[Nonviolenza] Telegrammi. 2484



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2484 del 27 settembre 2016

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Opporsi alla guerra, salvare le vite, combattere il male facendo il bene

2. "Diritti umani e solidarieta'". Un incontro di riflessione con Vito Ferrante

3. Preparare la Giornata internazionale della nonviolenza e la marcia Perugia-Assisi

4. Lucio Emilio Piegapini: La prova

5. Alcuni testi del mese di luglio 2015 (parte quarta e conclusiva)

6. In memoria di Ernst Cassirer e di Tiziano Terzani

7. Segnalazioni librarie

8. La "Carta" del Movimento Nonviolento

9. Per saperne di piu'

 

1. SCORCIATOIE. OPPORSI ALLA GUERRA, SALVARE LE VITE, COMBATTERE IL MALE FACENDO IL BENE

 

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

2. INCONTRI. "DIRITTI UMANI E SOLIDARIETA'". UN INCONTRO DI RIFLESSIONE CON VITO FERRANTE

 

Si e' svolto la sera di lunedi' 26 settembre 2016 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di riflessione con Vito Ferrante sul tema: "Diritti umani e solidarieta'. Ruolo dei servizi pubblici ed impegno del volontariato".

*

Una breve notizia su Vito Ferrante

Vito Ferrante, persona di straordinario rigore morale e di sconfinata generosita', e' il presidente e l'anima dell'"Associazione familiari e sostenitori sofferenti psichici della Tuscia" (Afesopsit), una fondamentale esperienza di solidarieta', di partecipazione, di democrazia, di difesa nitida e intransigente dei diritti umani. Gia' consigliere comunale di Viterbo, apprezzatissimo scultore, presidente della Consulta dipartimentale per la salute mentale della Asl di Viterbo, Vito Ferrante e' una delle personalita' piu' stimate nell'ambito del volontariato e dell'impegno sociale e civile, promotore di innumerevoli iniziative di solidarieta' concreta, diuturnamente impegnato nel recare aiuto a chi piu' ne ha bisogno; e' a Viterbo un luminoso punto di riferimento per la societa' civile, per le esperienze di solidarieta' e di liberazione, per i movimenti democratici, per i servizi pubblici impegnati nell'assistenza rispettosa e promotrice della dignita' e dei diritti umani.

 

3. REPETITA IUVANT. PREPARARE LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA NONVIOLENZA E LA MARCIA PERUGIA-ASSISI

 

Come ogni anno ricorre il 2 ottobre la Giornata internazionale della nonviolenza, indetta dall'Onu nell'anniversario della nascita di Gandhi.

E quest'anno il 9 ottobre si svolgera' la marcia della pace Perugia-Assisi, la piu' importante iniziativa di pace nel nostro paese ideata da Aldo Capitini, l'apostolo della nonviolenza in Italia.

Occorre che le istituzioni, le associazioni, i movimenti, le persone che vogliono contribuire a fermare l'orrore della "terza guerra mondiale a pezzi" in corso, che vogliono salvare le vite, che vogliono costruire la pace, si adoperino fin d'ora a preparare la partecipazione piu' ampia e piu' consapevole possibile a queste due iniziative.

Il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo rinnova l'invito a tutte le persone di volonta' buona, a tutti i movimenti democratici, a tutte le istituzioni fedeli alla Costituzione repubblicana che ripudia la guerra, ad un impegno immediato e comune contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Facciamo del 2 e del 9 ottobre occasioni corali e persuase d'impegno comune per la salvezza dell'umanita'.

E fin d'ora adoperiamoci ovunque, con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza, per la pace, il disarmo, la smilitarizzazione; per soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.

Vi e' una sola umanita'.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Sii tu il cambiamento che vorresti vedere nel mondo.

 

4. RACCONTI AUTUNNALI DELL'ORRORE. LUCIO EMILIO PIEGAPINI: LA PROVA

 

"... autos gar ephelketai andra sideros"

(Omero, Odissea, XIX, 13)

 

Ti mettono in mano una pistola, ti puntano un'altra pistola alla tempia e ti dicono di sparare alla testa di uno legato che ti guarda con occhi imploranti e se tu non spari a quel poveraccio sparano a te e amen. Vi e' mai capitato? Se vi e' capitato e siete ancora vivi e' chiaro che avete sparato. Anche a me e' capitato. Chi non ci si e' mai trovato si astenga da ogni commento, grazie.

*

Come ci sono arrivato? Come sempre, al termine di un lungo cammino. Ma di questo parleremo dopo. Adesso vorrei porvi una domanda: siete proprio sicuri che a voi non sia mai capitato?

Quanta gente e' morta in Congo perche' tu possa avere il tuo telefonino? Mentre il tuo governo bombardava la Libia tu cosa hai fatto per fermarlo? Lo spreco e l'inquinamento che produci avra' o no a che vedere con chi muore di fame? Le merci che compri sono o no legate a forme di sfruttamento schiavista? Dite che non lo sapete? E da quando ignoranza equivale a innocenza? Lo so, e' troppo facile. Era solo per capirci. No, no, non sto dicendo "tutti colpevoli quindi nessun colpevole", al contrario. Sto dicendo l'esatto contrario (ma quale e' l'esatto contrario?). Comunque la storia e' questa, se vi interessa ancora.

