[Disarmo] L’impotenza americana nella guerra sunniti-sciiti



Con la disgregazione dell’Iraq e la guerra civile in Siria gli Stati Uniti 
rischiano di rimanere soffocati e impotenti tra la Mezzaluna sciita e quella 
sunnita. In Iraq non vogliono rimettere più piede, esitano a intervenire e 
potrebbero assistere al crollo di un governo alleato di Teheran che Washington 
ha sempre sostenuto come l’unico legittimo. In Siria, svanite le opzioni laiche 
e moderate per abbattere Bashar Assad, l’America ha dovuto lasciare campo 
libero alle formazioni estremiste sunnite sostenute più o meno direttamente da 
Arabia Saudita e Qatar: da Jabat al-Nusra al rivale Stato Islamico dell’Iraq e 
del Levante, Isil, che sta mettendo a ferro e fuoco l’Iraq con metodi da orda 
medioevale.

Una strategia fallimentare che sta naufragando nella guerra settaria tra 
sciiti e sunniti e si trascina le scelte di fondo sbagliate non soltanto di 
Obama e di Bush junior ma di una superpotenza che in Medio Oriente ha 
perseguito per decenni il sostegno all’Arabia e alle monarchie del Golfo, 
sperando che l’accoppiata Petrolio e Corano portasse solo dei vantaggi. In 
realtà Washington si augura di ottenere con shale oil e shale gas l’
indipendenza energetica che la liberi dal legame con il mondo sunnita e la 
monarchia wahabita, fonte di oro nero, dollari e commesse militari che sono 
state pagate a un prezzo altissimo: i sauditi si sono dimostrati incapaci di 
manovrare efficacemente estremisti e terroristi e il loro unico successo è 
stato aver fatto fuori i detestati Fratelli Musulmani finanziando il generale 
al-Sisi in Egitto.

Per controbilanciare le monarchie del Golfo, gli Usa potrebbero essere pronti 
al sospirato accordo sul nucleare con l’Iran, ostacolato non solo dai sauditi 
ma anche da Israele. Questa sarebbe dunque la "exit strategy" americana dal 
Medio Oriente: puntare sul doppio contenimento della mezzaluna sunnita e di 
quella sciita, sperando che si neutralizzino a vicenda. Ma di calcoli come 
questi, del dual containment, gli americani ne hanno già fatti altri: fu 
durante la guerra Iran-Iraq degli anni 80. Non doveva vincere nessuno dei due, 
facendo in modo che entrambi finissero al tappeto sullo Shatt el-Arab. Ma 
sappiamo come è andata a finire perché c’è sempre qualche pedina che sfugge al 
controllo.

E adesso assistiamo allo sfaldamento dell’Iraq e dei confini tracciati in 
Medio Oriente un secolo fa dalle potenze coloniali britannica e francese mentre 
il Grande Ayatollah Ali Sistani lancia la chiamata alle armi degli sciiti 
contro gli estremisti sunniti e il presidente iraniano Rohani promette tutto il 
suo sostegno al premier Nouri al-Maliki. E qui siamo davanti un altro paradosso 
della politica americana. Gli Usa sono schierati in Siria contro Assad e Iran 
ma in Iraq devono sperare che Teheran li aiuti a tenere in piedi il pericolante 
governo di Baghdad. Mentre le monarchie del Golfo, storiche alleate di 
Washington, puntano a una sconfitta degli sciiti e dell’Iran per prendersi una 
rivincita sulla caduta del regime sunnita di Saddam nel 2003. Forse anche il 
più paziente dei lettori può essere scoraggiato dal comprendere questo coacervo 
mediorientale ma può consolarsi perché neppure la maggiore potenza mondiale 
riesce a districarsi nella sua sequela di errori militari e politici. La fine 
dell’Iraq sta avvenendo in un’atmosfera di confusione quasi millenaristica che 
dovrebbe indurre a qualche seria riflessione sulla sua perdita di credibilità.

14 Jun 2014
Il Sole 24 Ore
Alberto Negri