Telegrammi. 1255



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 1255 del 25 aprile 2013

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Peppe Sini: Contro il fascismo che torna. Il nostro 25 aprile

2. Da Simone de Beauvoir a Eve Ensler

3. Segnalazioni librarie

4. Alcuni testi da "In cammino verso Assisi" del mese di settembre 2000 (parte quarta)

5. Sulla necessita' della scelta della nonviolenza

6. Alcuni criteri della lotta gandhiana secondo Johan Galtung

7. Alcune forme di lotta nonviolenta secondo Johan Galtung

8. Aspetti psicologici dell'impegno nonviolento

9. La "Carta" del Movimento Nonviolento

10. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. CONTRO IL FASCISMO CHE TORNA. IL NOSTRO 25 APRILE

 

Il nostro 25 aprile non e' il loro.

Non e' quello degli ipocriti complici della guerra e del razzismo.

Non e' quello dei prominenti del regime della corruzione, dell'eversione dall'alto, del populismo sciovinista.

Non e' quello delle menzognere liturgie, delle routine arrugginite, dei discorsi recitati con parole insincere e stantie, del frettoloso fingere una passione spenta.

Non e' quello delle parate chiassose, delle visite cieche ai monumenti corrosi, delle voraci scampagnate.

Non e' quello della societa' dello spettacolo, della barbarie consumista, della retorica degli imbonitori.

No, il nostro 25 aprile non e' il loro.

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Il nostro 25 aprile e' la fedelta' alla Resistenza.

Il nostro 25 aprile e' la fedelta' alla Liberazione.

Il nostro 25 aprile e' la fedelta' alla Costituzione della Repubblica Italiana.

Il nostro 25 aprile e' la fedelta' alla Dichiarazione universale dei diritti umani.

Fedelta' alla Resistenza, che fu luminosa e dolorosa la lotta delle persone migliori, e la sollevazione dei popoli oppressi per far cessare tutti i fascismi, per far cessare tutte le guerre, per restituire l'umanita' all'umanita' intera. La Resistenza che ancora ci chiama alla lotta solidale ovunque una persona e' umiliata e offesa.

Fedelta' alla Liberazione, che fu la sconfitta della barbarie, la cessazione della dittatura e delle stragi, la fine del regno della violenza; la Liberazione che fu il ritorno della dignita' umana, la riconquista della convivenza, della solidarieta', della civilta'. La Liberazione che ancora ci chiama alla lotta finche' l'intera umanita' sia libera, finche' ad ogni persona siano egualmente riconosciuti tutti i diritti nel rispetto della diversita' di ciascuno; per una societa' di liberi ed eguali - ed eguali in quanto tutti irriducibilmente diversi - in cui ad ogni essere umano sia dato a seconda dei suoi bisogni e da ogni essere umano sia dato a seconda delle sue capacita'; per quella che con antiche parole ancora chiamiamo l'internazionale futura umanita' - futura, e gia' compresente ogni volta che tu fai l'azione buona, l'azione responsabile, l'azione giusta.

Fedelta' alla Costituzione della Repubblica Italiana ed alla Dichiarazione universale dei diritti umani, i patti in cui si e' giurato il senso e il fine della Resistenza e della Liberazione. La Costituzione della Repubblica Italiana e la Dichiarazione universale dei diritti umani che ancora ci chiamano alla lotta finche' quegli impegni solennemente sanciti siano inverati ovunque.

Questo e' il nostro 25 aprile.

*

Ci convoca il nostro 25 aprile.

Ci convoca a denunciare e contrastare il tradimento di quella liberazione: il tradimento attuato dalle classi dominanti che hanno operato per ripristinare il regime della violenza, della menzogna, dell'ingiustizia, della sopraffazione, della distruzione.

Ci convoca al dovere di continuare la lotta contro il fascismo che torna: e quindi ci convoca alla lotta contro la guerra, gli eserciti e le armi; ci convoca alla lotta contro il razzismo ed ogni pregiudizio e persecuzione; ci convoca alla lotta contro i poteri criminali, i poteri occulti, il regime dello sfruttamento e della corruzione; ci convoca alla lotta contro il sistema di potere maschilista e patriarcale che non solo criminalmente nega piena dignita' a meta' dell'umanita', ma precipita anche l'altra meta' in una condizione disumanata; ci convoca alla lotta in difesa della biosfera che e' la casa comune dell'umanita' intera, ed altresi' il sistema vivente complesso ed olistico a un tempo di cui anche l'umanita' e' parte.

Ci convoca il nostro 25 aprile.

Convoca ogni persona di retto sentire e di volonta' buona ad uscire dalla rassegnazione, ad uscire dalla subalternita', ad uscire dalla contemplazione atterrita dell'orrore; a contrastare ogni ignavia e rompere ogni complicita'; ad assumere personalmente la responsabilita' della lotta per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani e in difesa del mondo vivente.

Convoca all'agire comune per il bene comune: convoca alla democrazia progressiva, alla responsabilita' e alla condivisione, alla socializzazione delle risorse fondamentali e dei fondamentali mezzi di produzione, all'accudimento in comune dei beni comuni, al dovere di ognuno che fonda i diritti di tutti.

Ci convoca, infine e soprattutto, all'unica scelta intellettuale, morale e politica concretamente adeguata e coerente con la Resistenza, con la Liberazione, con la Costituzione repubblicana e con la Dichiarazione universale dei diritti umani unite in un sinolo: questa scelta e' la nonviolenza.

