[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 716



 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)

Numero 716 del 20 giugno 2015

 

In questo numero:

1. Ricordando Maria Verone

2. Simone Scala: Le prime reazioni in Italia alla pubblicazione dei "Minima moralia"

 

1. MAESTRE. RICORDANDO MARIA VERONE

 

Ricorre oggi, 20 giugno, l'anniversario della nascita di Maria Verone (Parigi, 20 giugno 1874 - 24 maggio 1938), educatrice e avvocatessa, giornalista e saggista, intellettuale e militante femminista, socialista, per i diritti umani di tutti gli esseri umani.

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Nel ricordo di Maria Verone proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

2. RICERCHE. SIMONE SCALA: LE PRIME REAZIONI IN ITALIA ALLA PUBBLICAZIONE DEI "MINIMA MORALIA"

[Il testo che segue riproduce il quarto paragrafo del secondo capitolo del lavoro di Simone Scala, "Renato Solmi a confronto con Th. W. Adorno e M. Horkheimer. Storia intellettuale ed editoriale di una mediazione culturale", tesi di dottorato in Teoria e storia delle culture e letterature comparate, Universita' degli studi di Sassari, a.a. 2011-2012 (il testo integrale e' disponibile on line nel sito http://eprint.uniss.it).

Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria strumentazione intellettuale; e' stato impegnato nel Movimento Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta. E' deceduto il 25 marzo 2015. Dal risvolto di copertina del recente volume in cui sono raccolti taluni dei frutti maggiori del suo magistero riprendiamo la seguente scheda: "Renato Solmi (Aosta 1927) ha studiato a Milano, dove si e' laureato in storia greca con una tesi su Platone in Sicilia. Dopo aver trascorso un anno a Napoli presso l'Istituto italiano per gli studi storici di Benedetto Croce, ha lavorato dal 1951 al 1963 nella redazione della casa editrice Einaudi. A meta' degli anni '50 ha passato un periodo di studio a Francoforte per seguire i corsi e l'insegnamento di Theodor W. Adorno, da lui per primo introdotto e tradotto in Italia. Dopo l'allontanamento dall'Einaudi, ha insegnato per circa trent'anni storia e filosofia nei licei di Torino e di Aosta. E' impegnato da tempo, sul piano teorico, e da un decennio anche su quello della militanza attiva, nei movimenti nonviolenti e pacifisti torinesi e nazionali. Ha collaborato a numerosi periodici culturali e politici ("Il pensiero critico", "Paideia", "Lo Spettatore italiano", "Il Mulino", "Notiziario Einaudi", "Nuovi Argomenti", "Passato e presente", "Quaderni rossi", "Quaderni piacentini", "Il manifesto", "L'Indice dei libri del mese" e altri). Fra le sue traduzioni - oltre a quelle di Adorno, Benjamin, Brecht (L'abici' della guerra, Einaudi, Torino 1975) e Marcuse (Il "romanzo dell'artista" nella letteratura tedesca, ivi, 1985), che sono in realta' edizioni di riferimento - si segnalano: Gyorgy Lukacs, Il significato attuale del realismo critico (ivi, 1957) e Il giovane Hegel e i problemi della societa' capitalistica (ivi, 1960); Guenther Anders, Essere o non essere (ivi, 1961) e La coscienza al bando (ivi, 1962); Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (ivi, 1966 e 1980); Seymour Melman, Capitalismo militare (ivi, 1972); Paul A. Baran, Saggi marxisti (ivi, 1976); Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918 (Boringhieri, Torino 1976)". Opere di Renato Solmi: segnaliamo particolarmente la sua recente straordinaria Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007.

Theodor W. Adorno, nato l'11 settembre 1903 a Francoforte sul Meno, costretto all'esilio dall'avvento del nazismo, acutissimo osservatore della societa' contemporanea, filosofo e musicologo, e' deceduto il 6 agosto 1969. E' una delle figure di massimo spicco della "scuola di Francoforte". Opere di Theodor W. Adorno: nella sua vastissima produzione segnaliamo almeno, per un primo approccio, Dialettica dell'illuminismo (con Max Horkheimer), Minima moralia, Dialettica negativa, tutti presso Einaudi, Torino. Opere su Theodor W. Adorno: si veda almeno, per un primo orientamento, Tito Perlini, Che cosa ha veramente detto Adorno, Ubaldini, Roma 1971; Marzio Vacatello, Th. W. Adorno. Il rinvio della prassi, La Nuova Italia, Firenze 1972; Sergio Moravia, Adorno e la teoria critica della societa', Sansoni, Firenze 1974; Enzo Rutigliano, Teoria o critica. Saggio sul marxismo di Adorno, Dedalo, Bari 1977; Carlo Pettazzi, Th. W. Adorno: linee di origine e di sviluppo del pensiero (1903-1949), La Nuova Italia, Firenze 1979; Martin Jay, Theodor W. Adorno, Il Mulino, Bologna 1987; Massimo Nardi, Pensare nella verita'. L'itinerario della ragione dialettica in Th. W. Adorno, Studium, Roma 1993; Fredric Jameson, Tardo marxismo, Manifestolibri, Roma 1994; Elena Tavani, L'apparenza da salvare. Saggio su Th. W. Adorno, Guerini e associati, Milano 1994; Angelo Cicatello, Dialettica negativa e logica della parvenza. Saggio su Th. W. Adorno, Il melangolo, Genova 2001; Stefan Mueller-Doohm, Theodor W. Adorno. Biografia di un intellettuale, Carocci, Roma 2003; Lucio Cortella, Una dialettica nella finitezza. Adorno e il programma di una dialettica negativa, Meltemi, Roma 2006; Stefano Petrucciani, Introduzione a Adorno, Laterza, Roma-Bari 2007; Pastore Luigi, Gebur Thomas (a cura di), Theodor W. Adorno. Il maestro ritrovato, Manifestolibri, Roma 2008; di particolare importanza sono gli scritti dedicati ad Adorno in Renato Solmi, Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007. Cfr. anche, tra gli studi complessivi e le monografie introduttive sulla scuola di Francoforte: Paul-Laurent Assoun, La scuola di Francoforte, Lucarini, Roma 1988; Giuseppe Bedeschi, Introduzione alla scuola di Francoforte, Laterza, Roma-Bari 1985, 1987; Martin Jay, L'immaginazione dialettica, Einaudi, Torino 1979; Gian Enrico Rusconi, La teoria critica della societa', Il Mulino, Bologna 1968; Goeran Therborn, Critica e rivoluzione, Laterza, Bari 1972; Rolf Wiggershaus, La scuola di Francoforte, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Pierre V. Zima, Guida alla scuola di Francoforte, Rizzoli, Milano 1976. Si veda anche la celebre discussione in AA. VV., Dialettica e positivismo in sociologia, Einaudi, Torino 1972, 1977]