*

All'inizio volevo solo darmi una mossa, cioe' imboccare qualche scorciatoia, non restare a fare la muffa; lo sapete com'e', non facciamo gli ipocriti. Per questo mi misi col Roscetto a fare quel lavoro. Lo so che e' reato, grazie tante. Invece l'usura da parte delle banche no, eh? Invece i bombardamenti sono una bella cosa, eh? Pero' non e' che ci restai tanto col Roscetto perche' c'ebbe la bella idea di farsi trovare con la refurtiva dentro casa, e allora ci penso' lo stato a dargli una casa. Qunado usci' era diventato una larva. Non ho mai avuto il coraggio di chiedergli che gli era successo li' dentro; Ma quando lo rividi mi dissi che prima di farmi beccare facevo una strage, e l'ultimo colpo me lo tiravo in bocca. Cosi' andai a cercarmi una rivoltella, che fino a quel momento ciavevo solo il coltello. Fu per via della rivoltella che conobbi Cesarone. Io la volevo comprare ma lui mi disse che me l'affittava e io gli chiesi quanto voleva  e lui disse niente, niente voglio, basta solo che se ti chiamo tu arrivi. E io: arrivo dove? E lui: quando ti chiamo. E io: ma pe' ffa' cche? E lui: gnente. E mi lascio' il ferro e tre caricatori. Io continuavo con gli appartamenti per conto mio ed ero l'uomo piu' prudente della baleneria. Poi, saranno passati tre, quanttro mesi? una sera mentre stavo al bar del sor Augusto che giocavo a flipper arriva quel rubagalline di Gnagnarella e mi dice: Te cerca Cesarone. Allora io: E che vo'? E Gnagnarella: Te cerca e basta. E io: E 'ndo lo trovo? E lui: E 'ndo lo voi trova'? ce lo sai 'ndo lo trovi. E a dire il vero lo sapevo, lo sapevano tutti al paese 'ndo stava Cesarone. Ciaveva un negozio di elettricita', pero' vendeva tutto, ma veramente tutto, qualunque cosa ti serviva da Cesarone la trovavi. Non era esposta nel negozio, e' chiaro, ma tu chiedevi e lui in ventiquattr'ore te la portava. Roba buona a prezzi modici. Magari conveniva che poi gli davi una riverniciata, o cambiavi qualche pezzo per non farla proprio riconoscere facile facile. Pensava sempre lui pure a quello. Perche' oltre il negozio ciaveva l'officina, il magazzino e la squadretta. La squadretta serviva sia per procurare la merce, sia - diciamo cosi' - per ritirare i volontari contributi che ogni commerciante ed ogni artigiano elargiva al Comitato organizzatore (delle feste patronali e non solo) di cui Cesarone era presidente ed amministratore unico, sia per rimettere in carreggiata chi andava fuori strada, e chi va fuori strada si fa male, male si fa.

Cosi' dovetti lasciare il flipper a Gnagnarella, che mi scocciava pure parecchio perche' io a flipper sono un dio e lui invece la schiappa delle schiappe, e filare da Cesarone che gia' la cosa non mi sconfinferava per niente. Anche perche' come tutti pur'io gia' contribuivo al Comitato organizzatore e ogni volta le tariffe erano peggio, e invece nel mio ramo produttivo raramente capita l'affarone, specialmente se sei uno prudente, e il piu' delle volte rimedi due ninnoli che poi ti ci danno una mseria con la scusa che e' difficile piazzarli.

"Bonasera, Cesaro'", dissi. "Ecchete, finarmente". "Quanno m'hai chiamato so' vvenuto". "De malavoja". "Que' nu' lo po' di'". "Senti senti, e che mmo' lo dichi tu quello che pozzo o nun pozzo di'? Ner negozio mio lo so io quer che pozzo di', e io dico che sse' venuto de malavoja". "Di' 'n po' ccome te pare". "Ce poi scommette". "E allora?". "E allora che?". "E che ne so, se' tu che m'ha' fatto chiama'". "E ssi tt'ho ffatto chiama ce sara' 'n motivo, no?". "Apposta". "Apposta". "E allora?". "Aho', vedi de nun fa' l'antipatico che te corco qui 'ndo te trovo, eh?". "Ma 'nzomma se po' sape' che vvoi, o no?". "Hai da fa' 'n lavoretto". "Nun se ne parla". "Avoja si sse ne parla, anzi: avemo ggia' parlato, fa' 'l lavoretto e zzitto, che te convene pure a tte". "Io lavoro pe' cconto mio". "Ma la bajaffa l'hae voluta, no? E e' la mia o nno? E quanno te l'ho ddata te l'ho ddetto o no? E allora bbasta. Stanotte hae da 'nna' co' Morizzietto e Ciampicone a ffa' 'no spaccetto, robba de gnente. Fatte trova' dar sor Agusto a le dieci precise". "Nun se ne parla". "Precise, ho detto. E mmo' vattene che cio' da lavora', che io lavoro e nu' lo butto tutto 'l tempo a gioca' a flippe".

Comunque la sera alle dieci e mezza ero al bar, arriva Morizzietto e mi dice "L'hai gia' preso il caffe'?". E io: "Si'". E lui: "Allora 'nnamo". Di fuori sulla macchina ci aspettavano Ciampicone e Alibbabba'. Ciao, ciao, come butta, che se dice, eccetera. Al paese ci conosciamo tutti. E si parte. Morizzietto mi fa: il ferro ce ll'hae, si'? E io: si'. E lui: bravo soldato. E io: ma sse po' ssape' che ss'ha dda fa'? E lui: aspetta che vegghi che lo capisci da solo.

Dopo una mezz'ora arriviamo al paese di ***, che io ci conosco diverse persone perche' una volta facevo l'amore con una di li' e allora ci andavo spesso colla Gilera.

Ciampicone che guidava inbiffa dentro un vicoletto e poi in un altro e fa un sacco di giri che secondo me faceva finta ma non trovava la strada. Alla fine comunque si ferma davanti a una fontanella e scendiamo tutti meno che lui. Allora Morizzietto: Spedizione punitiva e diritto di razzia, ce li avete i passamontagna? E io: Io no. E lui: E allora tu a faccia scoperta, cosi' te 'mpari a nun presentatte quipaggiato; almeno la bajaffa ce l'hae, si'? E io: Quella si'. E lui: Allora tirala fora e viemme appresso. Da' una spallata a un portonaccio e lo apre, poi Alibbabba' si ferma nell'androne e Morizzietto e io su per le scale, buie e puzzolenti. Al terzo piano dice: Ce semo, mo' busso, preparete. Bussa, aspetta mezzo minuto, bussa un'altra volta, aspetta un altro mezzo minuto e poi apre con una spallata. Con la torcia trova l'interruttore, accende la luce. Nessuno, nessuno in tutto l'appartamento. "E' ffuggito l'ucelletto, ma tanto 'ndo vae che te chiappo, te lo metto io 'l sale su la cova, veggarae". Poi rivolto a me: "Se' tu l'esperto, trova quello che vale la pena, 'nsacca e 'nnamo". Roba di valore niente, ma in dieci minuti due pistole, un mezz'etto di fumo, due mazzette (una robusta tutta da cento euro e una un po' meno) erano saltati fuori. Meglio di niente. Ci prendemmo pure tutte le birre che trovammo e due stecche di sigarette, e per ricordo Morizzietto con un coltello sull'armadio (bello, antico, di legno massiccio) ci incise un cappio. "Cosi' 'l Gabbibbaccio capisce". Al ritorno prima di arrivare al paese ci fermammo e ci bevemmo tutte le birre e spartimmo le sigarette; tutto il resto andava al capoccia che poi decideva lui se ci scappava un regaletto, siccome per me era la prima volta mi permisi di dire che il regaletto se eravamo tutti d'accordo ce lo potevamo pure fare da soli subito, e tutti a ridere come matti. Poi Alibbabba' mi disse che una squadretta che una volta l'aveva fatto Cesarone non l'aveva ammazzati subito, no, prima l'aveva fatti lega', apri' e 'npicca' tutti e quattro, e mica impiccati per il collo, no, e era restato li' a guarda' quei quattro imbecilli nudi come vermi finche' a tutti e quattro gli si era staccato e l'aveva fatti mori' dissanguati (e chi c'era a guarda' pe' 'nparasse dice che con tutta la segatura che c'era per terra tanto le scarpe gli si erano tutte intinte di rosso che poi le aveva dovute butta'). E era verita', perche' poi aveva chiamato proprio Alibbabba' per portare via quella carne morta e farla sparire nel canile. Cosi' adesso sapete pure perche' Cesarone ci ha il canile.

