Berlusconi ricordati degli amici



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Corrado Guzzanti è scomparso dalla TV di Stato ed è uno dei pochi, tra i comici della sinistra ridanciana, di cui, sinceramente, avverto la mancanza. Mi ricordo la fenomenale gag con la quale imitava, modulando la voce di Alberto Sordi, Francesco Rutelli: ""A Berlusco', ricordate degli amici, ricordate de chi t’ha voluto bbene”.
Lo sfottò potrebbe adattarsi a tantissimi, tra i dirigenti del centro-sinistra (ma anche della cosiddetta sinistra radicale, cominciando con Fausto Bertinotti).
La scenetta umoristica mi è tornata in mente quando ho rivisto comparire dal suo letargo Walter Veltroni, ex Sindaco "sgomberator" di rom a Roma, ex segretario del PD: ha scritto, bontà sua, una lettera al Corriere della Sera per intimare il suo deciso NO alla proposta di Dario Franceschini di un "governo costituzionale".
Immagino dall'alto dei suoi meriti di super-esperto in sconfitte.
Bene fa oggi (25 agosto 2010) Marco Travaglio, sul Fatto Quotidiano, a fare un riassunto disvelatore della più recente parabola veltroniana. La riporto più avanti addolcendo il linguaggio "travagliese" perchè, definitelo "bacchettone", il sottoscritto "aborre" la deriva cabarettistica del giornalismo, l'abitudine, ad esempio, a storpiare i cognomi degli avversari e ad insultarli per i difetti fisici (per i quali Berlusconi diventa, ad esempio, il "nano" o lo "psiconano").
Questa mia idiosincrasia nei confronti del turpiloquio politico mi deriva dall'introiezione psicosomatica, di pancia, del detto: "Non fare agli altri ciò che non vorresti che fosse fatto a te". E non sulla base di un moralismo applicato ai comportamenti individuali, della propensione snobistica al rispetto dell'etichetta, bensì perchè sono convinto razionalmente, direi "scientificamente", che chi persegue l'alternativa non deve scadere al livello del fango che intende combattere.
I mei modelli politici, con rispetto parlando, sono il Mahatma Gandhi e Nelson Mandela, non certo i Beppe Grillo o i Daniele Luttazzi. E ritengo anzi un sintomo della decadenza di questo Paese il fatto che un ottimo comico, per sopravvivere, sia costretto ad improvvisarsi leader politico. E che sia seguito, in mancanza di meglio, da schiere di seguaci ormai educati (?) allo stile dell'urlo, dell'invettiva, del linciaggio, per ora fortunatamente solo virtuale, dell'avversario, chiunque esso sia.
Più ci penso, più me ne convinco: un popolo, per trovare il coraggio e la forza morale di risollevarsi dal degrado, deve riconoscersi in esempi nobili, in veri "eroi" o "eroine", in figure che esprimano, con la coerenza della vita, istanze positive e costruttive, non lo sfogo ed il rancore degli "arrabiati" con poca fede e poca speranza.
Mi riferisco a donne e uomini che, pur amando la vita, propria e dei propri simili, hanno dato prova di saperla mettere in gioco senza riserve - questa loro vita - per la causa della giustizia, a smentire la battuta di De Andrè: "Morire per un'idea, però di morte lenta";  uomini e donne che, ad esempio, abbiano pagato con il carcere la loro disobbedienza civile alle ingiustizie di un potere illegittimo: perchè, riteneva il "fachiro della nonviolenza", "è la sofferenza che tocca i cuori". E perchè, contrariamente alle facili vulgate giustizialiste sulla legalità, "il posto giusto per l'uomo giusto in un sistema ingiusto è il carcere", come hanno sempre saputo e sperimentato tutti gli "avanzi di galera" che hanno onorato le "resistenze" contro i regimi ed aperto la strada alle rinascite democratiche (incluso il Presidente che intendeva "svuotare gli arsenali per riempire i granai").
Ah, Peppino di Cinisi, se non ti avessero ammazzato, se tu fossi ancora operante tra noi! Come si dice degli "eroi" nelle leggende e nelle canzoni ("son tutti giovani e belli", citazione di Guccini), la mano feroce e brutale della dittatura mafiosa ti ha "asciugato" subito: ha strappato lo stelo della tua testimonianza di verità prima che la tua maturità fosse veramente fiorita. Ancora oggi ti piango e non so consolarmi della speranza per la nostra terra siciliana che hanno spento con te! Ma ora ti vorrei vivo e presente perchè so che, se ci fossi accanto, potrei dare forza ai miei argomenti; potrei richiamarti come modello credibile degli uomini che tutti - credo - dovremmo essere: "armati" del coraggio indomito degli "sperimentatori di verità", in cerca del disinteresse, dell'onestà, della dedizione al bene comune.