Nella scelta, nella lotta nonviolenta oggi rivive la Resistenza; nella scelta, nella lotta nonviolenta e' la fedelta' alla Liberazione; nella scelta, nella lotta nonviolenta e' l'inveramento del patto giurato nella Costituzione repubblicana e nella Dichiarazione universale dei diritti umani.

E questo e' il nostro 25 aprile.

 

2. INCONTRI. DA SIMONE DE BEAUVOIR A EVE ENSLER

 

Si e' svolto nel pomeriggio di mercoledi' 24 aprile 2013 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di studio sul tema: "Per una cultura e una prassi dell'antifascismo vivente e operante: da Simone de Beauvoir a Eve Ensler".

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L'incontro era parte di un ciclo di incontri di studio in preparazione del 25 aprile, incontri nel corso dei quali si vengono leggendo e commentando alcuni testi classici dell'antifascismo e della cultura democratica: nei precedenti incontri sono stati letti testi di Rosa Luxemburg, Hannah Arendt, Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Giacomo Matteotti, Carlo e Nello Rosselli, i martiri della Rosa Bianca, Dietrich Bonhoeffer, Primo Levi, Nelson Mandela, Etty Hillesum, Germaine Tillion, Piero Calamandrei, Margarete Buber Neumann, Albert Camus, George Orwell. Virginia Woolf, Franco Basaglia, Franca Ongaro Basaglia, Stephane Hessel, Tzvetan Todorov, lettere dei caduti della Resistenza e brani della Costituzione della Repubblica Italiana.

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Simone de Beauvoir e' nata a Parigi nel 1908; e' stata protagonista, insieme con Jean-Paul Sartre, dell'esistenzialismo e delle vicende della cultura, della vita civile, delle lotte politiche francesi e mondiali dagli anni Trenta fino alla scomparsa (Sartre e' morto nel 1980, Simone de Beauvoir nel 1986). Antifascista, femminista, impegnata nei movimenti per i diritti civili, la liberazione dei popoli, di contestazione e di solidarieta', e' stata anche lucida testimone delle vicende e degli ambienti intellettuali di cui e' stata partecipe e protagonista. Opere di Simone de Beauvoir: pressoche' tutti i suoi scritti sono stati tradotti in italiano e piu' volte ristampati; tra i romanzi si vedano particolarmente: Il sangue degli altri (Mondadori), Tutti gli uomini sono mortali (Mondadori), I mandarini (Einaudi); tra i saggi: Il secondo sesso (Il Saggiatore e Mondadori), La terza eta' (Einaudi), e la raccolta Quando tutte le donne del mondo... (Einaudi). La minuziosa autobiografia (che e' anche un grande affresco sulla vita culturale e le lotte politiche e sociali in Francia, e non solo in Francia, attraverso il secolo) si compone di Memorie d'una ragazza perbene, L'eta' forte, La forza delle cose, A conti fatti, cui vanno aggiunti i libri sulla scomparsa della madre, Una morte dolcissima, e sulla scomparsa di Sartre, La cerimonia degli addii, tutti presso Einaudi. Opere su Simone de Beauvoir: Enza Biagini, Simone de Beauvoir, La Nuova Italia, Firenze 1982 (cui si rinvia per una bibliografia critica ragionata).

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Eve Ensler, drammaturga, poetessa, sceneggiatrice e regista, docente universitaria, attivista per i diritti delle donne, fondatrice e direttrice artistica di "V-Day", movimento globale che combatte la violenza alle donne e alle bambine, vive a New York. Tra le opere di Eve Ensler: I monologhi della vagina, Marco Tropea Editore, Milano 2000; Il corpo giusto, Marco Tropea Editore, Milano 2005. Come e' noto I monologhi della vagina ha ricevuto nel 1997 il prestigioso Obie Award, ed e' stato portato in scena con grande successo a Broadway (con star come Susan Sarandon, Glenn Close, Melanie Griffith e Winona Ryder), a Londra (con Kate Winslet e Cate Blanchett) e in diverse altre citta' del mondo. "V-Day", il movimento internazionale contro la violenza su donne e bambine, di cui Eve Ensler e' fondatrice, dal 1999 ha finanziato piu' di 10.000 rifugi e programmi antiviolenza (per informazioni: www.vday.org). Su sua iniziativa il 14 febbraio 2013 in tutto il mondo si e' svolta la manifestazione "One Billion Rising" contro la violenza sulle donne (per informazioni: http://onebillionrising.org).

 

3. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Letture

- Roberta De Monticelli, La novita' di ognuno. Persona e liberta', Garzanti, Milano 2009, 2012, pp. 400, euro 11,60.

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Riedizioni

- Seneca, La tranquillita' dell'anima, Rcs Libri, Milano 1997, 2012, pp. 148, euro 8,90.

 

4. MATERIALI. ALCUNI TESTI DA "IN CAMMINO VERSO ASSISI" DEL MESE DI SETTEMBRE 2000 (PARTE QUARTA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio "In cammino verso Assisi" nel mese di settembre 2000.

 

5. SULLA NECESSITA' DELLA SCELTA NONVIOLENTA

[Questo testo, come anche gli estratti da Johan Galtung successivi, e' ricavato dal nostro lavoro "La nonviolenza  contro la guerra"]

 

I. La nonviolenza come "potere di tutti"

La nonviolenza e' il "potere di tutti": ovvero quella metodologia di lotta e quella proposta di valori che hanno come fondamento il massimo di apertura agli altri, il massimo di riconoscimento e promozione di umanita', la prospettiva democratica integrale: fino al farsi carico nelle proprie scelte non solo dell'intera umanita' presente, ma anche di quella passata e di quella futura.

