[Nonviolenza] Telegrammi. 2455



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2455 del 29 agosto 2016

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Tutte le vittime

2. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia

3. Un parlamento eletto dal popolo, uno stato di diritto, una democrazia costituzionale. Al referendum votiamo No al golpe

4. Una bozza di lettera da inviare ai parlamentari

5. Alcuni testi del mese di luglio 2016 (parte terza)

6. Malvolio Straccani: Un'avventura di Giantullio Scalogni

7. Le tragedie. Una meditazione alla notizia del disastro ferroviario in Puglia

8. Le armi, le armi assassine

9. Malvolio Straccani: Un'avventura di Nino Crivellacci

10. Segnalazioni librarie

11. La "Carta" del Movimento Nonviolento

12. Per saperne di piu'

 

1. LE ULTIME COSE. TUTTE LE VITTIME

 

Il terremoto. I naufragi. Le guerre.

Tutte le vittime esseri umani.

Salvare le vite.

Cessare di uccidere.

 

2. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

 

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.

Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

 

3. REPETITA IUVANT. UN PARLAMENTO ELETTO DAL POPOLO, UNO STATO DI DIRITTO, UNA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE. AL REFERENDUM VOTIAMO NO AL GOLPE

 

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

No al golpe, no al fascismo, no alla barbarie.

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

Senza odio, senza violenza, senza paura.

*

Il Parlamento, l'istituzione democratica che fa le leggi, deve essere eletto dal popolo, e deve rappresentare tutti i cittadini con criterio proporzionale.

Ma con la sua riforma costituzionale il governo vorrebbe ridurre il senato a una comitiva in gita aziendale, e con la sua legge elettorale (il cosiddetto Italicum) vorrebbe consentire a un solo partito di prendersi la maggioranza assoluta dei membri della camera dei deputati anche se ha il consenso di una risibile minoranza degli elettori, e con il "combinato disposto" della riforma costituzionale e della legge elettorale il governo, che e' gia' detentore del potere esecutivo, vorrebbe appropriarsi di fatto anche del potere legislativo, rompendo cosi' quella separazione e quell'equilibrio dei poteri che e' la base dello stato di diritto.

Se prevalessero le riforme volute dal governo sarebbe massacrata la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista, sarebbe rovesciata la democrazia, sarebbe negata la separazione dei poteri e quindi lo stato di diritto.

*

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

No al golpe, no al fascismo, no alla barbarie.

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

Senza odio, senza violenza, senza paura.

 

4. PROPOSTE D'INIZIATIVA. UNA BOZZA DI LETTERA DA INVIARE AI PARLAMENTARI

 

Al/alla parlamentare ...

Oggetto: proposta di un impegno suo personale affinche' al piu' presto si addivenga alla discussione nelle competenti Commissioni parlamentari dei vari disegni di legge per la formazione alla nonviolenza delle forze dell'ordine

Gentile parlamentare ...,

le scriviamo per formularle la richiesta di un suo personale impegno affinche' al piu' presto si addivenga alla discussione nelle competenti Commissioni parlamentari dei vari disegni di legge per la formazione alla nonviolenza delle forze dell'ordine.

Come gia' sapra', dal 2014 sono state presentati sia al Senato che alla Camera vari disegni di legge che propongono la formazione delle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza. Al Senato il disegno di legge n. 1515 recante "Norme di principio e di indirizzo per l'istruzione, la formazione e l'aggiornamento del personale delle Forze di polizia" presentato in data 10 giugno 2014 ed annunciato nella seduta pomeridiana n. 258 del 10 giugno 2014; il disegno di legge n. 1526 recante "Norme per l'inclusione della conoscenza e dell'addestramento all'uso delle risorse della nonviolenza nell'ambito dei percorsi didattici per l'istruzione, la formazione e l'aggiornamento del personale delle forze di polizia" presentato in data 16 giugno 2014 ed annunciato nella seduta pomeridiana n. 263 del 17 giugno 2014; il disegno di legge n. 1565 recante "Norme per l'inclusione della nonviolenza nei percorsi formativi del personale delle forze di polizia" presentato in data 14 luglio 2014 ed annunciato nella seduta pomeridiana n. 279 del 15 luglio 2014; disegni di legge sottoscritti da numerosi senatori di varie forze politiche: Loredana De Petris, Luigi Manconi, Rita Ghedini, Valeria Fedeli, Paolo Corsini, Silvana Amati, Sergio Lo Giudice, Daniela Valentini, Rosa Maria Di Giorgi, Miguel Gotor, Elena Ferrara, Marco Scibona, Adele Gambaro, Marino Germano Mastrangeli, Daniele Gaetano Borioli, Maria Spilabotte, Erica D'Adda, Monica Cirinna', Manuela Serra, Francesca Puglisi, Pasquale Sollo, Francesco Giacobbe. Ed alla Camera il disegno di legge recante "Norme per l'inclusione della conoscenza e dell'addestramento all'uso delle risorse della nonviolenza nell'ambito dei percorsi didattici per l'istruzione, la formazione e l'aggiornamento del personale delle Forze di polizia" (atto Camera 2698) presentato il 4 novembre 2014; e il disegno di legge recante "Norme di principio e di indirizzo per l'istruzione, la formazione e l'aggiornamento del personale delle Forze di polizia" (atto Camera 2706) presentato il 5 novembre 2014; disegni di legge sottoscritti da deputati di varie forze politiche: Arturo Scotto, Celeste Costantino, Donatella Duranti, Giulio Marcon, Michele Piras, Stefano Quaranta, Massimiliano Bernini.

