[Nonviolenza] La domenica della nonviolenza. 385



 

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 385 del 21 agosto 2016

 

In questo numero:

1. Sotto le bombe

2. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia

3. Un parlamento eletto dal popolo, uno stato di diritto, una democrazia costituzionale. Al referendum votiamo No al golpe

4. Malvolio Straccani: Vecchi amici

 

1. SCORCIATOIE. SOTTO LE BOMBE

 

Sotto le bombe la gente muore.

Tutte le bombe, tutta la gente.

*

Solo la pace salva le vite.

Solo il disarmo ferma la strage.

 

2. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

 

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.

Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

 

3. REPETITA IUVANT. UN PARLAMENTO ELETTO DAL POPOLO, UNO STATO DI DIRITTO, UNA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE. AL REFERENDUM VOTIAMO NO AL GOLPE

 

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

No al golpe, no al fascismo, no alla barbarie.

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

Senza odio, senza violenza, senza paura.

*

Il Parlamento, l'istituzione democratica che fa le leggi, deve essere eletto dal popolo, e deve rappresentare tutti i cittadini con criterio proporzionale.

Ma con la sua riforma costituzionale il governo vorrebbe ridurre il senato a una comitiva in gita aziendale, e con la sua legge elettorale (il cosiddetto Italicum) vorrebbe consentire a un solo partito di prendersi la maggioranza assoluta dei membri della camera dei deputati anche se ha il consenso di una risibile minoranza degli elettori, e con il "combinato disposto" della riforma costituzionale e della legge elettorale il governo, che e' gia' detentore del potere esecutivo, vorrebbe appropriarsi di fatto anche del potere legislativo, rompendo cosi' quella separazione e quell'equilibrio dei poteri che e' la base dello stato di diritto.

Se prevalessero le riforme volute dal governo sarebbe massacrata la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista, sarebbe rovesciata la democrazia, sarebbe negata la separazione dei poteri e quindi lo stato di diritto.

*

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

No al golpe, no al fascismo, no alla barbarie.

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

Senza odio, senza violenza, senza paura.

 

4. RACCONTI PER L'ESTATE. MALVOLIO STRACCANI: VECCHI AMICI

[Dall'amico Malvolio Straccani riceviamo e pubblichiamo questo nuovo racconto]

 

Fu all'osteria del Gatto rosso, una sera di agosto che non c'era nessuno, che Filippo Resecchi e Riccardo Fallana si rincontrarono, ed erano passati quarant'anni o giu' di li'. E naturalmente non si riconobbero. Ma li riconobbi io.

Passo quasi tutto il mio tempo all'osteria, il padrone e' un amico, e poi e' sempre meglio che in un tavolo in fondo ci sia sempre qualcuno, dice che scoraggia i malintenzionati. Cosi' faccio parte del paesaggio, consumare consumo poco, qualche caffe', qualche mezzo litro con la gazzosa, la pensione e' quella che e'. Perlopiu' faccio solitari o leggo il giornale, oppure - come mi piace dire - "tengo udienza". C'e' sempre qualcuno piu' disgraziato di me che ha bisogno di un orecchio in cui travasare le sue sventure, io ascolto, dico qualche sobria parola di partecipazione, se richiesto di un'opinione do' qualche saggio consiglio. Ma soprattutto ascolto. Non gioco mai a carte, mi limito ai miei solitari, faccio i solitari anche quando tengo udienza ed e' per questo che si e' sparsa la voce che leggo le carte, ma le uniche carte che leggo sono i fogli del giornale, anzi dei giornali: perche' il padrone dell'osteria ne compra due, quello con le notizie locali e quello sportivo. Io li leggo tutti e due, sto li' quasi tutto il giorno. Nell'osteria c'e' pure la televisione ma sta nella seconda stanza, quella piu' interna che da' sul campo da bocce, a me la televisione mi da' fastidio, dicono solo bugie. Anche i giornali le sparano grosse, ma chi ha un po' di esercizio riesce a leggere quello che non c'e' scritto. E poi la televisione parla, e io sono sordo, gia' fatico a sentire chi mi strilla i suoi guai da mezzo metro, no, no, la televisione non fa per me. Capisco che nell'osteria ci debba essere, per le partite, ma a me piaceva di piu' quando le partite si sentivano alla radio, se le vedi ti accorgi che i giocatori sono tutti scamorze.

