“I have a dream”: e se scomparisse l'area a caldo dell'Ilva di Taranto?



Voglio iniziare l'anno alla grande. “I have a dream”. Ho fatto un sogno. Me ne andavo tomo tomo, cacchio cacchio, a passeggio in via D'Aquino. Assaporavo il sole e l'aria pulita del mattino e senza accorgermene sono arrivato in Corso ai Due Mari. Ho proseguito verso la stazione Torpediniera e dopo qualche minuto mi sono concesso l'immancabile sosta con vista sul mare nel tratto in cui il corso sfinisce su via Roma. Cielo e mare, tersi e risplendenti, s'accarezzavano in un abbraccio che aveva qualcosa d'inedito. Tutto pareva al suo posto: le paranze solcavano il Mar Piccolo, via Cariati intasata di auto, i gabbiani a descrivere vorticose traiettorie a pelo d'acqua. Eppure, mancava qualcosa: il fumo. Non c'era più il fumo dell'Ilva e nemmeno le mostruose ciminere sputa veleni. Mado' ce disgrazia! Istintivamente mi ha assalito il panico e mi sono immaginato orde di giovani disoccupati ad elemosinare un tozzo di pane agli angoli delle strade. Disperato ho fermato un anziano signore dall'aria distinta. “'U me', e l'Ilva ha sparite?”. Quello mi guarda sorpreso. “No ne sè ninde? Na' vide 'u giurnale”. Così dicendo mi passa una copia del “Corriere del Giorno” con titolone in prima pagina: L'Ilva chiude l'area a caldo. Nell'articolo il bravo giornalista descriveva la svolta avvenuta a Taranto. In pratica patron Riva, alla fine, era stato messo alle corde da una città che finalmente aveva capito che si poteva cambiare. Niente più parchi minerali, cokerie, colate continue e altoforni. Niente più fumi e polveri. Del vecchio gigante restavano solo i laminatoi in cui prendevano forma rotoli di acciaio lucidato a specchio spediti negli stabilimenti delle più prestigiose case automobilitiche. Siccome non c'era più il via vai di navi cariche di carbone e altre “muscitìe”, nel porto si erano liberati banchine e moli che dopo essere stati adeguatamente ampliati ed attrezzati occupavano tutte le maestranze lasciate libere dall'Ilva, più altri 2/3mila giovani ritornati a Taranto dopo essere emigrati alla ricerca di lavoro. Altre migliaia di persone erano occupate nello smantellamento della vecchia acciaieria al posto della quale sarebbe sorta una nuova struttura turistico, commerciale, residenziale. In vent'anni Taranto sarebbe diventata un'altra città. Poi, però, mi sono svegliato e sul Corriere di quell'articolo non c'era traccia. Si parlava, invece, dell'ennesima classifica in cui la nostra... splendida città, stava sotto tutti e tutto. L'aria puzzava di gas e il sole era oscurato dal fumo delle ciminiere. Il sindaco aveva abbandonato Palazzo di città quando ormai era pieno di debiti e il presidente della Provincia non vedeva l'ora di prendere il suo posto.
I have a dream. Il sogno è finito, ma l'incubo continua.


Michele Tursi
Corriere del Giorno
8/1/07
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Una risposta tecnica al "sogno" di Michele Tursi è qui:
L’ineluttabile futuro dell’Ilva di Taranto
Intervento dell'Ing. Biagio De Marzo (già dirigente Ilva, Terni, Falck)
http://liviano.blogspot.com/2007/01/lineluttabile-futuro-dellilva-di.html


Per altre informazioni sull'inquinamento a Taranto:
http://www.tarantosociale.org