Lettera a Roberto Saviano (in risposta alla sua lettera agli studenti)



da http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2010/12/16/lettera-a-roberto-saviano/

La popolarità t’ha fatto proprio male perché oggi mi rendo conto che il mondo della cultura ha perso Monicelli e ci sei rimasto tu.

Mi dispiace dei tuoi guai e ti capisco, perfino, ogni volta che punti lo sguardo in alto per cercare un contatto con il mondo che in questo momento ti è impedito.

Ti sei scelto una lotta dignitosa, l’ho fatta anch’io contro la mafia, la fanno in tanti tutti i giorni, solo che tu hai qualcuno che in questo momento ti fa da scudo mentre altri non hanno che un sanpietrino per difendersi.

Perché i nemici sono pericolosi sempre. La lotta contro i poteri fiacca le giornate, la vita, talvolta, si lo ammetto, anche la fantasia. Ma qui c’è gente che non sta a sentire neppure quelli che sono stati eletti ad icona come te.

Non hai il diritto di insultare chi lotta e bisogna che qualcuno ti dica che dalla consapevolezza di una lotta giusta sei passato ad un delirio di onnipotenza un po’ antipatico. Dovresti dare un limite numerico – che so: tre all’anno? – ai i tuoi sermoni dall’alto della tua posizione privilegiata di stipendiato endemol e mondadori.

Quanti anni hai? 28? 30? E quanti anni avevi quando hai cominciato a vedere il mondo attraverso il filtro della tua scorta? 26? Troppo pochi per capire e te lo dice una che a quarant’anni ancora ha tanto da imparare.

Ti dico io una cosa che qualcuno avrebbe dovuto dirti molto tempo fa. Ti stanno usando. Sei funzionale al potere. Nella tua maniera di difendere lo “Stato” tirando fuori parole degne della peggiore retorica, tutto schierato con la magistratura e con la polizia, sempre calato nel ruolo della vittima dei poteri forti e primo a lanciare sassi contro chi alla vista di quegli stessi poteri alza la testa.

Li conosco quelli come te, borghesi intellettuali che non hanno mai fatto nulla di particolarmente trasgressivo e che improvvisamente si vedono ricucito addosso un abito ribelle che non gli appartiene.

Vedi com’è? Che ti torna subito la tentazione di parlare con la voce di chi tiene tutto in ordine, il tormentone dell’autorità che bisogna rispettare, perché falcone, perché borsellino, perché bla bla bla.

L’hai mai frequentata una piazza? Lo sai perché i ragazzi portano i caschi? Hai presente una testa spaccata da un colpo di manganello come fosse un cocomero? Lo sai che quando le manganellate partono prendono chiunque? Te incluso se fossi nei paraggi e senza scorta.

Troppo comodo parlare dalla tua posizione. Troppo comodo immaginare di non poter essere contraddetto perché ti hanno eletto santo.

E sai che c’è? Che quello che hai scritto tu, girato su repubblica dalla tua agenzia letteraria, con tanto di bollino siae, è solo il lamento griffato di un ragazzo che in un colpo solo tradisce la lotta della sua gente, quella delle famiglie che resistono all’immondizia, delle vecchie e nuove generazioni che lottano per non diventare manodopera della camorra. Un ragazzo che a parole dice di sapere cosa avviene quando i “poteri” ti criminalizzano, usano la macchina del fango, ti isolano per farti fuori. Nella pratica invece tutte queste cose sembrano sfuggirti.

Tu davvero non conosci la storia, figuriamoci l’anarchia. E ti presti al gioco di chi mette al bando un Pinelli al giorno per nascondere i crimini efferati compiuti da stragisti fascisti collusi con quello Stato del quale tu parli a senso unico.

Te lo dico da donna meridionale: se non hai assaggiato la precarietà, se le tue prospettive di futuro sono migliorate, lascia stare. La vita di quelli che invece di una scorta hanno al seguito i creditori è cosa ben diversa.

La tua lettera è proprio brutta perché da un santo come te mi sarei aspettata una epistola diretta ai parlamentari finiani e dell’idv che hanno votato la fiducia al governo. Avresti potuto usare mille parole. Avresti potuto dirigere meglio la tua indignazione. Avresti potuto perfino raccontare le tantissime persone in piazza senza stare su un piedistallo. Immaginando di essere uno di loro, uno come tanti, semplicemente uno che sceglie un altro modo per lottare, rispettabile ma non per questo preferibile per tutti. Avresti potuto dire che quanto era successo non ti è piaciuto senza usare supponenza, senza immaginare di essere superiore a quelli che conducono lotte in modo diverso dal tuo.

Non credo ci sia molto altro da dire: i ragazzi del movimento fanno movimento. Si confrontano. Hanno sicuramente punti di vista differenti. Se lo diranno. Ce lo diranno. Ma tu…tu sei semplicemente un’altra cosa.