Ma, via il fazzoletto, bando ai sentimentalismi, e torniamo, come promesso, alla prosaicità del "disvelamento" che Travaglio (da me "corretto" con la matita rossa) fa di Veltroni. Ecco cosa scrive sul Fatto Quotidiano di oggi.
"Novembre 2007: dopo due anni di fallite "spallate" a Prodi, Berlusconi è politicamente morto, snobbato da Bossi e scaricato da Fini che lo chiama "comica finale". Poi entra in scena Veltroni e apre un "tavolo delle riforme", ma non con Fini e Bossi aiutandoli a seppellire il Silvio B., bensì col Berlusconi aiutandolo a riannettersi Fini e Bossi. Effusioni da fidanzatini di Peynet, poi l'accordo per una legge elettorale bipartitica, che costringe Fini a rientrare a corte di Berlusconi, mentre Veltroni minaccia di morte i partiti alleati ("se si va a votare, il Pd corre da solo"). Risultato: Mastella si accorda con Berlusconi per votare col vecchio porcellum e rovescia Prodi. Berlusconi risorge per la terza volta. In campagna elettorale chiama Veltroni  "maschera di Stalin", ma Veltroni  porge l'altra guancia: non solo non l''attacca mai, ma nemmeno lo nomina per non cadere in tentazione ("il principale esponente dello schieramento avversario"). Già che c'è, riabilita pure Craxi e affida le liste Pd in Sicilia al compagno Crisafulli, vecchio amico del boss di Enna, dunque rieletto senatore. Naturalmente perde le elezioni (38% Pdl, 33 Pd), regalando a Berlusconi la maggioranza più oceanica della storia. Non contento, persevera col "dialogo": promette "opposizione costruttiva" al peggior governo della galassia e non candida nessuno contro Schifani alla presidenza del Senato. Così il Pd perde pure tutte le regioni su piazza (Friuli, Abruzzo, Sardegna).
(...)
Ora Veltroni pare guarito: riesce a scrivere tre volte "Berlusconi", scopre "la logica personale dei suoi interessi" e "l'aria putrida dei ricatti", ricorda che "la mafia è politica" ... Ma gli italiani destinatari della sua lettera potrebbero domandare al mittente: scusa, Veltroni, anziché raccontarci "cosa farei" ora che non conti più nulla, ci spieghi perché non hai fatto qualcosa quand'eri vicepremier, poi segretario dei Ds e poi del Pd?"
Walter Veltroni mi è stampato nella memoria anche per la sua comica confessione: "Mi sono iscritto al PCI ma non sono mai stato comunista". Un po' come Fausto Bertinotti, che da segretario di un partito per la rifondazione comunista, riteneva il "comunismo" una "parola indicibile"...
La sua vera base di potere è il lottizzificio RAI, essendo stato incaricato dal PCI, dal 1987, di sovrintendere, per competenza dinastica (in quanto figlio di un dirigente dell'Azienda), alla spartizione della TV di Stato non solo in "sfere di influenza" ma in cordate di dirigenti e giornalisti fedeli all'editore partitico di riferimento.
(Chi fosse interessato puà approfondire la storia in diversi libri, tra gli altri in "Elogio della lottizzazione", autore Paolo Mancini, edito da Laterza nel 2009).
La sua retorica melensa e sdolcinata è stata definita "buonista" , che potremmo tradurre come "ostentazione di buoni sentimenti, di tolleranza e benevolenza verso gli avversari". 
Nel suo caso - stando al curriculum così ben illustrato  da Travaglio - credo che possa proprio valere il detto "dal buono al fesso ci vuole un attimo" e consiglierei a Nichi Vendola di pensarci almeno 100 volte sull'abbraccio che Walter, con dietro "Repubblica", gli offre in funzione antidalemiana, sponsorizzando un possibile ticket con Sergio Chiamparino.
Di pensarci e di rispondere, cortesamente, ma fermamente: NO, grazie. Da persone serie intendiamo lavorare "per la narrazione" di una sinistra seria...