 

Dopo aver velocemente analizzato quali sono le linee interpretative del pensiero di Adorno che affiorano dalla lettura offerta da Renato Solmi nell'introduzione ai Minima moralia, prendiamo ora in esame le prime reazioni italiane alla pubblicazione della raccolta di aforismi. In questo senso e' bene chiarire che dedichiamo la nostra attenzione esclusivamente alle recensioni che sono state pubblicate in riviste culturali nei mesi immediatamente successivi all'uscita del libro in Italia, mentre tralasciamo tutta la letteratura critica che fiori' da li' a qualche anno sia sul pensiero di Adorno in generale (soprattutto dopo la pubblicazione degli altri suoi lavori), sia sui Minima moralia piu' nello specifico. Per quanto - come nota Ruggero D'Alessandro nel suo studio sulla ricezione in Italia della Teoria critica (358) - in un primo tempo l'accoglienza al libro risulti essere piuttosto frammentaria e asistematica e le recensioni poco numerose (negli anni immediatamente successivi alla prima pubblicazione sono quattro gli scritti critici maggiormente significativi per il livello di analisi e che ci paiono piu' esemplificativi delle differenti letture del pensiero adorniano), esse compaiono pero' su importanti riviste culturali e filosofiche dell'Italia degli anni Cinquanta e portano la firma di intellettuali di grande livello, per quanto allora ancora molti giovani. Chiaramente, leggendo queste recensioni, emerge che tutte hanno tra loro alcuni punti in comune, ovvero mettono in evidenza i temi piu' rilevanti presenti sia nei Minima moralia che nell'introduzione di Solmi (quali il tema marxistico dell'alienazione, la latente nostalgia per il passato precapitalista, la centralita' dell'industria culturale e del rapporto cultura/tecnica, ecc.). Tuttavia, provenendo da ambiti culturali sostanzialmente differenti tra loro, e' interessante constatare in che modo questi aspetti vengano analizzati e sistematizzati. Inoltre, vi sono tratti originali nella critica di ciascun autore tanto rispetto alle teorie di Adorno, quanto relativamente al rapporto di queste con l'impostazione datane da Solmi.

Iniziamo dalla recensione di Luciano Amodio pubblicata nel primo numero di "Ragionamenti".

Abbiamo gia' avuto modo di citare sia l'autore che la rivista quando abbiamo ricordato le prime esperienze intellettuali di Solmi durante i suoi anni di formazione e di studio a Milano. Amodio, infatti, fu suo compagno di studi liceali e punto di riferimento culturale, soprattutto per quanto riguarda l'approfondimento della filosofia hegeliana. "Ragionamenti", invece, e' la rivista che coinvolse molti di quegli intellettuali, per lo piu' coetanei e conoscenti di Solmi, che avevano partecipato all'esperienza di "Discussioni" (che per molti versi puo' essere intesa quale diretta antenata di "Ragionamenti"), tra i quali - oltre allo stesso Amodio - Franco Fortini e Roberto Guiducci.

"L'ingratitudine degli intellettuali verso il capitalismo, tema classico da 'Liberta' della cultura', non potrebbe essere meglio esemplificata che dal caso Adorno. Ebreo, emigrato, 'nutrito' in America, finita la guerra torna in Europa per 'diffamare' in un libro come questo e capitalismo e America. [...] L'emigrazione di uomini come l'Adorno, ricchi di capitali evidentemente non monetari, si e' risolta in un'esperienza ingrata ed amara" (359). Con queste parole Amodio apre con una certa ironia la sua recensione e affronta fin da principio uno dei temi relativi ad Adorno che, lo abbiamo riferito, ritornano piu' di frequente: l'esperienza dell'emigrazione e dell'intellettuale "estraniato" che si trova ad operare in quello che potremmo definire come l'avamposto del mondo capitalista. Nel contesto di una societa iperindustrializzata, "in quella campana di vetro da esperimenti scientifici che e' l'America" (360), l'intellettuale senza piu' radici subisce lo sfruttamento e la proletarizzazione spirituale (e spesso, di conseguenza, anche economica), in quanto la cultura viene qui intesa come materiale grezzo per l'industria culturale (da comprendere quale mero settore produttivo). Secondo Amodio, dunque, chi non vuole arrendersi all'integrazione, dispone come unica arma di difesa del rifugiarsi nella solitudine e nell'isolamento. Gia' in base all'esposizione di queste prime idee, risultera' chiaro che la lettura di Amodio e' per molti aspetti complementare a quella di Solmi. Egli, infatti, cerca di riportare Adorno entro il quadro del pensiero dialettico-marxista, anche laddove il pensatore francofortese sembra maggiormente cedere il fianco alla critica antiborghese di origine reazionaria e romantica. Inoltre, da questo punto di vista, il recensore pone l'accento con decisione sulla critica adorniana nei confronti del neopositivismo. Sebbene tale polemica abbia probabilmente quale obiettivo piu' o meno celato la situazione italiana (considerando anche il carattere militante di "Ragionamenti"), lo sforzo di Amodio sta - da un lato - nell'affrontarla in un senso generale e - dall'altro - nel ricondurla al legame tra neopositivismo e marxismo: il fondamento della teoria adorniana "ha la sua ragion d'essere nel concetto della radicale incompatibilita' che contraddistingue il rapporto tra intellettuali e capitalismo, fino alla confutazione in termini storicisti della pseudo-marxiana riduzione utilitaristica della cultura. La condiscendenza abbastanza frequente negli ambienti marxisti verso lo stumentalismo o verso le filosofie neopositiviste e di metodologia del linguaggio, giustificata nei limiti di notevoli acquisizioni tecniche in fatto di analisi, come atteggiamento spirituale puo' curiosamente trovare la sua radice in quell''engagement' acritico e immediato diventato oggi una situazione ogni giorno piu' falsa, pericolosa e soprattutto storicamente inutile e la cui potenziale reazionarieta' e' stata cosi' ben dimostrata e indicata nella prefazione del Solmi" (361).

