione/formazione sull'esercizio di diritti e obblighi uguali fra maschi e femmine nell'ambito sia privato che pubblico che si sviluppi fin dal livello scolastico elementare;

- il lancio di campagne pubbliche di sensibilizzazione contro gli stereotipi dei ruoli familiari femminili;

- la promozione di azioni positive per la eguaglianza di genere in tutti i campi del vivere associato (politico, economico, culturale), da rispettare rigorosamente (e la cui inosservanza venga sanzionata);

- il reintegro dei fondi incredibilmente sottratti ai Centri antiviolenza e alle Case delle donne, fondi che andrebbero al contrario  aumentati per rafforzare le equipe che vi operano con varie professionalita' a collaborazione integrata;

- l'istituzione di un Osservatorio indipendente di monitoraggio sui diritti delle donne e di vigilanza sui mezzi di informazione e pubblicita', a garanzia di un trattamento conforme ai valori costituzionali e alla dignita' personale delle donne.

Riteniamo dovere principale di tutti gli schieramenti politici e dei singoli che si candidano per ruoli istituzionali in Italia e in Europa l'elaborazione e il perseguimento concreto di un piano integrato per la soluzione di questa incancrenita piaga sociale. Ma quel che ci preme di piu' e' la presa di responsabilita' da parte di tutte le donne impegnate in un ruolo istituzionale: a loro chiediamo esplicitamente di proporre, seguire e curare a ogni livello le misure necessarie a questa improrogabile svolta di civilta'.

Anche su questa base,  che intendiamo verificare nelle fasi di ideazione e di realizzazione, si decideranno le nostre scelte politiche future.

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Per adesioni: e-mail: appello at zeroviolenzadonne.it, sito: www.zeroviolenzadonne.it

 

3. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

4. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 749 del 24 novembre 2011

 

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