Tagli da 1.300 miliardi, Bush salva solo il Pentagono



Nel bilancio della Casa Bianca per il 2006 il deficit scende da 427 a 390 miliardi. L’incognita dei costi di guerra

i Conti Usa
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON - Per il presidente Bush è «lean», scarno, per i democratici è «mean», meschino, e per la maggioranza degli economisti è inadeguato. Il bilancio di previsione più austero dei cinque presentati da George Bush a partire dal 2001 non riduce di molto l’enorme deficit del bilancio dello Stato, da 427 miliardi di dollari per l’anno in corso a 390 miliardi nel 2006. E non tiene conto dell’Afghanistan e della guerra dell’Iraq, che comporteranno tra 80 e 100 miliardi di dollari di uscite aggiuntive, né del costo suppletivo della parziale privatizzazione delle pensioni, che potrebbe raggiungere i 3 mila miliardi di dollari in un decennio. In totale Bush propone tagli alla spesa per 1.300 miliardi nel 2006. Alla Casa Bianca, Bush lo ha esaltato: «E’ un bilancio che elimina spese inutili, che stabilisce delle priorità, che ci consentirà di sconfiggere il terrorismo, di difendere l’America e di incentivare l’economia». Ma l’opposizione lo ha definito «uno scherzo crudele. Il presidente toglie aiuti ai poveri e taglia le tasse ai ricchi», ha protestato il leader democratico alla Camera, Nancy Pelosi. I dati indicano che sarà difficile per Bush, che si è peraltro dichiarato ottimista sul suo passaggio al Congresso, indurre gli stessi repubblicani ad approvare il bilancio "in toto". Il bilancio contempla uscite record di 2.570 miliardi di dollari, un quarto del prodotto interno lordo Usa, e un aumento delle entrate a 2.180 miliardi, eguali al 6,1 per cento. Le uscite previste nel 2006 sono il 3,5 per cento in più delle attuali, leggermente superiori all’inflazione, ma l’aumento è dovuto quasi per intero al Pentagono e al ministero della Sicurezza nazionale: negli altri settori, il calo medio delle uscite è dello 0,5 per cento. Vengono colpiti soprattutto l’edilizia pubblica (meno 11,9 per cento) l’assistenza sanitaria di Stato, compresi i reduci delle guerre (meno 4,5 per cento), l’agricoltura (meno 2,9 per cento) e gli aiuti allo sviluppo, fatta eccezione per Paesi terzi strategicamente importanti come il Pakistan e la Giordania. «Dobbiamo essere realisti» si è giustificato Bush. «C’erano 150 programmi statali che non funzionavano». L’obbiettivo del presidente: ridurre il disavanzo di bilancio a 233 miliardi di dollari nel 2009. Le obiezioni di numerosi repubblicani al Congresso, che il prossimo novembre dovranno ripresentarsi alle elezioni, riguardano sia le decurtazioni delle spese sociali sia l’incremento di quelle militari, del 4,8 per cento, sempre senza tenere conto dell’Afghanistan e dell’Iraq. Dal 2001, il bilancio del Pentagono è salito del 41 per cento, e i moderati temono una rivolta dei ceti medi e degli strati più poveri della popolazione con effetti disastrosi alle urne. Il presidente sottolinea di avere sacrificato alcuni programmi militari, soprattutto nell’aeronautica, nella marina e nel settore hi-tech, e di essere stato costretto a rafforzare l’esercito e i corpi speciali, il primo effetto della lezione irachena. Un capitolo a parte riguarda le spese per lo spazio: l’amministrazione ha chiesto un aumento degli stanziamenti del 2,4%, a 16,5 miliardi, per la Nasa che ha tra i suoi obiettivi immediati la ripresa delle missioni spaziali interrotte dopo la catastrofe del Columbia del febbraio 2003. Ma i repubblicani di centro, come molti economisti, avrebbero voluto una più equa distribuzione dei sacrifici e una flessione più netta del deficit. Ha rilevato l’economista democratico Lester Thurow: «Le proiezioni del debito nazionale sono molto inquietanti: dagli 8 mila miliardi di dollari del 2005 arriveremo a 11 mila miliardi di dollari nel 2010. Fino a quando gli stranieri continueranno a finanziarci? Anche il disavanzo dei conti correnti è eccessivo». Thurow ha ricordato che dai tempi del presidente Reagan, un ventennio fa, l’America non affrontava un budget così austero, ma ha aggiunto che potrebbe non essere sufficiente a risanare la finanza pubblica nei previsti quattro anni, soprattutto se Bush insisterà a rendere permanenti gli sgravi fiscali da lui varati. La Federal Reserve, la Banca centrale, potrebbe essere obbligata a rialzare i tassi più rapidamente e fortemente di quanto non voglia, ha concluso, anche per prevenire un ritorno dell’inflazione, frenando l’economia. Lo scenario sarebbe ancora più complicato se, come probabile, il Congresso approverà soltanto una parte delle proposte del presidente.
Ennio Caretto

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