Richiamandosi esplicitamente alla qualita' e al valore dell'edizione einaudiana dell'opera, Amodio tocca, nella sua recensione, alcuni punti che ci sembrano particolarmente interessanti e che torneranno centrali nel dibattito attorno al libro in questione a distanza di qualche anno (senza peraltro alcun riferimento a questo primo scritto): 1) innanzitutto Amodio nota che - in base a quanto sostiene lo stesso Solmi - altrettanto (se non piu') importante dei Minima moralia e' la Dialektik der Aufklaerung, anche se in Italia e' un libro poco conosciuto poiche' non e' ancora stato tradotto; 2) che la casa editrice Einaudi ("espressione organizzativa piu' responsabile dell'alta cultura di sinistra") ha deciso di pubblicare i Minima moralia nella collana dei Saggi e non nella collana filosofica; 3) che nell'edizione italiana appena stampata e' assente un numero abbastanza considerevole di aforismi (complessivamente 38 su 153), mentre altri - arbitrariamente - sono stati tagliati o abbreviati; 4) conoscendo la scrupolosita' filologica di Solmi, probabilmente queste scelte non sono a lui imputabili. Invece, per quanto riguarda la casa editrice "la sua attivita' editoriale, in quanto risultato obiettivo di una struttura organizzativa, non riflette che troppo puntualmente la verita' sulla cultura di sinistra italiana"; 5) le note di Solmi (utili per i riferimenti letterari, meno per le espressioni filosofiche e troppo pedagogiche in certe lungaggini) "confermano che il testo viene offerto come estraneo alle nostra tradizione culturale (nel che sta la giustificazione e insieme la possibilita' stessa dei tagli generosamente non risparmiati)" (362). Considerando proprio i tagli effettuati su quella tedesca, ad Amodio pare che l'edizione italiana abbia quasi un carattere antologico. In questo senso la versione italiana, da un lato, conferma l'aspirazione e il carattere letterario dell'opera, dall'altro contraddice, almeno in parte e da un punto di vista formale, la lunga, impegnata e impegnativa introduzione di Solmi stesso.

Per quanto riguarda, invece, piu' nello specifico le radici e la sistematizzazione del pensiero di Adorno, Amodio si muove lungo tre linee direttive: 1) la cultura nietzscheana e nichilista (relativamente ancora poco conosciuta e studiata nell'Italia di allora), i cui risultati migliori possono essere ritrovati piu' nelle avanguardie artistiche che nelle teorie filosofiche. Sotto questo aspetto, il recensore ritiene che il materialismo storico di Adorno si risolva soprattutto nella critica della critica (nietzscheana), il nucleo del suo pensiero sia piu' nietzscheano che marxiano. Infatti - secondo Amodio - nei Minima moralia l'essenza del problema e' la Kultur: "la Kultur nel pessimismo tragico nietzschiano e' la struttura di forme nelle quali l'uomo sa affrontare il nulla e porre la vita e i valori come rapporto non mistificato ad esso. Ancora per Adorno il punto e' nella dignita' umana di rifiuto della mistificazione, la Kultur e' persecuzione critica dei nuovi miti psicologici, scientifici e sociali, dei residui e delle costruzioni di seconda intenzione" (363). Se Nietzsche rivolgeva la sua critica alla "consolazione" metafisica e romantica, Adorno la rivolge contro quel "sociale" contaminato dalle leggi dell'economia dominante, contro l'equazione realta' uguale merce.

2) "La conversione della critica psicologica in critica storicamente determinata ha luogo attraverso un Marx modernamente interpretato come hegeliano. Tutti gli studi piu' seri (lukacsiani da un lato, francesi dall'altro) hanno reinquadrato Marx in questa prospettiva, del resto l'unica fertile" (364). Come gia' sosteneva Solmi tanto nella sua recensione, quanto nell'introduzione, il pensiero di Adorno deve essere interpretato a partire da una lettura hegeliana di Marx, passata attraverso i lavori di Lukacs, in quanto la sua critica della societa' e' critica dei mezzi di produzione e dei loro effetti sull'individuo. Adorno, tuttavia, e' si' un marxista, ma allo stesso tempo e' anche un anticomunista e il suo anticomunismo - secondo Amodio - si fonda sull'idea che gli Stati Uniti e la civilta' capitalista sono riusciti ad imporre anche ai paesi socialisti i propri valori e il proprio ritmo di sviluppo politico-economico e soprattutto tecnico: gia' a partire dai primi anni Cinquanta non esistono piu' confini invalicabili tra nazioni, almeno dal punto di vista economico e culturale. Sotto questo preciso aspetto Amodio vede piu' lontano di Solmi in quanto individua ed abbozza il tema del "capitalismo sovietico", di un comunismo integrato nei meccanismi del capitalismo monopolistico.

3) E' opinione di Amodio che la sintesi tra critica nietzscheana e critica marxiana caratteristica di Adorno possa avere successo solo grazie alla dialettica hegeliana. Hegel, infatti, permette di superare le difficolta' del marxismo (sia dal punto di vista logico, che da quello del linguaggio) nello stabilire una mediazione che non sia grossolana e affrettata tra sovrastruttura e struttura, realta' psicologica e realta' economiche e sociali. Adorno, pero', coglie anche gli aspetti problematici di questo rapporto, in modo particolare laddove colloca la positivita' dalla parte dell'individuo, dando pero' alla totalita' il ruolo dominante e ad un tempo negativo, indicandone cioe' la falsita' ("il tutto e' falso").

