welfare senza famiglia



da lastampa Martedì 23/10/07

Welfare senza famiglia

CHIARA SARACENO

C’è ben poco di nuovo nel modello di welfare disegnato dall’accordo di
luglio, confermato dal referendum sindacale e ora dal compromesso raggiunto
in Consiglio dei ministri. Ancor meno di nuovo s'intravede nelle posizioni
di chi a quell’accordo s’è opposto e spera di modificarlo in Parlamento. L’accordo,
i suoi oppositori e la stessa proposta di legge finanziaria condividono il
modello di welfare all’italiana che rende così squilibrate e poco efficaci
la spesa e le politiche sociali orientate a redistribuzioni monetarie, in
particolare verso le età più anziane, senza neppure riuscire a contrastare
davvero la povertà tra gli anziani perché di fatto privilegiano alcune
categorie rispetto ad altre. È significativo che nell’accordo la misura più
importante rivolta ai giovani riguarda una promessa a futura memoria che la
loro pensione non scenderà sotto il 60% del reddito da lavoro. Si promette
(con la fragilità delle promesse in questo campo) una garanzia in
vecchiaia, mentre la questione che molti dei giovani devono affrontare è
una continuità e adeguatezza del reddito che consenta loro oggi di rendersi
autonomi dalle famiglie d’origine e di fare piani per una propria famiglia
se lo desiderano.

Soprattutto, nel gran conflitto di questi mesi sul welfare, le politiche
per le famiglie e di sostegno alle responsabilità famigliari sono state le
grandi assenti. Dopo l’ubriacatura ideologica in tema di famiglia della
scorsa primavera, dopo il Family day e il Convegno nazionale sulla famiglia
promosso dal ministro Bindi, le politiche per la famiglia continuano a
mantenere nell’agenda politica italiana una posizione marginale ed
estemporanea, anche se più di altre potrebbero essere considerate vere e
proprie politiche d’investimento.

Assenti del tutto dall’accordo con le parti sociali - che pure assorbe gran
parte delle risorse - le politiche per la famiglia sono anche largamente
assenti dalla proposta di legge finanziaria. Le misure di maggior rilievo
presenti in quest’ultima riguardano certamente una dimensione importante
del benessere famigliare, la casa, tramite la maggiorazione della
detrazione dall’Ici sulla prima casa per i contribuenti con un reddito
individuale non superiore ai 50 mila euro e l’introduzione di una
detrazione a favore di chi è in affitto, di nuovo legata al reddito
individuale. Queste due misure di fatto assorbono tutte le risorse
disponibili. Perciò, sul piano dei trasferimenti monetari, la riforma degli
assegni al nucleo familiare per renderli più equi e meno frammentati di
fatto è ancora una volta rimandata sine die. E non è chiaro se e quanti
fondi rimarranno per i servizi, che ogni ricerca mostra essere essenziali
per il benessere delle famiglie, anche perché facilitano l’occupazione
delle donne con carichi famigliari. La riduzione dell’Ici, incidendo
negativamente sui bilanci dei Comuni sui quali grava in larga misura la
responsabilità di fornire i servizi, potrebbe anche avere un effetto
negativo in termini di offerta e di costo per le famiglie.

Ma le misure per la casa sono almeno eque dal punto di vista
redistributivo? A prima vista sembrerebbe di sì, dato che sono legate al
reddito. Ma anche qui si sconta il vecchio errore di usare il fisco, che
nel nostro Paese è basato sul reddito individuale, per effettuare
redistribuzioni tra famiglie. Come già in passato, potranno beneficiare
delle detrazioni famiglie in cui entrambi i coniugi, o anche uno solo,
hanno un reddito inferiore alla soglia, ma che insieme la superano
ampiamente; mentre non potranno beneficiarne le famiglie in cui l’unico
percettore di reddito supera la soglia anche solo di un euro. Molte
ricerche hanno segnalato che il welfare italiano sostiene poco la
conciliazione tra responsabilità familiari e partecipazione al mercato del
lavoro ed è anche poco redistributivo, sia perché privilegia i
trasferimenti monetari rispetto ai servizi sia perché nei primi privilegia
la redistribuzione via imposte rispetto ai trasferimenti diretti. L’accordo
tra le parti sociali e la legge finanziaria confermano, ahimè, proprio
queste caratteristiche negative.