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II. Due opportune specificazioni sulla responsabilita' verso l'umanita' futura e passata

Il tema della responsabilita' nei confronti delle generazioni future e' ormai uno dei nodi cruciali della riflessione etica contemporanea con particolar riferimento alla crisi ecologica ed alle questioni bioetiche.

Il tema della responsabilita' verso le generazioni passate e' compresente nelle tradizioni culturali fin piu' arcaiche nella forma del culto dei morti, e sebbene sia stato forse meno tematizzato in termini di oggetto di riflessione delle etiche pubbliche contemporanee, esso e' sentito fortissimamente da ogni essere umano in quanto si riconosce parte di una comunita' specifica - appunto l'umanita' intera - e corresponsabile di un progetto complessivo - appunto la civilta' umana, quale che sia il modo in cui si intenda tale concetto -.

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III. Una teoria-prassi che chiunque puo' adottare

La definizione della nonviolenza come "potere di tutti" ha anche un altro decisivo significato: che essa e' una teoria-prassi che da tutti e da chiunque puo' essere adottata. Mentre altre teorie e pratiche richiedono particolari qualita' fisiche, intellettuali, morali o culturali, la nonviolenza si caratterizza per poter essere praticata da chiunque, che sia giovane o bambino, persona matura o anziana; che sia uomo o donna; che sia forte o debole, in eccellente salute o affetto da grave malattia. La nonviolenza e' quella forma di lotta e quella proposta di azione che rende possibile a tutti di partecipare pienamente ad essa, tanto nel processo decisionale quanto nella realizzazione concreta.

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IV. La nonviolenza non e' una parola magica

Ma il fatto che la nonviolenza sia il "potere di tutti" non significa che chiunque puo' adottarla senz'altro. Per utilizzare la nonviolenza occorre: a) approfonditamente conoscerla; b) persuasamente accoglierla; c) addestrarsi tenacemente ad essa; d) personalmente e costantemente ripensarla criticamente e creativamente.

Qui intendiamo sottolineare particolarmente la necessita' dell'addestramento, per poter promuovere o partecipare ad un'azione diretta nonviolenta o a una campagna di lotta nonviolenta.

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V. La nonviolenza come scelta necessitata

Dopo Auschwitz e dopo Hiroshima i movimenti di lotta che si impegnano per la pace, la democrazia, i diritti umani, la difesa della biosfera, devono acquisire la consapevolezza che solo i valori e le metodologie della nonviolenza sono integralmente coerenti con i fini che essi perseguono; non solo: che la scelta della nonviolenza e' obbligata poiche' quando esiste, come attualmente esiste, la concreta possibilita' dei potenti di distruggere tutto, e' necessario adottare tecniche e strategie di lotta che tengano il conflitto al livello meno distruttivo possibile, e che garantiscano all'avversario che non verra' fisicamente annientato, dissuadendolo cosi' da scelte apocalittiche.

Del resto non solo rispetto alla controparte, ma anche rispetto a soggetti terzi, vi e' per i movimenti di lotta sopra citati la necessita' di essere persuasivi ed educativi, ovvero di comunicare correttamente i propri fini e la propria fedelta' ad essi, e la miglior forma di comunicazione e' la scelta di mezzi coerenti con i fini perseguiti. E' evidente che chi lotta per la giustizia, la solidarieta', la liberazione umana, i diritti umani, per essere convincente deve nel corso stesso della lotta dimostrare la sua fedelta' a quei valori, e quindi adottare modalita' organizzative e decisionali, strategie e tecniche, scelte operative e concrete azioni, che siano rigorosamente coerenti. L'azione nonviolenta e' la sola forma di lotta per la dignita' umana che questa coerenza tra mezzi e fini assume come fondamento.

 

6. ALCUNI CRITERI DELLA LOTTA GANDHIANA SECONDO JOHAN GALTUNG

[Il testo che segue e' estratto dal libro di Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1987: riportiamo questa scheda su Le regole del comportamento conflittuale secondo Gandhi (li' alle pp. 120-121, e commentata dettagliatamente - e criticamente - nelle pagine successive).

Galtung, nato in Norvegia nel 1930, fondatore e primo direttore dell'Istituto di ricerca per la pace di Oslo, docente, consulente dell'Onu, e' a livello mondiale il piu' noto studioso di peace research.

Segnaliamo una volta di piu' che quella che segue e' semplicemente una interpretazione, certamente qualificata, di un aspetto della riflessione gandhiana, ma che essa non e' esaustiva e soprattutto che altre interpretazioni sono possibili e sono state date da altrettanto qualificati studiosi a partire da punti di vista diversi e con formulazioni anche sensibilmente diverse da quelle di cui fa uso Galtung qui; segnaliamo in particolare ad esempio alcuni testi specifici (disponibili in edizione italiana) di Aldo Capitini, di Jean Marie Muller, di Giuliano Pontara, di Gene Sharp.

Del resto lo stesso Galtung, immediatamente dopo aver proposto questo schema, scrive (p. 122 dell'edizione citata): "Tutto questo non va inteso, naturalmente, in maniera rigidamente definitoria. Molto lavoro sarebbe necessario per approfondire le implicazioni di un tale sistema di norme. Possiamo sempre imparare moltissime cose da Gandhi, non pero' se lo accettiamo senza spirito critico. C'e' la famosa affermazione in cui Gandhi dice di non essere egli stesso un  vero gandhiano, e, in molti altri scritti, egli sottolinea di essere ancora in crescita e afferma che continuera' a crescere anche dopo la morte, cercando la Verita' e l'Amore".