La seconda recensione che prendiamo in esame e' quella di Antonio Santucci pubblicata su "Convivium". Santucci (filosofo tra i fondatori della casa editrice Il Mulino e studioso che si e' dedicato con grande attenzione al rapporto scienza/pensiero), dopo aver indicato alcune coordinate biografiche su Adorno, evidenzia come il libro del francofortese possa apparire al pubblico italiano difficilmente comprensibile, soprattutto a causa dello stile e della forma aforistica in cui e' redatto. L'aforisma, tuttavia, appare al recensore come l'espediente piu' congeniale alla necessita' di seguire il pensiero dialettico proprio di Adorno e i suoi salti bruschi ed improvvisi. Per quanto riguarda l'aspetto contenutistico, a differenza della letteratura moralistica classica, il pensatore tedesco non riconosce l'autonomia della condotta privata, ma piuttosto si occupa del "tema marxistico dell'alienazione dell'uomo nell'attuale societa' borghese. La dissoluzione di quest'ultima e' appunto studiata nella progressiva rovina di un modo di vita individuale, nella crisi di certi fondamentali rapporti umani, nell'incapacita' del soggetto a liberarsi dall'apparente e dall'inessenziale" (365). L'individuo, quindi, viene descritto nei termini di una "sopravvivenza strutturale del sistema capitalistico", esiste ancora per se' ma non piu' in se'. Secondo il recensore, pero', pur partendo da uno schema marxistico, nell'opera di Adorno traspare uno spirito pessimista e profetico tipico della cultura tedesca del periodo immediatamente posteriore alla prima guerra mondiale e che rimanda a Th. Mann da un lato e al pensiero di Nietzsche dall'altro. Sulla base di tale considerazione l'indagine di Adorno appare penetrante e ricca, sia per i temi che per il livello d'analisi, anche a chi non condivide l'assunto per cui la morale e' condizionata dalle forme di produzione e di lavoro. In modo particolare, l'aspetto che Santucci vuole portare particolarmente in primo piano, quello che egli considera piu' acuto e profondo, riguarda la situazione del sapere e dell'industria culturale - legata all'alienazione dello spirito per mezzo della tecnologia: "Quello che costituiva il limite ma anche il pregio dell'intelligenza borghese tradizionale, la sua relativa autonomia, vogliamo dire, dalla necessita' economica e la sua indifferenza verso la prassi, si e' convertito dialetticamente nel suo opposto, per cui la cultura odierna si presenta come praticita' assoluta, sapere immediato e del tutto subordinato al processo di produzione. Nell'estrema stagione del capitalismo, l'intellettuale e' costretto a dichiarare le propria impotenza verso la teoria e a riconoscersi nell'ideale positivistico del pensiero controllato, del conoscere scientifico" (366). Quindi, anche Santucci, come gia' Solmi nella sua introduzione, ritiene che, rispetto al pensiero positivista (che, pur non ammettendolo, accetta i limiti determinati dal capitalismo e postula un individuo astratto) e all'intelletto scientifico, Adorno fa proprio il pensiero dialettico e - sulla scorta di Hegel - afferma che pensare il limite significa gia' oltrepassarlo.

Un altro obiettivo della critica adorniana individuato dal recensore e' il sense of proportions (senso della misura) del pragmatismo deweyano, ovvero l'accettazione dogmatica del sistema prestabilito, in cui si concretizza un privilegio acquisito ed immodificabile. Secondo Adorno, l'antidoto a questa teoria sta nella "negazione determinata" e nel suo uso sistematico. In questo senso la ragione acquisita e predominante diventa irragionevole, cosi' come l'irragionevolezza della dialettica si capovolge in una nuova razionalita' (in questo senso bisogna ricordare la contrapposizione dialettica salute/malattia - gia' menzionata precedentemente a proposito della recensione scritta da Solmi - che rimanda direttamente a Nietzsche e a Thomas Mann).

Il vero limite di Adorno starebbe nel suo voler universalizzare il particolare in termini che spesso sono irriducibili e che rischiano di concludersi in un'esecuzione sommaria. Secondo Santucci, infatti, il pensiero di Adorno riflette la sua esperienza di intellettuale estraniato e incapace di adattarsi alla nuova situazione della cultura, apparendo talvolta troppo esclusivo - come ad esempio quando condanna il pensiero scientifico totalizzante senza indicare alcuna alternativa intellettuale, ne' ammettere che si possano trovare spazi utili anche all'interno dello stesso pensiero/metodo scientifico: "Le diffidenze hegeliane verso il tabellarische Verstand, la generalizzazione scientifica, ritornano invero attuali e si radicalizzano nell'ideologia marxista, di modo che tutto il lavoro piu' recente della scienza, le conquiste della nuova metodologia e la mentalita' positiva ch'essa ha contribuito a diffondere restano misconosciuti. Quest'atteggiamento, che il Solmi condivide e anzi si sforza di rendere piu' esplicito nella sua carica polemica, finisce cosi', a forza di non sapere e volere distinguere nella cosiddetta neutralita' della ricerca scientifica quella che costituisce la possibilita' stessa di ogni verificazione oggettiva, per richiamarsi ad una pregiudiziale metafisica. Essa e' ravvisabile nell'identita' che si vorrebbe instaurare tra progresso politico e avanzamento del sapere" (367). Ed in effetti, l'urgenza politica - secondo Santucci - e' assente dall'opera di Adorno e, semmai, e' la presentazione di Solmi a volergliela conferire. In Adorno, infatti, il marxismo appare come uno strumento utile a penetrare nelle contraddizioni della societa' borghese piu' che a descrivere una societa' nuova (e tanto meno ad indicare la prassi per raggiungerla). Infine, anche per Santucci gli aforismi adorniani lasciano intendere la nostalgia per il mondo borghese precedente alla svolta monopolistica e per la cultura spiritualmente molto ricca che in esso dominava: "Sicche' non destano meraviglia le uniche parole di speranza che Adorno sa pronunciare: 'la sensibilita' per tutto cio' che e' discosto e appartato, l'odio per la banalita', la ricerca di cio' che non e' ancora consunto, di cio' che non e' stato ancora assorbito dallo schema generale, e' ancora l'ultima chance del pensiero' (pp. 61-62). Una conclusione non nuova nella cultura tedesca, verso la quale non sappiamo trattenere una certa perplessita' pensando che altro e' e deve essere il compito della ragione, piu' cauto e insieme piu' fiducioso" (368).