*

Ma non era finita li'. Passa qualche giorno e io stavo ad aspettare che un cretino finisse la partita sua per giocarci io a flipper e si ripresenta Gnagnarella. "'Ndovina 'n po'?". "Ho capito, mo' ce vo', ma oggi t'ha detto male a te, nun sto a gioca' e 'l flippe n' te lo lasso". Arrivo da Cesarone e lui: "M'hae fatto propio ride, m'hae fatto". "De che?". "De volemme frega' ma mme". "Ma quanno?" "Nun ce prova', Lazzaro', nun ce prova' cco' mme". "Boh de che stae a ddi'". "Lo so io, lo so, e ce lo sae pure tu. 'Ntanto gnente regaletto, cosi' te 'mpari". "Boh de che stae a ddi'". "Stasera fatte trova ar solito posto a la solita ora". "Ciove'?". "Ciove' ar bar d'Agustaccio a le diecemmezzo, ch'ete d'anna' a fini' 'l lavoro". "Penzavo ch'evo finito". "E 'nvece none. Hae capito mo'?". "Ho ccapito". "Ma capito capito?". "Capito capito, sine". "Bravo, e riga dritto che sinno' lo sae come t'appicco, si'?". "Ce lo so, ce lo so". "E nun te scorda'". E chi se scordava.

La sera al bar come l'altra volta. "L'hai preso il caffe'?", "Si', ssi' che l'ho preso, annamo". Poi in macchina: "'L Gabbibbaccio 'nfame s'e' nascosto da Ciartruta la fata, ma mmo' lo vede che j'arriv'addosso quanno meno se l'aspetta". Io 'sta Ciartruta la fata nu' la conoscevo, 'l Gabbibbaccio 'nvece l'evo sentito di', che spacciava pe' Cesarone. Stavolta il viaggio fu piu' lungo, fino in citta'. A me la citta' mi piace, perche' non e' come il paese, a parole non lo so spiegare ma si sente che non e' come il paese, e' la citta', ecco. Pero' non e' che noi andavamo proprio nel centro, dove c'era la vita, la vita vera, ma in periferia, tutti casermoni che sembrava un film de fantascienza. A un certo punto se parcheggia e se scenne tutt'e qquattro, e se fa n'antro mezzo chilometro appiede. Rivamo a 'n'antro palazzone uguale a tutti ll'artri. 'Na spallata e 'l portone se apre. Stavolta salimo le scale tutt'e qquattro. Sul pianerottolo Morizzietto me fa: "A te nun te conosce Ciartruta, allora bussi tu e te fai apri', poi: irruzione de massa ed esecuzione e saccheggio, e pure divertimento assicurato". "E che je dico quann'ho bussato?". "Dije che sse' 'n criente, no?". "'N criente de che?". "Ah Lazzaro', e fforza, ancora nu' lo sae qual e' 'r mestiere piu' antico der monno?". "Ah, mo' ho capito". "Bonasera". Insomma busso. E da dentro: "Chi ade'?". "Sora Ciartru', so' 'n criente". "E cchi sse', fijo bello, che la voce tua nun me pare d'ariconoscela?". So' uno novo". "E chi te l'ha detto da veni' qui a scoccia' le bbrave perzone?". "Me l'ha detto uno che cc'e' ggia' stato". "Me sa cche sse' 'no sbirro, me sa". "Ma no, macche' dite". "Me sa che nun te apro, me sa". "Eh, penzavo che se mettessimo d'accordo". "D'accordo de che?". "Sur prezzo de la prestazione". "Aho', nun di' zzozzerie, eh". "No, nno, cche dite. Pero' pago bbene". "Me sa che guasi guasi mo' t'apro". "Sarebbe ora". "Pero' me sa che nun me va d'apritte". "E cco' cento euro?". "P'apri'?". "Pe' ffa' ttutto". "Eh, me sa che nun basteno fijo bello". "E cco' ducento?". "Pe' ffa' cche'?". "'Ntanto aprite che poi vedemo". "Me sa che mica te apro, mica me piace come che parle". "Perche', ch'ho da di'?". "Hae da di' du' cose carine, aho', io so' 'na signora. Eppoi me sa che ttu nun m'hae visto mai". "Apposta te vojo veda". "In cartolina!", e ride.

A 'sto punto Morizzietto pija la rincorsa, 'na spallata e la porta s'apre. Entramo tutt'e qquattro, e Morizzietto e Ciampicone e Alibbabba' ceveno gia' 'l ferro in mano, io vedo Ciartruta e mo' ho capito perche' la chiamaveno la fata, e resto li' a bocca aperta che chi l'eva mae vista 'na donna bella 'n quel mo'? Ma l'artri tre gia' ereno entrate 'n tutte le stanze e ggia' se sentiva la voce de uno che ddiceva "Nu' sparate, nu' sparate, Morizzie', nu' sparate che sso' disarmato". "E chi te spara, risponneva Morizzietto, t'emo da cattura' vvivo, che 'l trattamento completo te lo vole fa' Cesarone de perzona". E tutti a rride, meno 'l Gabbibbaccio, Ciartruta la fata e io ch'ero restato 'ncantato a fissalla.