Ricordera' anche che gia' nel 2001 fu presentato al medesimo fine di istituire la formazione delle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza un disegno di legge sottoscritto da decine di senatori di tutte le forze politiche (ed in particolare i senatori Occhetto, Acciarini, Baratella, Battafarano, Battaglia, Bonfietti, Boco, Calvi, Chiusoli, Cortiana, Coviello, Crema, Dalla Chiesa, D'Ambrosio, Dato, De Paoli, De Petris, De Zulueta, Donati, Falomi, Fassone, Filippini, Formisano, Liguori, Longhi, Malabarba, Marini, Martone, Murineddu, Pascarella, Petruccioli, Ripamonti, Salvi, Tessitore, Turroni, Veraldi, Vicini, Viserta, Zancan), sostenuto anche dall'attenzione e dall'apprezzamento di deputati e parlamentari europei (tra cui i deputati: Bandoli, Bimbi, Bolognesi, Cento, Cima, Deiana, De Simone, Grandi, Grillini, Luca', Lucidi, Panattoni, Pecoraro Scanio, Pinotti, Pisapia, Preda, Realacci, Rognoni, Russo Spena, Ruzzante, Siniscalchi, Tolotti, Valpiana, Violante; tra i parlamentari europei: Imbeni, Di Lello, Fava, Morgantini e Pittella); ma allora quel disegno di legge non giunse ad essere esaminato nelle competenti Commissioni parlamentari.

Le segnaliamo anche che vari altri senatori e deputati hanno espresso il loro sostegno all'iniziativa legislativa per la formazione delle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza; e che, sempre nel 2014, la stessa Presidente della Camera dei Deputati, on. Laura Boldrini, trasmise alla competente Commissione Parlamentare, "affinche' i deputati che ne fanno parte possano prenderne visione", la documentazione a tal fine predisposta dal "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" che dal 2000 ha proposto al Parlamento di legiferare in tal senso.

Non vi e' bisogno di ripetere ancora una volta quanto sia opportuno che nel proprio percorso formativo e conseguentemente nella propria operativita' gli appartenenti alle forze dell'ordine possano disporre anche delle straordinarie risorse che la nonviolenza mette a disposizione di tutti gli attori sociali impegnati in situazione critiche per la sicurezza comune e la difesa dei diritti di tutti.

Con questa lettera vorremmo sollecitare il suo personale impegno affinche' quei disegni di legge giungano al piu' presto all'esame delle competenti Commissioni parlamentari e possano avere esito in un disegno di legge unificato ampiamente meditato e condiviso che possa divenire nel piu' breve tempo possibile legge dello stato.

Distinti saluti,

Firma, luogo e data, recapito del mittente

 

5. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI LUGLIO 2016 (PARTE TERZA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di luglio 2016.

 

6. MALVOLIO STRACCANI: UN'AVVENTURA DI GIANTULLIO SCALOGNI

 

Giantullio Scalogni fin dalle scuole aveva sofferto di quel nome infame. Dall'asilo, alle elementari, alle medie, la sua carriera scolastica era stata un calvario di beffe: come questa cantilena ripetuta fino all'ossessione: "Gianduia Scarogna, Gianduia Scarogna, che porta sfortuna e cia' pure la rogna". E naturalmente non solo beffe, ma colluttazioni finche' riusci' a battersi, poi solo insulti e pestaggi subiti, e la fama appo i maestri e i professori di turbolento e attaccabrighe e il consiglio di non farlo studiare e mandarlo a garzone dove che fosse, che ci pensasse il padrone a raddrizzarlo.

E a garzone ci ando' per qualche anno, imparo' che le cattiverie subite a scuola erano poca cosa rispetto a quelle che dovette sopportare in officina, e oltretutto padre e madre sempre a dirgli che doveva essere grato al padrone di farlo lavorare, e il padrone che lo chiamava "schiavo della malora", "ladro senza cervello", "bestia piu' bestia delle bestie", e un ceffone o peggio ogni volta che gli capitava a tiro, che sommati insieme alla fine della giornata facevano una gragnuola di colpi. Per difendersi cercava di lavorare il meno possibile, di far male i lavori, di danneggiare le macchine, di sgraffignare qualunque cosa gli capitasse a tiro, magari per buttarla in un cassonetto appena girato l'angolo.

Finche' non ce la fece piu' e, raggiunta la maggiore eta', se ne ando'.

*

Quando torno', ormai vecchio, lo avevano dimenticato tutti.

Grande e grosso e incurvato, con la barba bianca lunga cosi', mezzo sdentato, con una valigia enorme. Sceso alla stazione se ne ando' alla vecchia casa, che ormai era abitata da un'altra famiglia. Senza dire chi era chiese notizie dei suoi, ma i nuovi inquilini non ne sapevano nulla, cosi' dovette chiedere al bar, al tabaccaio, all'edicola dei giornali, al farmacista e niente di niente. Alla fine dal prete (un giovane prete, che non era neppure del paese, e che non li aveva mai visti, ma consulto' i registri della parrocchia) seppe che erano morti tanti e tanti anni prima, e amen.

Prese in affitto una camera e l'affittacamere, che naturalmente era una vecchia, vecchia signora, si ricordava di lui: "Mi scusi, signore, ma lei sara' mica il figlio della povera Alfonsina?". "Si', signora". "E non si ricorda di me? Sono la Lia". "No, signora. Mi spiace". E fu tutto.

