donne e uomini in esubero nell'era del mondo globalizzato





Donne e uomini in esubero
nell'era del mondo globalizzato


Pietro Barcellona punta l'indice contro la riduzione della politica a mera amministrazione degli interessi materiali
e riscopre il "sacro" come mezzo per ridefinire spazio e tempo. Un tema caro a Pietro Ingrao

Pubblichiamo stralci della "lectio magistralis" dello studioso, letta ieri a Roma in occasione del 92esimo compleanno dell'ex presidente della Camera.

Pietro Barcellona

Cè qualcosa che non si lascia razionalizzare nella visione evoluzionistica: l'insopprimibilità del dolore umano di fronte alla perdita, di fronte alla morte, alla frustrazione, alla sconfitta, ecc. Il dolore dell'esistenza non trova spiegazione nella prospettiva evoluzionistica e, tuttavia, a partire dalla coscienza del dolore della mentalità e della finitezza si costituisce la soggettività umana e la domanda di senso. Perché il dolore, il male, la violenza, lo stupro, il macello del corpo, la guerra infinita, l'inimicizia fra il sé e l'altro, perché il sospetto, la diffidenza verso il compagno e l'amico, il desiderio di annichilire l'altro, la prepotenza e l'arroganza nella vita quotidiana? Perché siamo diventati nemici l'uno dell'altro, perché ogni gruppo, ogni nazione, ogni cultura si definisce per il suo odio verso l'altro? Qual è la radice dell'odio che minaccia la continuazione della vita?
L'odio segna la vittoria della solitudine minacciata dai persecutori interni e esterni, è la proiezione dell'incapacità di accettare la complessità della propria personalità. L'impossibilità di trovare nel "sacro" lo spazio della coesistenza e dell'ambivalenza ha prodotto nella modernità l'esasperazione dell'odio come forma di affermazione dell'Io. Un Io perseguitato dalle Erinni, che è destinato a perpetuare il circolo della vendetta, come unico modo di stare al mondo.
Il ritorno del "sacro", di ciò che non è nella disponibilità della Tecnica (il vero rimosso della modernità), è la sola resistenza alla dissoluzione dell'umano nel meccanismo dell'artificialità virtuale, capace di autoprodursi senza alcuna mediazione esterna. In questa dissoluzione si compie il destino dell'Occidente nel suo inesorabile tramonto.
Solo il limite del "sacro" consente ancora di vedere "oltre", di ridefinire lo spazio e il tempo di un nuovo accadere. Come scrive Steiner senza il problema dell'esistenza di Dio si danno solo pensieri tristi, rattrappiti nel presente e ridotti al solo interesse della soddisfazione di bisogni, fino all'esaurimento di ogni spinta della vita umana a oltrepassare la propria finitezza: il tempo si dissolve nell'appagamento ottuso di ogni attesa.
Senza il limite non c'è "futuro" e senza futuro non c'è né profezia, né politica, ma solo fuga nelle fantasticherie dell'utopia.
Ridurre la politica ad amministrazione degli interessi, ad economia politica per garantire il miglioramento delle condizioni di sopravvivenza fino alla saturazione di ogni speranza possibile oltre il limite dell'umana animalità, equivale a sopprimere la stessa autonomia della politica rispetto all'economia (così come su un altro piano, l'immortalità tecnico-scientifica si propone di sopprimere ogni bisogno di credere).
(Tronti, ha considerato Ingrao uno dei "profeti" del 900)
«Se la politica è produzione di futuro, profezia e utopia sono due modi, diversi e opposti, di vedere il futuro. "Vedere", è la parola giusta, si osserva, si analizza, poi si agisce, si compete, si combatte, sempre e solo subalterni a ciò che è, si accetta ciò che fin qui è stato, si rinuncia a pensare ciò che può essere; sia al di qua che l'al di là del presente risultato cancellato, se mai c'è stata storia, adesso non c'è più.
Pro-feteía: predizione di un evento futuro per ambasceria divina. Pro-fetúo: parlo a nome di, invece di, Teoú, del Nume, di Dio. Mt. 2, 15: "Questo, affinché si adempisse quanto fu annunciato dal Signore per mezzo del profeta"; 26, 54,
... La profezia annuncia il futuro, non perché è il germe delle cose che la profezia stessa in quel momento suscita (...) Perciò il discorso del profeta è un unico grido, condannato a ripetersi e ripetendosi a trasformarsi in sforzo oratorio, se e finché la sua invocazione non è esaudita».
La teconoscienza e il post-umano non riescono ad offrire altro che il prolungamento della vita presente, ma non possono risolvere l'enigma della finitezza-mortalità giacché "non hanno il tempo" per pensare oltre la circolarità della macchina vivente nell'eterno presente della autoproduzione e della tautologia. Non c'è alcuna misura per cogliere la miseria tragica della finitezza.
«"... Malgrado le vistose apparenze, non ci minaccia la presunzione fanatica di possedere la verità , come accadeva in altre epoche, ma la paralizzante certezza della radicale opinabilità di tutto, che non lascia spazio se non all'indifferenza, quindi a un mascherato ma spietato conflitto di interessi, o a un vano e doloroso agitarsi per riempire il vuoto". Di qui, la sua coerente, discutibile, visione del moderno come "un'enorme malattia cresciuta nello spazio del mancato evento escatologico".» (Tronti)
Se siamo ancora qui a festeggiare il compleanno di Ingrao è perché egli appartiene, come ha scritto Mario Tronti, alla categoria dei profeti, di coloro cioè che non si sono rassegnati di ridurre la politica ad economica. Tutta la vita e il lavoro di Ingrao, specie quella che attraverso una peculiare percezione dell'urgenza della crisi, negli anni che vanno dal '79 all'89, hanno posto sul tappeto il tema di una nuova politica capace di "vedere" il presente. Gli anni di lavoro al Crs come estremo tentativo di offrire una prospettiva alle donne e agli uomini che rischiavano di essere travolti dalle macerie dell'89, non un mero ritorno del tragico passato novecentesco, colmo di orrori, campi di sterminio e di gulag, ma un distanziamento dalla congiuntura che consenta di riaprire la prospettiva di una temporalità non esaurita.
Tutto il periodo della ricerca del Crs è un forte presagio della fine imminente, ma anche la prova della convinzione che ciò che è accaduto non sia solo nefandezze ed errori, ma anche grandi speranze e sacrifici generosi di tante donne e di tanti uomini anonimi.
In Crisi e terza via , un libro troppo presto dimenticato, Ingrao risponde alla domanda di Romano Ledda:
«... Importante è non ritrarsi, non chiudersi dinanzi alle forme contraddittorie in cui si esprimono contemporaneamente questa crisi e questa crescita dell'ideale del socialismo. E invece fare i conti con queste spinte; vedere in esse un potenziale. Perciò, più che mai, in questo momento i nemici delle classi sfruttate sono l'integralismo e il corporativismo. Chiuse in se stesse, esse perdono; frantumate in segmenti corporativi, diventano solo una faccia fra le tante della società: si riducono ad empirici "bisogni". Per questo non possiamo accettare la riduzione delle forze in campo, l'emarginazione di una parte di esse ed il loro decadimento a rivolta, a ghetti, a corporazioni».
Nonostante tutto "Il dubbio dei vincitori" apre la porta all'inquietante presenza di questo "esubero di donne e uomini" che sono esclusi dalla "vita digitale" del mondo globaliazzato.
«Da noi discendente.
Da ciò che fummo.
La rosa non ci sarebbe.
Se ci cancelli, s'apre un abisso».