Veniamo ora alla terza recensione ai Minima moralia. Si tratta di quella scritta da Pietro Rossi e pubblicata su "Rivista filosofica". Anche il filosofo torinese sottolinea quanto nel libro si percepisca la profonda traccia dell'intellettuale "estraniato", dell'esperienza dell'emigrazione. Lungi dall'essere un libro di filosofia, quello di Adorno (non un filosofo di professione in quanto autore "multidisciplinare") e' un libro di critica morale, sebbene la prospettiva moralistica del libro non riguardi l'individuo isolato (come invece, abbiamo gia' piu' volte messo in evidenza, nella tradizione del genere), ma l'individuo osservato nel suo determinato contesto sociale. Rossi individua con certezza le basi del discorso adorniano nel marxismo. In questo senso, Adorno non vuole indicare una condotta di comportamento a cui l'individuo si debba adeguare a prescindere dalla configurazione strutturale di una data societa: "l'analisi del comportamento dell'individuo diventa percio' subito l'analisi delle possibilita' di esistenza che la societa' nel suo sviluppo storico - cioe' una particolare struttura sociale - conduce agli individui che la costituiscono" (369). L'analisi del comportamento dell'individuo si configura cosi' come l'analisi delle modalita' in base alle quali si costituiscono le relazioni tra individui consentite dal sistema economico preso in esame. Uno degli aspetti centrali del libro riguarda, quindi, il rapporto tra vita (individuale) e produzione. Secondo Rossi, Adorno vede l'esistenza individuale quale pura e semplice appendice del processo economico e quindi quale "apparenza" - ma, in quanto riflesso delle forme di produzione, essa finisce per contrapporsi a queste ultime. Rossi ritiene che, in fondo, un tale rapporto di condizionamento unilaterale della societa' sull'individuo (di derivazione marxista appunto) sia filosoficamente e politicamente sterile. Altrettanto di derivazione marxista e' il tema dell'alienazione dell'uomo nella societa' borghese: il posto che l'esistenza individuale occupa nella societa' contemporanea sarebbe determinato dalla crisi dell'individualita' borghese e dalla difficolta' di pervenire ad una nuova individualita' fondata su altre (nuove) basi economiche e "l'esistenza individuale viene cosi' a poggiare sullo scarto che sussiste tra dissoluzione strutturale (e cioe' economica) e dissoluzione sovrastrutturale di tale societa'" (370).

Sulla crisi dell'individuo si innesta una problematica tipica della cultura tedesca (non solo filosofica) degli anni successivi alla prima guerra mondiale, ovvero la crisi della civilta' contemporanea e delle possibilita' concesse all'uomo nel suo ambito. Anche secondo Rossi, tuttavia, non siamo di fronte ad una critica di stampo reazionario perche' Adorno lega tale crisi alla fine imminente del mondo creato dal capitalismo moderno e dei suoi orientamenti ideologici: "la dissoluzione dell'individualita' borghese viene pertanto determinata nel 'livellamento degli individui', cioe' nella meccanizzazione e nella standardizzazione dei rapporti tra gli individui, provocata dalla meccanizzazione e dalla standardizzazione delle forme di produzione e di lavoro. E il livellamento degli individui diventa cosi' il rivestimento esteriore dell'impossibilita' di rapporti umani fondati su una vera e propria comunicazione" (371). Tale livellamento avrebbe come correlato etico l'indifferenza morale e la crisi della solidarieta' umana, sebbene vada segnalato che (contrariamente a quanto sostiene Rossi) Adorno non prefigura alcuna imminente caduta del capitalismo monopolistico ma - al contrario - ne certifica lo stato di salute e la sua autonomizzazione da altre componenti sociali e, infine, la sua capacita' di autorigenerarsi continuamente.

Dal punto di vista culturale, il livellamento degli individui ha come risultato il livellamento intellettuale, per cui la cultura sarebbe totalmente subordinata al processo capitalistico di produzione e di lavoro. In questo modo la cultura diventa "industria culturale", cioe' lo sfruttamento meccanizzato di procedimenti di indagine o di orientamenti ideologici. In base alla lettura che Rossi offre delle teorie adorniane, l'industria culturale risulta essere, quindi, una degenerazione del rapporto della cultura con la prassi. In precedenza, nella societa' borghese, l'intellettuale godeva di una relativa autonomia rispetto al processo economico. Il rapporto della cultura con la prassi era un rapporto mediato. Oggi, invece, l'autonomia relativa e' andata dissolvendosi e il rapporto cultura/prassi e' diventato un rapporto immediato. All'intellettuale non sono date che due possibilita' di scelta: conformarsi e collaborare con l'industria culturale oppure isolarsi (fittiziamente, in quanto tale isolamento risulta essere sempre meno possibile) rispetto alla realta'. La polemica con l'industria culturale e' il perno centrale del libro di Adorno ed e' in essa che si sente tutta l'eco dell'intellettuale "estraniato".

Questo stesso tema e' legato direttamente a quello del rapporto della cultura con la tecnica. E cio' sia per quanto riguarda l'idea di una cultura subordinata e determinata dalla tecnica mediante il suo inserimento nel processo produttivo e di lavoro; sia per quanto riguarda l'ideale positivistico del "pensiero controllato", ovvero la riduzione del pensiero a mera attivita' scientifica e - in ultima istanza - a tautologia. Secondo Rossi "Questa duplice polemica trova la sua contropartita positiva nella rivendicazione della filosofia, in quanto pensiero dialettico, nei confronti della scienza. La filosofia e' - in base alla definizione hegeliana - unita' di riflessione e di speculazione; la scienza e' invece mera riflessione, che pero' pretende oggi di incorporare nel suo ambito la speculazione. La filosofia e' sguardo che si dirige all'oggetto per considerarlo nel suo rapporto con l'universale; e, come tale, e' razionalita' che supera il piano del senso comune e dell'intelletto astratto sottoponendo a se' la riflessione" (372). La scienza, con la sua pretesa di procedere esclusivamente a livello empirico, si rivela alla fine negazione del pensiero (il quale, invece, trascende l'isolamento del fatto).