Vecchio, solo e con una stentata pensione Giantullio si sistemo'. Non frequentava nessuno, ogni mattina andava al bar a leggere il giornale e a bere alternatamente caffe' amaro e te' alla menta, poi andava a camminare nel bosco, che era a due passi dal centro abitato, poi se ne tornava nella sua camera a leggere e - si diceva - a scrivere, ma nessuno lo vide scrivere mai nemmeno una cartolina. Non aveva il telefono, non aveva la televisione. E non c'e' bisogno di dire che non aveva neppure l'automobile o un motorino o una bicicletta. Del resto, dove doveva andare?

Anni passarono.

*

Anni passarono. E il mondo era cambiato: i computer, i telefonini, la disoccupazione, l'arrivo dei migranti, sempre piu' numerosi.

Nel corso del tempo, inevitabilmente, qualche parola aveva pur dovuto scambiarla con qualcuno. Ma di malavoglia, e smozzicata, a frasi reticenti e inconcluse, che finivano in un mormorio indistinto, una smorfia, un'alzata di spalle, un vago gesto della mano.

Non amava parlare ed aveva cominciato a dire che non si ricordava piu' bene la lingua per essere stato all'estero troppi anni. E a chi gli chiedeva dove fosse stato rispondeva genericamente in Africa, e talvolta in risposta ai piu' insistenti accennava a paesaggi e vicende di cui aveva letto nei libri di Conrad o di Hemingway. E tanto bastava. Ma nel paese ci si fece infine l'idea che quell'uomo riservato che leggeva tanto e non parlava mai la sapesse lunga, che dovesse custodire qualche grave segreto, che se era tornato era certo per una vendetta o per una missione di grande importanza, e che il trascorrere degli anni senza che nulla dicesse o facesse fosse lampante conferma che stava preparando qualcosa di grosso, e tutti attendevano il colpo.

E comincio' ad essere insieme temuto e riverito. Se ne accorse lentamente: le persone che incontrava per strada lo salutavano con sollecitudine; al bar sempre piu' spesso qualcuno veniva a chiedergli consiglio su questioni di cui nulla sapeva, ed insistevano - ossequiosi, servili - per un suo parere per il quale poi lungamente lo ringraziavano; una volta anche il giovane prete ormai non piu' tanto giovane gli venne a chiedere (a lui che in chiesa non aveva mai messo piede, se non quell'unica volta in sacrestia per sapere che fine avessero fatto suo padre e sua madre) un'opinione da uomo di esperienza su un difficile caso di coscienza e di dottrina.

*

Non era stato in Africa. Aveva vagabondato per anni nel nord Italia e in Svizzera, aveva imparato ad usare il coltello, ed era anche finito in prigione per un affare andato male, ma era senza documenti ed aveva dato il nome di un amico morto ammazzato (e il cui cadavere era stato fatto sparire nel nulla) cosicche' la galera se l'era fatta a nome di quell'altro, nessuno si era accorto della sostituzione, e quando usci' si sposto' altrove, riprese il suo nome, si fece rifare i documenti che dichiaro' di avere smarrito quando lavorava all'estero - e diceva nomi di stati alle cui rappresentanze diplomatiche era inutile chiedere conferme -, e con un certo gruzzoletto che prima era stato dell'amico morto ammazzato e prima di altri ancora che certo neanche loro lo avevano ceduto volontariamente, si era sistemato, aveva aperto come tutti un distributore di benzina, e aveva tirato avanti per anni finche' si era stancato anche di quella vita. Nel frattempo era invecchiato ed aveva raggiunto l'eta' della pensione. Misera.

E cosi' era tornato al paese.

*

Poiche' tante volte aveva detto di essere stato in Africa, sempre piu' spesso gli chiedevano notizie e opinioni su che gente erano questi migranti che arrivavano sempre piu' numerosi, se davvero nei loro paesi si stava cosi' male, se avevano qualche malattia pericolosa ed era meglio non farsi toccare, se era gente di mano lunga e di poco cervello come tutti i forestieri, e cosi' via.

E questo era ancora niente. Cominciarono a chiedergli di fare il traduttore quando un venditore ambulante o un bracciante africano cercava di dire qualcosa che nessuno capiva. E lui, che voleva solo essere lasciato in pace, si accorse che aveva meno rogne se si prestava a fare da interprete che se si negava (perche' quelli insistevano e insistevano e pensavano che lui si rifiutasse per recondite ragioni su cui poi fantasticavano fino a cavarne delle bubbole che aggiungevano alle fole che gia' gli avevano cucito addosso). E va anche detto che di solito le sue traduzioni - che poi erano invenzioni, ma di buon senso - erano ritenute soddisfacenti da tutte le parti in causa, che infatti lo ringraziavano calorosamente per i suoi buoni uffici.

E fu cosi' che gli capito' quest'avventura. Ecco come andarono le cose.

*

I carabinieri avevano arrestato un ambulante africano sospettato di aver rubato argenteria e gioielli in casa della signora Amalia, che gia' malata di cuore quando si era accorta del furto le era preso un colpo ed avevano dovuto portarla all'ospedale. Addosso all'ambulante e nel borsone non trovarono niente, ma un testimone diceva di averlo visto uscire "furtivamente" dalla casa della signora Amalia, e quell'avverbio sembro' chiarire tutto.

