La vendetta delle milizie contro Bani Walid




La vendetta di Bani Walid
di Ferdinando Calda del 28 novembre 2012
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Nel pieno dell’assedio di Bani Walid (durato per tutto il mese di ottobre), il Consiglio degli Anziani della città libica, bombardata e poi saccheggiata dalle milizie di Misurata, lanciò un accorato appello “a tutte le organizzazioni umanitarie” e ai media di tutto il mondo per denunciare i “bombardamenti indiscriminati” e il “brutale e ingiusto assedio” che opprimeva la città.
Ma soprattutto i membri del Consiglio, che nel frattempo erano dovuti fuggire in Tunisia, denunciavano la “guerra santa” che “gruppi estremisti, militanti jihadisti e note figure qaidiste” hanno dichiarato contro la popolazione di Bani Walid e i membri della tribù dei Warfalla in tutta la Libia, considerati fedeli al passato governo di Muhammar Gheddafi.
In particolare, nel comunicato venivano citate le dichiarazioni di personaggi come Khaled al Sharif, capo della Guardia Nazionale Libica con un passato da prigioniero della Cia perché sospettato di attività terroristiche in Pakistan e Afghanistan. O il gran mufti Sheikh Sadiq Al-Ghariani, che più volte esortò le milizie di tutto il Paese ad arrestare i membri della tribù dei Warfalla. Intorno al 24 ottobre, mentre l’assedio volgeva al termine e le truppe governative cercavano con difficoltà di ristabilire l’ordine nella città devastata, il mufti diffuse un comunicato per avvertire che “lo spargimento di sangue non terminerà fino a quando i ricercati per l’uccisione di persone innocenti rimarranno in libertà”. In quelle stesse ore un portavoce del governo, Nasser Al-Manaa, dichiarò che almeno 100 persone erano state arrestate nella città, ma aggiunse che la lista dei ricercati includeva circa mille nomi. Una vera e propria caccia alle streghe che impegnò le milizie per giorni, anche dopo che la città fu ufficialmente “liberata”. Ancora il 30 ottobre l’allora ministro della Difesa libico Osama al-Jueili dovette ammettere che le forze governative “non avevano il controllo della città”, mentre i miliziani continuavano a “impedire il ritorno degli abitanti”. “Volevano fare come hanno fatto a Tawarga”, sostiene una fonte anonima di Rinascita, riferendosi alla città a sud di Misurata, i cui abitanti (per lo più immigrati africani accusati di essere “mercenari” al soldo di Gheddafi) sono stati cacciati dai miliziani e sono stipati da mesi in fatiscenti campi profughi o, peggio, nelle prigioni segrete delle milizie. La fonte è di Bani Walid, ma da qualche tempo si trova all’estero. In seguito all’attacco dei miliziani anche i suoi amici hanno dovuto lasciare il Paese. “Sono ricercati in tutta la Libia e sono dovuti scappare in Tunisia, solo perché lavoravano nel canale televisivo della città. Non dicevano niente contro il governo libico. La Libia ha 29 canali, ma gli unici che sono stati perseguiti sono quelli del canale televisivo di Bani Walid”, si lamenta, aggiungendo di non sentirsi sicuro neanche fuori dalla Libia: “Qualche settimana fa una nostra sostenitrice che si trovava in Egitto è stata uccisa a coltellate in mezzo alla strada”.
“La politica o Gheddafi non c’entrano niente. Si tratta di una vendetta delle tribù di Misurata contro quelle di Bani Walid”, denuncia, accusando le autorità libiche di aver “detto un sacco di bugie” al popolo libico. In primis sul vero numero delle vittime, che secondo i numeri ufficiali sarebbero poche decine, mentre secondo gli abitanti “superano il migliaio”, alle quali bisogna aggiungere gli arrestati e i fermati dai miliziani dei quali “non si sa più nulla”. Inoltre il governo ha mentito quando ha diffuso la notizia della morte a Bani Walid del figlio del Colonnello, Khamis Gheddafi, e della cattura del suo ex portavoce Mussa Ibrahim. Indiscrezioni che il 21 ottobre costrinsero l’allora vicepremier Mustafa Abushagur a chiedere pubblicamente scusa su Twitter “per aver annunciato l’uccisione di Khamis Gheddafi e la cattura di Mussa Ibrahim”, nonostante le notizie “non avessero conferme ufficiali”. Il giorno dopo a Bengasi, centinaia di infuriati esponenti della tribù Warfalla fecero irruzione nella sede della televisione al-Hurra per protestare contro le “informazioni false” diffuse sugli scontri a Bani Walid.
“Inoltre hanno coperto i crimini compiuti dalle milizie all’interno di Bani Walid. Hanno ucciso bambini, distrutto e saccheggiato le case. Sono state distrutte le scuole. Hanno usato i gas contro i civili”, accusa la fonte, citando anche la sparizione di 11 milioni di dinari dalla banca della città. La dimensione della tragedia dei 70mila abitanti di Bani Walid si può evincere dalle parole del ministro della Difesa libico che a fine ottobre, nel dichiarare la città sotto il controllo delle milizie, sentenziò: “Bani Walid è completamente vuota ad eccezione di un piccolo numero di persone che vive in condizioni tragiche”.
A oltre una settimana da queste parole i reporter stranieri hanno cominciato a documentare il ritorno degli abitanti nelle loro case, che spesso trovano bruciate o saccheggiate. “Se avessi saputo cosa sarebbe successo a casa mia non l’avrei mai abbandonata”, ha dichiarato alla Reuters una vedova di 48 anni scappata dalla città durante i bombardamenti e rifugiatasi a Tripoli dopo aver dormito una notte all’aperto. “Cosa abbiamo fatto per meritare questo?”, si chiede un uomo d’affari di 64 anni guardando la propria casa bruciata. “Vogliono prendersi la loro vendetta su di noi in questa città - sentenzia Abdel-Rahman, al quale le milizie hanno rapito un figlio all’inizio di quest’anno – e non smetteranno finché non l’avranno ottenuta”.


La scusa per l’attacco
L’attacco a Bani Walid, meno di 140 chilometri a sud-ovest di Misurata, venne giustificato dallo stesso governo di Tripoli con la necessità di assicurare alla giustizia i torturatori di Omran Shaban, il giovane che avrebbe rintracciato per primo Gheddafi durante la sua fuga, morto alla fine di settembre in un ospedale francese in seguito alle torture ricevute. “Quando è arrivato al nostro ospedale noi lo abbiamo curato – si difendono medici e abitanti di Bani Walid – poi è stato inviato a Misurata e da lì in Francia”. All’inizio di ottobre, dopo aver intimato ai 70mila abitanti di Bani Walid di “consegnare i ricercati che si nascondono in città” nel giro di 24 ore, il governo di Tripoli lasciò di fatto campo libero alle milizie di Misurata, storicamente ostili ai Warfalla.