Re: [pace] Memoria della com-passione



Aggiungo qui una mia riflessione sul cosiddetto "dovere di ricordare", di cui si sente sempre parlare nella Giornata della Memoria.
 
SUL "DOVERE DI RICORDARE"
La storia va conosciuta, studiata, imparata e vissuta in prima persona, per quanto possibile; se una persona fa questo, significa che la ricorda. E la storia va ricordata.Questo mi sembra un diritto civile e anche un dovere civile di un cittadino responsabile. 
Ma istituzionalizzare il ricordo di fatti storici particolari ha sempre un significato politico calato nella realtà storica presente, e nella fattispecie della Shoah del popolo ebraico questo significato è dubbio a causa della NON ricordata né ammessa - vale a dire NEGATA - pulizia etnica del popolo palestinese avvenuta nel 1947-48, ossia poco dopo la Shoah, nel silenzio complice dell'Europa per via del suo senso di colpa per la Shoah.
Istituzionalizzare il ricordo di un fatto e, in più, imporre l'anatema del "doverlo ricordare", è fare una violenza alla libertà personale e un abuso di quel fatto storico a discapito degli altri; infatti, perché dovrebbe esserci il dovere di ricordare solo la Shoah? Forse che il resto della storia, migliaia di anni, non debbano essere ricordati del pari?
E' una vera aberrazione dei presunti doveri morali, il dovere di ricordare la Shoah (e lo stesso direi del "dovere di ricordare" applicato a qualsiasi altro fatto storico preciso).
E non è un caso che, come ogni dovere imposto, e personalmente non sentito, questo "dovere" provoca spesso delle reazioni di ribellione, specialmente nei più giovani.
Lorenzo
 
 
 
 
----- Original Message -----
Sent: Wednesday, January 27, 2010 2:49 PM
Subject: [pace] Memoria della com-passione

    10 01 27 Memoria della com-passione.

    27 gennaio 2010

 

    Nel giorno in cui si fa giusta e meditata memoria della Shoah, anzi dell'interruzione (con l'entrata ad Auschwitz dell'Armata Rossa) di quel progetto già terribilmente avanzato di sterminio crudelissimo, scientifico e sistematico, un vero fallimento dell'umanità, è giusto esprimere solidarietà al popolo ebraico, nel clima di un discorso franco e sincero.

    Proprio la facoltà sviluppata e raffinata della memoria carattterizza la cultura e la storia magistrale, l'dentità stessa spirituale, di questo popolo. Per i suoi contributi al pensiero, all'arte, alle scienze, alla religione, alla capacità di vivere come popolo tra i popoli senza né semplicemente assimilarsi né autoghetizzarsi, che è un modello delle convivenze ormai necessarie dappertutto, il popolo ebarico deve essere da tutti ringraziato.

    Perseguitato più volte per grettezza morale altrui, anche dei cristiani, con indegni pretesti teologici, persino durante la persecuzione massima nazista ha espresso anche esempi imperdibili e fecondi di resistenza morale nonviolenta: Etty Hillesum, Edith Stein, Anna Frank (e non a caso sono nomi di donne i primi che vengono alla mente). In seguito a ciò, il popolo ebraico, nel suo movimento sionista, ha confidato di potersi difendere da nuovi simili pericoli col farsi uno stato come gli altri stati, con una decisione da rispettare, ma resa discutibile dai fatti seguitine.

    Lo stato ebraico si è realizzato a spese del popolo palestinese, colpito a sua volta dalla "sciagura" (nakbah) di una politica di espulsione. Da quell'origine non saggia dello Stato di Israele, dalla difficoltà di accettarlo da parte di quella regione araba, sono discesi dolorosi tragici difficili conflitti fino ad oggi. Oggi l'occupazione dei territori palestinesi, metodicamente tormentosa della popolazione nei suoi bisogni primari, come la mobilità e l'acqua, il lavoro e l'uguaglianza dei diritti, non fa onore a Israele, disobbediente più di ogni altro stato alle risoluzioni obbligatorie dell'Onu. La costruzione del muro, con sottrazione di terreno e divisioni interne inflitte alla popolazione palestinese nella vita quotidiana, configura una sciagurata politica di apartheid, che il mondo civile ha già condannato.

    Questo giudizio non è affatto antiebraismo, anzi, vede con vera sofferenza che la politica di Isarele fa ombra nel mondo e nella storia al prezioso spirito ebraico; non ha mai mancato di criticare le forme violente (e oltretutto anche erronee) della resistenza palestinese, che però ha pure forme ed esperienze nonviolente esemplari (da Awad a Bil'in); non ignora la critica israeliana interna, sebbene numericamente esile, alla politica governativa, e l'obiezione di coscienza di parecchi giovani israeliani all'occupazione militare.  

    L'ocupazione israeliana, motivata persino col diritto biblico-divino su tutta quella terra (che non può valere nella convivenza pacifica tra popoli diversi), ha spinto i palestinesi nella disperazione, e, ultimamente con la guerra di Gaza, nella condanna iniqua a prigione e morte. I cattivi consigli della disperazione palestinese hanno terrorizzato Isarele e lo rendono pericoloso, anche percè è uno stato atomico non dichiarato.

    Proprio il giorno che ricorda l'orrenda offesa e dolore del popolo ebarico è il momento per associare a questo dolore tutto quello provocato dalla compresenza conflittuale di Isarele e Palestina. La memoria saggia e buona del proprio dolore, di un grande dolore di tutti, sia memoria di tutti i dolori ingiusti di tutti i popoli. Se ognuno resta nel proprio dolore, lascia covare odio e vendetta, e, nell'illusione stolta di liberarsi, fa sì che la storia si vendichi di tutti e faccia soffrire tutti. Riconoscere il dolore dell'altro è la via d'uscita, perché solo la com-passione, perciò l'uguglianza di diritti, permette la con-vivenza necessaria a tutti e a ciascuno.

    Enrico Peyretti, 27 gennaio 2010