Si cerco' di far confessare l'ambulante - che naturalmente era senza documenti - ma costui faceva mostra di non capire le domande, e questo insospetti' ancor piu' chi lo interrogava: come faceva a esercitare quel suo commercio di stracci e chincaglieria se non capiva l'italiano? Delle due l'una: o era un ladro che fingeva di essere un ambulante e veramente non capiva una parola d'italiano, o era un ambulante che capiva benissimo l'italiano e fingeva di non capirlo per non dover ammettere il furto. In ogni caso era un furfante matricolato. E comunque anche come ambulante certamente non pagava le tasse sui suoi guadagni, e la robaccia nel borsone se non era rubata era comunque sicuramente contraffatta, e si capiva al volo che era sporca e probabilmente anche infetta. Questa gente che lascia il suo paese con la scusa della guerra, che magari neppure c'era, qualche cosa deve pure averla combinata, altrimenti perche' non restano a casa loro? se ci sono nati e cresciuti vuol dire che evidentemente ci si puo' pure campare. Qui nessuno e' razzista, ma certa gentaglia non ce la vogliamo a casa nostra.

La cosa piu' semplice adesso era impacchettarlo, scrivere due righe di rapportino, portarlo alla casa circondariale e poi che se la vedesse il magistrato.

Ma il maresciallo era uomo d'ingegno e di coscienza, e voleva pur far carriera, e penso' che se fosse riuscito a far confessare il ladro e a recuperare la refurtiva sarebbe stata proprio una brillante operazione.

E a questo punto gli venne l'idea: convocare lo Scalogni Giantullio affinche' facesse da interprete. E cosi' fu. Giunto in caserma il maresciallo gli spiego' di che si trattava, mentre l'indiziato li guardava perplesso. Giantullio disse al maresciallo che in Africa si parlano molte lingue, diverse da un villaggio all'altro, e che lui non era stato dappertutto. Il maresciallo disse a Giantullio che di sicuro si sarebbero capiti. L'ambulante continuava a guardarli perplesso. Giantullio penso' che la cosa migliore fosse fingere di parlare una lingua sconosciuta, inventando li' per li' qualche fonema, e poiche' l'africano sarebbe restato muto, dichiarare che evidentemente non parlava quella lingua e farla finita. Giantullio emise qualche suono gutturale, accompagnato da enfatici gesti e penose smorfie, sperando che quel ridicolo spettacolo finisse li'. L'ambulante restava immobile. Giantullio guardo' il maresciallo come a dire che aveva tentato ma l'esito era stato esattamente quello che prevedeva e che quindi se ne tornava al bar a leggere il giornale e sorseggiare il suo caffe'. Ma il maresciallo gli chiese di tentare ancora con qualche altra lingua, qalche altro dialetto, via, un uomo come lei che e' stato in Africa per  quanto? quaranta, cinquant'anni, non si arrendera' mica al primo tentativo. E come dargli torto? Giantullio ricomincio', con fonemi zeppi di sibilanti, di liquide, di nasali, gli venne fuori anche un po' di saliva, e fece dei gesti minacciosi. Ma l'indiziato niente, lo guardava curioso, e sembrava divertito. Adesso basta, penso' Giantullio. Invece il carabiniere insisteva, gli sarebbe stato assai grato di un altro tentativo, un ultimo tentativo ancora, e' a fini di giustizia, e la povera signora Amalia in ospedale, occorre pur proteggere la societa', ognuno deve fare la sua parte, lei mi capisce, un tentativo, un tentativo ancora. Giantullio adesso era veramente stanco di quella pagliacciata, ma decise che era meglio prestarsi un'ultima volta e poi andarsene. Stavolta penso' di emettere dei suoni senza quasi aprir bocca, accennando qualche inceppata melodia, muovendo le braccia a sottolineare il ritmo, la curva melodica. E l'africano annui', sorrise, si mise anche lui a canticchiare senza parole.

Ne ero certo, ne ero certo, esultava il maresciallo.

*

Dopo un paio d'ore, stilato un impeccabile verbale, l'ambulante fu rilasciato.

Una parte dei gioielli fu ritrovata dopo due settimane, il ricettatore descrisse bene il suo uomo, e a casa del testimone c'era ancora l'argenteria. Tutti i criminali sono stupidi, il delitto non paga, penso' soddisfatto il maresciallo. E se non e' una brillante operazione questa...

Qualche mese dopo, mentre Giantullio al bar leggeva il giornale si presento' quell'africano, che si chiamava Mustafa' o qualcosa del genere, accompagnato da un amico che parlava italiano. L'amico gli chiese perche' aveva aiutato il suo amico, lui alzo' le spalle senza parlare. L'amico chiese allora perche' aveva adottato quello stratagemma. E lui si limito' ad allargare le braccia. Infine gli chiese come era riuscito a capire che Mustafa' era innocente. Giantullio contrasse appena un angolo della bocca, che forse era un sorriso, e non disse una parola.

Si bevvero un caffe' insieme, si salutarono, non si videro piu'.