E' opinione di Rossi che proprio qui si manifesti il piu' profondo limite di Adorno: "Ma l'atteggiamento polemico dell'Adorno va oltre, per investire nel suo complesso il posto della scienza e della tecnica nella societa' contemporanea. In tale maniera la critica dell'asservimento della scienza alla tecnica trapassa in un rifiuto programmatico della tecnica in quanto alienazione dello spirito; e la critica alla riduzione della cultura a scienza trapassa in un rifiuto dell'esigenza di accertamento rigoroso implicito nell'ideale della ricerca scientifica" (373). La degenerazione del rapporto cultura/tecnica e' per Adorno un pericolo che non riguarda esclusivamente le modalita' con cui scienza e tecnica esplicano la loro funzione nel mondo d'oggi, ma coinvolge la funzione stessa della scienza. Non vi e' altra possibilita' - date le condizioni attuali - se non quella che la tecnica (asservendo la scienza e quindi la cultura) dia luogo all'alienazione. In questo frangente si palesano le basi marxiste di Adorno, e precisamente la relazione univoca e necessaria tra struttura e sovrastruttura. Secondo Rossi, Adorno esclude la possibilita' che ci siano o che ci possano essere altri modi di configurarsi di una relazione.

Rossi sostiene che l'atteggiamento prevalente di Adorno (risultante dall'opera esaminata) e' quello polemico, atteggiamento che - per il recensore - risulta inutile ed impotente, data appunto quella che per Adorno e' una necessita' inevitabile e immutabile della situazione e del processo in corso. Nella sua critica, in realta', e' sempre presente il raffronto con la societa' capitalista classica, con i suoi rapporti individuali e la sua cultura, il che lascia trasparire una vaga nostalgia romantica e aristocratica. Da marxista avrebbe dovuto, invece, vedere - nella dissoluzione contemporanea - la preparazione per la nuova societa' (374). Tuttavia, nonostante i limiti che sono stati appena messi in evidenza, e' lo stesso recensore a sostenere che l'opera di Adorno merita di essere meditata attentamente per le sue analisi sulla societa' e sulla cultura contemporanee.

Per quanto riguarda l'introduzione di Solmi, secondo Rossi a quest'ultimo va il merito di aver presentato in maniera esauriente un autore che rappresenta una delle personalita' di primo piano della cultura contemporanea, oltreche' di aver reso in italiano in maniera apprezzabile un testo molto complicato. Il limite della sua introduzione sta pero' nell'adesione netta nei confronti delle tesi di Adorno e nell'aver voluto mettere l'accento sul carattere filosofico/dialettico dei Minima moralia. Nel suo scritto, infatti, secondo Rossi, Solmi si appoggia decisamente su Adorno per polemizzare contro il "pensiero controllato", individuandolo esplicitamente nel neopositivismo logico e contrapponendovi lo storicismo hegeliano e marxiano. Ma proprio in tali polemiche e nella rivendicazione della filosofia come pensiero dialettico emergerebbe la posizione culturalmente reazionaria (che non deve necessariamente risolversi in una posizione reazionaria anche dal punto di vista politico) di Adorno, sostanzialmente condivisa da Solmi. Il loro sarebbe un atteggiamento reazionario perche' vorrebbero recuperare la filosofia dialettica contro l'ideale scientifico della ricerca rigorosamente condotta che ha contribuito a superare la dialettica stessa (375).

Infine, riassumiamo quali sono le considerazioni sui Minima moralia del germanista Paolo Chiarini nella sua recensione uscita sulla rivista marxista "Societa'", allora diretta da Gastone Manacorda e da Carlo Muscetta. Appoggiandosi al ritratto di Adorno delineato da Thomas Mann in Romanzo di un romanzo, Chiarini sottolinea fin da principio quella che secondo lui e' una delle caratteristiche principali del filosofo tedesco, ovvero "l'ambiguita' fra l'indagine speculativa e l'analisi sociologica, psicologica ed estetica, che pero' non si limita, come parrebbe ritenere il romanziere tedesco, alla semplice alternativa in una scelta di carattere formale, ma coinvolge un piu' largo problema di sostanza" (376). Certo, secondo il recensore anche lo stile della scrittura adorniana - per quanto brillante e affascinante - mostra i suoi limiti nel momento in cui rinuncia ad una certa oggettivita' scientifica e da' adito ad interpretazioni provenienti da campi della cultura piuttosto lontani tra loro. E questa procedura formale asistematica fa emergere la contiguita' del francofortese con Nietzsche, un altro grande della letteratura aforistica. Tuttavia, una volta superata la diffidenza causata dalle asperita' presenti sulla superficie del lavoro di Adorno, il lettore attento potra' scoprire quel nesso che lega una all'altra le riflessioni e che determina il tema complessivo della ricerca adorniana, ovvero l'indagine sui fenomeni che caratterizzano la vita moderna alienata. Uno di tali fenomeni - ad esempio - riguarda le modalita' con cui gli individui interagiscono tra loro, cioe' i rapporti che nella societa' contemporanea possono essere definiti in base a cio che Adorno chiama "paralisi da contatto". Questa, ovvero la sfiducia di Adorno nella possibilita' di instaurare tra gli individui rapporti effettivamente umani, e' una della principali manifestazioni del sostanziale pessimismo del pensatore tedesco. Tale pessimismo e la derivante convinzione dell'impossibilita' di trasformare il mondo stanno alla base della critica che Chiarini - muovendosi dalla sua formazione marxista - rivolge al francofortese: "Gli esempi a noi vicini di una radicale rivoluzione sociale non sembrano intaccare questo suo pessimismo; il quale in certa misura, determina anche l'aristocratismo latente nella ricerca adorniana, il suo rinchiudersi, cioe', negli angusti limiti del pensiero, rifiutando il nesso fecondo di teoria e pratica" (377).

Un altro aspetto del libro di Adorno che Chiarini prende in esame riguarda l'arte e la cultura contemporanee e il loro significato nella societa' moderna. Secondo Chiarini l'impossibilita' della comunicazione tra individui ha il suo parallelo culturale, tra l'altro, nella "Regression des Hoerens", cioe' nell'incapacita' anche da parte del pubblico colto di cogliere la sostanza musicale, il che conduce ad un rapporto "immediato", freddo e distaccato con la musica (378). Inoltre "Adorno parte dall'analisi dei fenomeni d'irrazionalismo nella cultura tedesca negli anni intorno alla prima guerra mondiale, quella stessa cultura cui diede corpo e figura Thomas Mann nello Zauberberg e nei capitoli monacensi del Doktor Faustus" (379). Ed e' proprio l'irrazionalismo ingenuo la cifra che permette di comprendere le caratteristiche di quell'atmosfera culturale che preparera' la strada all'avvento del nazismo. Nel riferirsi, dunque, all'analisi adorniana della cultura, Chiarini fa propria l'affermazione di Solmi per cui Adorno non sarebbe un critico della tecnica, ma un critico dell'economia. Tale constatazione - oltre che per l'analisi della societa' - viene intesa dal recensore anche per cio' che concerne lo sviluppo e il diffondersi dell'industria culturale osservata, in questo caso, come sistema di produzione dell'arte di massa ovvero di prodotti di consumo acritici, falsamente oggettivi e ipocritamente democratici (380).

