Pordenone - Aprirsi al mondo per comprenderlo (1114)



Un ringraziamento della città alla comunità ghanese
Aprirsi al mondo per comprenderlo*
Pordenone sia un approdo e non una tappa

*Giovanni ZANOLIN
Assessore alle Politiche sociali
del Comune di Pordenone



Pordenone

Pordenone è il capoluogo di provincia italiano con il maggior numero percentuale di immigrati (15.5%). Il nucleo più rilevante dell’immigrazione è quello ghanese. Si tratta di oltre 1500 persone, che da sole costituiscono il 3% della popolazione residente in città. Quasi tutti i neri che vediamo a Pordenone sono ghanesi.
Il Ghana è un paese indipendente dal 1957 e come capita spesso è frutto dell’ingegneria coloniale, che mise assieme territori e popoli che prima erano divisi. Persino il nome, Ghana, è frutto di un richiamo ad un antico impero, uno strumento adottato dal primo Presidente della Repubblica eletto per indicare un futuro glorioso per il nuovo Stato. Il territorio è di 238.000 kmq (Italia 301.277) e conta oltre 22 milioni di abitanti (Italia 60). Si tratta insomma di un grande paese, con caratteristiche particolari. Ne citerò solo alcune, che sono facilmente rilevabili da quanti frequentino i ghanesi di Pordenone.

In primo luogo è un paese in cui la stragrande maggioranza della popolazione si concentra ancora in quella che noi definiremmo “campagna”. Accra, la capitale, non è infatti ancora diventata una megalopoli ed ha “solo” due milioni di abitanti. Questa origine è facilmente riscontrabile fra i ghanesi di Pordenone, sia per la qualità percepibile degli studi, che si limita all’essenziale, sia per la limitata conoscenza della lingua veicolare inglese, che permette ad etnie dotate di lingue assai diverse di comunicare: l’inglese si impara se c’è necessità di comunicare con persone ed etnie diverse, altrimenti si continuano a parlare solo le lingue originarie, che è quel che succede alla maggioranza dei ghanesi di Pordenone, che hanno inoltre una evidente scarsa dimestichezza per la vita di una città. Insomma, queste famiglie scontano un doppio trauma: il passaggio dall’Africa all’Europa e quello dalla campagna alla città.

Trovate traccia di questi difficili passaggi in molti casi. Ad esempio, nel diffuso ritardo nell’imparare le regole essenziale della vita condominiale, nei consumi e nella difficoltà di un gruppo numeroso di famiglie a scegliere cosa sia davvero importante acquistare, con l’attenzione che noi definiremmo “esagerata” per consumi di “rappresentanza”, dall’auto al telefonino allo stereo. I modelli occidentali vengono assorbiti con enorme velocità e creano danni seri.
Contemporaneamente ed in apparente contraddizione, la maggioranza dei ghanesi di Pordenone si è chiusa nei propri modelli etnici ed ha fatto pochissimi sforzi per dialogare con la città e comprenderla. Nelle ultime settimane ho fatto diverse visite domenicali alle chiese evangeliche etniche e la cosa che più mi ha colpito è che persone che sono in Italia ormai da molti anni non hanno imparato quasi nulla della nostra lingua. Non vivono isolati perché noi bianchi europei li isoliamo, lo fanno per una loro (legittima e sbagliata) scelta.
Molti sono convinti che questa italiana sia solo una tappa del loro progetto migratorio, volto soprattutto a Gran Bretagna e Usa. Molti fanno fatica a comprendere i meccanismi di questa nostra lingua così complessa e difficile. Oggi, mentre moltissimi hanno perso il lavoro e sono costretti a chiedere, informarsi, comprendere sotto l’onda di una crisi che li minaccia, non conoscere l’italiano può rivelarsi fatale. L’Electrolux gli propone di firmare una lettera di licenziamento in cambio di 15000 euro, metà dei quali se ne vanno però in tasse, e molti purtroppo non riescono a capire che cosa gli proponga l’azienda, che si esprime in italiano. Hanno bisogno di un prestito e cadono nelle mani rapaci di società finanziarie di dubbia origine, che avendo dato 4000 euro a novembre ne pretendono 22000 a fine maggio. Quando arriva una convocazione in tribunale per una richiesta di sfratto, non riescono a capire e, se non si presentano, la loro situazione peggiora di molto. Pagano gli arretrati dell’affitto ed ottengono ricevute nelle quali però si puntualizza che loro saranno lo stesso sfrattati, ma non capiscono quel che c’è scritto e continuano a pagare illudendosi di restare. Poi, quando il danno è fatto, vengono ai Servizi sociali. E così via.