Quanto al modo sommario e precettistico con cui ha sintetizzato queste "regole del comportamento conflittuale secondo Gandhi", Galtung aggiunge (p. 122, di seguito): "Una parola sul metodo che e' stato usato. Senza dubbio e' frammentario: riduce a pezzi Gandhi, cercando di presentarlo come un catalogo, come un insieme di direttive. Ma a questa obiezione puo' essere ribattuto che egli stesso lo ha fatto molto spesso; amava realmente emettere regole e direttive. La questione e' piuttosto fino a che limite questa interpretazione sia corretta, e il lettore trovera' che le formulazioni - necessariamente concise, poiche' sono formulazioni di norme, non brevi trattati - non riflettono la ricchezza delle espressioni di Gandhi. Esse sono quindi da considerarsi solamente delle approssimazioni e del resto sarebbe piu' opportuno cercare di cogliere lo spirito delle indicazioni gandhiane che non esigere l'esattezza della formulazione linguistica".

"D'altra parte - conclude Galtung -, potrebbe essere vantaggioso per le persone in conflitto - cio' significa per tutti noi in qualsiasi momento, anche se non necessariamente ne siamo coscienti - verificare il proprio comportamento, sia interiore che esteriore, in base a queste norme"]

 

1. I fini e il conflitto

Regola 1.1. Nei conflitti agisci

- Agisci subito

- Agisci qui

- Agisci per il tuo gruppo

- Agisci per identificazione

- Agisci per convinzione

Regola 1.2. Delimita bene il conflitto

- Definisci i tuoi fini chiaramente

- Cerca di capire i fini del tuo avversario

- Metti in evidenza i fini comuni e compatibili

- Descrivi i fatti rilevanti del conflitto in modo obiettivo

Regola 1.3. Adotta un approccio positivo al conflitto

- Dai al conflitto un'accentuazione positiva

- Considera il conflitto come occasione per incontrare l'avversario

- Considera il conflitto come occasione per trasformare la societa'

- Considera il conflitto come occasione per trasformare te stesso

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2. La lotta conflittuale

Regola 2.1. Agisci in modo nonviolento nei conflitti

- Non offendere o ferire con azioni

- Non offendere o ferire con parole

- Non offendere o ferire con pensieri

- Non danneggiare le proprieta' dell'avversario

- Preferisci la violenza alla codardia

- Fa' del bene anche a chi fa il male

Regola 2.2. Agisci in maniera conforme al fine

- Includi sempre un elemento costruttivo

- Usa forme di lotta che ne rivelino il fine

- Agisci apertamente, non segretamente

- Dirigi la lotta verso l'obiettivo corretto

Regola 2.3. Non collaborare con il male

- Non collaborare con una struttura malvagia

- Non collaborare con un ruolo sociale ingiusto

- Non collaborare con un'azione malvagia

- Non collaborare con quelli che collaborano con il male

Regola 2.4. Sii disposto a sacrificarti

- Non fuggire davanti alle punizioni

- Sii disposto a morire se necessario

Regola 2.5. Non polarizzare il conflitto

- Distingui tra antagonismo e antagonista

- Distingui tra persona e ruolo sociale

- mantieni il contatto

- Immedesimati nella posizione del tuo avversario

- Sii flessibile nel delimitare le parti in causa e le loro posizioni

Regola 2.6. Non provocare escalation nel conflitto

- Rimani il piu' leale possibile

- Non provocare e non lasciarti provocare

- Non umiliare e non farti umiliare

- Non ampliare i termini del conflitto

- Usa le forme di condotta piu' miti possibili durante il conflitto

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3. La risoluzione del conflitto

Regola 3.1. Risolvi i conflitti

- Non continuare la lotta conflittuale per sempre

- Cerca sempre di negoziare con l'avversario

- Cerca di ottenere trasformazioni sociali positive

- Cerca di trasformare gli esseri umani (te stesso; l'avversario)

Regola 3.2. Insisti sulle cose essenziali, non su quelle marginali

- Non barattare le cose essenziali

- Sii disposto ai compromessi per le cose non essenziali

Regola 3.3. Considerati fallibile

- Ricordati che puoi essere nel torto

- Ammetti apertamente i tuoi errori

- La coerenza nel tempo non e' molto importante

Regola 3.4. Sii generoso nei confronti dell'avversario

- Non sfruttare la debolezza dell'avversario

- Non giudicare l'avversario piu' severamente di te stesso

- Abbi fiducia nel tuo avversario

Regola 3.5. Conversione, non coercizione

- Cerca sempre soluzioni che siano accettabili (per te stesso; per l'avversario)

- Non forzare mai l'avversario

- Converti l'avversario in un sostenitore della causa.

 

7. ALCUNE FORME DI LOTTA NONVIOLENTA SECONDO JOHAN GALTUNG

[Anche il testo seguente e' estratto da Gandhi oggi, cit., e particolarmente dalla p. 135, nel capitolo Gandhi uomo d'azione, che si apre con un paragrafo su Il satyagraha in pratica: le forme, che elenca ed analizza "le forme (distinte dalle norme) del satyagraha come venne intrapreso da Gandhi". Laddove ci e' parso necessario abbiamo integrato la mera elencazione di p. 135 con alcune minime informazioni ulteriori ricavate dalla descrizione che di ogni singola forma di lotta nonviolenta Galtung svolge nelle pagine 135-148.