Chiarini conclude la sua recensione mostrando quelli che secondo lui sono i maggiori referenti culturali di Adorno e che emergono dalle pagine dei Minima moralia. Innegabile - anche per ammissione dello stesso Adorno - la matrice hegeliana, soprattutto per quel che riguarda il punto di vista metodologico. Cio' significa che, nel tentativo di ricondurre a sistema le osservazioni sui fenomeni particolari della vita, diventa incontestabile "l'indicazione di Cesare Cases, secondo il quale le pagine di Adorno sono molto piu' profonde 'di un buon reportage giornalistico sull'America', ma anche molto piu' pericolose, 'in quanto conferiscono sanzione filosofica ad aspetti che altrove apparirebbero, e forse a ragione, fatti periferici di costume'" (381). Poi, se da un lato e' chiaro che le analisi adorniane si allacciano in qualche modo a certe teorie marxiste (ad esempio a quella dell'alienazione), in effetti lo fanno principalmente in senso strumentale, ovvero per condurre un'analisi teoreticamente fondata sui legami tra vita pubblica e vita privata. Chiarini e' quindi ancora una volta d'accordo con quanto Cases ha sostenuto nel suo intervento sul "Notiziario Einaudi" che abbiamo precedentemente ricordato: Adorno, cioe', sarebbe un Nietzsche che ha studiato Hegel e Marx. In questo senso e' necessario - per Chiarini - da un lato riconoscere la novita' insita nel pensiero del francofortese e la profondita' della sua ricerca, senza pero' - dall'altro - mettere tra parentesi il suo pessimismo o voler innalzare il suo metodo a modello ideologico-culturale.

Vediamo ora qualche esempio tratto da un'altra fonte utile per conoscere gli effetti della pubblicazione dei Minima moralia nell'ambito del mondo culturale italiano negli anni immediatamente successivi all'uscita del libro. Si tratta della corrispondenza tra Adorno e alcuni importanti intellettuali italiani. Tranne che in pochi casi, sono commenti brevi e che non entrano quasi mai nel merito di problemi teorici inerenti il libro stesso. Tuttavia, sono anche lettere preziose per comprendere la risonanza che gli aforismi adorniani hanno avuto nel nostro paese. Cosi', ad esempio, il 29 marzo 1955 il musicologo Giacomo Manzoni (che tradurra' per Einaudi i libri di Adorno di tema musicologico) esprime al francofortese il proprio apprezzamento per il libro e testimonia il diffuso coinvolgimento con cui viene letto in Italia, in modo particolare presso distinti circoli culturali (382). Dello stesso tenore sono le attestazioni di stima e d'interesse per la novita' che il libro ha rappresentato nell'atmosfera di chiusura dell'Italia dei primi anni Cinquanta, soprattutto per quanto riguarda la cultura di sinistra, espresse da intellettuali di diverso orientamento, formazione e ambito disciplinare come il sociologo Luciano Gallino (383), lo studioso di Hegel e di sociologia Roberto Giammanco (384) e il filosofo (molto noto, tra l'altro, in Germania poiche' divideva la sua attivita' tra Monaco e Roma) Ernesto Grassi (385).

Piu' articolati e approfonditi sono, invece, i commenti del gia' citato Paolo Chiarini e del politologo e storico Gian Enrico Rusconi. Chiarini scrive ad Adorno per informarlo di quanto i suoi libri (Dialektik der Aufklaerung, Philosophie der neuen Musik e soprattutto Minima moralia) gli abbiano fatto impressione, in modo particolare perche' pur inserendosi - a suo avviso - nella linea tracciata dalla dottrina marxista, lo fanno in modo non formale ne' dogmatico. In questo senso, egli prende le distanze dall'interpretazione fornita da Solmi nell'introduzione alla raccolta di aforismi (della quale, peraltro, riconosce l'acutezza). Secondo Chiarini, infatti, Solmi ha fatto rientrare il pensiero di Adorno interamente nell'ambito dell'ideologia marxista (386). Va comunque notato che lo stesso Chiarini, quando scrisse la sua recensione su "Societa'" (come abbiamo appena riassunto), sosteneva che quella di Adorno, piu' che un'adesione antidogmatica e non formale al pensiero di Marx, era un'interpretazione strumentale e finalizzata ad estrarre e impiegare i tratti utili alla propria ricerca. Ed infatti abbiamo sottolineato come egli fosse sostanzialmente d'accordo con le obiezioni mosse ad Adorno da Cases. Tuttavia, il germanista trova ora particolarmente interessanti i brani del francofortese che riguardano l'indagine sul fenomeno della progressiva disumanizzazione dell'individuo (osservato sia nella propria soggettivita', sia in quanto membro della societa'), sempre a rischio di cadere nella barbarie. In conclusione, insieme alla lettera, Chiarini invia ad Adorno anche la sua recensione ai Minima moraliadi cui ci siamo occupati sopra.