Veramente io non sono di qui, ci sono venuto ad abitare suppergiu' una quarantina d'anni fa. Avevo dovuto lasciare il paese mio in fretta e furia. Come Filippo e Riccardo.

Quarant'anni non sono uno scherzo, si cambia. Io per esempio se ritrovassi le fotografie di quando ero giovane - ma non ne ho conservata nessuna, non mi piacciono le fotografie - non mi riconoscerei per niente. Eppure ero io. Ma adesso sono tutta un'altra persona. E' cosi' per tutti, solo che la gente non se ne accorge. E' per questo che tante volte uno non riconosce una persona che conosceva tanti anni prima e poi aveva perso di vista. Infatti Filippo e Riccardo non si riconobbero. Entrarono quasi insieme, e siccome si portavano dietro uno una valigia e uno un borsone dovevano essere scesi dal treno da Firenze delle 19,45 e aspettavano l'arrivo del treno per Napoli delle 20,10 o quello per Bologna delle 20,30, o qualche altro treno piu' tardi, chi lo sa. Il bar della stazione e' chiuso per ristrutturazione dei locali, e il posto piu' vicino in cui i viaggiatori accaldati possono farsi un goccio e' questo. E' chiaro che non riconobbero neppure me. Gia' sarebbe stata una coincidenza improbabile il casuale incontro di due di noi, ma che ci incontrassimo per puro caso addirittura tutti e tre insieme chiunque lo avrebbe ritenuto impossibile. E invece.

Li riconobbi subito: Filippo camminava dritto come un fuso che pareva l'avessero impalato, e Riccardo zoppicava come sempre. Mi parve che Filippo non avesse piu' la fede al dito, ed era comprensibile, pero' avrebbe sempre potuto risposarsi. In quarant'anni ne succedono di cose. Era vestito abbastanza bene, non uno straccione come me, ma questo non voleva dire niente, gli era sempre piaciuto vestirsi bene e magari adesso in tasca aveva solo i soldi per un caffe', ma il vestito era inappuntabile. Forse lavorava ancora, e nel genere di lavoro che facevamo quarant'anni fa l'apparenza e' tutto. Mi pareva anche piu' giovane dell'eta' che aveva, di sicuro si tingeva i capelli. Riccardo invece era invecchiato e malmesso, mi sembrava ingobbito e floscio, emanava un sentore di marcio e di avvilimento, forse era malato.

Filippo si era seduto a un tavolo e aveva ordinato un caffe' e un bicchier d'acqua. La voce era la sua. Riccardo invece si era seduto su uno sgabello davanti al bancone, aveva appoggiato i gomiti sul bancone e le mani sulle guance, poi aveva chiesto un cognacchino, come sempre. La voce si era indebolita e la dizione impastata - sommessa e strascicata, tutta soffi e sibili - mi fece pensare che gli mancasse qualche dente, o che avesse gia' bevuto. Riccardo dava le spalle a Filippo, e nessuno dei due aveva prestato attenzione alla voce dell'altro, ma io si'. Erano proprio loro. Poiche' non avevo altro a cui pensare, mentre continuavo il solitario cominciai a ruminare tra me se c'era qualche possibilita' che si riconoscessero.

*

Quarant'anni prima lavoravamo insieme, nel ramo rapine. E si guadagnava bene. Poi siccome eravamo giovani spendevamo pure a rotta di collo, fessi che eravamo. Stavamo sempre insieme; quasi sempre, a dire il vero, perche' Filippo era sposato con la Tina e giustamente dovevano avere anche la loro vita privata. Quando finivamo i soldi facevamo un'altra rapina, e cosi' via.