Ma di quella storia in paese se ne parlo' a lungo, si diceva che quando era in Africa Giantullio non solo avesse imparato tutte le lingue africane (e quante saranno mai...), ma avesse appreso anche certi segreti, certe stregonerie, che era meglio non immischiarsene: e che placido placido stava preparando qualcosa di grosso, una vendetta, o roba del genere. Agli intimi il maresciallo amava ripetere, con fare circospetto e parlando sottovoce: Ma quali stregonerie, era nei servizi segreti era, americani o inglesi, che ci sta a fare un uomo in Africa per cinquant'anni? io l'ho sempre saputo. E qui lo dico e qui lo nego ma so da fonte certa ed autorevole, fonte ufficiale, che in certi fatti, cose grosse, affari di stato, relazioni internazionali, c'e' stato pure il suo zampino. Ed aggiungeva: L'avete visto il film di Lawrence d'Arabia? Non aggiungo altro. E chissa' cosa voleva aggiungere.

*

Un giorno spari' dal paese. Lasciando la caparra dell'affitto e una stanza linda e pinta senza alcun effetto personale, ad eccezione del valigione con cui era arrivato, che era vuoto. Tutto finisce, e tutto finisce nel mistero.

 

7. LE TRAGEDIE. UNA MEDITAZIONE ALLA NOTIZIA DEL DISASTRO FERROVIARIO IN PUGLIA

 

Le tragedie che ci ricordano quanto fragile sia la nostra vita.

E proprio perche' e' cosi' fragile, e basta un nonnulla ad annientarci, noi dobbiamo opporci alla morte, e cercar di salvare per quanto possibile tutte le vite.

Proprio perche' siamo cosi' simili alle foglie, come sapeva gia' quell'antico poeta, il nostro primo dovere e' non aggiungere morte a morte, dolore a dolore, paura a paura, ma anzi adoperarci per recare aiuto ad ogni persone che di aiuto ha bisogno.

Tutte le vittime ci convocano al sentimento della comune umanita', al dovere della solidarieta'.

Cessare di uccidere, salvare le vite.

 

8. LE ARMI, LE ARMI ASSASSINE

 

Le armi, le armi assassine, che uccidono sempre gli esseri umani.

E' il disarmo la politica prima, la politica prima che salva le vite.

Abolire le armi, abolire gli eserciti, disarmare il mondo, riconoscere che vi e' una sola umanita' in un unico mondo casa comune dell'umanita' intera, riconoscere che ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.

Cessare di fare le guerre, cessare di uccidere.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

9. MALVOLIO STRACCANI: UN'AVVENTURA DI NINO CRIVELLACCI

 

Durante la mia infanzia mi vennero raccontate molte storie sulla Paura. La Paura era un essere mostruoso, un luogo incantato e pericoloso, un potere malefico. Ancora adesso che ne scrivo sento un'eco del turbamento di allora, e sono un vecchio dalla zucca pelata col naso e le orecchie pieni di peli bianchi.

Nella mia famiglia si raccontava che un mio zio una volta l'avesse incontrata, e fosse sopravvissuto grazie a una disperata fuga prima di averne fissato il volto (se ne vedevi il volto eri preso per sempre); si raccontava anche di un luogo, che era in fondo al nostro uliveto, ed era meglio non andarci da solo se volevi tornare (ma io da bambino ci andai da solo apposta, per mettermi alla prova, e devo essere pur tornato); si raccontava anche un'altra vicenda che qui non riferiro'. E poi si raccontavano altre storie piu' generiche e banali di visioni e tormenti, ambientate in grotte, catapecchie e cimiteri, e di notti di fuochi fatui, di anime in pena eccetera, storie i cui protagonisti - perlopiu' giovani miscredenti e arroganti - pagavano la loro temerarieta' con la morte e la dannazione. Versioni popolari del Faust e del Don Giovanni, o forse discendenze da comuni archetipi.

Oltre alla Paura c'era anche, ma questa era cosa di gran lunga piu' ordinaria sebbene non meno malvagia e inesorabile, il malocchio. E una mia zia sapeva dirti se ne eri stato colpito ponendo in un piatto pochi ingredienti: dell'olio e qualche frammento corporeo - forse capelli, forse ritagli di unghie -; ricordo con certezza che tutte le persone per cui si faceva l'oleosa prova avevano il malocchio (io stesso, sempre); era frequentissimo a quei tempi al mio paese essere colpiti dal malocchio data l'estrema facilita' della maledizione: bastava che qualcuno ti guardasse storto con cattiva intenzione, e non ricordo se occorresse qualche altro specifico ingrediente ma credo di no. Si aveva il malocchio quando le cose ti andavano male (e alla povera gente andavano male sempre), o se avevi continui problemi di salute.

Tutti credevano al malocchio, e piu' di tutti il segretario della sezione del partito comunista, che poi ero io.

*

In sezione avevamo una bella biblioteca, con Jack London, Marx e Engels, Tolstoj, Lenin e Stalin, la storia della rivoluzione francese, gli opuscoli del partito con i discorsi dei dirigenti, il Breve corso, un vocabolario che fa sempre comodo. E c'era un giovane iscritto che studiava all'universita' e che speravamo di portarlo in consiglio comunale.

Una volta all'anno facevamo la riunione del tesseramento, quando c'erano le elezioni si lavorava sodo, per i congressi veniva il compagno della federazione.