Quel fesso del Gabbibbaccio, 'nteso che non l'ammazzavano subito, pensa che po' prova' a scappa', ma era propio fesso perche' ce lo doveva sape' che dinanzi al tentativo di fuga era autorizzata l'esecuzione sommaria. Da' 'no spintone a Morizzietto per aprirsi la strada verso la porta de le scale, ma Alibbabba' je fa subbito la cianchetta e appena e' giu' steso per terra Ciampicone gli schiaccia la testa sul pavimento con un colpo col sotto dello scarpone con tutta la forza della zampa e il peso del corpo suo sopra de cencinquanta chili almeno, e se sente la testa del Gabbibbaccio che scrocchia e subito s'allarga sotto la macchia de sangue. Allora Morizzietto guarda Ciartruta e je dice: "Mo' ch'emo cominciato ce tocca da fini', me dispiace Ciartru'". Io me sentivo male, e so' annato de corza a vomita' ar cesso che pero' nun l'ho trovato in tempo e allora ho vomitato nel lavandino de la cucina. E intanto sentivo scrocchia' l'ossa der Gabbibbaccio che oramai eva da esse gia' morto ma Ciampicone continuava a sartaje sopra appieppari e 'ntanto diceva "Mo' te fo senti' du' mosse de Ulcoca, te fo ssenti' Taison, te spiano io, te spiano". E Morizzietto diceva a Ciartrute: "Ah Ciartru', sse cce fae ride, capace che campi 'na mezz'ora de ppiu', eh? che diche?". E lei: "Cesarone lo sa?". "E' Cesarone che cia' mannato e cia' ddetto de fa' piazza pulita e de portasse via tutto. Tu sse' ggia' de li cani, Ciartru'". Io ero frastornato ma cerchai di intervenire: "Un momento, un momento, lei nun c'entra, l'emo da lassa' sta'". E Alibbabba': "E cche ne sae tu, Lazzaro'?". E io: "Lo so pperche' lo dico io". E tutti e tre a rride. Giuro su ddio che manco cio' penzato, ho ttirato fora la rivortella e ho cominciato a sparaje, a tutt'e ttre. E' la bellezza che t'incanta. Ho smesso solo quando ho finito tutti e tre i caricatori, ma loro li avevo gia' ammazzati col primo caricatore, che avevo mirato al cuore e in mezzo alla fronte e da militare ero tiratore scelto. Lei mi guardava e pareva paralizzata. Io non sapevo che dire. Lei non diceva niente. Per fare qualche cosa raccolsi le rivoltelle loro e me le misi in saccoccia. Lei non diceva niente. Allora dissi: "Te voleveno ammazza'". Lei fece segno di si' con la testa. Io ripetei: "Te voleveno ammazza'". Ma lei non si muoveva piu'. Allora dissi: "Adesso serve un piano". Ma lei restava immobile, cosi' le dissi: "Mi senti? Mi capisci?". Allora fece di nuovo segno di si' con la testa. "Potremmo dire che c'e' stato uno scontro a fuoco. Che l'ha ammazzati 'l Gabbibbaccio". Allora lei parlo': "Nun di' fesserie. Qui se po' solo fuggi'. E dde corsa, che co' tutte 'ste schioppettate fra du' minuti arriva la polizia e pure l'esercito. E al piu' ttardi domattina Cesarone sa ppe' ffilo e ppe' ssegno ch'e' successo e allora se' morto pure tu. Se po' ssolo che da fuggia, e dde corza". Aveva ragione. Ed era cosi' bella.

"Dove fuggiamo?", chiesi. "Ognuno per conto suo, rispose, io co' uno matto com'a tte nun ce fuggio manco se mme corre appresso Dragula". Sentivo il cuore che mi si spezzava. "Ti ho salvato la vita", dissi. E lei: "Guarda che affarone ch'hae fatto". E io: "T'ho salvato la vita". E lei: "Vedi d'annattene che io devo cerca' de pija' quattro stracci e 'na valiggia e poi via col vento". Io camminavo verso la porta e dicevo ancora: "T'ho salvato la vita", ma non credo che lei m'ascoltasse piu'.

Scesi le scale come un automa, fuori dal palazzone non c'era nessuno. Mi fermo li', non avevo la minima idea. Dopo due minuti vedo lei che esce, neppure mi guarda, sale su una macchina li' vicino e sparisce.

Allora ho capito che era tutto finito (ma tutto cosa?) e torno alla macchina di Ciampicone, apro col trucco del ferretto, strappo i fili e metto in moto, e via. Non conoscevo le strade ma seguendo la segnaletica uscii dalla citta' e mi fermai al primo autogrill. Avevo una fame da lupi. Mi sembrava che piano piano il cervello ricominciava a funzionare. Dovevo decidere che fare, e la cosa che li' per li' mi parve l'unica possibile fu di tornare al paese e andare da Cesarone e raccontargli della sparatoria e che 'l Gabbibbaccio aveva ammazzato tutti gli altri e io avevo ammazzato lui. Cosi' feci.

Cesarone aveva casa sopra il negozio, si affaccio' alla finestra e mi fece segno di salire. "Cesaro', e' successo un casino, il finimondo e' successo". "Ah si'?". "Coso, 'l Gabbibbaccio, ceva 'na rivoltella e come entramo comincia a spara' dapertutto, mezzoggiorno de foco". "Ah si'?". "Eh, finche' l'ammazzo a forza de botte, a forza de botte l'ho ammazzato, ma esso aveva ammazzato gia' a Morizzietto, a Campicone e a Alibbabba'". "Ah si'?". Quella notte nun disse altro che "ah si'?", nun me disse manco d'anna' a casa, a 'n certo punto s'alzo' dal divano, se giro' verso n'antra stanza e me lasso' lli' e io capii che era ora che me ne andavo.

*

Il giorno dopo sui giornali nun c'era gnente. Ma ggia' la sera era pure su la televisione, e 'l giorno dopo ancora era su tutti i ggiornali d'Itaja. E diceveno dell'efferata strage, e facevano veda pure 'na fotografia di Ciartruta, 'na foto segnaletica che nun j'assomijava manco tanto. E tutti dicevano che il primo a morire era stato calpestato a morte da uno degli altri tre, che poi erano stati ammazzati da qualcuno che poi s'era dato e forse era la donna, o forse era qualcun altro che poi era scappato con la donna. Ero fritto, ero. Ma non riuscii a decidermi a scappare, e per andare dove, poi? Dovevo riscuotere qualcosa da due o tre ricettatori, ma se sparivo ciao core. Liquidi a casa ciavevo poco e gnente. E' strano come in certi momenti in cui sai che devi sbrigarti a svignartela ti prende invece un torpore e stai li' che ti guardi e ti dici: ma che stae a ffa'? ma perche' nun te la squaji? ma nu la senti la sora morte che gia' te sta' a fiata' addosso? E resti li', imbambolato, sciroccato.