Quarant'anni fa, quell'ultima notte che passammo insieme, avevamo appena incassato da un ricettatore la spettanza per certa merce che gli avevamo portato, il frutto dell'ultima nostra impresa, ed erano davvero bei soldi, tanti soldi. Mentre eravamo in macchina che da casa del cravattaro tornavamo al paese, a un certo punto Riccardo disse: "Ah Fili', te devo di' 'na cosa". E Filippo: "Che m'hai da di'?". "E' mejo che te la dico da solo a ssolo". E Filippo, a cui piaceva darsi le arie: "Allora me la poi di' subbito, qui semo soli noi co' Corrado e se mm'hai da di' 'na cosa a mme, Corrado po' senti'". "So' 'nnato a lletto co' la tu' moje, porca paletta, Fili', so 'nnato a lletto co' la tu' moje, mo' mme dispiace, Fili', ma sso' propio annato a lletto co' essa". Nessuno disse piu' una parola per tutto il viaggio. Arrivati al paese fermammo la macchina nel garage di Filippo. Lui disse: "Salgo un attimo di sopra, voi fate le parti". E sali' le scale. Io dissi a Riccardo: "Ma che te se' bevuto 'l cervello? Mo' t'ha da ammazza'". E lui: "E' ggiusto, cia' raggione, nun me 'mporta gnente". E io: "Tu sse' matto, Ricca', vedemo d'annassene". Allora parve scuotersi e disse: "Si', spartimo 'sti sordi e annamosene". Io preparai tre pacchetti incartati bene, ne lasciammo uno li' e stavamo uscendo quando sentimmo una schioppettata. Filippo aveva ammazzato la moglie. Salimmo di corsa: "Ma ch'hae fatto, era a mme che dovevi ammazza', no a essa", singhiozzava Riccardo. "No", disse Filippo, "lei era mi' moje e doveva resta' ffedele a mme che so' 'l su' marito; con te semo amici e e' grave lo stesso ma se sa che l'omo e' omo e essa era davero bbella" e comincio' a piangere a dirotto pure lui. E si abbracciavano, lacrimavano e si abbracciavano stretti. Roba dell'altro mondo. Allora io dissi: "Mo' bbasta, quel ch'e' stato e' stato. Oramai dovemo solo che annassene, qui c'e' 'l cadavere e figurete si nun fanno 'n inchiesta e ce 'ncastreno sicuro come 'na messa: a te tte danno ll'omicidio ma a tutt'e tre ce danno tutte le rapine ch'emo fatto e ppure qualch'antra. Ergastolo sicuro. S'ha dda scappa', e dde corza". Furono d'accordo, scendemmo, demmo a Filippo il fagottello con la parte sua, salimmo tutti e tre sulla macchina e Filippo ci accompagno' prima a casa di Riccardo che prese la macchina sua e ci venne dietro fino a casa mia, dove io presi la macchina mia. Ma prima di lasciarci scendemmo tutti e tre dalle macchine per dirci addio, poiche' sapevamo che ognuno avrebbe preso una strada diversa e probabilmente non ci saremmo visti mai piu'. Ci abbracciammo forte, poi ognuno sali' sulla sua automobile e uscimmo dal paese: al primo incrocio ognuno prese una direzione diversa.

Non ci avevo mai pensato che fra Tina e Riccardo ci potesse essere una storia. E' vero che Filippo era insopportabile. Sempre arrogante, sempre saputone, voleva fare il capo con noi, figurarsi con la moglie: e qualche volta ci aveva detto che la menava, ma sono cose che si dicono sempre parlando tra uomini e non ci si faceva caso, e poi che fosse vero o che fosse una vanteria che cambiava? Era un tempo che gli uomini che arrivavano a casa dopo aver subito sventure o affronti a cui avevano dovuto chinar la testa due cose sapevano fare, e le facevano sempre: ubriacarsi e pestare la moglie e i figli. Filippo non mi pareva tipo da ubriacarsi (era sempre freddo, composto, elegante, misurato, ed era insopportabile proprio per quello), ma non si puo' mai sapere. Nelle case succedono cose che da fuori non le puoi neppure immaginare. Che Tina potesse non sopportarlo, mi sembra piu' che possibile, probabile. Ma non me lo aspettavo che lei se la facesse proprio con Riccardo che a vederlo non gli si dava un soldo di fiducia; e non mi aspettavo neppure che Riccardo fosse cosi' scemo da dirlo a Filippo; e non mi aspettavo che Filippo avrebbe ammazzato la moglie: se proprio doveva ammazzare qualcuno era logico che ammazzasse Riccardo, che aveva tradito l'amicizia - e che altro c'e' oltre l'amicizia? E invece. Le persone ti credi di conoscerle e invece non le conosci mai.

