Art. di La Valle su legge testam. biologico



Il sondino di Stato

di Raniero La Valle

Articolo della rubrica “Resistenza e pace” in uscita sul prossimo numero del quindicinale di Assisi, Rocca (rocca at cittadella.org )

 

Mentre c’è un gran daffare dei senatori che si accaniscono attorno a una legge che dovrebbe stabilire per filo e per segno come, quando e attraverso quali procedure una persona in coma possa morire, qualcuno mi ha ricordato un libro di David Maria Turoldo di cui riferii, quando uscì, in una mia rubrica sulla Stampa di Torino. Il libro era intitolato “…E poi la morte dell’ultimo teologo”, e raccontava di un’isola dove, tanti secoli fa, si era smesso di morire. E mentre all’inizio tutti furono contenti, e se ne gloriarono come di una gran vittoria della medicina, e perfino i turisti accorrevano a vedere questa meraviglia, a un bel momento si vide che senza morte non si poteva stare. Nell’isola si cominciò ad essere in troppi, e prima chiusero le porte all’immigrazione, poi sterilizzarono le donne. Non si festeggiarono più i compleanni, ma solo i centenari, i bicentenari, i tricentenari; non si iniziò più nessuna impresa, perché tutto era stato già vissuto; non potendosi più commemorare i morti, si cominciarono a celebrare i vivi, e ciascuno poté andare all’inaugurazione della propria statua, finché l’isola ne fu tutta piena; tutti i discorsi e le prediche erano già stati sentiti, e quindi si smise di farne; furono rotti tutti gli specchi, perché era venuto in uggia anche il proprio volto e del resto appariva invecchiato; se uno si ammalava non lo si curava, perché si diceva: tanto non muore; finì la pietà, finì l’amore. Finché tutti invocarono il ritorno della morte.

Dunque la vita non era più un valore? Sbagliava la medicina a volerla conservare a tutti i costi e la Chiesa a difenderla sopra ogni altra cosa? Sì, era un valore, ma come tutti i valori se veniva assolutizzato si rovesciava nel suo contrario. La vita non era più vita, e tutti gli altri valori perivano. E nemmeno Dio ne usciva troppo bene perché la sua gloria non è il principio anonimo della vita ma, come dice Sant’Ireneo, l’uomo vivente.

È qualcosa di cui si dovrebbe tener conto quando ci si mette a legiferare, e occorre mettere insieme principi, valori e diritti. Non dovrebbe essere troppo difficile. Il diritto moderno non è come il vecchio diritto positivista, dove era “l’autorità, non la verità” che faceva la legge, e a cui moralità e giustizia dovevano essere sovraimposte dall’esterno, tirandole giù dai cieli del diritto naturale. Il diritto di oggi, pur attraverso molte storie e dolori, ha incorporato in sé la giustizia, ha formulato principi e valori, li ha bilanciati, li ha tradotti in diritti e doveri, li ha messi nella sua scrittura, nelle sue Costituzioni. Non siamo all’anno zero della produzione giuridica, sicché di fronte a nuovi problemi, come quelli della bioetica, prima di legiferare ci si dovrebbe rivolgere all’apposito sportello per sapere cosa fare. Le linee maestre della legislazione sono già date, i valori che entrano in gioco sono i valori costituzionali, i principi sono quelli fondamentali dell’ordinamento, i diritti non sono assoluti, ma tengono conto di tutti gli altri. E quando ha a che fare con le persone, con la loro identità, con la loro coscienza, col loro destino, la legislazione dev’essere sobria. L’uomo è una cosa delicata, si sciupa. Meglio una norma in meno che una di troppo.

Ma se la legislazione cade in delirio di onnipotenza, volendo giungere a impedire che anche un solo sondino sia staccato anzitempo, allora sono dolori. Fa finta di legiferare su un diritto (il diritto al testamento biologico), e invece stabilisce una sorta di obbligo a sopravvivere; e statalizza la morte, separa i morenti dai loro cari, e mette il loro obbligo a vivere in mano a una commissione di sei medici (un medico legale, un neurofisiologo o equivalente, un neuroradiologo o equivalente, il medico curante, un anestesista-rianimatore, un medico specialista della patologia!) nominati dalla burocrazia dell’ospedale o della ASL. Stabilisce che in ogni caso non si può sospendere l’alimentazione e l’idratazione perché, secondo il parere espresso dal comitato governativo di bioetica recepito nella legge, l’acqua e il cibo sono indispensabili per vivere, e non divengono una terapia medica o un accanimento terapeutico, per il solo fatto che vengano somministrati da medici e per via artificiale. Però si sono dimenticati dell’aria: anche l’aria serve per vivere, e spesso la si dà anche artificialmente, come negli aerei in volo; allora perché l’aria, pompata dal respiratore si può togliere senza ledere il sacro principio della vita, mentre acqua e cibo si devono introdurre comunque da tutte le parti nel corpo per non essere chiamati omicidi? In realtà con queste norme si gioca con il testamento biologico, si punisce chi pretenderebbe decidere della sua morte e si aggiunge anche del sadismo: perché il documento vale solo per un quinquennio, e ogni cinque anni bisogna rinnovarlo in forma scritta e farlo confluire nel Registro nazionale informatico all’uopo istituito; un rito funereo, un dover pensare all’ipotesi di un tragico morire a scadenza regolare, e perfino una sfida, per chi ci crede, al malocchio. Non è una legge, è un “memento mori” (ricordati di dover morire) voluto dallo Stato.

 

  Raniero La Valle

 

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