Viaggio in Palestina



Di seguito un'altro resoconto di viaggio di una delle volontarie del presidio di Nablus.
Nathan Never

Piccolo resoconto delle sensazioni del viaggio più che
di un ordine cronologico degli eventi.

Prima del viaggio di dicembre-gennaio la Palestina era
innanzittutto per me un sogno che ho rincorso per quasi
un anno, un'idea, un cammino e alla fine una meta.
Non vorrei essere qui a scrivere di lei, vorrei viverla
ancora e ancora sentire che cosa ha da insegnarmi.

La Palestina è una terra dura e accogliente, dove ho
incontrato tanta ospitalità, porte che si sono aperte,
mani che potevo stringere e altre mani che non
mi è stato possibile toccare.
Abbiamo deciso di rispettare le tradizioni
di Nablus, le sue regole sociali.
Abbiamo cercato di comportarci come i suoi
abitanti per essere riconosciuti da loro come
amici, per costruire ponti con loro.
Nablus è una città religiosa e tradizionalista.
Quando siamo arrivati ho sentito il bisogno di coprirmi la testa,
mi sentivo gli occhi addosso, ma non erano occhi avidi,
solo curiosi e animati.
Ciò che abbiamo deciso di non fare
per le strade di Nablus, è avere contatti
fisici tra di noi, che può voler dire una semplice
pacca sulla spalla o un veloce abbraccio.
E ho scoperto che il contatto fisico è stata una
delle cose che mi è mancata di più, non poter
stringere quei ragazzi palestinesi che erano diventati
per me "quotidianità", quei ragazzi palestinesi pieni
di affetto e attenzioni nei nostri confronti.
Mi sono resa conto di come cambia il modo di
ragionare, di come in "occidente" non stringere la mano
sia letto come un segno di maleducazione,
mentre in Palestina è visto come forma di rispetto
(parlo di un uomo e una donna non sposati).

Ho provato rabbia e sgomento di fronte ai soldati che
in ogni momento, mentre ti parlano, accarezzano il
fucile come ad affermare continuamente il potere che
racchiudono nell'oggetto che portano al collo.
Ho impressa nella mente l'umiliazione quotidiana che i
palestinesi devono subire, il rimarcare in continuazione
la presunta superiorità ebraica...
Come a Hebron, ormai ridotta ad essere una città fantasma,
dove i negozianti sono stati costretti dai coloni a
chiudere i loro negozi.
E in quelle saracinesche vuote compaiono le stelle di Davide,
quelle stesse stelle che 50 anni fa in Germania erano il simbolo
dell'umiliazione, ora diventano segno di prepotenza e dispezzo.

Tengo strette le storie di quotidiana follia, molto al
di là di ciò che noi dovremmo ritenere normale e accettabile.
Ho visto, seppure sempre con gli occhi di una straniera,
che cosa significa vivere in una gabbia a cielo aperto;
ho visto il Muro e mi si è stretto il cuore nel vedere
i bambini che sotto quel muro ci giocavano.

Ho respirato anche l'alba che ci ha accolto a
Gerusalemme quando siamo arrivati, le vie che
iniziavano ad animarsi di donne che vendevano
le loro erbe e spezie.
Ho riso con gli amici palestinesi, ho vissuto momenti
in cui mi sono dimenticata di essere in una terra
assediata.

Abbiamo incontrato israeliani, giovani e
non, che lottano per costruire la pace,
persone coraggiose che hanno rifiutato di essere riservisti
dell'esercito e sono considerate una spina nel fianco
della loro società.
Ma nonostante questo, quando siamo
arrivati a Tel Aviv, che è America,
dopo aver passato due settimane a Nablus,
che è a soli 40 minuti di macchina,
non ho potuto fare a meno di disprezzare
quello che vedevo.
Ho provato una sensazione forte che
mi atterriva e che non riuscivo a controllare.
Solo la vista del mare mi ha calmata.

La Palestina è ovviamente molto di più di quello che
ho scritto.Un giorno, uno degli ultimi del viaggio,
ho avuto la netta sensazione che nulla sarà mai come
prima nel mio modo di pensare e di vedere le cose.
Sono grata alla Palestina per questo.

Svieta
Presidio di pace a Nablus  - http://assopace.blog.tiscali.it/
Associazione per la Pace  - www.assopace.org
Photo -  http://photos.yahoo.com/folder2005