Come e' noto la piu' analitica descrizione delle tecniche di lotta nonviolenta e' costituita dal secondo volume della monumentale opera di Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, 3 voll., Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1995; segnaliamo come particolarmente rilevante e suggestivo anche il volumetto di Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Libreria Feltrinelli, Milano 1967, poi ristampato da Linea d'ombra, Milano 1991, e che ora puo' essere letto anche ricompreso nell'utilissimo volume delle opere scelte di Capitini dedicato agli Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992. Naturalmente occorre altresi' leggere direttamente Gandhi, ed a tal fine abbiamo piu' volte evidenziato che la migliore antologia gandhiana disponibile in italiano e' a nostro parere quella curata da Giuliano Pontara per l'editore Einaudi di Torino, Teoria e pratica della nonviolenza, alcuni anni fa ristampata in edizione economica].

 

1. Negoziato;

2. Arbitrato;

3. Agitazione, dimostrazione, ultimatum;

4. Hartal (un'estesa dimostrazione, che confina con lo sciopero generale, in un'area precisa - ad esempio una citta' - ma per un breve lasso di tempo); [segnaliamo anche due altre definizioni di hartal: a) quella data da Aldo Capitini, in Le tecniche della nonviolenza, Libreria Feltrinelli, Milano 1967, p. 109: "Lo sciopero diventa hartal (usato spesso da Gandhi, ma anche a Budapest nel 1956), quando non soltanto viene abbandonata la fabbrica, ma anche le strade, i luoghi di ritrovo, e gli scioperanti restano nelle proprie case (importante per Gandhi anche perche' cosi' sono eliminati gli incidenti e in casa avviene meditazione e purificazione)"; b) quella data da Jean Marie Muller, in Strategia della nonviolenza, Marsilio, Padova 1975, p. 84: "Un hartal e' un giorno di sciopero generale durante il quale viene chiesto a tutta la popolazione di disertare i luoghi di lavoro, le strade e i luoghi pubblici e di restare a casa (...)"].

5. Sciopero e sciopero generale;

6. Picchettaggio;

7. Boicottaggio economico;

8. Boicottaggio sociale;

9. Dharna (e' un'antica forma indiana di dimostrazione e significa semplicemente che una singola persona o un gruppo di persone si siedono da qualche parte, annunciando che non si muoveranno finche' le loro lamentele non abbiano trovato risposta e le loro rivendicazioni non siano state accolte);

10. Hizral (la parola e' araba e significa emigrazione di massa dall'area controllata dall'antagonista);

11. Digiuno;

12. Boicottaggio delle tasse;

13. Non-collaborazione;

14. Disobbedienza civile:

14.1. Disobbedienza civile difensiva;

14.2. Disobbedienza civile offensiva;

15. Governo parallelo.

Galtung analizza criticamente ognuna di queste forme di lotta satyagraha, ed evidenzia anche come una campagna di lotta nonviolenta puo' consistere di un insieme di esse, ma solitamente essa le adotta progressivamente, passando dalle forme di lotta piu' lievi a quelle piu' energiche.

 

8. ASPETTI PSICOLOGICI DELL'IMPEGNO NONVIOLENTO

[Estratto dal nostro lavoro "La nonviolenza contro la guerra" ripubblichiamo qui il seguente testo]

 

1. Premessa

Rispetto ad altre forme di impegno culturale, politico o sociale, la scelta della nonviolenza ha, secondo la nostra interpretazione, alcune caratteristiche peculiari:

a) si fonda sulla ragione e non sull'entusiasmo: naturalmente valorizza le emozioni ma sempre ricondotte ad un impegno critico;

b) implica una limpida rigorizzazione del ragionamento e della condotta: richiede una severa coerenza intellettuale e morale, e quindi necessariamente anche una grande capacita' di ascolto ed una incondizionata disponibilita' ad apprendere;

c) non offre garanzie ne' consolazioni: ne' certezze di vittoria o di salvezza, ne' autorita' ed automatismi che fungano da cinture di sicurezza; tuttavia, facendo appello a un forte sentimento di integrita' personale intimamente connesso al piu' vasto slancio di solidarieta' e di riconoscimento della comune umanita', consente di gestire le ansie e relativizzare gli scacchi in una piu' profonda ed insieme piu' ampia prospettiva di impegno orientato al bene comune ed all'affermazione della propria dignita' (bene comune e dignita' personale intesi come un inscindibile insieme);

d) propone un impegno di lotta che non terminera' che con la morte: ma questa lotta (contro l'ingiustizia, contro la violenza, contro la menzogna; e quindi: contro la sofferenza, contro il male, contro la morte stessa) e' ineludibile, ed e' coessenziale alla nostra vita di senzienti e pensanti;

e) impone quindi una dialettica tra coscienza e mondo esterno (naturale e culturale) particolarmente impegnativa: ad ogni passo chiede di assumere responsabilita', di giudicare, e quindi di agire; ad ogni passo ci impone un difficile confronto tra liberta' e regole, tra creativita' e necessita', tra dovere morale e condizioni (e codificazioni) date.

In breve, la scelta della nonviolenza richiede studio, preparazione, addestramento, disponibilita' a soffrire, saldezza nel perseverare in cio' che e' giusto ad una analisi onesta, e saldezza nel perseverare in una condotta costantemente benevola, leale e responsabile anche di fronte a condotte scorrette, inique e violente da parte di altri. Infine richiede altresi' una ridiscussione costante della propria condotta ed una continua reinterpretazione e reinvenzione di regole, orizzonti, abitudini, percorsi di ricerca; rileggendo incessantemente la propria esperienza cosi' come faceva Gandhi che non casualmente intitolo' la sua autobiografia "storia dei miei esperimenti con la verita'".