*

Da allora avro' ripensato diecimila volte a quella notte, e con l'andare del tempo mi sono accorto di una cosa: che eravamo tutti ciechi sull'esistenza di Tina. Noi eravamo tre amici per la pelle e il mondo era fatto di noi tre contro tutto il resto. Tina era un pezzettino di tutto il resto. Ma era cosi' pure per Filippo? Magari per lui c'era un mondo in cui c'eravamo noi tre contro tutto il resto e c'era un altro mondo in cui era lui e Tina contro tutto il resto, e doveva continuamente saltare da un mondo all'altro. Ma non ne parlammo mai. E per Riccardo? Magari per lui c'era si' il mondo di noi tre contro tutto il resto ma anche il mondo di lui e Tina e in quel mondo erano lui e Tina contro Filippo. E magari per lui c'era pure un mondo in cui erano lui e Filippo contro Tina. Alla fine cominciai a chiedermi chi era Tina, che pensava di noi, in che mondo viveva: era lei contro noi tre? O noi tre eravamo un pezzetto di tutto il resto contro cui lei si batteva da sola? O anche lei viveva in piu' mondi che in parte si sovrapponevano, e allora in parte si armonizzavano e in parte confliggevano, colluttavano, si ferivano e si mutilavano, e le divoravano l'anima ed era un continuo sanguinare e una gran confusione senza possibilita' di mediazioni dialettiche: un mondo dove era lei sola contro tutto il resto, un mondo dove erano lei e Filippo contro tutto il resto, un mondo dove erano lei e Riccardo contro tutto il resto... Ed io che ero per Tina? Ero sempre solo un pezzo di tutto il resto? O magari Tina non la vedeva come noi, non c'era un "contro tutto il resto", non ne aveva bisogno per sapere chi era lei, magari lei non era contro nessuno, oppure era contro qualcuno e insieme a qualcun altro, oltre Filippo, oltre Riccardo, e noi questa cosa non la capivamo neppure, anzi non pensavamo neppure che potesse esistere un punto di vista diverso dal nostro. Con gli anni mi sono accorto che le donne pensano meglio di noi uomini, e che noi uomini siamo tutti fascisti. Forse perche' le donne fanno i figli e noi no, noi viviamo murati nella nostra solitudine, loro invece sanno che avere la capacita' di dare la vita ad altre persone rende responsabili di altre persone, ti apre alla comprensione autentica della pluralita' delle persone e del rispetto che a tutte e' dovuto. E poi, millenni di oppressione di genere, come millenni di oppressione di classe, fanno si' che chi ha subito una cosi' lunga violenza porta con se' una capacita' di verita', una coscienza del vero e quindi un'esigenza del bene e del giusto, che gli oppressori non possono avere mai, mai. Pure io, che non ho mai voluto fare del male a una donna e infatti non mi sono mai sposato, anzi non sono neppure mai andato a letto con una donna, pure io sono un fascista perche' sono stato complice della dittatura fascista dei maschi, e il complice piu' spregevole, il complice che neppure se ne accorgeva che c'era la dittatura. Non ero stato sempre un rapinatore. E neanche Filippo e Riccardo. Prima eravamo operai tutti e tre, ed eravamo comunisti. A quel tempo il mondo non era lo schifo che e' oggi. Era sempre uno schifo, ma in quello schifo c'era un sacco di gente che lottava contro quello schifo, e quelli eravamo noi, i comunisti. Mi fa ridere, e insieme mi fa rabbia, e mi fa pena, quando sento la gente nell'osteria che dice che i comunisti erano per la dittatura; ma che ne sanno loro: i comunisti erano quelli che combattevano contro la dittatura, in Unione sovietica i nostri compagni erano quelli dell'opposizione allo stalinismo, erano quelli ficcati a schiattare nei gulag. Erano quelli che avevano