Passano tre giorni e niente succede, poi un pomeriggio che stavo come sempre al bar del sor Augusto e che guardavo che giocavano a ramino arriva Gnagnarella e mi dice: "C'e' uno che te cerca". "Mo'?". "Mo'". "E vabbe'".

Come che entro nel negozio Cesarone me fa: "Guarda guarda chi se vede, il nostro eroe de' du' monni". "Che voi, Cesaro'?". "Vedette, no? Anzi: mo' sse 'nnamo a ffa' 'n giretto". "E si nun m'annasse?". "Te va, te va".

Su la machina de Cesarone c'ero io e lui sul sedile de dietro, e du' scagnozzi sui sedili davanti. Vestiti come i gangster dei telefilm americani. Un quarto d'ora e arrivamo al deposito dove Cesarone tene le merci, grosso piu' dde du' campi de pallone. Scendiamo dalla macchina. "E 'mmo' perche' semo venuti qqui?". "Perche' tte vojo fa' veda 'na cosa, 'na cosa bbella, che tte piace de sicuro, Lazzaro'".

Entriamo: era veramente il paese della cuccagna. Mobbili, machine, quadri e statue a mucchi, crocefissi de legno pitturati grossi quante tre cristiani, angioloni d'oro, robba da magna' e dda bbeva a vagonate, cataste de televisioni, de lavatrici, de frigoriferi, vestiti, stoviglie, fucili e mitra, bombammano, e scatoloni de sigarette de tutti i tipi. La cuccagna, la cuccagna.

E intanto cammina cammina in mezzo a tutto quel ben di dio arriviamo a un punto che c'e' Ciartruta legata a 'na sedia. "Hae visto che bellezza, eh, Lazzaro'?". "E allora?". "Allora, allora l'usignolo qui, la nostra bella Gertrude la fata ha cantato, Lazzaro', ha cantato co' ttutti i sentimenti, e mmo' te se' fatto 'n ovo ar tegamino, Lazzaro'". Io la guardavo: era cosi' bella che mi levava il fiato. "E che mmae t'avra' detto, Cesaro'". "Ce lo sae ch'ha detto, ce lo sae, nun fa 'l regazzino, su, ch'e' brutta figura fa ffinta de esse piu' scemo de quanto uno e' scemo davero". "Nun me piace 'sto gioco". "E chi t'ha detto che stamo a ggioca'?". "E allora che voi?". "Che vojo? te vojo aiuta', Lazzaro'; te vojo veni' 'ncontro. Che se te se' fatto que' tre buzzurri quarche qualita' nascosta ce ll'hai da ave' ppure tu, nun pare ma cce ll'hae da ave'". "E allora?". "E allora te sarvo la vita. Ma ppe' sarvatte la vita tocca che tu mme fa' veda che sse' veramente tosto e cche quell'apocalissnau nun t'e' venuta pe' ccaso ma perche' lo sae fa'". "Nun te sto a ccapi'". "Mo' mme capisci, tranquillo. Mo' ttu m'ammazzi 'sta zozzona che tt'ha pure tradito pure a tte, co' ttutto che j'evi sarvato la pelle". "E ccome l'ammazzo? Co' lo sputo?". "No, cco' qque'". E mi mette in mano una rivoltella, poi mi afferra il braccio e mi accosta la mano con la rivoltella alla tempia de Ciartruta. "Mo' ttu je spare, eppoi ne riparlamo".

"Nu' lo pozzo fa', Cesaro', e' ttroppo bbella". "E cche vor' di'?". "Che nun ce la cavo, che non ce la pozzo fa', Cesaro'". "Ma allora nun hae capito, si ttu nu le spare, io te sparo a tte. O mmore lei o mmori tu". "Tanto dopo m'ammazze lo stesso". "E pperche'? Sse' ll'unico superstite de la scuadretta de Morizzietto, sarebbe 'no spreco. E' la selezzione de la spece, nu' la sae la legge de l'evoluzzione che sopravvive 'l ppiu' fforte? Se quel branco de 'mbecille se so' fatti ammazza' e' corpa loro, mica tua". "'Nzomma nun m'ammazzi?". "Se ttu ammazzi a essa, no". Fu allora che tentai l'ultimo azzardo, puntai la pistola contro di lui e sparai. Era scarica. E lui scoppia a ridere, e pure lei scoppia a ridere, e pure i guardaspalle, pero' con qualche secondo di ritardo. "Se' forte, Lazzaro'. Ah Ciartru', hae fatto 'na conquista, hae fatto. Ah Lazzaro', e seconno te te davo n'antra vorta 'na pistola carica doppo che m'hae sterminato la Deltaforze? Se' forte, Lazzaro'". E pure lei rideva e rideva e rideva.

"Mo' ppero' bbasta ride. Tie', que' ade' carica davero. Puntala giusta e spara a 'sta bagascia. Prova a ffa' 'na mossa sbajata e lo senti si' 'sto cerchietto freddo su la tempiaccia tua de testa di cavolo, ce lo senti'? Te furmino prima che dichi a".

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Ti mettono in mano una pistola, ti puntano un'altra pistola alla tempia e ti dicono di sparare alla testa di una legata che ti guarda con occhi atterriti ed e' la donna piu' bella del mondo e se tu non spari a quell'apparizione celestiale sparano a te e amen. Vi e' mai capitato? Se vi e' capitato e siete ancora vivi e' chiaro che avete sparato. Anche a me e' capitato. Chi non ci si e' mai trovato si astenga da ogni commento, grazie.

 

5. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI LUGLIO 2015 (PARTE QUARTA E CONCLUSIVA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di luglio 2015.

 

6. IN MEMORIA DI ERNST CASSIRER E DI TIZIANO TERZANI

 

Ricorre oggi, 28 luglio, l'anniversario della nascita di Ernst Cassirer (Breslavia, 28 luglio 1874 - New York, 13 aprile 1945), e l'anniversario della scomparsa di Tiziano Terzani (Firenze, 14 settembre 1938 - Orsigna, 28 luglio 2004).