Quando Baccajone si ammalo', pareva una cosa da niente. Invece si aggravo' sempre di piu'. E i dottori non capivano che accidenti avesse. Qui devo dire che Baccajone era uno dei nostri migliori compagni, quando si faceva la diffusione del giornale era quello che distribuiva piu' copie e senza regalarle, per la campagna del teseramento ogni anno era quello che faceva piu' tessere di tutti (erano quasi tutti rinnovi, si', ma bisognava comunque fare il giro per ritirare le quote e lasciare i bollini, e certe volte occorreva passare cinque volte a casa dei compagni e discuterci per ore), e l'anno che facemmo la Festa dell'Unita' fu lui che mise in piedi la lotteria, e che insieme a me si fece le nottate tra venerdi' e domenica per sorvegliare il palco, la tenda con la cucina, i tavolini con le sedie, la bancarella della stampa del partito e la mostra sulla Resistenza e quella sulle conquiste del socialismo (e tutti ricordano quello che successe la notte del sabato quando gli sgherri avvinazzati delle forze della reazione tentarono di assalire il presidio del popolo e li respingemmo a bastonate e sia io che Baccajone oltre ai denti che non abbiamo piu' - ma alla vile squadraccia fascista ando' assai peggio - ci facemmo pure sei mesi in gattabuja. Baccajone era quello che allora dicevamo un compagno di provata fede bolscevica, e a trincare non lo batteva nessuno, e sapeva pure suonare la fisarmonica. E quando si scrivevano i manifesti gli venivano certe idee che poi la gente diceva: quella l'ha pensata Baccajone.

*

Ma intanto peggiorava e pure il professore che lo visito' quando lo portarono a Roma non ci capiva niente. Qui c'era qualcosa che puzzava.

Noi siamo un partito responsabile, la via nazionale al socialismo richiede grossi sacrifici e grande prudenza, e poi non possiamo permetterci di farci querelare dai democristiani, che hanno gli avvocati e che sono pappa e ciccia coi carabinieri, col prete a cui le donne dicono tutto in confessione e che poi ridice tutto al maresciallo e al sindaco, e figuriamoci coi giudici corrotti dello stato borghese che e' sempre pronto al fascismo quando gli sfruttatori vedono minacciati i loro sporchi interessi.

Ma quello che succedeva a Baccajone, insomma, era un tentato omicidio. Non dico che lo avessero avvelenato, no, perche' non c'era la prova scientifica, e su questo piano materialismo storico e scienza moderna nella loro alleanza d'acciaio non li frega nessuno; ma qualche cosa dovevano pure avergli fatto. Non dico quel ladro del sindaco, non ne ho le prove, ma qualcuno della banda dei forchettoni era stato di sicuro. Pero' non si poteva far niente sul piano legale (ne parlammo anche con i compagni della federazione che ci dissero che non c'erano i presupposti per una denuncia, e che il partito era contrario alle investigazioni private). L'unica cosa che si poteva fare era cercar di salvare la vita a Baccajone. Riunii il direttivo in seduta segreta. Ed esposi il mio piano.

La relazione che presentai partiva dal presupposto che occorreva fare un'analisi leninista della situazione: analisi concreta della situazione concreta. Il compagno Anselmo Pizzicarelli, detto Baccajone (dovevamo sempre scrivere "detto Baccajone" anche sui manifesti per le elezioni comunali, altrimenti non lo capiva nessuno che quel candidato era lui) era vittima di un grave malanno dinanzi a cui la scienza moderna aveva sancito l'assenza di cause organiche, era quindi vittima di una malattia derivante da fenomeni non fisico-biologici ma ideologico-sociali, che erano prodotto storico dell'attivita' umana e quindi riconducibili con assoluta certezza ai rapporti di produzione e di proprieta' e dunque alla lotta di classe. Tutti sapevamo che Baccajone aveva consacrato la sua vita alla classe operaia per il trionfo mondiale del socialismo, e quindi la bieca borghesia vedeva in lui un avversario che non poteva ne' corrompere, ne' demoralizzare, ne' sconfiggere, e che non solo apparteneva al proletariato - esercitando il lavoro manuale di barbiere, dopo essere stato a garzone nel settore zootecnico e muratore attaccacalce nel settore edilizio fino all'incidente che lo aveva mezzo azzoppato - ma anche alla sua avanguardia cosciente e organizzata: il partito. Eseguita correttamente un'analisi marxista-leninista della situazione concreta tutto era chiaro: i rappresentanti locali della dittatura borghese avevano trovato un mezzo occulto per assassinare il nostro compagno Baccajone. Ma la borghesia fa male i suoi conti se spera che il partito della classe operaia ha gli occhi chiusi ed e' inerte. Il partito della classe operaia e' vigile e attivo. Prassi-teoria-prassi. Inutile dire che noi sappiamo bene chi sono i mandanti e i sicari di questo vile tentativo di omicidio. Ma sappiamo anche che nel momento attuale dello sviluppo storico non abbiamo gli strumenti legali per perseguirli poiche' la giustizia borghese, che meglio potremmo chiamare ingiustizia borghese, copre i crimini dei padroni e dei loro lacche' e aguzzini. E noi rispettiamo le leggi, anche se sono imperfette, ed anche se chi le rappresenta e le amministra ne e' indegno, perche' noi siamo per la legalita' repubblicana e per la democrazia costituzionale di cui il nostro partito e' il primo, anzi l'unico pilastro, come ha dimostrato negli anni della lotta per il riscatto del nostro paese dalla dittatura fascista. Quindi, compagni, non resta per ora che una cosa da fare: far guarire Baccajone.

La scienza moderna sa che il mondo e' regolato dalla dialettica: tutte le cose sono collegate, e ogni effetto ha una causa; ebbene, compagni, noi sappiamo l'effetto: la malattia di Baccajone; la causa puo' essere una sola: il malocchio.