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2. Una sintetica definizione preliminare

2.1. Per nonviolenza intenderemo qui un insieme di valori morali, di tecniche di lotta e di proposte politiche organizzate in una coerente, seppur aperta e sperimentale, teoria-prassi.

2.2. Definiamo tale teoria-prassi col termine di nonviolenza, ed usiamo tale grafia per distinguerla dalla mera assenza di violenza (la quale assenza di violenza e' peraltro concettualmente una nozione assai ambigua e sfuggente, e praticamente una condotta semplicemente impossibile) ed indicarne invece la natura positiva e l'impegno attivo; col quale termine di nonviolenza traduciamo due distinti termini gandhiani: ahimsa (che potremmo tradurre liberamente come ripudio della violenza, opposizione alla violenza; che designa la nonviolenza dal punto di vista concettuale, come valore morale e come oggetto logico-ontologico); e satyagraha (che potremmo tradurre liberamente come forza della verita' o anche adesione alla verita'; che designa la nonviolenza dal punto di vista operativo e metodologico, come campo di condotte empiriche, di tecniche pratiche, di orientamenti strategici; ma anche come inveramento effettuale di una scelta morale che per esser tale non puo' restare inoperante nel mero ambito teoretico ma richiede di essere realizzata ed autenticata in un impegno personale immediato, politicamente ed esistenzialmente qualificato).

2.3. La nonviolenza cosi' definita si fonda su un ragionamento, una scelta e una condotta improntati a responsabilita', verita', amore, apertura all'umanita'.

2.4. La nonviolenza cosi' definita si caratterizza per alcuni precisi principi: rifiuto di uccidere e di provocare lesioni fisiche; rifiuto della menzogna; rifiuto di commettere ingiustizia, di subire ingiustizia, di collaborare con l'ingiustizia; coerenza tra mezzi e fini; esemplarita' della condotta e coscienza del costante riflesso educativo dei nostri atti; compiere solo quelle azioni su cui si possa fondare la civile convivenza.

2.5. La nonviolenza cosi' definita si realizza nel conflitto (e non nella quiete); nella comunicazione (e non nella solitudine); nella trasformazione (ne' nella conservazione, ne' nella distruzione); i tre termini indicati: conflitto, comunicazione, trasformazione, costituiscono per la nonviolenza una necessaria unita'.

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3. Scelte morali e coesione psicologica

Poiche' la nonviolenza e' eminentemente opposizione all'ingiustizia, chi la sceglie sa di impegnarsi in una lotta consapevole e quindi intransigente, meditata e quindi assai impegnativa sotto molti profili.

Occorre dunque che chi abbraccia l'impegno nonviolento sia cosciente che cio' implica che dovra' sostenere il peso psicologico di una scelta di lotta che puo' esporre a molti rischi, a condizioni di solitudine e di incomprensione; che impone la rinuncia a vari privilegi, e implica la possibilita' di trovarsi in condizioni di difficolta'.

Occorre quindi avere la capacita' di una adeguata elaborazione dei sentimenti a queste situazioni esistenziali e sociali connessi; la capacita' di una adeguata gestione dell'ansia; la capacita' di efficacemente esercitare il controllo e l'incanalamento costruttivo dell'aggressivita'; un atteggiamento non represso e non repressivo.

E' ragionevole che prima ancora di impegnarsi nella lotta nonviolenta si sia riflettuto su tutto cio' e si sia realisticamente valutata la propria disponibilita' e capacita' a tutto cio'.

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4. La nonviolenza in quanto comunicazione

La nonviolenza e' eminentemente comunicazione; questo implica:

a) il riconoscimento dell'altro, il puntare sulla sua umanita';

b) interpretare la lotta come disvelamento, cooperazione, atto di amore al bene e all'umanita';

c) antiautoritarismo ed antidogmatismo, ovvero atteggiamento critico ed autocritico, contestazione radicale del "principio d'autorita'" (anche verso se stessi).

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5. La scelta nonviolenta nel vivo del conflitto

La nonviolenza si realizza esclusivamente nel conflitto, essa valorizza il conflitto e dove occorre lo suscita. La nonviolenza non e' passivita', fuga, quieto vivere; essa e' azione, impegno, responsabilita' di fronte alle sfide e agli appelli che la realta' pone. L'amico della nonviolenza porta nel conflitto convincimenti profondi, obiettivi ponderati, capacita' operative concrete. Questo implica:

a) vivere positivamente la scelta del conflitto;

b) la consapevolezza che l'azione nonviolenta e' sempre anche educazione (ed autoeducazione),

c) la capacita' di ridefinire i problemi;

d) la capacita' di far evolvere le situazioni e i conflitti;

e) la capacita' di ascolto e cooperazione anche con l'avversario rispetto a fini sovraordinati che entrambe le parti condividono o apprezzano;

f) la capacita' di contestualizzazione di principi, analisi, scelte.

Con particolar riferimento a se stessi, tutto questo implica inoltre:

g) rifiuto della subalternita' e del vittimismo;

h) essere consapevoli della propria forza che e' inerente alla propria integrita' (ovvero alla propria onesta' intellettuale e morale);

i) capacita' di mantenere costantemente l'iniziativa.

Con particolar riferimento alla controparte tutto quanto precede implica altresi':

l) non minacciarne l'annientamento in quanto essere umano;

m) offrirgli sempre una soluzione onorevole del conflitto.