combattuto in Spagna contro il fascismo e poi Stalin li aveva ficcati nel gulag, erano quelli che avevano resistito a Stalingrado e poi Stalin li aveva ficcati nel gulag. Quando gli anticomunisti dicono "comunisti" intendono i fascisti come loro; quando noi diciamo "comunisti" intendiamo chi sa che tutte le vite meritano di essere salvate, che tutte le persone meritano di essere aiutate, e che sapendo questo hai il dovere di agire di conseguenza. I processi di Mosca: non era chiaro quali erano i nostri compagni? Budapest 1956: non era chiaro quali erano i nostri compagni? La primavera di Praga: non era chiaro quali erano i nostri compagni? Cose del secolo scorso, piu' antiche delle guerre puniche, non le ricorda piu' nessuno a parte noi. Eppure noi tre diventammo rapinatori, ed era solo per caso che non avevamo ammazzato nessuno perche' quando lavoravamo le armi ce le portavamo ed erano cariche, e se qualcuno avesse cercato di resistere lo avremmo steso senza pensarci sopra: quando hai un'arma, hai gia' deciso di ammazzare qualcuno. Ma come era successo che da comunisti eravamo diventati rapinatori? avevamo perso la speranza e per questo diventammo rapinatori, o diventammo rapinatori e quindi perdemmo la speranza? E poi: eravamo comunisti solo perche' eravamo operai? o perche' speravamo che la nostra lotta potesse vincere e l'umanita' liberarsi da ogni catena? Io no, io ero sempre stato leopardiano prima ancora che marxista, ed ero comunista proprio perche' l'umanita' e' costitutivamente infelice e allora proprio per questo tu devi lottare contro l'oppressione, la violenza, il dolore che esseri umani infliggono ad altri esseri umani invece di aiutarsi tutti come sarebbe logico, come sarebbe giusto. Il programma della Ginestra. Il programma della Ginestra. Eravamo diventati rapinatori perche' non volevamo piu' essere sfruttati come operai. Ma diventando rapinatori non eravamo saltati dall'altro lato della barricata della lotta di classe? E se eravamo saltati dall'altra parte non eravamo diventati per forza fascisti? Socialismo o barbarie. La Rosa rossa ripescata dal canale. Forse era per questo che avevamo deciso che gli incassi delle rapine (i soldi che facevamo con le rapine li chiamavamo "incassi", non guadagni, non frutti) li dividevamo alla pari fra tutti e tre ma poi c'era l'accordo che ognuno di noi avrebbe anonimamente donato un terzo della sua parte a un'organizzazione del movimento operaio, io almeno l'ho sempre fatto. Era senso di colpa? o che altro? Ma comunisti o rapinatori a quel tempo non ci eravamo accorti che c'era mezza umanita' nei cui confronti anche noi eravamo fascisti, non ci eravamo accorti che senza liberazione delle donne l'umanita' sara' sempre schiava, il fascismo vincera' sempre, lo sfruttamento non finira'. Io ci ho messo un sacco di tempo a capirlo. E quando l'ho capito ormai non ero piu' niente, ero solo una persona in fuga - la fuga piu' astuta: quella di chi trova una nicchia nel buio e vi resta immobile, e vi s'immeschinisce, si mineralizza giorno dopo giorno, svuotandosi goccia a goccia -, ero uno che si nascondeva, uno che era svanito, che non aveva piu' consistenza delle nuvole e dei sogni. Ho passato gli ultimi quarant'anni nel buio, nel freddo, nel vuoto. Non nella paura, ma nella stanchezza e nel disprezzo di me stesso. Si', quando ho potuto ho dato una mano a chi mi chiedeva aiuto, ma cercando di non farlo vedere, raccomandandomi sempre che non lo dicessero in giro, e preferendo che pensassero che leggevo le carte e passavo le giornate a irrancidirmi all'osteria. Ma non e' di me che vi sto raccontando.