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Ernst Cassirer, nato nel 1874 a Breslavia (Breslau in Slesia, oggi Wroclaw in Polonia), filosofo, docente universitario, esule, muore nel 1945 a New York. Ha dato contributi fondamentali in vari campi della ricerca filosofica, epistemologica, storiografica.

Tra le opere di Ernst Cassirer: in traduzione italiana cfr. particolarmente Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento; La filosofia dell'Illuminismo; Saggio sull'uomo; Il mito dello Stato; Storia della filosofia moderna; Linguaggio e mito; Filosofia delle forme simboliche.

Tra le opere su Ernst Cassirer: Giulio Raio, Introduzione a Cassirer, Laterza, Roma-Bari 1991.

Di lui e' stato detto "come sia stato un nitido e intransigente difensore della dignita' umana e della cultura di contro alla barbarie razzista e totalitaria. Erede ed esegeta del Kant illuminista e sostenitore dei diritti umani, storiografo acutissimo del problema della conoscenza nell'eta' moderna, persuasivo argomentatore del passaggio dal concetto di sostanza a quello di funzione, elaboratore della filosofia delle forme simboliche che ha consentito sviluppi decisivi nell'ambito dell'analisi del linguaggio, del mito, della conoscenza scientifica, della morale e dell'estetica, della politica e dell'antropologia filosofica, Cassirer e' stato non soltanto lo storiografo lucidissimo ma anche l'apologeta e il testimone, il combattente della cultura come impresa comune dell'umanita', come processo di chiarificazione e di liberazione comune, come scelta per l'umano che riconosce ed unifica, preserva e dispiega, eredita e salva, tramanda e dona, di contro alla violenza che abbrutisce, disgrega ed annienta. Nella sua alacre opera di storico e di filosofo, di umanista cui nulla di umano e' estraneo, di lottatore per la verita' e la liberta' con gli strumenti del pensiero, di promotore della solidarieta' e della responsabilita'; con i suoi studi che nutrono ogni persona che ad essi si accosti ed insieme la esortano ancora e ancora alla missione inesauribile e allo sforzo magnanimo del sapere, del capire, del condividere, del cercare ancora, del recare lume ed aiuto; con l'esempio di un accostarsi attento e sollecito ai problemi del sapere e della societa', ed alla riflessione di intere epoche come di singoli pensatori; con la sua riflessione sull'essere umano quale animal symbolicum, con la sua meditazione unitaria e complessa sulla cultura, con la sua attenzione ed apertura al progredire del processo unitario della ricerca e quindi della civilta', ed insieme con la sua ferma opposizione ad ogni potere violento che umilia e denega l'altrui e quindi la comune umanita', ebbene, Cassirer e' uno dei maestri della nonviolenza in cammino, e la sua opera un protrettico e una cassetta degli attrezzi per ogni persona impegnata per il bene comune".

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Dal sito www.tizianoterzani.com riprendiamo la seguente scheda biografica tratta dall'opera Che fare? e altre prose sulla pace (Edizioni Via del Vento, Pistoia, 2011) per gentile concessione del curatore Alen Loreti (tutti i diritti riservati).

"1938. Tiziano Terzani nasce il 14 settembre a Firenze nel quartiere popolare di Monticelli. Il padre Gerardo e' originario del borgo di Malmantile vicino Lastra a Signa e gestisce una piccola officina meccanica a Firenze. La madre, Lina Venturi, e' una fiorentina di citta' e lavora come cappellaia in un negozio di sartoria. Insieme abitano in una piccola e buia casa in via Pisana dove Tiziano divide gli spazi con la nonna materna Elisa, rimasta vedova.

1944-1949, le scuole elementari. Nei primi di agosto del '44 la ritirata dei nazisti sulla Linea Gotica e l'avanzata alleata delle truppe britanniche porta alla liberazione di Firenze consentendo al piccolo Tiziano di frequentare la prima elementare presso il convento femminile di San Piero a Monticelli. Un anno dopo, alla riapertura regolare degli istituti, prosegue gli studi nella vicina Scuola di Legnaia, l'istituto primario Gian Battista Niccolini.

1949-1952, le scuole medie. E' un bimbo sveglio, curioso e capace, il maestro Cavalli prega i genitori di iscriverlo alle medie. Frequenta in citta' la scuola Nicolo' Machiavelli. Dopo i numerosi lutti familiari per tubercolosi - due zie e il nonno - la madre si preoccupa della salute di Tiziano che, figlio unico, si sente soffocare da queste attenzioni. Gerardo per tranquillizzare la moglie, e assecondare le indicazioni del medico, ogni estate porta con se' il bimbo all'Orsigna, un remoto borgo della montagna pistoiese popolato da boscaioli e carbonai. La valle chiusa e silenziosa diventa subito il rifugio prediletto di Tiziano affascinato dall'eco delle tradizioni montanare e da una natura selvaggia e incontaminata che anima in lui un forte senso di liberta'.

1952-1957, il ginnasio e il liceo. Dopo l'esame di terza media il professore Cremasco convince Gerardo e Lina a iscrivere il ragazzo al ginnasio. I genitori impegnano gli averi al Monte di Pieta' e acquistano a rate i pantaloni che permettono al figlio di frequentare la succursale della Machiavelli in piazza Pitti. Dal '54 prosegue gli studi al liceo classico Galileo dove si diploma con ottimi voti nel '57.

Frequenta i "Sabati dello studente", un circolo ricreativo in cui soddisfa la passione per il cinema e recita in alcuni spettacoli dove mostra - lui moro, occhi verdi, oltre un metro e ottanta di altezza - spavalderia e spiccate doti affabulatorie. E' iscritto al Movimento Federalista Europeo, fondato da Altiero Spinelli, ma in questi anni frequenta anche esponenti del mondo cattolico e progressista fiorentino, padre Ernesto Balducci, don Raffale Bensi, il sindaco Giorgio La Pira. Raccoglie da questi incontri il valore dell'umanita' e apprende il senso non solo del dialogo ma dell'autonomia delle proprie idee, gia' sperimentata in casa con il padre comunista e la madre cattolica. Nel tempo libero guadagna qualche soldo collaborando come cronista sportivo al "Giornale del mattino". Corse podistiche, gare in bicicletta, partite di calcio: copre la Toscana con la 'Vespa' del padre, si muove e si diverte, prova una grande gioia nel viaggiare, raccontare storie, ma non pensa ancora al mestiere.