25/10/2007

Welfare e famiglia i passi irrinunciabili

Non è giusto minimizzare le misure sulla casa. Ma non archivio la proposta
di un assegno destinato a tutti i bambini né a quella di completare la rete
degli asili nido


ROSY BINDI*

Condivido molte delle osservazioni della professoressa Chiara Saraceno
sulle lacune e i ritardi del nostro welfare(«Welfare senza famiglia» su La
Stampa di martedì). Ed è vero che il Protocollo, approvato dal referendum
sindacale e ora all’esame del Parlamento, e la Finanziaria 2008 non
rappresentano, sul fronte delle politiche per la famiglia, quel cambio di
passo delineato con la Conferenza nazionale di Firenze.

In entrambi i provvedimenti, ha ragione la Saraceno, gli aiuti si
concentrano sul domani e non si è avuto il coraggio di intervenire sulle
difficoltà che oggi vivono milioni di giovani e di famiglie con figli.
Penso in primo luogo alla precarietà del lavoro, su cui occorre un’azione
di governo più incisiva e un richiamo più stringente alle responsabilità
degli imprenditori. E penso alla certezza di un sostegno economico duraturo
alle responsabilità genitoriali.

Anch’io, non ho difficoltà ad ammetterlo, avevo altre attese. In
Finanziaria avevo presentato una riforma degli assegni familiari che tiene
insieme l’esigenza di aiutare subito le famiglie con figli e di accantonare
un «capitale» per il futuro dei giovani. Per quanto mi riguarda la proposta
di un assegno unico destinato a tutti i bambini, che gradualmente rafforza
l’entità dei trasferimenti monetari alle famiglie e li estende anche ai
lavoratori autonomi, non è affatto archiviata. Più in generale non è
archiviato il tema di un accesso alla rete dei servizi e al loro costo, che
tenga conto sia del reddito individuale che della composizione del nucleo
familiare.

Ma non credo sia giusto minimizzare le misure sulla casa, un bene che
incide fino al 50% sulla disponibilità economica delle famiglie. Anche il
bonus ai cosiddetti «incapienti» non può essere ignorato, soprattutto da
chi conosce bene i problemi delle famiglie più povere. Si tratta di un
primo risarcimento a chi era stato escluso dai benefici della Finanziaria
2007. Secondo l’Istat, la riduzione dell’Ici, le detrazioni fiscali per chi
vive in affitto e il bonus per le famiglie più povere, garantiscono a 18
milioni di famiglie un incremento medio di circa 155 euro del reddito
disponibile, con una riduzione del tasso di povertà di circa un punto
percentuale.

Si poteva fare meglio e di più? Può darsi che un contesto di finanza
pubblica meno oneroso avrebbe offerto margini d’azione più ampi. Eppure,
tra molte difficoltà e qualche lentezza di troppo, stiamo cercando di
affrancare il nostro welfare da un sistema di garanzie ormai troppo rigido,
riservato prevalentemente a chi ha un posto fisso e che affida alla
famiglia un ruolo di ammortizzatore sociale ormai insostenibile. Vanno in
questa direzione le prime misure per riconoscere il diritto alla maternità
per le lavoratrici precarie. E soprattutto il progetto di riforma della
legge 53 del 2000, sulla conciliazione dei tempi della famiglia e di lavoro
e sui congedi parentali a cui stiamo lavorando. Uno strumento essenziale
per affermare politiche di effettiva parità per le donne e di condivisione
delle responsabilità e dei carichi familiari in un mercato del lavoro
flessibile. Non intendo, inoltre, rinunciare ad un ulteriore finanziamento
per completare la rete degli asili nido, che finalmente per i prossimi tre
anni prevede uno stanziamento di circa 700 milioni di euro. Sono
consapevole che occorrono tempo e risorse per superare le logiche di un
vecchio modello di welfare e orientare tutte le politiche a favore della
famiglia, come punto di forza per risolvere problemi di lunga data. Ma
forse è anche giusto riconoscere che la strada è intrapresa.

* ministro delle Politiche per la famiglia