*

Mi sono sempre chiesto che avra' pensato di noi Filippo quando si sara' accorto che nella spartizione dei soldi che ci aveva dato il ricettatore nell'involto suo ci avevamo messo un Oscar Mondadori senza la copertina e coi quinterni tagliati per meglio simulare la flessibilita' delle banconote sciolte (mi ricordo pure che libro era: Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati, il libro era mio, ce lo avevo in tasca quella notte, ma ormai l'avevo letto e quindi non mi era dispiaciuto metterlo nell'involto al posto dei soldi di Filippo), e i soldi suoi ce li eravamo spartiti io e Riccardo. L'avra' capito subito che il colpo lo avevamo fatto tutti e due insieme fregando solo lui, o avra' pensato che i soldi se li era presi tutti uno solo fregando gli altri due? la verita' era che ci eravamo proprio messi d'accordo per fregare lui, io perche' pensavo che la societa' era bella che finita dopo che Riccardo aveva detto quello che aveva detto, e siccome quando Filippo sali' le scale li' eravamo solo io e Riccardo spartimmo tra noi; se Filippo non fosse salito e magari Riccardo fosse andato fuori a fare un goccio d'acqua allora magari a bocca asciutta avremmo fatto restare Riccardo. Riccardo quando gli proposi l'affare e gli dissi che doveva decidere subito, che il tempo era poco, forse avra' pensato in un lampo di lucidita' che Filippo quando sarebbe tornato giu' lo avrebbe ammazzato, e allora visto che doveva comunque fuggire era meglio avere qualche spicciolo in piu'. E ando' cosi'. Certo, un conto e' scappare di fretta lontano lontano portandosi in tasca all'incirca cento milioni di lire, e un altro conto e' farlo con Il deserto dei Tartari, che comunque era un bel libro, ho pensato tante volte che quando Filippo scarto' il regaletto dapprima certo non l'avra' presa bene, ma dopo di sicuro il libro se l'e' letto, e magari ce l'ha ancora, sebbene sia un po' complicato da leggere visto che tutti i fogli ormai erano sciolti. A me e a Riccardo centocinquanta milioni per uno invece di cento non ci facevano schifo.

*

E adesso, quarant'anni dopo, eccoci di nuovo tutti e tre insieme, qui all'osteria del Gatto rosso.

Alle otto e cinque Filippo si alzo' per uscire. Riccardo era sempre al bancone, ed era al secondo o al terzo cognac. Quando Filippo fu alla porta pensai che la coincidenza era troppo bella per sprecarla, allora gridai: "Filippo, sono Corrado, e quello che trinca al bancone e' Riccardo, te li abbiamo fregati noi i soldi, hai sbagliato ad ammazzare lei, dovevi ammazzare noi". Filippo si fermo', ma non si giro' neppure, resto' fermo dieci secondi, poi apri' la porta e usci'. Riccardo si era girato verso di  me, gli occhi acquosi, la faccia gonfia e senza forma, mi sembrava stordito, non lo so se aveva capito quello che avevo detto. Ma non passo' mezzo minuto che la porta si apri' di nuovo, adesso aveva una pistola, forse l'aveva tirata fuori dalla valigia, col braccio teso camminava verso Riccardo e mentre camminava sparava, uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto colpi. Alla testa, al petto. Riccardo fece un sospiro lunghissimo e scivolo' per terra mentre la faccia si riempiva di sangue e sul giubbotto fiorivano quattro bottoni rossi. Era morto stecchito. Filippo si volto' verso di me, col braccio teso e la pistola puntata, e disse: "Ti potevi stare zitto, no?". E io: "Potevo". E lui: "Comunque grazie per Il deserto dei Tartari", e intanto ritraeva il braccio e la rivoltella spariva nella tasca della giacca. Usci' senza fretta, come chi sa che deve essere veloce a sparire e per essere veloce a sparire la prima regola e' non affrettarsi.

 

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA

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Numero 385 del 21 agosto 2016

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