1957-1962, l'universita' e l'incontro con Angela. E' uno studente brillante e la Banca Toscana gli ha gia' fatto un'offerta che pero' lo angoscia: s'immagina chiuso in una banca per il resto della vita. Cosi', sfidando il parere dei genitori, tenta l'ammissione al Collegio Medico-Giuridico di Pisa annesso alla Scuola normale superiore. Nel durissimo concorso, che offre solo cinque posti e coinvolge centinaia di candidati da tutta Italia, arriva secondo. Si iscrive alla facolta' di giurisprudenza. Al grande balzo lontano da casa si unisce un'altra novita'. In settembre ha conosciuto una ragazza di origini tedesche, Angela Staude, nata a Firenze nel 1939, figlia del pittore Hans-Joachim e dell'architetto Renate Moenckeberg. Gli Staude abitano in via della Campora sulla collina di Bellosguardo. Sono una famiglia colta ma non convenzionale che vanta tra i propri avi esploratori e accademici. Tiziano e' rapito dall'atmosfera casalinga e poliglotta dove arte e musica si mescolano alle biografie avventurose della famiglia. Viene accolto senza particolari pregiudizi e assapora il piacere della cultura e della curiosita' intellettuale.

Seppur divisi dagli studi - Tiziano a Pisa e Angela a Monaco - mantengono i contatti. All'universita' Tiziano conosce e frequenta molti amici tra cui Giuliano Amato, Remo Bodei, Carlo Donolo. La vita in collegio e' impegnativa, a volte goliardica, ma due eventi drammatici lo segnano profondamente: nel '58 una grave infezione tubercolotica lo mette in serio pericolo di vita e un anno piu' tardi una trombosi colpisce il padre rendendolo inabile al lavoro. Le ristrettezze economiche, il bisogno di contribuire al sostentamento dei genitori e la voglia di trovare una propria strada alimentano l'inquietudine e il desiderio di fuga, di una vita differente, autonoma e libera.

1962-1967, l'Olivetti e il matrimonio. Dopo essersi laureato a pieni voti fallisce il tentativo di continuare gli studi all'universita' di Leeds. Senza soldi e' costretto a rientrare in Italia, accetta la proposta dell'Olivetti di Ivrea. Dalla catena di montaggio alla vendita porta a porta e' un duro tirocinio che lo conduce all'ufficio del personale dove conosce lo scrittore Paolo Volponi e riceve l'incarico di reclutare nuovi laureati nelle filiali europee e internazionali. E' un'occasione favolosa: inizia a viaggiare in tutto il mondo. Le garanzie aziendali gli consentono di avere Angela al suo fianco, ne approfittano e si sposano a Vinci il 27 novembre '62.

Il lavoro dell'Olivetti lo porta prima a viaggiare in tutta Europa (Danimarca, Portogallo, Olanda, Gran Bretagna) abitando all'estero per lunghi periodi quindi in Oriente.

Nel gennaio 1965 mette piede in Giappone: la sua prima volta in Asia. Vede Hong Kong, ne resta affascinato. Il sogno della Cina, cosi' vicina, inizia a prendere forma.

Nel 1966 acquista con i primi risparmi il terreno all'Orsigna dove piano piano costruisce una casa. In autunno l'Olivetti lo manda in Sud Africa. Dal paese sconvolto dall'apartheid manda i primi crudi reportage che pubblica su "l'astrolabio", settimanale diretto da Ferruccio Parri. Mostra un talento innato che documenta anche con l'inseparabile macchina fotografica. Intuisce che il giornalismo puo' essere la sua strada.

Nel 1967, dopo aver viaggiato in Australia e Thailandia, prende l'aspettativa dall'Olivetti e su indicazione di Samuel Gorley Putt - professore a Cambridge, gia' dirigente dell'Harkness House e conosciuto per caso alla Hopkins University di Bologna - si aggiudica una borsa di studio che gli apre le porte della Columbia University di New York.

1967-1969, l'universita' in America. In Usa continua a scrivere per "l'astrolabio", racconta l'America che sprofonda nel Vietnam, la rabbia del movimento nero, la tenacia di quello pacifista, i sogni spaziali della Luna mentre realizza il proprio, nel '68, imparando la lingua cinese all'universita' di Stanford. Nel 1969 con in tasca la seconda laurea e in braccio il primogenito Folco, nato in agosto a New York, rientra in Italia, lascia l'Olivetti e viene assunto come "pubblicista" da "Il Giorno", quotidiano milanese diretto da Italo Pietra. Nella redazione ci sono Giampaolo Pansa, Bernardo Valli, Paolo Murialdi.

1969-1971, da matricola al "Giorno" a "professionista". Tiziano scrive sulle pagine culturali e lavora intensamente tra interviste e notizie d'agenzia. Nel marzo '71 nasce la figlia Saskia, in estate sostiene e supera l'esame da "professionista". Chiede di andare all'estero, ma il direttore non ha bisogno di corrispondenti dall'Asia. Determinato a seguire le proprie aspirazioni, si dimette dal giornale, pur mantenendo una collaborazione esterna. In autunno gira le redazioni dei piu' noti quotidiani europei alla ricerca di un'occupazione - sa parlare francese, tedesco, inglese, portoghese e cinese - ma incassa il rifiuto di tutti - "Guardian", "Die Zeit", "Le Monde", "Der Stern" - finche' l'editore dell'amburghese "Der Spiegel" Rudolf Augstein gli offre una chance: un contratto come freelance per un anno con l'apertura di un ufficio a Singapore e la copertura dell'Estremo Oriente. E' la svolta. All'ottima offerta tedesca si aggiunge l'accordo esclusivo con Raffaele Mattioli, presidente della Banca Commerciale Italiana, che conosciuto il ragazzo a Milano e colpito dalla sua intraprendenza, lo invita a scrivere dei report sul Sudest asiatico garantendogli un fisso mensile.

1972, il "grande balzo" in Asia con "Der Spiegel". Con queste certezze nel gennaio '72 Tiziano raggiunge Singapore dove apre il primo dei tanti uffici di "Der Spiegel" in Asia. La famiglia lo raggiunge poco prima dell'inizio della grande offensiva delle truppe del Vietnam del Nord. E' l'occasione di misurarsi sul campo. Parte per il fronte e documenta la guerra per "Der Spiegel" e per la stampa italiana - "l'Espresso" e "Il Giorno" - riscuotendo l'ammirazione per il coraggio e la qualita' dei reportage che nel novembre '73 diventano la base del suo primo libro, Pelle di leopardo. Diario vietnamita di un corrispondente di guerra 1972-1973, pubblicato da Feltrinelli. Viaggia continuamente in Laos, Cambogia, Thailandia e in tutto il Sudest astiatico. Nel '74 cessa definitivamente la collaborazione con "Il Giorno" e passa per un breve periodo a "Il Messaggero".