A qesto punto il giovane studente alzo' la mano per chiedere la parola alla fine della relazione del segretario; gli feci un cenno di assenso.

Proseguii: metto all'ordine del giorno, primo, la ricerca di una cura rapida ed efficace, chi ne conosce una la dica; secondo, chiedo poi che il direttivo dia mandato alla segreteria - a me, al compagno Sornaconi Augusto e alla compagna Fedeli Assuntina vedova Mengoccia - allargata al nostro giovane compagno universitario Cavallaroni Girolamo detto Gino, i cui studi ci saranno senz'altro di estrema utilita', di fare ogni sforzo per salvare la vita del compagno Baccajone.

Prima che il nostro giovane studente potesse prendere la parola meta' del direttivo si alzo' in piedi vista l'ora tarda e a nome di tutti Magnacane disse che erano d'accordo all'unanimita' con la proposta del compagno segretario, e se ne tornarono a casa. Restammo in quattro, la segreteria e il giovane compagno Gino. Il giovane compagno Gino volle comunque fare il suo discorso contro l'oscurantismo infiltratosi per l'azione degli agenti della reazione nelle tradizioni popolari, sulle vetuste superstizioni che gia' il capitalismo nella sua fase concorrenziale ed espansiva spazzo' via come spiegavano Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista, geniale strumento di lotta del proletariato internazionale, e aggiunse un po' di altre cose, anche in francese. Bravo compagno, dovevamo proprio riuscire a mandarlo in Comune, gli avrebbe fatto vedere i sorci verdi a quel ladrone del sindaco.

Purtroppo tutti i compagni che avevano lasciato la riunione del direttivo a causa dell'ora tarda si erano dimenticati di dire se conoscevano qualche rimedio per il malocchio. Cosi' decidemmo di riconvocare in seduta straordinaria ed urgente la segreteria allargata per la sera successiva, con l'impegno che ognuno di noi avrebbe cercato di sapere in giro - ma con la massima discrezione, naturalmente - cosa occorresse fare per guarire dal malocchio.

La sera dopo ne sapevano quanto la sera prima perche' nessuno di noi aveva avuto il tempo di chiedere niente a nessuno. Ci riconvocammo per il sabato successivo, e diedi incarico al compagno studente di cercare qualcosa sui libri della biblioteca pubblica nella citta' piu' vicina (che era a un'ora di treno); alla compagna Fedeli vedova Mengoccia di sentire cautamente e informalmente la sora Cesira, la zi' Filomena, la zi' Angelina e la signora Albizzieri maestra elementare in pensione; il compagno Agostino avrebbe parlato col zi' Giggetto detto Rosicallossi che aveva fama di saper guarire le bestie toccandole e parlandoci, e che con le mani sapeva aggiustare le ossa slogate e i nervi accavallati. Io avrei sentito la strega (in paese la chiamavano tutti cosi'), che poi era mia zia Petronia e al contrario delle perfide e pusillanimi dicerie si trattava di una persona buona come il pane, solo dalla lingua troppo sciolta, dalla voce troppo alta, e con la vocazione ai giudizi taglienti, agli insulti diciamo plebei, e con la propensione nel confronto democratico (a quei tempi si diceva anche: la battaglia delle idee) a passare alle vie di fatto, e non aggiungo altro. Quando dissi che avrei sentito mia zia tutti tirarono un sospiro di sollievo, sorrisero e mi diedero abbracci e pacche sulle spalle. Nei loro sguardi lessi come un titolo a tutta pagina sull'Unita': Baccajone e' salvo, grande vittoria del partito della classe operaia e dell'unita' nazionale.

*

Invece non fu una cosa facile. Alla riunione successiva emersero i seguenti dati.

Primo: che si era diffusa la notizia tra il popolo, che era arrivata alle orecchie del nemico di classe e che i vili assassini borghesi stavano gia' tramando infami contromosse.

Secondo: che dalla relazione del compagno studente (relazione eccellente, di alto profilo culturale, che citava testi di Cicerone e Virgilio, di Dante Alighieri, Ariosto e Tasso, fino al compagno prof. Ernesto De Martino, oltre naturalmente a Marx, Lenin, Gramsci e il compagno segretario del partito e capo della classe operaia nel nostro paese on. Palmiro Togliatti) si ricavavano poche e confuse indicazioni pratiche, di complicata e incerta realizzazione, e su cui il compagno riteneva che fosse necessaria un'autorizzazione della federazione, se non addirittura della segreteria nazionale. Tra l'altro erano cose costose e illegali. All'unanimita' deliberammo la loro irrealizzabilita', e con un solo voto contrario decidemmo la distruzione li' per li', attraverso incenerimento del manoscritto, della parte conclusiva della relazione (e per prudenza - che non e' mai troppa - della relazione intera) dopo aver messo a verbale una nota di merito per il compagno che l'aveva redatta, e che nonostante la giovane eta' avremmo proposto per l'ingresso in segreteria alla prossima riunione del direttivo.