Rusconi (uno dei primi ad interessarsi organicamente della Teoria Critica e autore, negli anni Settanta, di una famosa monografia sulla Scuola di Francoforte), invece, scrive al filosofo qualche anno piu' tardi rispetto all'uscita del libro per presentarsi e per presentargli la sua tesi di laurea che ha come oggetto lo stesso filosofo di Francoforte. Inoltre desidera chiedere a quest'ultimo alcuni chiarimenti a proposito delle idee e dei concetti espressi nella sua opera. Scrive tra l'altro: "Da qualche tempo il Suo nome in Italia viene citato spesso come avra' Ella stessa notato nella sua permanenza romana. Tuttavia la 'cultura qualificata' (i nostri docenti e professori, per intenderci) ha un atteggiamento negativo nei Suoi confronti. Mi sembra un fenomeno significativo. Certo sorprende il paradosso che, fuori dall'ambito accademico, sta diventando 'di moda' il Suo violento anticonformismo: e' il caso di parlare di masochismo? [...] In Italia, come Ella sa, circola anche un Adorno marxista. La responsabilita di cio' e' la intelligente presentazione dell'edizione italiana dei Minima moralia ad opera di R. Solmi. Non condivido tale interpretazione. Marx mi sembra entrare nel Suo pensiero solo come perfezionatore di Hegel, in quanto proclama che la contraddizione insopprimibile della totalita' non va ricercata nella struttura dell'essere, ma nella societa' antagonistica. Il marxismo come presa di soluzione politica-economica e' da Lei ignorato o criticato come ennesima manifestazione storica della fatalita' dell'Herrschaft: il comunismo e' ancora una volta il segno della dialettica della Aufklaerung, nei suoi aspetti progressivi-regressivi". Qui Rusconi non tiene nella dovuta considerazione l'anticomunismo di Adorno, ponendo sullo stesso piano marxismo e comunismo. Tuttavia continua chiarendo che per lui il pensiero di Adorno e' si' un pensiero "sociale", ma che non ha come fuoco principale Marx, bensi' il percorso che va da Kierkegaard a Hegel. La visione del sociale in Adorno puo' essere illuminata - secondo Rusconi - mediante le scienze antropologiche e sociologiche e, in modo particolare, dal pensiero di Freud, anche se quest'ultimo viene estremizzato al massimo grado (come nel caso di de Sade) (387).

In conclusione, ci paiono degne di nota le parole che Adorno scrive al filosofo Franco Lombardi nel febbraio 1955 in risposta ad un invito a Roma da parte di quest'ultimo: "Vielleicht wissen Sie, dass unterdessen bei Einaudi eine italienische Ausgabe der Minima moralia (freilich nur eine Auswahl) erschienen ist, und gerade heute hoere ich, sie sei ein betrachtlicher Erfolg. Vielleicht konnte sich auch im Anschluss daran etwas arrangieren lassen" (388). Dalle sue parole risulta, dunque, che lo stesso filosofo francofortese e' consapevole del successo che il libro sta riscuotendo in Italia gia' a meno di un anno dalla pubblicazione. Inoltre e' interessante fin da ora notare un aspetto che esamineremo in maniera approfondita nel corso del nostro lavoro, ovvero che l'edizione Einaudi del 1954 e' una scelta e che lo stesso Adorno e' al corrente dei tagli apportati al libro.

*

Note

358. R. D'Alessandro, La teoria critica in Italia. Manifestolibri, Roma 2003, p. 49.

359. L. Amodio, "Minima moralia. Recensione a: Th. W. Adorno, Minima moralia", In "Ragionamenti", Anno I, n. 1, settembre-ottobre 1955, p. 7.

360. Ibidem, p. 8.

361. Ibidem, p. 8.

362. Ibidem, p. 9.

363. Ibidem, p. 10.

364. Ibidem, p. 10.

365. A. Santucci, "Recensione a Th. W. Adorno, Minima moralia", in "Convivium", anno XXIII, novembre-dicembre 1955, fascicolo n. 6, p. 735.

366. Ibidem, p. 735.

367. Ibidem, p. 736.

368. Ibidem, p. 736.

369. P. Rossi, Recensione a: Minima moralia, in "Rivista filosofica", Volume XLVI, 1955, p. 75.

370. Ibidem, p. 76.

371. Ibidem, p. 77.

372. Ibidem, p. 79.

373. Ibidem, p. 80.

374. Ibidem, p. 81.

375.Ibidem, p. 82.

376. P. Chiarini, recensione a: Minima moralia, in "Societa'", anno XI, n. 4, agosto 1955, p. 714.

377. Ibidem, p. 717.

378. Ibidem, p. 716

379. Ibidem, p. 717.

380. Ibidem, p. 718.

381. Ibidem, p. 718.

382. Theodor W. Adorno Archiv, Akademie der Kunste in Berlin, "Privatkorrespondenz", G. Manzoni an Th. W. Adorno, 29 marzo 1955.

383. Theodor W. Adorno Archiv, Akademie der Kunste in Berlin, "Privatkorrespondenz", L. Gallino an Th. W. Adorno, 29 ottobre 1958: Gallino scrive di aver riletto i Minima moralia, nell'ottima traduzione di Solmi ("in the wonderful translation of Renato Solmi"), con grande piacere dopo essersi occupato per un certo periodo di industria culturale.

384. Theodor W. Adorno Archiv, Akademie der Kunste in Berlin, "Privatkorrespondenz", R. Giammanco an Th. W. Adorno, 26 aprile 1957.

385. Theodor W. Adorno Archiv, Akademie der Kunste in Berlin, "Privatkorrespondenz", E. Grassi an Th. W. Adorno, primo novembre 1958: Grassi chiede ad Adorno un intervento da inserire nel volume del 1959 dell'"Archivio di Filosofia" ("Das Philosophische Tagebuch" e' il tema del volume). Gli propone di scriverlo sotto forma o di una prosecuzione dei Minima moralia oppure di un saggio teorico specifico sul problema. La prima soluzione sarebbe quella preferita in quanto i Minima moralia sono stati letti in Italia con grande interesse: "Entweder eine Fortsetzung Ihrer Minima moralia sein oder eine theoretische Abhandlung uber das Problem des philosophischen Tagebuches. Wir wurden die erste Losung vorziehen da uns alle die Minima moralia so sehr interessiert haben".

386. Theodor W. Adorno Archiv, Akademie der Kunste in Berlin, "Privatkorrespondenz", P. Chiarini an Th. W. Adorno, 19 febbraio 1956.

387. Theodor W. Adorno Archiv, Akademie der Kunste in Berlin, "Privatkorrespondenz", G. E. Rusconi an Th. W. Adorno, 7 maggio 1961 (lettera scritta in italiano).

388. Theodor W. Adorno Archiv, Akademie der Kunste in Berlin, "Privatkorrespondenz", Th. W. Adorno an F. Lombardi, 21 febbraio 1955.

 

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Numero 716 del 20 giugno 2015

 

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