1975-1979, la liberazione di Saigon e il dramma cambogiano. La guerra in Vietnam e' agli sgoccioli: in aprile cerca di raggiungere la capitale cambogiana Phnom Penh, ma viene arrestato come sospetta spia degli americani. Rischia la fucilazione poi viene rilasciato. Sfumata l'occasione riesce comunque a raggiungere Saigon dove e' testimone della vittoria dei comunisti e della fuga degli americani. Un momento storico esaltante che diventa materiale per il secondo libro, Giai phong! La liberazione di Saigon, edito da Feltrinelli nel marzo '76. Intanto gia' dall'autunno '75 risiede con la famiglia a Hong Kong, un altro passo verso il Celeste Impero. Dalla nuova sede di "Der Spiegel" si occupa del dopo-Mao e partecipa ai primi viaggi in Cina. Collabora fin dalla nascita col quotidiano di Eugenio Scalfari "la Repubblica". Nel '77 segue con angoscia il destino della Cambogia in mano ai khmer rossi poi invasa dal Vietnam. Documenta l'orrore dei profughi vietnamiti e non immagina quello che sara' l'olocausto cambogiano, dramma che lo tormentera' per anni.

1980-1984, finalmente la Cina. Nel gennaio '80 corona il sogno di una vita: apre personalmente la redazione di "Der Spiegel" a Pechino. Viaggia in tutto il paese, da solo e con la famiglia, sfugge spesso al controllo del Partito comunista che lo spia. Vede e vive una Cina povera, affamata e distrutta dal maoismo ma con un passato meraviglioso: scrive e fotografa tutto. Il Pcc non e' abituato a questa liberta' e nel marzo '84 lo fa arrestare per "crimini controrivoluzionari". Dopo un mese di riabilitazione e con l'intervento del Presidente Sandro Pertini, viene espulso dal paese, per sempre. E' uno shock tremendo. Reagisce a modo suo: in settembre pubblica per Longanesi La porta proibita dove racconta senza filtri l'esperienza dei quattro anni vissuti in Cina.

1985-1990, il Giappone. Dove un soggiorno temporaneo a Hong Kong si trasferisce con la famiglia a Tokyo dove si apre il suo capitolo professionale piu' cupo a causa di una forte depressione, a cui non e' estranea la forte delusione per l'esasperata conversione consumistica di quella societa'. Cade in una profonda depressione. Segue la rivoluzione gialla delle Filippine contro il dittatore Marcos e non perde di vista le sorti dei paesi dell'Indocina. Nel 1988 chiude la collaborazione con "la Repubblica" e passa al "Corriere della Sera".

1990-1994, Bangkok e i grandi viaggi. Nel settembre '90 lascia con sollievo Tokyo e si trasferisce a Bangkok. Nell'estate del '91 il golpe contro Gorbacev lo sorprende al confine tra Urss e Cina. Decide di raggiungere Mosca con ogni mezzo, attraversa 9 delle 15 repubbliche sovietiche e assiste in diretta al crollo dell'Impero comunista. Ne ricava un diario di viaggio, Buonanotte, signor Lenin!, pubblicato nel settembre '92 e selezionato per il prestigioso Thomas Cook Travel Book Award, "un libro splendido" secondo il grande reporter Ryszard Kapuscinski.

Nel '93 viaggia senza mai prendere aerei per rispettare una vecchia e nefasta profezia di un indovino. A 55 anni e' un pretesto per descrivere l'Asia travolta dalla globalizzazione e per trovare nuove motivazioni. E' un anno avventuroso che diventa il suo libro piu' popolare e tradotto, Un indovino mi disse, edito nel 1995.

1994-1996, l'India e il ritiro. Gia' dal '94 vive con la famiglia a Delhi dove segue le contraddizioni e gli sviluppi della democrazia indiana. Nell'agosto '96, stanco della professione, sceglie il prepensionamento e dopo 25 anni di lavoro, e oltre 200 reportage, lascia "Der Spiegel".

1997-2000, la malattia. In primavera gli viene diagnosticato un cancro. Inizia le cure e affronta la malattia come un altro scoop da indagare e capire. Nel giugno '98 su iniziativa di Mario Spagnol, patron di Longanesi e suo mentore, pubblica una collezione dei suoi migliori articoli, In Asia. Si isola dal mondo e dalla fine del '99 si ritira sull'Himalaya indiana, scrivendo, dipingendo e curandosi.

2001-2002, le "Lettere". L'11 settembre e lo scoppio della guerra in Afghanistan, lo scuotono. Sente il bisogno di essere testimone e si mette in marcia, da freelance, come agli inizi. Scrive una serie di articoli e riflessioni che raccoglie nel volume Lettere contro la guerra, edito nel febbraio 2002. Un libro di forte impegno etico che anima i movimenti civili contro il conflitto militare e la violenza.

2003-2004, l'ultima opera. Si ritira per completare la sua ultima fatica, Un altro giro di giostra, pubblicato nel marzo 2004. E' un viaggio oltre la malattia e la medicina, un'analisi stringente e struggente sull'uomo contemporaneo che deve saper affrontare l'inevitabile. Quattro mesi piu' tardi, il 28 luglio, protetto dalla famiglia - dopo aver registrato con le sue ultime forze una serie di interviste che daranno vita a documentari, libri e film - "lascia il suo corpo" nella valle dell'Orsigna".

*

Anche nel ricordo di Ernst Cassirer e di Tiziano Terzani proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' e la biosfera.

 

7. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Letture

- Daniele Garritano, Il platonismo rinascimentale. I "nuovi filosofi" inquieti e ribelli, Hachette, Milano 2016, pp. 144, euro 9,90.

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Riletture

- Nicolao Merker, Marxismo e storia delle idee, Editori Riuniti, Roma 1974, pp. 308.

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Riedizioni

- Alberto Fabio Ambrosio, Lea Nocera, Storia della Turchia, Carocci, Roma 2015, Il giornale, Milano 2016, pp. 288, euro 8,50.

 

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

9. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2484 del 27 settembre 2016

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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