Terzo: le vecchie comari invece di darci il benche' minimo aiuto a salvare una vita umana avevano spifferato al prete ogni cosa, e quello nella funzione del pomeriggio aveva fatto una predica contro il comunismo sinagoga di satana e una serie di altri improperi, e pur senza mai nominarmi ma parlando di un fantomatico fabbro che nella citta' infernale abitava in via della Repubblica Bolscevica (ed io faccio il fabbro, e ho la bottega in via della Repubblica gia' via Umberto I) dedito a pratiche magiche e sacrileghe come tutto il parentado, mi aveva suppergiu' indicato quale novello Nerone e anticristo e rovinafamiglie (e questa offesa gratuita proprio non la posso mandar giu', mia moglie puo' testimoniare che come ogni vero comunista la mia fedelta' coniugale e' senza macchie).

Quarto: quel mascalzone e gran ciarlatano di Rosicallossi voleva essere pagato anticipato prima di spiccicare una sola parola, e aveva detto al compagno Augusto, anzi glielo aveva fatto imparare a memoria affinche' ce lo riferisse per filo e per segno, che se non lo pagavamo subito avremmo avuto sulla coscienza il povero Baccajone, che lo poteva salvare solo lui che conosceva "tutti gli scongiuri minori e maggiori contro il malocchio, egiziani, caldei e latini, calabresi, abruzzesi e napolitani, con piaghe visibili e invisibili, con stecchi di spine e sputi di sangue".

Quinto: l'unica buona notizia ce l'avevo io. Mia zia mi aveva insegnato quello che chiamava "mistero grande e arte di governo", rimedio rischioso, rischiosissimo, ma infallibile. Che qui non posso rivelare nei dettagli.

*

Ando' cosi': che Baccajone peggiorava a vista d'occhio e gia' non parlava piu'. Il giorno dopo andammo a casa sua in delegazione tutta la segreteria (solo la segreteria, lo studente era troppo giovane per una cosa del genere) e dalla moglie - che non disse una parola - ci facemmo consegnare un cuscino col sudore del marito e due altre cose che non posso dire. La notte a mezzanotte andammo tutti e tre nella radura piu' alta del bosco che ci separa dal lago, mi ero fatto spiegare la strada da mio fratello che sta nella Forestale e che insistette per accompagnarci ma gli dissi che non era possibile e che piuttosto mi giurasse che si sarebbe preso cura di mia moglie se qualcosa andava male.

Accendemmo uno stentato focherello di sterpi con un po' di cartone e di stracci inzuppati di benzina; poi imbevemmo di alcool il cuscino (tre litri d'alcool, mica uno scherzo), sul cuscino mettemmo quelle altre schifezze, e lo buttammo nel fuoco. Dovevamo dire tre avemmarie, ma il cuscino bruciava lentamente e fini' che ne dicemmo almeno una dozzina - a dire il vero le disse solo la compagna Tina, che io e il compagno Augusto non ce le ricordavamo e ci limitavamo a una specie di mormorio ripetendo qua e la' le poche parole della compagna Assuntina che riuscivamo a capire, cioe' avemmaria e ssantamaria - ma quelle due parole le ripetevamo bello forte, che pareva di sentire il rimborbo.

Mia zia mi aveva detto che se la cosa andava bene, avremmo visto formarsi degli occhi sul cuscino, che si aprivano, si chiudevano e sparivano, e avremmo dovuto sentire dei fischi, dei lamenti e dei fruscii. Noi non vedemmo niente, ma almeno i fruscii li sentimmo - eravamo in mezzo al bosco.

Quando il cuscino si era tutto consumato e il fuoco si spense accendemmo di nuovo le lampadine tascabili, calpestammo e disperdemmo a calci la cenere e i residui anneriti qua e la', mettemmo le bottiglie di plastica dell'alcool in una busta della spesa e ce le portammo via per non sporcare. Un militante del partito comunista rispetta la natura e il paesaggio.

Un mezzo chilometro piu' giu' c'era mio fratello con un altro della Forestale che ci aspettavano. Tutto bene? chiesero. Tutto bene, dicemmo. E gli occhi dal cuscino sono usciti? chiesero. Si', parecchi, dissi, e gli altri assentirono. Qualche centinaio di metri piu' giu', nello spiazzo dove si fa ogni anno la festa dell'albero, c'erano almeno almeno due o trecento persone, e pure il prete. Come e' andata? chiese la moglie di Augusto. Bene, bene, disse lui. Deo gratias, disse il prete.

Quando arrivammo al limite tra il bosco e il paese c'erano tutti gli altri, sindaco, farmacista e comandante dei carabinieri in testa. E allora, fece quel baron fottuto del sindaco. Tutto bene, dissi io a voce e testa bassa. Come? disse il farmacista, che era un po' sordo. Bene, ripetei a voce piu' alta. E gia' la parola passava da persona a persona, qualche donna comincio' a piangere, e parti' un applauso cui subito si unirono tutti quanti. Fu una bella cosa.

A casa poi mia moglie mi chiese che sarebbe accaduto se qualcosa fosse andata storta. Non ne parliamo, dissi.

La mattina dopo Baccajone ricomincio' a parlare, anzi a bestemmiare. Guari' in una settimana. Alle elezioni successive entrarono in consiglio comunale lui, il compagno studente e altri due compagni; avevamo triplicato i voti, la piu' grande vittoria del partito di tutti i tempi. A festeggiare venne il segretario della federazione con un compagno della direzione nazionale che era stato in carcere con il compagno Antonio Gramsci.

Una grande vittoria della classe operaia.

 

10. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Amedeo Vigorelli, Piero Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato, Bruno Mondadori, Milano 1998, pp. VI + 426.

 

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

12. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2455 del 29 agosto 2016

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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