Con particolar riferimento al rapporto tra antagonisti nel conflitto:

n) percepirlo e presentarlo anche come occasione di incontro;

o) costantemente mirare ad umanizzare la relazione attraverso un forte impegno comunicativo e propositivo;

p) percepire e presentare il rapporto non in termini di esclusione e di annullamento dell'altro, ma di compresenza e di impegno comunque comune, evidenziando che un conflitto e' sempre anche un atto cooperativo, e che le sue dinamiche sono congiuntamente costruite dalle parti;

q) puntare con la propria azione alla piu' ampia corresponsabilizzazione possibile;

r) saper sempre distinguere l'oggetto contro cui si combatte dalla persona o le persone con cui si combatte, e prefiggersi costantemente un rapporto costruttivo con la parte avversa, riconoscendone le ragioni, offrendo proposte di onesto e valido compromesso, non schiacciandola mai in situazioni insostenibili e senza alternative;

s) mirare costantemente a ridurre la violenza, a ricercare terreni di intesa, a costruire rapporti di fiducia.

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6. Valori e comportamenti nonviolenti

a) La noncollaborazione con l'ingiustizia: che della proposta nonviolenta e' la chiave di volta, infatti l'idea centrale della nonviolenza come forma di lotta contro l'ingiustizia e' che il potere ingiusto per realizzare il suo dominio ha bisogno della complicita' o almeno della passivita' delle sue vittime; il primo passo della presa di coscienza e della lotta nonviolenta e' appunto la rottura della complicita', la cessazione della passivita' dinanzi all'ingiustizia.

b) La nonuccisione e il rifiuto di provocare lesioni fisiche agli avversari: tale scelta ha spesso anche l'effetto di ridurre la violenza dell'avversario, e comunque costituisce gia' essa sola una rilevante umanizzazione del conflitto e riduce consistentemente la violenza complessiva indicando concretamente altresi' una diversa e piu' civile gestione del conflitto.

c) La nonmenzogna: essa e' ugualmente fondamentale, ed implica altresi' il rifiuto del segreto, della sorpresa, del sotterfugio; e' eminentemente democratica, rinforza la nostra autorevolezza morale, favorisce la costruzione della fiducia (e incidentalmente ci mette al riparo dai provocatori).

d) La coerenza tra mezzi e fini: ribaltando la massima secondo cui il fine giustifica i mezzi, la nonviolenza afferma che i mezzi violenti corrompono anche i fini migliori; e' di grande efficacia la similitudine gandhiana per cui tra mezzi e fini intercorre lo stesso rapporto che tra il seme e la pianta.

e) Il principio responsabilita': ognuno deve sentirsi responsabile di tutto; ognuno deve avere a cuore le sorti di tutti; ognuno deve sentire la solidarieta' con l'umanita' intera; ognuno deve agire in modo che la sua condotta e la logica che la ispira possa essere ripetuta e riutilizzata in ogni circostanza analoga ed essere sempre moralmente valida (e possa quindi, per cosi' dire, essere istitutiva di una legislazione universale, echeggiando la formula kantiana).

f) Ogni azione e' anche educazione: quindi ogni azione deve essere motivata, comprensibile, coerente con il fine del riconoscimento e della promozione della dignita' umana.

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7. Dialettiche della nonviolenza

La nonviolenza come tanta parte della cultura contemporanea richiede la capacita' di fronteggiare situazioni caratterizzate da indeterminazione, contraddizione, complessita'; richiede quindi un atteggiamento critico e creativo.

In particolare a noi sembra che l'adesione alla nonviolenza implichi altresi' la capacita' di sostenere psicologicamente una scelta che ha caratteristiche esistenziali fondamentalmente connotate da duplicita' e dinamismo, e richiede pertanto un notevole "spirito di finezza", ovvero una duttilita' ed un'attenzione, un atteggiamento di apertura e di interpretazione, che e' del tutto incompatibile con atteggiamenti rozzi ed autoritari, prepotenti o servili, predicatori e dogmatici. La nonviolenza e' rivoluzione aperta, e richiede una personalita' ironica e paziente, serena e tenace, combattiva ed antiautoritaria. Indichiamo qui di seguito alcuni profili psicologici implicati dalla scelta dell'impegno nonviolento:

a) rinnovamento, ma anche ritrovamento;

b) rottura, ma anche fedelta';

c) apertura, ma anche approfondimento;

d) ricerca, ma anche saldezza;

e) responsabilita' come impegno personale nella dimensione collettiva;

f) dialettica tra coscienza (come autonomia morale e responsabilita' personale) e legge (come regole sociali);

g) essere ad un tempo dei persuasi (e' la bella formula di Aldo Capitini) ed insieme dei perplessi (e' la non meno bella formula di Norberto Bobbio).

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8. Un problema persistente: la violenza

Ovviamente la nonviolenza si contrappone alla violenza, ribadirlo e' fin tautologico.

Ma questo non risolve tutti i problemi, poiche' la violenza e' comunque una realta', ed il lottare contro di essa implica evidentemente un certo grado di esercizio della forza, che intende certo essere anche persuasiva, ma che nondimeno e' altresi' coercitiva. Inoltre non e' banale porre il problema che se il fine della nonviolenza e' quello di contrastare la violenza, ovvero di ridurla per quanto possibile, cio' implica necessariamente non una sorta di astensione assoluta dall'azione, ma agire nel modo piu' radicalmente contrario alla violenza, ovvero nel modo piu' efficace e coerente possibile.