Ma ci sono grandi ricchezze di queste persone, che essi offrono alla nostra città e che spesso noi non vogliamo o non siamo in grado di capire ed apprezzare. Prima fra tutte è la disponibilità a lavorare, per ora essenzialmente mettendo a disposizione delle nostre aziende la loro forza e resistenza fisica. In questi anni migliaia di ghanesi hanno sostenuto il nostro apparato industriale e dei servizi con grande abnegazione. Ovviamente hanno avuto bisogno di comprendere quel che si chiedeva loro, ma in fondo questa è la sorte di ogni emigrante.
Per ora ci siamo limitati a chiedere loro forza e resistenza. Ma si tratta di persone intelligenti e che hanno sviluppato una perspicacia adattata all’ambiente umano e naturale in cui sono vissuti per migliaia di anni, cui non possiamo imputare limiti formativi o culturali, perché il problema è che delle loro molte abilità noi non sappiamo che farcene, mentre alle nostre molte esigenze loro sanno dare solo alcune risposte. Ma queste ci sono servite eccome in questi anni.
Oggi che conosciamo i loro figlioli anche per il percorso scolastico, constatiamo le difficoltà sociali ed anche le frustrazioni dovute sia ad una certa povertà che all’ostilità di una parte ampia della città verso le persone straniere e nere di pelle in particolare. Ma vediamo anche le loro grandi possibilità, l’intelligenza viva dei bambini e la loro capacità di apprendere. È la struttura sociale a far difetto, perché se i genitori entrambi lavorano ed i bimbi sono lasciati soli coi fratelli a casa, troppo davanti alla televisione, anche quelle enormi risorse di energia ed intelligenza possono essere annullate dalla stupidità e superficialità mediale.

Fra le ricchezze che ci possono offrire io metterei in primo piano una grande fede in Dio, che si esprime sia nelle tantissime chiese evangeliche, metodiste, pentecostali, che nella chiesa di Roma (così la chiamano), che nell’islam, per quelli che vengono dal nord del Ghana. Una fede davvero ammirevole e che in questa fase difficile consente loro di reggere privazioni che a molte famiglie italiane risulterebbero insostenibili. La fede ben si coniuga con alcuni elementi antropologici: le chiese cono divise per tribù e nel doversi adattare le comunità evangeliche, che non hanno alcuna gerarchia e si possono riprodurre all’infinito, sono molto più adatte ai ghanesi del cattolicesimo, che a sua volta è essenzialmente la chiesa della regione di Kumasi e di una parte dell’etnia ashanti, che pure è la maggiore del paese. Ma parte di questo legame fra fede cristiana e antropologia è anche il permanere di credenze animiste nella fede e nei riti cristiani, di cui il voodoo è certo la manifestazione per noi più folklorica. Dovreste essere nei panni di una ragazzina accoltellata alle braccia in una casa di viale Libertà per far uscire il demonio-gatto che si era impossessato di lei per capire quanto il voodoo possa influire negativamente sulle persone e le loro relazioni sociali, anche qui a Pordenone. E sentire il Pastore della chiesa di quella famiglia argomentare che noi italiani non riusciamo a capire la forza dello spirito, per capire bene il legame fra fede cristiana a animismo.

E’ però soprattutto il canto ed il suo legame con le sacre scritture ad essere formidabile ed ad offrire a noi pordenonesi infiniti spunti di arricchimento della nostra sensibilità musicale. Il canto unisce gli individui e la comunità religiosa e testimonia la loro volontà e le loro speranze. Durante il canto tutta l’assemblea di chiesa partecipa e moltissimi si muovono, con una straordinaria padronanza del corpo e capacità di seguire i ritmi con i vari movimenti, con una sensualità che ai loro occhi non ha nulla di allusivo ed anzi celebra la creazione e la grandezza del disegno divino, di cui il corpo degli uomini è manifestazione.

Ecco, proprio il canto ed il ballo sono punti di identità e forza, da cui partire.

Per questo da alcuni anni andavo chiedendo a Folkest ed ad Itaca di trovare un gruppo ghanese da portare a Pordenone. Quest’anno ci sono riusciti con gli Adesa, che si esibiranno in città il 20 luglio.

Ho proposto questo appuntamento per consentire a noi pordenonesi vecchi e nuovi di incontrarci e conoscerci.

Ma siamo nel pieno di una gravissima crisi economica che ha creato emergenza sociale fra i ghanesi di Pordenone. Questo concerto che Folkest, Itaca ed il Comune offrono a tutti gratuitamente ha allora anche il senso del riconoscimento per tutto quello che la comunità ha fatto di positivo per la città e l’incoraggiamento a tener duro: Pordenone non vuole essere per loro un momento fugace del processo migratorio, ma un approdo. Il rinnovamento della città, la necessità di aprirsi al mondo e comprenderlo, rende necessaria la presenza del mondo a Pordenone, pena ogni povertà.


Fabio Della Pietra
Ufficio Stampa
Cooperativa sociale Itaca
Pordenone
www.itaca.coopsoc.it
Prot. 1114