Qui si aprono numerosi problemi degni di discussione, su cui ha spesso particolarmente insistito nelle sue fini e rigorose analisi Giuliano Pontara, ma che nessuno dei grandi protagonisti delle lotte nonviolente ha mai eluso, da Gandhi a Lanza del Vasto, da Aldo Capitini a Martin Luther King, da Danilo Dolci a Lorenzo Milani, a molti altri. Le impostazioni sono state molto varie, e le risposte anche. A titolo d'esempio e per un primo accostamento rinviamo a Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino; e ad AA. VV., Violenza o nonviolenza, Linea d'ombra, Milano.

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9. Un'ipotesi etico-politica

9.1. Il nostro approccio alla nonviolenza non e' di tipo essenzialista, o metafisico; non implica un fondamento religioso o ontologico. Il nostro, quello che qui proponiamo, e' un approccio meramente razionale. Naturalmente altri studiosi e soprattutto molti attivisti della nonviolenza, hanno approcci diversi, in cui il riferimento religioso o metafisico e' assolutamente determinante. Il nostro approccio e' piu' modesto e limitato; tuttavia proprio per questo esso presenta forse il vantaggio di essere piu' agevolmente discutibile - ed eventualmente accoglibile - in quanto non presuppone l'accettazione di questioni di principio talmente cruciali, peculiari e impegnative per cui diviene impossibile addivenire ad un accordo se si muove da diverse posizioni filosofiche, religiose, politiche, esistenziali. Abbiamo la presunzione di ritenere che l'approccio da noi proposto consente di discutere la nonviolenza a partire da posizioni anche molto diverse e - cio' che piu' conta - mantenendole (ovviamente, con la nonviolenza arricchendole ed eventualmente approfondendole qualora essa venisse accolta ed integrata nel proprio sistema di idee generali); abbiamo la speranza che l'approccio da noi proposto sia compatibile con diverse posizioni religiose (ateismo compreso), con diverse posizioni politiche (nell'ampio campo che va dal liberalismo al comunismo, dalle varie proposte democratiche, personaliste, socialiste, fino all'anarchia), con diverse posizioni filosofiche e morali (gli studi di Giuliano Pontara, in particolare, hanno apportato decisivi contributi in questo ambito).

9.2. Detto questo, vorremmo tuttavia aggiungere due specificazioni ulteriori che in qualche misura contribuiscono a fondare il nostro approccio, che proponiamo come ipotesi di lavoro ma alle quali almeno noi siamo molto legati, e che sono le seguenti:

a) un'etica della felicita' sobria;

b) un fondamento gnoseologico fallibilista.

9.2.1. La prima, un'etica della felicita' sobria: e' resa particolarmente necessaria dalla consapevolezza ecologica; dall'esigenza di una giusta ripartizione delle risorse e dalla cognizione della loro scarsita' ed esauribilita'; dall'impegno al riconoscimento ed alla promozione dei diritti umani per tutti gli esseri umani. La scelta della nonviolenza non e' una scelta masochista, ma di liberazione; la sua prospettiva e' la felicita' umana per quanto essa sia realizzabile nel quadro di una condizione biologica caduca e peritura. La felicita' possibile e generalizzabile e' una felicita' sobria, e quindi saggia, rispettosa degli altri e della biosfera, conviviale, accogliente, sollecita, sensibile.

9.2.2. Il secondo, un fondamento gnoseologico fallibilista: che e' indispensabile cuore della democrazia: la coscienza della nostra fallibilita' e' l'assioma su cui fondiamo il nostro atteggiamento razionale e ragionevole tanto in ambito teoretico quanto in ambito pratico, nella logica, nella morale, nella politica; senza questa consapevolezza non si da' democrazia, non si danno piene liberta', non si danno uguaglianza e diversita'. La pretesa di infallibilita' e' sempre antiscientifica, immorale, antidemocratica, totalitaria; coercitiva e coatta sul piano della psicologia come su quello del diritto, sul piano sociale come su quello esistenziale; essa lede radicalmente lo sviluppo della cultura e la civile convivenza, e denega la dignita' personale. Poiche' nelle aree culturali di prevalente riferimento per le persone maggiormente impegnate per la pace e la liberazione frequentissimamente dominano visioni del mondo chiuse, rigide, con pretese onniresponsive, ci permettiamo di insistere energicamente su questo punto: il nesso tra liberta' e fallibilita', la necessita' di un approccio fallibilista (non ci dilunghiamo oltre rinviando piuttosto al brillante agile libro di Dario Antiseri, Liberi perche' fallibili che segnaliamo in bibliografia).

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10. Per l'approfondimento, una bibliografia essenziale

10.1. Per un percorso minimo

- Giuliano Pontara, La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996 (particolarmente il capitolo secondo);

- Dario Antiseri, Liberi perche' fallibili, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995;

- Alberto L'Abate (a cura di), Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985.

10.2. Per un approfondimento piu' rigoroso

- Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, tre volumi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1997;

- Immanuel Kant, Critica della ragion pratica, disponibile in varie edizioni;

- Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1971;

- Theodor W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino;

- Giovanni Jervis, Manuale critico di psichiatria, Feltrinelli, Milano, piu' volte ristampato;

- Guenther Anders, Tesi sull'eta' atomica, Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1991;

- Hans Jonas, Il principio responsabilita', Einaudi, Torino 1993;

- Franco Fortini, Una voce: comunismo, Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1990;

- Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino, piu' volte ristampato.

 

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

10. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 1255 del 25 aprile 2013

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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